Ministero della Salute - Direzione generale della comunicazione e dei rapporti europei e internazionali

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Ministero della Salute
  Direzione generale della comunicazione
   e dei rapporti europei e internazionali
                  Ufficio 5

IL CONTENZIOSO IN CAMPO SANITARIO NEL 2016

    RICORSI PROMOSSI ALLA CORTE EUROPEA
             DEI DIRITTI DELL’UOMO
Ricorsi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo:
statistiche generali della Corte e ruolo dell’Italia

Lo Stato italiano nel 2016 ha affrontato una varietà di giudizi in campo sanitario, promossi da
privati innanzi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo per violazione di alcune disposizioni previste
dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
(siglata nel 1950 e ratificata con legge ordinaria dall’Italia nel 1955).
In sostanza, tali ricorsi mirano a censurare presunte condotte illegittime dello Stato che incidono
su basilari principi internazionali quali il diritto al rispetto della vita privata e familiare, il diritto alla
libertà e sicurezza, il diritto alla vita e la tutela della proprietà, nonché il diritto soggettivo a un
giusto processo.

L’analisi del contenzioso trattato nel 2016 si colloca nelle più generali strategie della Corte di
Strasburgo, che non possono prescindere da un’analisi recente dei principali sviluppi e
orientamenti del collegio. A questo proposito, si possono menzionare alcuni aspetti dell’attività
condotta dalla Corte nel 2015, anno di svolta e transizione sotto vari profili. Innanzitutto, il
cambio ai vertici con il passaggio di consegne dall’ex Presidente, Dean Spielmann,
all’attuale Presidente, l’italiano Guido Raimondi, entrato in carica il 1 novembre 2015; fatto questo
che consolida una tradizione di giuristi italiani che hanno fatto parte in diverse stagioni di questo
Collegio (V. Zagrebelski, B. Conforti, C. Russo e G. Balladore Pallieri), a partire dalla sua istituzione
nel 1959.

Tale cambio ai vertici a sua volta ha fatto da preludio a un rinnovo di numerosi incarichi nelle
Vice-presidenze e nelle Sezioni della Corte medesima. Un altro sviluppo organizzativo rilevante è
consistito nella riforma del sistema convenzionale per la tutela dei diritti umani (risalente al 1950),
cui ha fatto da apripista la IV Conferenza di Alto Livello “Implementation of the European
Convention on Human Rights, our shared responsibility”, evento che ha fatto il punto sul passato e
sul futuro del sistema di garanzie a tutela dei diritti umani, culminato nella Dichiarazione di
Bruxelles che incentiva il dialogo tra i vari fori giurisdizionali (Corte Europea e
giudici domestici degli Stati aderenti alla Convenzione del 1950), implementa la
trasparenza di vari processi decisionali (obblighi di motivazione dei dinieghi
all’accesso alla Grande Camera) e stimola l’efficienza dei giudizi resi dalla Corte
medesima. Un aspetto cruciale che, tra gli altri, ha caratterizzato l’azione della Corte Europea nel
2015, è stato il dialogo con le autorità politiche: una tappa miliare in questo percorso è stato
l’incontro a Strasburgo tra l’ex- Presidente della Corte e l’Assemblea Parlamentare del Consiglio
d’Europa nel corso del quale il vertice giudiziario ha sottolineato il ruolo decisivo dell’assemblea
nello stimolare i Paesi membri ad una corretta esecuzione delle sentenze emesse dall’autorità di
Strasburgo e a una costante azione legislativa di adeguamento al sistema di tutela dei diritti
umani.

Alcuni numeri illustrati definiscono l’azione della Corte durante il 2015:
                                                                                                              1
1.   Ricorsi deferiti a un organo giudiziale
        Camera/Comitato                          2014           2015                +/-
        Ricorsi deferiti                        56.200         40.650              -28%
   2.   Notifiche di ricorsi
        Ricorsi comunicati                    2014           2015                +/-
                                             7895            15.965              102%
   3.   Ricorsi decisi
                                                     2014         2015                  +/-
        Con decisione o giudizio                    86.068       45.576                -47%
        Giudizio emesso                              2388         2441                  2%
        Decisione                                   83.680       43.135                -48%
        (inammissibilità/archiviazione)

   4.   Ricorsi giacenti
        Ricorsi pendenti                     1/1/2015        31/12/2015              +/-
        Ricorsi deferiti                      69.900           64.850               -7%
        - Camera/Grande                       29.650           27.200               -8%
          Camera
        - Comitato                            32.050           34.500               8%
        - Organo monocratico                   8200             3150               -62%

   5.   Ricorsi ante-giudizio
        Ricorsi pre-processuali              1/1/2015        31/12/2015             +/-
                                              19.050           10.000              -48%
                                               2014             2015
        Ricorsi trattati in forma             25.100           32.400              +29%
        amministrativa

Da tali dati si evidenziano alcuni passaggi fondamentali per comprendere l’evoluzione del
contenzioso istruito dalla Corte:

    ridimensionamento tendenziale (da un anno all’altro) del carico di ricorsi
     assegnato a un organo giudiziale della Corte: tabella 1;
    aumento del numero di ricorsi notificati al Paese volta per volta interessato
     dal caso: nella fattispecie si rileva un aumento esponenziale superiore al 100%: tabella 2;
    involuzione per gli Stati convenuti in giudizio: si rileva nell’intervallo di tempo un calo
     vicino al 50% dei ricorsi trattati con decisioni di inammissibilità o di
     archiviazione e un lieve aumento dei casi esitati con una decisione sfavorevole agli Stati:
     tabella 3;
    in controtendenza, nel medesimo periodo si rileva un calo dei ricorsi giacenti presso un
     organo competente della Corte, con una percentuale di riduzione attestata sul 7% globale:
     tabella 4;
    in analogia con l’ultimo elemento, nel corso del 2015 si rileva un sensibile aumento,
     attestato al 29%, della mole di ricorsi trattati in forma amministrativa, vale a dire

                                                                                              2
che non sono approdati all’esame di un organo giudiziale e che sono stati radiati
       anticipatamente dai ruoli della Corte Europea.

