Pandemia Locazione e Mediazione Orientamenti Giurisprudenziali - ODCEC Roma

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Pandemia Locazione e Mediazione
                         Orientamenti Giurisprudenziali
Le conseguenze del Covid 19 consistono anche in un aumento della conflittualità socio-economica e
nell’ulteriore grave crisi della giustizia civile.
Con la sempre più acuta necessità dei percorsi conciliativi quale soluzione alternativa al giudizio e
alla sentenza.

Come ha riferito un mediatore di un importante Organismo di Mediazione romano, “…ho svolto come
mediatore oltre tremila procedure di mediazione in tutta Italia di cui tante in materia di locazione. la
mia esperienza mi permette di affermare, senza timore di smentita, che si tratta di una delle materie,
insieme alle divisioni ereditarie e non, e al Condominio, con il più alto tasso di successi”

Ed in effetti la materia della locazione è particolarmente idonea a vedere attuati con successo percorsi
conciliativi. Specialmente nell’epoca della pandemia da Covid 19.
Gli ambiti nei quali più intensamente i conflitti scaturiscono e dove maggiormente può risultare utile
l’opera del bravo mediatore sono quelli della rinegoziazione del canone di locazione e degli sfratti per
morosità.
Al fine di poter operare al meglio, è necessario che il bravo mediatore conosca bene il quadro
normativo e quello giurisprudenziale.
Convertendo in legge il D.L. 28/2020 (L. 25.6.2020 n.70) è stato rilasciato dal Parlamento un testo
normativo di incerta tecnica giuridica.
E’ stata creata la figura da me denominata della “mediazione obbligatoria on demand”, dove
l’espressione “a domanda” vuol significare “a eccezione di parte”.
La disposizione è la seguente:
LEGGE 25 giugno 2020, n. 70 1-quater. All'articolo 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6,
convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6-bis e' aggiunto il
seguente:
"6-ter. Nelle controversie in materia di obbligazioni contrattuali, nelle quali il rispetto delle
misure di contenimento di cui al presente decreto, o comunque disposte durante l'emergenza
epidemiologica da COVID-19 sulla base di disposizioni successive, puo' essere valutato ai sensi
del comma 6-bis, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione ai sensi del comma
1-bis dell'articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, costituisce condizione di
procedibilita' della domanda"».
Il comma 6 bis prevede che:
 “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini
dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del
debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati
o omessi adempimenti”.
La norma (art.3 comma 6 ter d.l.28/20) prevede quindi che la mediazione non sia
obbligatoria in relazione alla materia (criterio oggettivo, come nel caso dell’art. 5 co. 1
bis) né lo è in virtù del provvedimento del giudice (art. 5 co.2 ) che ha valutato la
mediabilità in concreto.
Il fatto generatore della obbligatorietà è un terzium genus vale a dire il contenuto della
difesa di una parte, precisamente del debitore.
Il testo dell’art. 1 quater prevede quindi che in relazione alle situazioni già prese in
considerazione dall’art. 3 del D.L. 6/20 e ss. comma 6 bis , vale a dire ai casi nei quali
l’inadempimento, totale o parziale, del debitore è derivato dal(le conseguenze del,
n.d.r) rispetto delle misure di contenimento previste dai vari decreti (nonché anche da
disposizioni a tale decreto successive, emesse durante l’emergenza epidemiologica,
non aventi valore di legge), e può essere quindi valutato dal giudice per la possibile
esclusione della declaratoria di un inadempimento contrattuale colpevole (e quindi
della risoluzione del contratto e del risarcimento del danno), che l’esperimento della
mediazione costituisca condizione di procedibilità della domanda (comma 6 ter,
aggiunto).
Il quesito fondamentale in materia è il seguente.
Se l’art. 3, comma 6 bis del D.L. n. 6/2020, che esonera il debitore dalla
responsabilità ex art. 1218 c.c. per le conseguenze derivanti dal rispetto delle
misure di contenimento sociale tese a fronteggiare l’epidemia da Covid-19, sia
suscettibile di applicazione anche nell’ipotesi di omesso e/o ritardato pagamento
dei canoni di locazione maturati durante l’emergenza Covid
In particolare, che risposta possa attendersi il debitore conduttore (nell’ambito di
una causa di sfratto per morosità al quale si opponga) eccependo di non aver
potuto assolvere al pagamento dei canoni a causa del lockdown imposto per far
fronte all’emergenza pandemica ; essendogli venuta meno la liquidità necessaria
per adempiere alle obbligazioni di pagamento verso il locatore.
Da parte di Governi e Legislatori NON vi è stato (a parte alcuni casi
specifici) alcun intervento normativo direttamente sui canoni.
E i Tribunali hanno provveduto adottato però decisioni diverse e
opposte.
C’è chi ha rigettato le prospettazioni dei conduttori e chi le ha
condivise, t
E non sempre con omogeneità all’interno dello stesso Tribunale.
Nel primo gruppo (RIGETTO ISTANZA RIDUZIONE CANONE) ad es.
Tribunale di Pordenone, ordinanza dell’8.7.2020; Tribunale di Torino,
sentenza del 2.7.2020; Tribunale di Pisa, ordinanza del 30.6.2020;
Tribunale di Palermo (sez. II civ., n. 2435/2021 del 09.06.2021),
Tribunale di Roma. sez. VI civ., n. 9457/2021 del 21.05.2021
Per contro nel secondo gruppo (ACCOGLIMENTO ISTANZA
RIDUZIONE CANONE) vanno annoverate le decisioni ad es. del
Tribunale di Bari, sentenza del 9.6.2020; del Tribunale di
Roma, ordinanze del 29.5.2020 e 27.8.2020
del Tribunale di Venezia, ordinanza n. 5480/2020 e sentenza
del 30.9.2020; del Tribunale di Lecce in nell'ordinanza del 24
Giugno 2021 ; del il Tribunale di Milano sentenza 28 giugno
2021 n. 4651, decisioni che si fondano sui principi di buona
fede e di solidarietà sociale di cui all’art. 2 della Costituzione.
L’attuale giurisprudenza del Tribunale di Roma è nel senso di ritenere non ammissibile la riduzione del
canone di locazione da parte del giudice.
In tale senso costituisce una esaustiva e chiara sinossi, corredata da ampia motivazione, la recentissima
sentenza n.11336-21 del 30.6.2021 rg 52689/20 dott.ssa Flora Febbraro.
La sentenza espone principi che vanno tenuti ben presente:
In particolare, che non ricorre, neppure in tempi di pandemia, la fattispecie della impossibilità
sopravvenuta della prestazione, totale o parziale di cui all’art. 1463 cc.

