Omelia Giovedì santo - 9 aprile 2020 - # IO RESTO NEL CENACOLO
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Omelia Giovedì santo – 9 aprile 2020 # IO RESTO NEL CENACOLO Omelia per la Messa “In Coena Domini” Sora-Chiesa Cattedrale, 9 aprile 2020 In tempo di fragilità In prossimità della Pasqua ebraica, i discepoli chiedono a Gesù: “Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?” (Mt 26, 17). Gesù celebra la Pasqua ebraica come contesto nel quale vive e rende partecipi i suoi discepoli della sua propria Pasqua. Manda i discepoli “da un tale” (v. 18) senza precisare l’identità dell’ospitante: potrebbe essere la casa di ogni famiglia ad accogliere Gesù e i suoi discepoli per la cena pasquale, e restare anche noi con loro. Allora #Io resto a casa perché attendo ospiti. Restare al piano superiore
Il Cenacolo riconsegna ad ogni famiglia gli affetti più umani. Quello che Gesù compie con i suoi amici coinvolge e impegna. A ognuno è chiesto di prendere una decisione personale. La spaventosa diffusione dell’epidemia da Covid19 obbliga a restare a casa. La saggezza non è tutta nel rispettare una prescrizione, ma quella di valorizzarla come opportunità. Pochi metri quadrati di spazi abitativi possono diventare cieli sconfinati di libertà. E quale migliore opportunità di questo Giovedì santo per fare di ogni casa un Cenacolo? Vediamolo insieme. È una ragione grande quella che spinge Gesù a chiedere ai suoi amici di restare con Lui al piano superiore: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,19). Quando la comunità stava andando a pezzi e ciascuno si preparava ad affrontare il futuro da solo, “Gesù fece la promessa di una nuova comunione, che sarebbe stata più forte del tradimento e della codardia, e che nulla avrebbe potuto distruggere, neppure la morte” (T. Radckliff). In queste settimane di isolamento in casa forse si sta male, si vorrebbe scappare, anche perché abituati a vivere come in un albergo, dove l’entrare e l’uscire ad ogni ora e per qualunque ragione ci rendeva più ospiti che familiari. Gesù insegna a rimanere in casa con il cuore, come nel Cenacolo, per rigenerare la bellezza dell’amore. Restare nel Cenacolo per Gesù significa imparare anche noi in famiglia ad amare sino alla fine tutti, totalmente, nonostante tutto. E’ questo l’amore che accresce il benessere di ogni famiglia, e ci fa star bene in casa. Se la casa non diventa un cenacolo d’amore, sarà un inferno da cui si desidera scappare: “Che il Signore li aiuti a scoprire nuovi modi, nuove espressioni di amore, di convivenza in questa situazione nuova. È un’occasione bella per ritrovare i veri affetti con una creatività nella famiglia. Preghiamo per la famiglia, perché i rapporti nella famiglia in questo momento fioriscano sempre per il bene” (Papa Francesco, 16 marzo 2020).
Con i piedi per terra Il Signore ama con il cuore e ragiona … con i piedi! Ci chiede di togliere i calzari per restare con i piedi per terra. Sì a contatto con la polvere da cui siamo stati plasmati, per custodire sapientemente il legame con le nostre condizioni di fragilità. Solo a piedi nudi possiamo accogliere la rivelazione di Dio, come a Mosè arrivato “oltre il deserto (Es 3). A lui che si avvicina per vedere come mai il roveto che brucia non si consuma, Dio gli parla da quel roveto per invitarlo a togliersi i calzari “perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo! E disse: Io sono … Colui che sono”. Il verbo essere traduce il verbo ebraico che indica il movimento di Dio verso qualcuno, quindi un essere/esistere per qualcun altro. Dio rivela a Mosè il suo Nome, il suo Volto che parla di presenza, vicinanza, azione amorevole a favore dell’uomo. Così per gli apostoli: il “roveto ardente” davanti al quale sono stati invitati a togliersi i calzari è il grembiule, il catino e l’asciugamano per purificare la loro vita. Questi segni, come il roveto, rivelano loro il volto del Dio umile servo, schiavo, piegato sulle nostre menzogne per purificare, rimarginare, sanare, guarire, attraverso tutti coloro che si prendono cura degli altri, come i tanti operatori e volontari piegati verso la grave malattia di tanti contagiati. Nel volto del Servo che lava i piedi si rivela la compassione di Dio sofferente che non sta mai dalla parte di chi punisce ma parla con i gesti della tenerezza di chi lava i piedi delle povertà umane per dare sollievo e rimedio. Per amare sino alla fine è sempre necessario ragionare con i piedi degli altri, quindi fare noi per primi un bagno di umiltà e volgerci verso il catino del servizio. Però, bisogna prima deporre le vesti: “Si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita” (Gv 13,4). Chi resta nel Cenacolo si impegna a seguire il suo esempio regolato dal comandamento: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio” (Gv 13,14-15). Giuda non accetterà e