Una serie di grafici aiutano a comprendere la posizione relativa dell’Italia nell’ambito del sistema
internazionale di tutela dei diritti umani, qui dettagliati:

Grafico 1: Riparto dei ricorsi attivati nei confronti degli Stati membri del CoE nel corso del 2015

                                                                                                      3
Distribuzione per Stati del contenzioso alla fine del 2015

     Regno Unito     256
           Ucraina                                         13832
           Turchia                      8446
      Macedonia 264
          Svizzera   130
            Svezia   43
           Spagna     87
          Slovenia     1654
       Slovacchia 188
            Serbia 1142
        S. Marino     6
       Fed. Russa                            9207
         Romania            3536
       Portogallo    326
           Polonia     1681
         Norvegia    62
           Olanda 273
     Montenegro 171
          Monaco 3
        Moldavia     1223
             Malta 54
    Lussemburgo       7
          Lituania   363
    Liechtenstein 6
          Lettonia   159
              Italia                  7567
           Irlanda   15
           Islanda   19
        Ungheria               4617
            Grecia   292
        Germania 212
          Georgia       2154
           Francia 388
         Finlandia   14
           Estonia 71
       Danimarca 30
        Rep. Ceca    152
             Cipro   59
           Croazia 506
          Bulgaria 794
         Bosnia E. 840
       Azerbaijan     1522
           Austria 135
         Armenia 978
          Andorra 4
           Albania   408
                 0          2000       4000         6000           8000   10000   12000   14000   16000

Da tale grafico si deduce già un elemento significativo: circa 64.850 ricorsi pendevano in giudizio
alla fine del 2015 e circa 1/3 di essi coinvolgeva tre Stati: Ucraina, Federazione Russa e Turchia,
con l’Italia immediatamente a ridosso con un carico giacente di 7567 casi evidenziante
un’incidenza relativa attestata intorno all’11,60% sull’insieme del contenzioso pendente. Su un
                                                                                                          4
piano storico, dal momento di istituzione della Corte nel 1959, il nostro Paese ha peraltro
mantenuto una graduatoria relativa elevata nel carico di contenzioso pendente, attestandosi nella
seconda posizione con 2336 casi, immediatamente dopo la Turchia e prima di Federazione Russa,
Romania e Polonia.

In un’ottica di analisi del lavoro della Corte, il foro si è dedicato in anni recenti all’esame di casi
complessi svolgendo un’azione di concentrazione, utilizzando lo strumento processuale della
connessione di casi che presentassero affinità tematiche; purtuttavia, sebbene il numero di giudizi
pronunciati annualmente presentasse una curva in rallentamento (rispetto al passato),
l’intervento giudiziale è cresciuto numericamente. Nel 2015, la Corte ha pronunciato 823 giudizi
su 2441 ricorsi mentre ben 45.576 domande sono state trattate nell’anno, tra giudizi,
decisioni o radiazioni dal ruolo. La curva tendenziale dei giudizi registra un
andamento di tal fatta, qui illustrato:

Grafico 2: evoluzione storica dei giudizi emessi dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo

                         Giudizi emessi dalla Corte dal 1959 al 2015

           2015                                          823
           2014                                                891
           2013                                                 916
           2012                                                        1093
           2011                                                          1157
           2010                                                                        1499
           2009                                                                                1625
           2008                                                                          1543
           2007                                                                        1503
           2006                                                                          1560
           2005                                                        1105
           2004                                   718
           2003                                   703
           2002                                          844
           2001                                            888
           2000                                  695

           1999           177

  ANNI 1959-1998                                         837

                   0    200      400      600      800          1000    1200    1400    1600          1800

Se si analizza in dettaglio la qualità delle violazioni alla base dei giudizi della Corte, emergono
elementi peculiari qui illustrati.
Nel novero dei casi trattati nel 2015, ¼ delle violazioni riguardano l’art. 6 della Convenzione del
Consiglio d’Europa del 1950 (diritto al giusto procedimento, in senso di equità o ragionevole
durata).
Ancora, il 23% circa delle violazioni toccano il divieto della tortura o dei trattamenti degradanti –
art. 3. Inoltre, il 15% delle violazioni incide sul diritto alla libertà e sicurezza (art. 5).
                                                                                                             5
Ancora, ben il 30% dei riscontri di una violazione ha riguardato una grave rottura del sistema
convenzionale e cioè il diritto alla vita in alternativa al divieto di torture o trattamenti disumani.

Dal grafico sottostante, si ricava lo spettro delle violazioni analizzate dalla Corte Europea e quindi
dell’incidenza relativa delle singole contestazioni collegate alla tutela dei diritti umani:

Grafico 3: tipologia di violazioni accertate dalla Corte Europea

Interpretazione dei dati:
dall’insieme di tali percentuali si ricavano alcuni elementi di riflessione e cioè:

    peso relativo maggiore delle doglianze collegate a profili di diritto a un giusto
     procedimento in termini di equità e di efficienza delle procedure domestiche, seguito a
     ruota dai delicati aspetti connessi al divieto della tortura o al compimento di atti
     degradanti sulla persona detenuta in regimi carcerari di qualsivoglia tipo nei Paesi membri
     del Consiglio d’Europa;
    peso relativo significativo di profili di diritto alla libertà e alla sicurezza personale,
     declinazioni dell’inalienabile diritto alla privacy e all’incolumità individuale;
    seguono a ruota altri profili oggetto di analisi della Corte Europea, che spaziano dal diritto a
     un’effettiva tutela giudiziale domestica (previsione di tutte le garanzie collegate a un
     procedimento giurisdizionale, in una dialettica processuale corretta e trasparente) al diritto
     alla tutela dominicale (tutela del patrimonio individuale delle persone da indebite
     ingerenze esterne al diritto di proprietà) e ancora al diritto alla vita, cioè un bene primario
     che si traduce sia in obblighi di tutela materiale della vita delle collettività statali sia in
     obblighi di apprestamento di un sistema giudiziale efficiente che sanzioni eventuali

                                                                                                    6
condotte di soggetti che ledano o attentino alla vita delle persone con congrui
         tempistiche e con giuste riparazioni pecuniarie.
Se si articola questa distribuzione, analizzando il contenzioso ripartito per Stati se ne ricava tale
fotografia della comparazione dei giudizi tra le singole realtà statuali coinvolte nel sistema di tutela
dei diritti umani:

