Ottimi spunti ma una trama inconsistente
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“Cobra non è”, il primo film di Mauro Russo, è una smaccata dichiarazione d’amore ai film di genere degli anni ’70, ai B-movie ed al pulp alla Tarantino, con ottimi spunti ma una trama inconsistente Cobra è un rapper che ha fatto il suo tempo, dopo un breve momento di fama. Quando il suo manager e amico, Sonny, gli offre la possibilità di firmare un contratto con una rinomata etichetta, lui è entusiasta, ma qualcosa potrebbe andar male, anzi malissimo. E così sarà! Questo in sintesi lo spunto narrativo di “Cobra non è”, un film che mescola, non senza meriti, il gusto per l’eccesso con la chiassosità e il montaggio sincopato di tanto cinema di genere anni ’70, quei polizieschi, o meglio poliziotteschi, che tanta fortuna ebbero sia presso il pubblico italiano che quello internazionale. Cinema di genere che molti registi, Quentin Tarantino in primis, hanno citato e saccheggiato, sdoganando questo filone anche presso la nostra critica, da sempre refrattaria, oltre che particolarmente caustica nei giudizi, ad un certo tipo di cinema. G i a n l u c a D i G e n n a r o ( Cobra) e Denise Capezza (Angela), protagonisti del film “Cobra non è” di Mauro Russo. Ciò che colpisce del primo film del regista salentino Mauro Russo, dal 30 aprile disponibile su Amazon Prime Video, è la quantità incredibile di citazioni cinematografiche degne di un vero cinefilo appassionato. Ma la citazione cinefila non è una cosa semplice e, anche se divertente e ben fatta, non può essere il pilastro su cui si regge un lungometraggio. Infatti ciò che manca a “Cobra non è” non sono le
atmosfere o gli interpreti, quello che sembra mancare è la coerenza di una narrazione che, invece di scorrere coerente verso un finale, preferisce stupire lo spettatore con scene roboanti e delle interpretazioni troppo tirate e sopra le righe, che però non riescono a consegnarci dei personaggi memorabili. Il film è accattivante, c’è un grande senso della messinscena a cui concorrono da una parte le inquadrature fumettistiche di Russo, la fotografia di Simone Zampagni e il montaggio veloce di Marcello Saurino, e dall’altra le belle scenografie di Pigi Bosna e Michele Lisi che intrattengono gradevolmente lo sguardo dello spettatore. Simpatici sono pure i cammei di Clementino, Elisa, Max Pezzali e Tonino Carotone, tutti amici del regista Mauro Russo, già affermato autore di videoclip e collaboratore di questi come di altri artisti. Molto originali e d’effetto anche i titoli di testa, girati tutti in un interno, con i nomi del cast tecnico ed artistico che emergono da scritte sui muri, tatuaggi e insegne al neon. Buone anche le interpretazioni del cast, almeno di parte di esso, anche se, come detto, l’esagerata stereotipizzazione dei caratteri alla fine consegna più dei personaggi grotteschi che memorabili. Ma, nonostante tutto questo, la mancanza di una narrazione coerente e razionale si fa sentire, e malgrado le scene rocambolesche ed il ritmo, per lo più veloce, del film, la durata tipica di 90 minuti sembra, per noi spettatori, molto più lunga. Ha ragione, a tal proposito, Paola Casella che su Mymovies.it scrive: “Manca soprattutto quella tensione narrativa che è requisito fondamentale del cinema di genere, dunque un film sotto la canonica ora e mezza rischia di sembrare interminabile”. Il film vanta perfino la collaborazione del leggendario Ruggero Deodato, che, come guest director, ha girato la scena della tortura rimasta poi inedita nel montaggio finale e disponibile solo nella versione integrale.
L e l o c a n d i n e u f f i c i a li del film “Cobra non è”. Quella di destra è stata realizzata dall’artista Domenico Velletri. Infine e sul finire, il film presenta una vera chicca, una lunga sequenza animata molto violenta e sincopata ai limiti dello splatter, che riprende ed omaggia la famosa scena “Capitolo 3: Le origini di O-Ren” del film “Kill Bill vol. 1” di Quentin Tarantino. La sequenza animata è opera del talentuoso artista e fumettista Domenico Velletri, nostra vecchia conoscenza; infatti è fra gli autori della nostra “Copertina d’Artista”, di cui ha realizzato quella del n° 67 nel novembre 2019 dedicata al “Natale che verrà”. Cosa altro dire di questo film? Sicuramente che merita una visione, sia perché rappresenta comunque un esordio interessante sia perché esplora un “genere” poco, o per niente, battuto dal nostro cinema “autoriale”, fatto di storie complicate, dialoghi infiniti, e votato ad un minimalismo estremo ed a una eccessiva sottrazione. Il film di Mauro Russo, smaccatamente citazionista e eccessivo, ci ricorda invece che c’è un’altra strada per raccontare storie e girare film, anche nel nostro Paese, e questa è già, a mio modesto parere, una scelta registica, oltre che produttiva, sovversiva. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della
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