abbandonerà il Cenacolo, tradirà l’Amore. Servire, piuttosto che servirsi degli altri e cercarli solo perchè mi servono. Per star bene in casa, tutti devono imparare a servire, dal più piccolo al più grande. Bisogna imparare ad amare servendo, diversamente lo spazio occupato diventa una prigione insopportabile, e ben presto si troverà il modo di evadere e di tradire le relazioni. Senza l’educazione al servizio anche la casa, come il Cenacolo, rischia di essere intollerabile e insopportabile. Si rischierebbe di vivere da Perfetti sconosciuti, come nel film di Paolo Genovese. La Messa non è finita Questo è il mio corpo offerto…questo è il mio sangue versato. Ci mancherà ancora per molto tempo la celebrazione dell’eucaristia nelle chiese? In questo tempo di epidemia le parole di Gesù tornano a farsi domestiche, potendole vivere nella vita familiare. Sì, perchè quello che stiamo vivendo può diventare un kairòs, un tempo favorevole di grazia, da valorizzare e non da vaporizzare; un tempo in cui riconoscersi fragili e bisognosi della presenza degli altri. Allora prendiamo sul serio la parola “corpo” che Gesù pronuncia sul pane e sul vino che sta offrendo. Parlare di un corpo offerto per voi esprime molto più significati e valori rispetto alla sola fisicità. La fisicità parla del singolo l’individuo, mentre il corpo svela la pienezza della persona comprendente anche la sua dimensione spirituale, il suo ricco mondo interiore che si esprime attraverso il corpo. In particolare, il corpo significa: presenza, concretezza, relazione. In riferimento a Cristo, il suo corpo eucaristico per la Chiesa è presenza reale, concreta e relazionale. Il nostro restare in famiglia in questo periodo ci aiuta a riscoprire la corporeità di ciascuno come dono e ricchezza. Notiamo alcuni dettagli. Se il corpo significa presenza, allora viviamo un tempo in cui imparare a varcare la soglia dell’indifferenza ed essere più solidali e attenti agli altri in famiglia. Presenti davvero l’uno all’altro, non con le nostre ombre ma con tutto noi
stessi. Impariamo ad essere più presenti in casa, molto di più in famiglia. Se la parola corpo significa concretezza, allora impariamo a dare carne agli affetti, ai gesti, ai segni, ai riti, ai ritmi della vita familiare. Dobbiamo rifuggire le banalizzazioni come anche le idealizzazioni. Viviamo il realismo della concretezza possibile. “Dobbiamo ritrovare la concretezza delle piccole cose, delle piccole attenzioni da avere verso chi ci sta vicino, familiari, amici. Capire che nelle piccole cose c’è il nostro tesoro. Ci sono gesti minimi. Che a volte si perdono nell’anonimato della quotidianità, gesti di tenerezza, di affetto, di compassione, che tuttavia sono decisivi, importanti …Sono gesti familiari di attenzione ai dettagli di ogni giorno che fanno sì che la vita abbia senso e che vi sia comunione e comunicazione tra di noi” (Papa Francesco, Intervista a Repubblica del 18 marzo 2020). Se la parola corpo significa relazione, allora il tempo in cui dobbiamo tenere le distanze, può essere quello in cui impariamo rapporti nuovi, relazioni corte, calde di umanità. La relazione richiede la consapevolezza che in famiglia non si vive per se stessi, né tanto meno ognuno per conto proprio. Si vive gli uni per gli altri, si impara dire “Io sto qui per te”. Lo richiede la verità del rapporto coniugale, la relazione genitoriale, i contatti fraterni. Lo richiede il pro vobis consegnato nel Cenacolo per ogni famiglia. + Gerardo Antonazzo Pdf Scaricabile Omelia Giovedì Santo #diocesiscap2020 #vescovogerardoantonazzo #emergenza #coronavirus #covid19 #settimanasanta
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