                        Giudizi emessi nel 2015 a carico dei singoli
                         Paesi aderenti al sistema convenzionale
          Regno Unito                                13
                Ucraina                                                                    51
                Turchia                                                                                         87
           Macedonia                                 12
               Svizzera                             10
                  Svezia                    6
                Spagna                  4
            Slovacchia                                14
                 Serbia                                 17
                    RSM         1
                 Russia                                                                                                    116
              Romania                                                                                          84
            Portogallo                                         20
                Polonia                                                  29
              Norvegia          1
                Olanda          1
          Montenegro                    4
               Monaco           0
              Moldova                                      19
                  Malta                  5
         Lussemburgo            1
               Lituania                               14
         Liechtenstein              2
               Lettonia                      7
                   Italia                                           24
                Irlanda         0
                Islanda          1
             Ungheria                                                               44
                 Grecia                                                               47
             Germania                               11
                Francia                                              27
              Finlandia                      7
                Estonia                  5
            Danimarca           0
             Rep. Ceca                  4
                   Cipro                    6
                Croazia                                             25
               Bulgaria                                                   32
                 Bosnia              3
                  Belgio                             13
            Azerbaijan                                     19
                Austria                         8
              Armenia                           8
               Andorra          0
                Albania                      7
                            0                             20                   40               60        80         100   120   140

                                                                                           Stati Membri

                                                                                                                                       7
Da questa tabella si evince come la posizione relativa dell’Italia in quanto a numero di giudizi
pronunciati sia relativamente positiva, se confrontata con quei Paesi che hanno un maggior carico
di sentenze emesse (Federazione Russa, Turchia e Romania) e quegli Stati che invero hanno il
minor carico di giudizi (Andorra, Principato di Monaco, Danimarca, Irlanda, Repubblica di San
Marino, Norvegia e Olanda). Di fronte al numero globale di 823 giudizi resi nel 2015 suddiviso per
45 (Paesi), la media aritmetica si attesta sul valore di 27,9 a fronte della quale lo Stato italiano si
pone al di sotto con la sua media percentuale del 2,91% di casi decisi sul monte globale di 823
sentenze rese nel 2015.

Se si tenta un’analisi di dettaglio della situazione generale del nostro Paese, si evidenziano taluni
elementi riepilogativi generali riferiti all’anno 2015, sia sul piano quantitativo che qualitativo.
Sul piano quantitativo emerge tale scenario di fondo: la Corte Europea ha istruito 4463 ricorsi per
il nostro Paese nel corso dell’anno ma ben 4438 di essi sono stati dichiarati inammissibili o
archiviati, elemento decisivo questo per ridimensionare la portata del contenzioso a carico. Invero,
il collegio ha emesso 24 pronunce (su 25 domande), delle quali 20 hanno acclarato almeno una
violazione della Convenzione Europea sui Diritti Umani.
Valgano questi grafici a illustrare tali elementi, in una cornice pluriennale dinamica focalizzata nel
2015, ma ancorata al 2014 e proiettata parzialmente sul 2016:

Ricorsi trattati                       2014   2015   2016   Dati parziali al:       1/7/201
                                                                                       6
Assegnati a collegio                   5486   1931   7991   Assegnati a collegio:    6822
                                                            Giudice monocratico       115
                                                            Comitato – 3 giudici     5295
                                                            Camera – 7 giudici       1406
                                                            Grande Camera – 17         6
Notificati al Governo      1763     1848              289
Casi decisi                9769     4463             1531
                 Giudice monocratico:
 inammissibili/radiati    9227     1697             773
   :

                    Comitato
 inammissibili/radiati  338                  2715   727
  :

                     Camera
 inammissibili/radiati   60                   26     5
  :

            Decisioni di accoglimento
        Volumi              144     25                26
Misure provvisorie          32      28                14
   - accolte                 1       1                 2
   - rigettate              31      27                12

Se il discorso si sposta dal profilo quantitativo a quello qualitativo, si può verificare l’attività di
controllo della Corte sull’azione del nostro Paese per l’osservanza del sistema di protezione dei
diritti umani.

1
    Dati riferiti al I semestre del 2016
                                                                                                     8
I casi rilevanti affrontati sul piano sanitario sono qui menzionati con richiamo ai principali sviluppi
del 2015 menzionati nel profilo ufficiale predisposto dalla Corte nel suo portale ufficiale:
     Ricorso Parrillo c/Italia: n. 46470/11
         La vicenda, approdata all’esame della Grande Camera di Strasburgo, riguardava la
         legittimità della normativa italiana di cui alla L.O. 40/2004, sulla procreazione
         medicalmente assistita. L’interessata (cittadina italiana nata a Roma nel 1954 e ivi
         residente), impedita dall’ordinamento italiano di poter disporre a titolo di donazione dei
         propri embrioni congelati alla ricerca scientifica, alfine decise di adire la Corte Europea nel
         2011, che in esito a una complessa istruttoria triennale, statuì il deferimento del caso alla
         Grande Camera il 28/1/2014. In una procedura allargata anche per l’intervento in giudizio
         di diversi enti e istituzioni scientifiche (Centro Europeo per la giustizia e i diritti umani,
         Movimento per la vita, Forum delle Associazioni Familiari, Luca Coscioni, Amica Cicogna
         ONLUS, Osservatorio italiano sui Diritti e SIFES) nonché diversi parlamentari italiani, il
         collegio allargato di 15 giudici si espresse sul caso il 27/agosto/2015. La sostanza della
         pronuncia rigetta le tesi dell’interessata asserendosi l’insussistenza della violazione del
         diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 della Convenzione del Consiglio
         d’Europa 1950). Gli argomenti addotti sono essenzialmente tre: l’ampia discrezionalità
         dello Stato italiano nel regolare la materia della fecondazione assistita in un contesto
         normativo internazionale non univoco nella disciplina del caso; l’accuratezza del
         procedimento legislativo che ha condotto al varo della legge 40/2004 (che operò a suo
         tempo un bilanciamento di interessi tra la protezione degli embrioni e l’interesse delle
          persone a un dispiegamento del diritto di autodeterminazione); la mancanza di una prova
          inequivoca sul consenso del partner deceduto della ricorrente all’effettuazione dell’atto di
          liberalità mancato, all’esame del giudizio in parola.