“Tale disciplina – afferma il giudice- non è applicabile all’ipotesi de qua agitur poiché a causa del
factum principis, che vieta le attività socialmente pericolose, non è l'immobile che diventa inidoneo
all’uso ma l'attività che in essa vi si svolge ad essere impedita e ciò ricade nella sfera di rischio
dell'imprenditore-conduttore.

Non ricorre alcuna materiale o giuridica oggettiva impossibilità ma solo la soggettiva impossibilità del
conduttore derivante dall'interruzione dei flussi di cassa.
 Pertanto, chi si duole del mancato godimento dell’immobile locato a causa della osservanza della serrata
governativa non può esperire la risoluzione per inadempimento del locatore né agire ex art. 1463 c.c..»
«Non può, poi, ritenersi esistente un diritto, fondato sulla disciplina della emergenza
epidemiologica e sulla crisi che ne è scaturita, alla sospensione od alla riduzione del canone od
ancora alla sua modifica da parte del conduttore che è rimasto nel godimento materiale
dell’immobile con la propria famiglia oppure con la propria struttura, con i propri beni
strumentali e con le proprie merci.
Neanche può ritenersi legittima la unilaterale auto-sospensione od autoriduzione dei
pagamenti, essendo tra l’altro, di regola, prevista nei contratti di locazione la clausola del c.d.
solve et repete.
L’obbligo di pagamento del canone per il locale chiuso per l’emergenza COVID non è, del resto,
escluso sulla scorta del citato art. 3 comma 6-bis decreto legge n.6 del 2020, introdotto
dall’art. 91 del decreto legge n. 17 del 2020 conv. in Legge n. 27 del 2020, cd. Cura Italia
tuttora vigente.
Nel procedimento in esame, a fronte della richiesta di risoluzione per inadempimento, il
conduttore ha proposto in via riconvenzionale, azione di risoluzione del contratto per
eccessiva onerosità sopravvenuta, a far tempo dalla mensilità di aprile 2020.
Tale rimedio è certamente praticabile allorchè il governo abbia imposto la chiusura del locale
e l’esercizio dell’attività commerciale sino alla sua riapertura.
Il soggetto a cui prestazione è divenuta troppo onerosa (ossia il conduttore) può domandate
la risoluzione del contratto di locazione e la controparte (il locatore), per contro, può evitarla
offrendo la riduzione del canone.»
«I presupposti dell’azione ex art. 1467 c.c. sono che il contratto sia ad esecuzione continuata o
periodica o ad esecuzione differita rispetto alla conclusione del contratto; che la prestazione
non sia esaurita; che l’eccessiva onerosità dipenda dal verificarsi di avvenimenti straordinari
ed imprevedibili e si verifichi prima che la prestazione risulti esaurita nel termine di
adempimento previsto in contratto o nel diverso termine, successivo, tollerato dal creditore o
giustificato ex lege.
Fatte tali premesse, la domanda ex art. 1467 c.c. dev’essere accolta poiché la pandemia
sanitaria e la crisi emergenziale dei mercati costituiscono un avvenimento straordinario
imprevedibile che ha determinato una eccessiva onerosità sopravvenuta dell’alea normale del
contratto ed ha riguardato sicuramente sia il periodo temporale che va dal 9 marzo al 18
maggio 2020 sia quello successivo in cui sono state emesse misure restrittive nel settore
merceologico in cui opera il convenuto