    Ricorso M.C. e altri c/Italia: n. 5376/11.
     Il caso in esame, trattato anche nel 2015, riguarda una vicenda che ha visto coinvolti 162
     cittadini italiani che hanno adito la Corte Europea nel 2011 per ottenere una rivalutazione
     annuale dell’indennità integrativa speciale accessoria all’indennizzo dovuto con la
     legge 210/1992 per infezioni contratte per emotrasfusioni o somministrazione di
     emoderivati infetti. Lo Stato italiano è stato impegnato, nel biennio 2013-2015, a eseguire
     correttamente la “sentenza-pilota 3/9/2013” che vincolava l’Italia a sanare un problema
     sistemico ripristinando il diritto alla parità di trattamento di cittadini con distinte patologie,
     penalizzati nelle loro ragioni pecuniarie (diritto a indennizzo per danni da epatiti post-
     trasfusionali). Il 2015 ha visto il nostro Paese impegnato nella stesura di un complesso
     piano modulare, condiviso con le Regioni interessate, per garantire agli aventi diritto la
     liquidazione degli indennizzi dovuti, rivalutati anche nel salario accessorio dell’I.I.S., sia
     nelle ragioni maturate dal 1/1/2012, sia negli arretrati maturati entro il 31/12/2011.

    Ricorso Smaltini c/Italia: n. 43691/09.
     Anche questo è un caso degno di menzione negli atti ufficiali della Corte Europea, perché
     costituisce un precedente significativo nella prassi giurisdizionale che affronta il
     riconoscimento di danni da polluzione con riflessi sull’ambiente e sulla salute umana,
     asseritamente cagionati dall’impianto dell’ILVA S.p.a ubicato nella città ionica. La
     complessità del caso è avvalorata dalla lunghezza dell’istruttoria, avviata nel 2009 da una
     signora, residente nel Comune di Taranto, che nel 2006 contrasse una rara patologia, la
     leucemia mieloide acuta, e che dopo una complessa vicenda maturata nelle sedi giudiziarie
     italiane (procedimento penale radicato nel Circondario di Taranto), adì nel 2009 la Corte
     Europea lamentando la violazione del diritto alla vita e a un giusto processo. Valutata la

                                                                                                      9
documentazione processuale esibita dalle parti, alfine la IV Sezione della Corte il 24/3/2015
ha dichiarato l’irricevibilità del ricorso per l’impossibilità di provare in giudizio il
nesso eziologico tra la condotta incriminata e i danni affermati dalla
ricorrente, facendo leva su due argomentazioni di fondo: mancanza di
univocità dei dati epidemiologici che comprovino la causalità degli eventi e la
regolarità dell’attività di controllo giudiziario svolta dall’autorità italiana nella
persona del giudice per le indagini preliminari di Taranto che nell’ambito del
giudizio penale non aveva potuto all’epoca dei fatti stabilire l’imputabilità
della condotta all’ILVA Spa, in base agli elementi di prova disponibili. Da tale
impianto logico, supportato da una analisi della prassi giurisdizionale di Strasburgo, la
Corte non ha potuto che derivarne un giudizio di non accoglimento a sfavore della
ricorrente e in favore dello Stato italiano convenuto. La delicatezza del caso è avvalorata
dalla discussione su uno dei cardini oggettivi della responsabilità penale nel diritto italiano,
e cioè il nesso di causalità, che sostiene (oltre a una condotta colpevole e alla
verificazione di un evento) sia la tenuta di un procedimento nazionale sia la tenuta di un
procedimento internazionale e che volta per volta deve essere corroborato da fatti ed
elementi di prova certi ed inequivoci ad opera dell’attore.

                                                                                             10
Ricorsi in campo sanitario nel 2016 promossi o
istruiti contro lo Stato italiano

Nel corso del 2016, lo Stato italiano e in particolare gli organi competenti per problematiche
sanitarie (Ministero della salute – Direzioni Generali interessate: DGCOREI-DGVESC-DGPRE-
DGPSRUSSN) hanno dovuto affrontare alcuni ricorsi specifici promossi innanzi alla Corte Europea
dei diritti dell’uomo per talune violazioni nel campo dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
La casistica ricade nel settore della sanità pubblica e investe varie fattispecie concrete all’analisi
della Corte Europea (danni biologici da emotrasfusioni o vaccinazioni obbligatorie, questioni
salariali connesse a indennizzi pubblici collegati a verificazione di danni biologici da
emotrasfusione, riflessi sanitari dell’inquinamento ambientale cagionato da immissioni di impianti
industriali o da emissione di sostanze tossiche rilasciate da siti di discariche illegali sul territorio
italiano, riconoscimento dell’attività professionale svolta negli enti del S.S.N.).
In diversi momenti della procedura, il Ministero della salute ha fornito il suo contributo
instaurando gli opportuni contatti con la Rappresentanza permanente d’Italia presso il Consiglio
d’Europa, che a sua volta si relazionava con i rappresentanti dello Stato abilitati ad assistere il
Paese nei giudizi presso la Corte Europea.
Nel corso di questo anno il Ministero ha trattato diversi casi riferiti a giudizi tecnicamente
pendenti giacché i ricorsi e gli atti introduttivi erano stati depositati nella cancelleria in periodi
anteriori al 1 gennaio 2016, e quindi la Corte di Strasburgo aveva già provveduto a istruire i dossier
dando impulso al procedimento e invitando le parti a svolgere le rispettive argomentazioni
tecniche.
Si fornisce in questa sede una panoramica dei ricorsi trattati, inquadrandoli in una cornice
processuale e illustrando alcuni elementi sul nucleo giuridico delle tesi di parte e sul tema
fondamentale del giudizio.

RICORSO DE NICOLA c./ITALIA: 19298/13
(Riconoscimento di prestazioni professionali in strutture del Servizio Sanitario Nazionale)