La domanda subordinata di rideterminazione del canone per l’arco temporale sino al
12.10.2020 non può essere accordata.»
«L’eccessiva onerosità non rappresenta, tuttavia, il presupposto di una azione di rettifica
del canone né, sotto altri profili, può fondare una mera eccezione per contrastare l’altrui
richiesta di adempimento (v. Cass. Civ. n. 20744/2004; Cass. Civ. n. 1090/1995). Non
può, dunque, basarsi su tale disciplina un diritto alla riduzione in via di azione. La
Suprema Corte di Cassazione ha affermato che la parte che subisce l’eccessiva onerosità
sopravvenuta della prestazione può solo agire in giudizio per la risoluzione del contratto,
ex art. 1467, comma 1, cod. civ., purché non abbia già eseguito la propria prestazione,
ma non ha diritto di ottenere l'equa rettifica delle condizioni del negozio, la quale può
essere invocata soltanto dalla parte convenuta in giudizio con l'azione di risoluzione, ai
sensi del comma 3 della medesima norma, in quanto il contraente a carico del quale si
verifica l’eccessiva onerosità della prestazione non può pretendere che l'altro contraente
accetti l'adempimento a condizioni diverse da quelle pattuite (v. Cass. Civ. 26 gennaio
2018, n. 2047; Cass. Civ. 25 marzo 2009, n. 7225; Cass. Civ. 5 gennaio 2000, n. 46).
La riduzione ad equità è un diritto potestativo del convenuto, legittimato passivo nella
azione di risoluzione ex art. 1467 c.c., ovvero della parte che si trova in posizione di
vantaggio o di profitto che questi esercita, nel proprio interesse, quando valuta che
l’utilità di conservare il contratto valga più del sovraprezzo che deve sborsare per ridurlo
ad equità».
«Nè può provvedersi alla rinegoziazione del canone.
Invero nelle locazioni ad uso commerciale di cui per cui sia stata imposta la chiusura dell’attività
esercitata nell'immobile locato se può ritenersi legittima la richiesta di sospensione o di riduzione
del canone dovuto non può ritenersi, di per sé, doverosa l’adesione del locatore.
In ordine al richiamo all’art.1374 c.c. e ai doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del
contratto che né il predetto né il dovere di solidarietà sociale di cui al precetto costituzionale
consentono di ritenere esistente nel nostro ordinamento un obbligo di rinegoziazione dei contratti
divenuti svantaggiosi per taluna delle parti, ancorché in conseguenza di eventi eccezionali e
imprevedibili, e un potere del giudice di modificare i regolamenti contrattuali liberamente
concordati dalle parti nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, al di fuori delle specifiche
ipotesi espressamente previste dalla legge (vedasi il potere del giudice di ridurre le penali
manifestamente eccessive riconosciuto dall’art.1384 c.c. o il potere riconosciuto al giudice
dall’art.1660 c.c
La Suprema Corte di Cassazione, anche, quando ha ritenuto determinate condotte illecite o abusive
per violazione dei doveri di correttezza e buona fede contrattuale, … ha sancito la nullità o
l’inefficacia della clausola o dell’atto ovvero, in alcuni casi, unicamente il diritto al risarcimento dei
danni, non anche la sostituzione della regola negoziale con una regola giudiziale elaborata dal
giudice (v. sul punto Cass. Civ. 9321/2000).»
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