Il caso in esame è stato portato all’attenzione della Corte Europea il 3/2/2013, su iniziativa di un
medico specialista che nel 1987 aveva svolto un incarico professionale nella medicina dei servizi
presso l’U.L.S.S. n. 4 di Chieti. Il ricorso si basava sulla mancata remunerazione delle spettanze
                                                                                                     11
economiche e sul difetto di stabilizzazione nel rapporto di lavoro sulla base di un accordo sindacale
collettivo approvato con il D.P.R. n. 504/1987. La vicenda maturò nell’ordinamento italiano
all’inizio degli anni ’90 quando l’interessata adì il giudice del lavoro di Chieti – che con decisione
depositata il 28/10/1993 rigettò l’azione per difetto di inquadramento giuridico, in quanto
l’incarico svolto rientrava nell’ambito della medicina fiscale, che non consentiva all’epoca la
conversione del rapporto di lavoro prestato dall’interessata, la quale, peraltro, essendo medico
convenzionato esterno, non poteva neanche essere assunta dal datore di lavoro per espresso
divieto dell’art. 32 della legge istitutiva del S.S.S. 833/1978. Peraltro, la sentenza di I grado venne
contraddetta nel giudizio di appello, radicato presso il Tribunale di Chieti; il collegio invero accolse
le istanze della soccombente e con sentenza d’appello 15/1/1994 riconobbe le spettanze pretese e
la stabilizzazione del rapporto di lavoro, con rinvio ad altra sede del giudizio di quantificazione del
credito litigioso. Nel relativo procedimento civile sul “quantum debeatur”, alfine si definì tale
aspetto con una condanna che imponeva all’ULSS 4 di Chieti il versamento alla creditrice di
129.143,84 EU oltre alle spese del processo. A questo punto, la USL abruzzese decise di rivolgersi
al Supremo Collegio con ricorso 22529/07: tuttavia, il 7/7/2009, la Corte di Cassazione confermò il
verdetto del tribunale teatino (sulla base di 4 motivi logici che riconoscono la competenza a
decidere sul caso, la legittimità del verdetto impugnato (i debiti di un ente disciolto ricadono nella
sfera del subentrante), la correttezza del procedimento logico dei colleghi d’appello (l’incarico
rivestito rientra nella medicina legale e non già nella medicina fiscale) e l’effettività del rapporto
sinallagmatico tra prestazione resa e compenso spettante.
Dopo l’intervento del giudice ordinario, a fronte dell’asseveramento del debito effettuato il
19/10/2010 dai competenti organi dell’USL, persistendo il mancato esatto pagamento
l’interessata si rivolse al T.A.R. – sezione di Pescara che il 23/10/2012 emise ordinanza esecutiva
imponendo l’estinzione del debito entro il termine di 90 giorni dalla notifica con l’intervento di
commissario “ad acta” all’uopo preposto.
A distanza di un anno, il medico abruzzese decise il 3 ottobre 2013 di adire la Corte Europea per
violazione dell’art. 6 della Convenzione del Consiglio d’Europa del 1950 (diritto a una decisione
imparziale, equa e tempestiva da parte di un organo giudiziale costituito per legge).
Notificato il ricorso tramite le consuete vie amministrative in data 18/3/2016, gli organi tecnici del
Ministero della Salute (DGCOREI- DGPSRUSSN) si sono adoperati per valutare i primi
elementi del ricorso, anche e soprattutto alla luce della proposta, mediata dalla Corte, di
transigere la controversia con un regolamento amichevole (art. 43 Convenzione del 1950) che
archivi il caso onde evitare l’incognita di un’eventuale decisione sfavorevole allo Stato italiano.
Effettuati i primi riscontri anche con l’ausilio della Regione Abruzzo, il Ministero della Salute ha
elaborato i primi elementi fattuali da cui emerge che i ritardi nell’adempimento del “credito
giudiziale” (accertato in sede giudiziale) sono addebitabili alle carenze di disponibilità di cassa per
la gestione liquidatoria dell’ex ULSS 4 di Chieti (poi riassorbita nella nuova ASL unificata n. 2 di
Lanciano-Vasto-Chieti); tuttavia, tale carenza è in via di riassorbimento grazie agli stanziamenti
finanziari cui poi hanno fatto seguiti i necessari provvedimenti del Commissario Liquidatore,
intervenuti tra il mese di marzo 2012 e il mese di maggio 2015, a soddisfacimento definitivo delle
ragioni della Ricorrente.
In questa fase del contenzioso, nelle more del giudizio, notificati tali elementi alla Rappresentanza
italiana e, suo tramite, alla Corte di Strasburgo, si rimane in attesa degli sviluppi assunti
dall’organo giudicante, in termini di transazione amichevole del Ricorso su accordo delle parti
ovvero di proseguimento del caso, con l’alea di una decisione finale del giudizio promosso a
Strasburgo.

                                                                                                     12
RICORSO M.C e 162 c./ITALIA: 5376/11 / Ricorsi collegati
(Rivalutazione dell’Indennità Integrativa Speciale, su indennizzi speciali per danni da
emotrasfusioni e somministrazione di emoderivati infetti – legge 210/1992)

                Numero di Ruolo                                  Parti agenti c/Italia
 70604/10                                       PICCI + 136
 71446/10                                       ARENA + 11
 726/08                                         CORONELLA + 234
 72994/10                                       G.M. + 173 (residenti tra Piemonte, Lombardia,
                                                Emilia-Romagna, F.V.G., Veneto, Toscana, Umbria,
                                                Lazio, Abruzzi, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e
                                                Sardegna)
 72673/10                                       VASSALLO + 55
 4282/11                                        LOZZI + 99
 4694/11                                        BERARDI
 5546/11                                        CHERUBINI + 59
 12192/11                                       DI SOMMA
 13132/11                                       CASTALDI + 9
 16938/11                                       IACONA + 7
 19210/11                                       ATZORI + 90
 72628/10                                       CIOMMEI
 72969/10                                       AMBROSO
 4896/11                                        MAGRINI
 19275/16                                       BURZO + 50 (+10)

Il caso in esame consiste in un ricorso alla Corte di Strasburgo n. 5376/11 (M.C. + 162 c/Italia)
promosso da un ampio gruppo di cittadini italiani (residenti nella maggior parte nella Regione
Veneto) per la mancata rivalutazione dell’indennità integrativa speciale (IIS) accessoria
all’indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992 in favore di persone fisiche che avevano contratto
nello Stato italiano una patologia a causa di emotrasfusioni o somministrazioni di emoderivati
                                                                                                        13
infetti. La legge 210/92, data l’entità del fenomeno, aveva riconosciuto il diritto per chi avesse
contratto tale tipo di malattia di percepire un assegno composto da due parti: una fissa ed una
complementare, entrambe soggette al processo di rivalutazione monetaria per il recupero
dell’inflazione.
La crisi economica dello Stato ebbe ripercussioni sui privati costringendo l’Esecutivo italiano a
varare il Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dall’art. 11 della
legge 30 luglio, n. 122) che sostanzialmente denegò a posteriori il diritto alla rivalutazione.
Diversi Tribunali sollevarono però questione di legittimità della norma presso la Corte
Costituzionale che, con sentenza n. 293/2011, ritenne fondata la questione, atteso il diverso
trattamento previsto per i pazienti affetti da epatite rispetto a quelli affetti da sindrome da
talidomide (operando solo per questi ultimi l'adeguamento annuale dell'indennità). La Corte sancì
l'illegittimità della norma per violazione del principio di uguaglianza codificato dall’art. 3 della
Costituzione. La ratio del beneficio concesso ai soggetti portatori della sindrome da talidomide
aveva fondamento analogo, se non identico, a quello del beneficio introdotto dall'art. 13, della
legge n. 210 del 1992, per le persone affette da epatite post-trasfusionale.
Del resto, la Corte di Cassazione conformò il suo indirizzo al principio della Consulta: tuttavia
l’adeguamento dello Stato italiano a questi orientamenti tardava a realizzarsi.
La mancata osservanza di questa decisione indusse allora i ricorrenti, il 29/11/2010, a rivolgersi
alla Corte Europea per una pluralità di asserite violazioni (equo processo, ricorso effettivo, diritto
alla vita, divieto di discriminazione e tutela della proprietà) del sistema di tutela dei diritti umani.
Aperta l’istruttoria, il giudice di Strasburgo adottò il 3/9/2013 la procedura di sentenza
pilota, acclarando un problema sistemico del nostro Paese che aveva creato una smagliatura
nello Stato di diritto, cioè la tutela di un equo processo, in una impasse non sbloccata nonostante
l’intervento della Consulta.
Di qui la scelta di utilizzare uno strumento peculiare che congelando una molteplicità di ricorsi
affini a quello in esame, sospendesse l’istruttoria in attesa che lo Stato si conformasse alla
sentenza pilota del collegio europeo. Ecco allora che lo Stato attraverso i suoi organi tecnici del
Ministero della Salute (DGCOREI- DGVESC), coordinati dal Governo centrale, avviò dal 2015 la
stesura di un Piano d’azione che coinvolgesse le Regioni in cui si erano verificati i casi infettivi
con affezioni e/o decessi. L’intensa opera è stata caratterizzata da procedimenti liquidatori negli
anni 2012-2013 (avviati da Puglia e Veneto), cui ha fatto seguito l’azione finanziaria delle regioni
Abruzzi e Calabria, supportata dallo Stato con il varo della legge di Stabilità 190/2014. L’impianto
di questa legge fissava le tappe per lo stanziamento degli oneri di copertura dell’indennità
integrativa speciale nel biennio 2012/2014 e degli arretrati di rivalutazione maturati
sino alla fine del 2011. Il pacchetto comprendeva (e comprende) 4 tranche per gli
enti regionali di tal fatta: 100.000.000,00 Eu per il 2015, 200.000.000,00 MLN per il
2016 e 289.000.000,00 per il 2017 così come 146.000.000,00 di Eu per il 2018,
demandando a un decreto del M.E.F., di intesa con il Ministero della Salute, la ripartizione dei saldi
secondo una sequenza prestabilita e rimettendo agli organi finanziari centrali l’erogazione annuale
degli importi fissati per legge.
Con i canali diplomatici consueti, la Corte Europea venne informata di tali sviluppi
nell’ordinamento italiano e tra i mesi di marzo e aprile 2015 aprì la prospettiva di un Regolamento
amichevole che si basasse su un accordo tra le Parti in causa del ricorso, finanziato con le
coperture della Legge 90/2014. Alfine, il 26 maggio 2016, dopo un’intensa azione
diplomatica, il Giudice avallò l’accordo transattivo che assegnava ai ricorrenti
distinti montanti a copertura dei danni morali pretesi e di ogni altro onere fiscale
connesso, in favore sia degli aventi causa diretti sia degli eredi legittimi ove
subentrato il decesso del de cujus. Con il medesimo dispositivo la Corte di
Strasburgo decise la radiazione della causa 5376/11 dal ruolo. La conclusione positiva di
questo caso, nell’ottica della Corte europea, lasciava (e lascia) aperto lo spiraglio per la definizione
                                                                                                     14
positiva dei numerosi ricorsi affini (ben 16 ricorsi collettivi attivati dal 2008 in avanti) promossi da
cittadini italiani, se e nella misura in cui lo Stato riuscirà ad onorare gli impegni assunti nell’ambito
del Piano d’azione sui pagamenti concordati, a copertura degli arretrati dovuti dell’I.I.S. e dei
pagamenti dovuti nel biennio 2012/2014.

RICORSI COLLETTIVI c./ITALIA:
(Danni biologici e morali da emotrasfusioni – transazioni dello Stato)

    1    68060/12    17/10/2012   PERRONE
         D.A. e 23
    2    16178/13    10/01/2013   DRAGONE
         A.A. e 78
    3    23130/13    11/01/2013   DE LUCCHI
         C.A. e 45
    4    23149/13    12/01/2013   D’ANGELO
         N.D. e 3
    5    64572/13    09/01/2013   SORAGNI
         G.A. e 40
    6    13662/13    10/01/2013   SCOLAMIERO-GUADAGNI - ROBOTTI (patrocinante parte 3)
         V.C e 6
    7    13837/13    11/01/2013   SCOLAMIERO-GUADAGNI
         D.C. e 4
    8    22933/13    11/01/2013   SCOLAMIERO-GUADAGNI
         V.C. e 4
    9    13668/13    10/01/2013   SCOLAMIERO-GUADAGNI
         G.A. e 77
    10   13657/13    10/01/2013   SCOLAMIERO-GUADAGNI
         M.A. e 38
    11   22918/13    11/01/2013   SCOLAMIERO-GUADAGNI
         M.C. e 8
    12   22978/13    11/01/2013   SCOLAMIERO-GUADAGNI
         D.B.
    13   22985/13    11/01/2013   SCOLAMIERO-GUADAGNI
         M.G. e
         72
    14   22899/13    11/01/2013   SCOLAMIERO-GUADAGNI
         C.S. e 5
    15   9673/13     11/01/2013   SCOLAMIERO-GUADAGNI
                                                                                                      15
V.D.C. e 2
      16    158/12         09/12/2011       CAPPELLARO
            S.A. e 96
      17    3892/12        05/01/2012       PERRONE
            D.M.M. e
            7
      18    8154/12        23/12/2011       LANA-SACCUCCI
            S.A.     e
            305
      19    41143/12       16/05/2012       LANA-SACCUCCI
            M.A. e 57

Tra il 2011 e il 2013 distinti gruppi di cittadini italiani decisero di adire la Corte Europea per una
vicenda di denegate transazioni che lo Stato nel 2007 aveva proposto a propri cittadini che negli
anni ’80 del 1900 si erano ammalati di AIDS o di epatite virale B/C contratte per emotrasfusioni
indotte da patologie congenite (emofilia o talassemia) o da operazioni chirurgiche. Lo Stato nel
1992 offrì alle vittime da danno ingiusto uno strumento legale, la legge 210/1992, che disponeva
un indennizzo ad hoc. In un secondo momento, le autorità proposero ai ricorrenti uno strumento
conciliativo (previsto dalle leggi 222 e 244 del 2007) che consentiva loro, anteriormente al 19
gennaio 2010, di transigere con lo Stato le domande di indennizzo pendenti. Ma da tale
opportunità venivano esclusi i Ricorrenti a Strasburgo, penalizzati dal varo del D.M. n. 162 del 4
maggio 2012 che limitava l’accesso alle transazioni attraverso rigorosi termini di prescrizione 2
incidenti sulle domande di indennizzo di cui alla legge 210. Da ciò derivavano vari elementi di
contestazione, portati all’attenzione della Corte dei diritti dell’uomo, per violazione di
fondamentali principi internazionali consacrati dalla Convenzione per la tutela dei diritti umani
(asserite violazioni della tutela dei beni in proprietà privata, del principio di uguaglianza e di
certezza giuridica, del diritto alla vita, nonché del divieto di discriminazioni soggettive). Sin da
allora vennero avanzate circa 7000 domande di adesione alla transazione. Nelle more

2
  Termini di prescrizione: 5 anni per la presentazione di domanda di indennizzo ad opera di soggetto vivente e 10 anni per la presentazione di
istanza da parte di soggetto erede del familiare deceduto.
                                                                                                                                          16
dell’istruttoria delle domande, si attivò un contenzioso presso i giudici amministrativi nazionali per
impugnare i criteri (ritenuti restrittivi) di filtro delle domande di transazione e il termine dal quale
decorre la validità dei moduli transattivi. Con alterne pronunce il Consiglio di Stato ribadì nel 2015
(in sede di pareri emessi nelle more di un ricorso straordinario al Capo dello Stato) la legittimità
del criterio della prescrizione ma censurò il requisito temporale che condizionava la validità delle
transazioni (=presenza di un evento trasfusionale non anteriore al 24 luglio 1978). Nel 2014 il
legislatore intervenne d’urgenza con la previsione di una disposizione (art. 27-bis della legge
114/2014) regolante una “forma di equa riparazione”, alternativa alla via processuale. Il Ministero
della Salute, per dar seguito alla volontà legale, con i suoi organi tecnici ha strutturato una
modulazione delle pratiche di pagamento fino alla data del 31/12/2017, aperte a tutti coloro che
decidono di optare per questa soluzione forfettaria che prevede la corresponsione di EU
100.000,00 per gli aventi diritto accettanti, sulla base del criterio della gravità dell’infermità ovvero
della situazione economica individuale. L’accettazione del rimedio include la rinuncia coeva a
qualsiasi azione legale, interna ed internazionale, lasciando peraltro libere le parti di privilegiare la
via processuale soggetta all’alea delle sorti del giudizio.

Nel corso di questo anno, nella dialettica del procedimento a Strasburgo, la Corte Europea- I
Sezione il 14/1/2016 è intervenuta con una sentenza che riunendo i vari ricorsi contiene una
pluralità di decisioni (radiazione di cause o condanne a vario titolo per danno morale, materiale e
spese di giudizio), a seconda delle posizioni soggettive analizzate su ciascuna delle 889 parti
interessate). ll dispositivo rimase congelato nell’efficacia sino al termine di 3 mesi per un
eventuale rinvio alla Grande Camera che invero venne respinto in via preliminare da un panel
giudiziario della Corte Europea, rendendo così definitivo il verdetto alla data del 4 luglio 2016.

Da allora, decorre il termine semestrale che consente allo Stato italiano di comunicare alla Corte i
contenuti del Piano d’azione contenente le misure finanziarie atte al ristoro delle pretese
giudiziali, basate sulla disposizione dell’art. 27 bis della legge 114/2014, con l’azione annuale
garantita dagli organi tecnici del Ministero della Salute, chiamato alla definizione di circa 5000
fascicoli su base triennale nell’intervallo di tempo 2015-2017, destinati a offrire la soluzione
transattiva dell’art. 27 a tutti coloro che sceglieranno tale rimedio extra-giudiziale.

RICORSO CORDELLA e altri c./ITALIA: 54414/13
RICORSO L.A. MELLE e altri c/ITALIA: 54264/15
RICORSO A.A. 37277/16 e altri c/ITALIA
(Riflessi sull’ambiente e sulla salute umana di emissioni inquinanti del sito ILVA ubicato
nei Comuni di Taranto e Statte)

                                                                                                      17
Per inquadrare i ricorsi in parola, occorre un breve cenno sulle vicende dell’impianto siderurgico
dell’ILVA di Taranto: l’ILVA S.p.a., negli sviluppi più recenti, è una società costituita dall’IRI nel
1965, in un distretto industriale foriero di promesse di sviluppo: l’impresa ha come oggetto sociale
la produzione e la trasformazione di acciaio e sorse nel quartiere tarantino di Tamburi, area a forte
espansione abitativa. L’impianto siderurgico era di proprietà dell’ITALSIDER, nata dalla fusione
dell’ILVA Altiforni e Acciaierie e di Cornigliano S.p.a., aziende della FINSIDER, che gestivano gli
stabilimenti di Piombino e Bagnoli oltreché del sobborgo genovese di Cornigliano. Nel 1987, la
controllante e la controllata entrarono in crisi e lo Stato decise la creazione di una nuova
società di capitali, l’ILVA S.p.a. che dopo varie vicende societarie entrò sotto il controllo della
holding “Riva Fire S.p.a.”
La crisi del comparto industriale a partire dagli anni ’80 del 1900 segnò una prima svolta: si
disgregò la società, ragion per cui lo Stato privatizzò l’impresa spogliandosi della proprietà: il sito
partenopeo venne chiuso, lo stabilimento di Piombino venne ceduto al Gruppo Lucchini, mentre il
Gruppo Riva acquistò gli impianti di Cornigliano e di Taranto. Tra il 2002 e il 2005, per vicende
giudiziarie locali che hanno interessato il distretto giudiziario genovese, venne progressivamente
smantellato il sito di Cornigliano e si ampliò lo stabilimento tarantino che nel 2006 raggiunse il
picco di produzione di acciaio. Ma qui iniziano i problemi, perché le emissioni industriali che si
diffondono nel quartiere di Tamburi e poi nelle aree limitrofe della città di Taranto posero al
centro la questione legata all’inquinamento ambientale e ai danni correlati alla salute. Campagne
condotte da comitati cittadini e da ambientalisti denunciavano sempre più casi di patologie e di
morti attribuibili in particolare alla presenza di 70 ettari di parchi minerali generatori di polveri
che fungono da veicolanti dei gas nocivi, degli impianti di raffinazione (che emettono
soprattutto il benzopirene) ed il camino E312 dell’impianto di agglomerazione per quanto
riguarda l’inquinamento da diossina.

Le denunce e le campagne che per anni hanno movimentato l’opinione pubblica sono poi sfociate
in un’inchiesta penale promossa dalla Procura della Repubblica di Taranto nel luglio 2012 (con
l’ipotesi principale di disastro ambientale3), che costituì lo snodo per poter inserire nel
fascicolo istruttorio le evidenze medico-scientifiche maturate nei decenni e che hanno orientato
una serie di provvedimenti restrittivi della magistratura in sede di procedimento penale.
Per comprendere la portata delle misure cautelari adottate dal potere giudiziario (sequestri
patrimoniali disposti dal G.i.p. su richiesta della Procura della Repubblica di Taranto), basti
considerare la struttura produttiva del ciclo integrale dell’ILVA S.p.a. (acquisizione di materie
prime – lavorazioni – produzione di beni intermedi e finali):

3
 Secondo l’art. Articolo 452-quater C.P. (Disastro ambientale) “Chiunque illegittimamente immette nell’ambiente sostanze o energie cagionando o
contribuendo a cagionare un disastro ambientale, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da trentamila a
duecentocinquantamila euro. Si ha disastro ambientale quando il fatto, in ragione della rilevanza oggettiva o dell’estensione della compromissione,
ovvero del numero delle persone offese o esposte a pericolo, offende la pubblica incolumità. La stessa pena si applica se il fatto cagiona una
alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema”.

                                                                                                                                               18
Per comprendere le limitazioni imposte dagli organi inquirenti all’attività di impresa dell’ILVA
S.p.a, che vanno direttamente ad incidere su tali asset: parchi minerali, stoccaggi e ripresa
materie prime, produzione calcare e calce, cokeria, agglomerato, altoforno ed
acciaieria, si consideri la portata di un intervento giudiziale che incide sul patrimonio aziendale
dell’ILVA (illustrata nella tabella sottostante:

limitando la disponibilità giuridica di fondamentali gangli dell’attività produttiva, che incidono
nella filiera di impresa che parte dall’indotto, penetra al cuore dell’attività manifatturiera e limita
la produzione dei beni finiti dell’impianto siderurgico.
Gli anni più recenti, almeno a far tempo dal sequestro giudiziale intervenuto nel procedimento
penale del 2012 (peraltro approdato nel mese di maggio 2016 alla fase del dibattimento presso la
                                                                                                    19
Corte d’Assise di Taranto), hanno peraltro visto la decisione del Governo italiano, nel 2013, di
“commissariare” con provvedimento di legge la società con il trasferimento coattivo dei beni e
la sua sottoposizione diretta al controllo pubblico dello Stato, il che a sua volta ha portato la
società a ulteriori modifiche con scissioni di rami di impresa e ristrutturazione dell’attività
produttiva.
In un quadro così articolato e in evoluzione (costellato di inchieste e processi penali,
provvedimenti statali e regionali per contenere gli effetti dell’inquinamento, reiterati atti
amministrativi come l’autorizzazione integrata ambientale e accordi finanziari per interventi
urgenti), storicamente intervennero tra il 2013 e il 2015 i primi ricorsi alla Corte Europea:
RICORSO CORDELLA e altri c./ITALIA: 54414/13 (29/7/2013)
RICORSO L.A. MELLE e altri c/ITALIA: 54264/15 (25/10/2015)
RICORSO A.A. 37277/16 e altri c/ITALIA (14/10/2015)
Con essi, vari cittadini residenti nell’area tarantina sollevarono due tipi di doglianze, la violazione
del diritto alla vita e del diritto alla privacy, nell’idea di fondo che lo Stato non fosse riuscito a
tutelare con idonee misure giuridiche e comunicative le collettività urbane,
mettendone a repentaglio la salute individuale e una equilibrata vita di relazioni
sociali, ma anche la possibilità di un’efficace tutela processuale. Le domande dei
cittadini vertevano su una serie di elementi scientifici e cioè le perizie processuali (chimica ed
epidemiologica) redatte in sede penale e il rapporto SENTIERI dell’I.S.S. redatto tra il 2012 e il
2014, focalizzato sull’area tarantina e sulle patologie ivi diffuse (malattie infettive, tumore epatico
e polmonare, mesotelioma della pleura e patologie respiratorie acute) in un’analisi comparata con
medie nazionali, che supportavano le violazioni del sistema di tutela dei diritti umani, attualmente
all’analisi della I Sezione della Corte Europea.

In queste primissime fasi istruttorie dei Ricorsi, la Corte è impegnata a sondare le Parti per
verificare la portata delle contestazioni e in quest’ottica anche il Ministero della Salute (attraverso
gli uffici tecnici interessati della DGCOREI e della DGPRE) svolge la sua parte provando a elaborare
in questa fase una serie di osservazioni tecniche e scientifiche, coordinate a livello governativo,
per tentare di integrare la strategia difensiva da condurre a Strasburgo, in vista delle prossime
mosse operative del collegio giudicante in una vicenda alquanto complessa che vede in gioco sia il
diritto alla vita e all’incolumità personale sia in una cornice di fondo il diritto a un ambiente
salubre, quali valori fondamentali presidiati dalla Corte Europea di Strasburgo in attuazione della
Convenzione del Consiglio d’Europa sulla tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

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