Ministero della Salute - Direzione generale della comunicazione e dei rapporti europei e internazionali
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Ministero della Salute Direzione generale della comunicazione e dei rapporti europei e internazionali Ufficio 5 IL CONTENZIOSO IN CAMPO SANITARIO NEL 2016 RICORSI PROMOSSI ALLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
Ricorsi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo: statistiche generali della Corte e ruolo dell’Italia Lo Stato italiano nel 2016 ha affrontato una varietà di giudizi in campo sanitario, promossi da privati innanzi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo per violazione di alcune disposizioni previste dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (siglata nel 1950 e ratificata con legge ordinaria dall’Italia nel 1955). In sostanza, tali ricorsi mirano a censurare presunte condotte illegittime dello Stato che incidono su basilari principi internazionali quali il diritto al rispetto della vita privata e familiare, il diritto alla libertà e sicurezza, il diritto alla vita e la tutela della proprietà, nonché il diritto soggettivo a un giusto processo. L’analisi del contenzioso trattato nel 2016 si colloca nelle più generali strategie della Corte di Strasburgo, che non possono prescindere da un’analisi recente dei principali sviluppi e orientamenti del collegio. A questo proposito, si possono menzionare alcuni aspetti dell’attività condotta dalla Corte nel 2015, anno di svolta e transizione sotto vari profili. Innanzitutto, il cambio ai vertici con il passaggio di consegne dall’ex Presidente, Dean Spielmann, all’attuale Presidente, l’italiano Guido Raimondi, entrato in carica il 1 novembre 2015; fatto questo che consolida una tradizione di giuristi italiani che hanno fatto parte in diverse stagioni di questo Collegio (V. Zagrebelski, B. Conforti, C. Russo e G. Balladore Pallieri), a partire dalla sua istituzione nel 1959. Tale cambio ai vertici a sua volta ha fatto da preludio a un rinnovo di numerosi incarichi nelle Vice-presidenze e nelle Sezioni della Corte medesima. Un altro sviluppo organizzativo rilevante è consistito nella riforma del sistema convenzionale per la tutela dei diritti umani (risalente al 1950), cui ha fatto da apripista la IV Conferenza di Alto Livello “Implementation of the European Convention on Human Rights, our shared responsibility”, evento che ha fatto il punto sul passato e sul futuro del sistema di garanzie a tutela dei diritti umani, culminato nella Dichiarazione di Bruxelles che incentiva il dialogo tra i vari fori giurisdizionali (Corte Europea e giudici domestici degli Stati aderenti alla Convenzione del 1950), implementa la trasparenza di vari processi decisionali (obblighi di motivazione dei dinieghi all’accesso alla Grande Camera) e stimola l’efficienza dei giudizi resi dalla Corte medesima. Un aspetto cruciale che, tra gli altri, ha caratterizzato l’azione della Corte Europea nel 2015, è stato il dialogo con le autorità politiche: una tappa miliare in questo percorso è stato l’incontro a Strasburgo tra l’ex- Presidente della Corte e l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa nel corso del quale il vertice giudiziario ha sottolineato il ruolo decisivo dell’assemblea nello stimolare i Paesi membri ad una corretta esecuzione delle sentenze emesse dall’autorità di Strasburgo e a una costante azione legislativa di adeguamento al sistema di tutela dei diritti umani. Alcuni numeri illustrati definiscono l’azione della Corte durante il 2015: 1
1. Ricorsi deferiti a un organo giudiziale Camera/Comitato 2014 2015 +/- Ricorsi deferiti 56.200 40.650 -28% 2. Notifiche di ricorsi Ricorsi comunicati 2014 2015 +/- 7895 15.965 102% 3. Ricorsi decisi 2014 2015 +/- Con decisione o giudizio 86.068 45.576 -47% Giudizio emesso 2388 2441 2% Decisione 83.680 43.135 -48% (inammissibilità/archiviazione) 4. Ricorsi giacenti Ricorsi pendenti 1/1/2015 31/12/2015 +/- Ricorsi deferiti 69.900 64.850 -7% - Camera/Grande 29.650 27.200 -8% Camera - Comitato 32.050 34.500 8% - Organo monocratico 8200 3150 -62% 5. Ricorsi ante-giudizio Ricorsi pre-processuali 1/1/2015 31/12/2015 +/- 19.050 10.000 -48% 2014 2015 Ricorsi trattati in forma 25.100 32.400 +29% amministrativa Da tali dati si evidenziano alcuni passaggi fondamentali per comprendere l’evoluzione del contenzioso istruito dalla Corte: ridimensionamento tendenziale (da un anno all’altro) del carico di ricorsi assegnato a un organo giudiziale della Corte: tabella 1; aumento del numero di ricorsi notificati al Paese volta per volta interessato dal caso: nella fattispecie si rileva un aumento esponenziale superiore al 100%: tabella 2; involuzione per gli Stati convenuti in giudizio: si rileva nell’intervallo di tempo un calo vicino al 50% dei ricorsi trattati con decisioni di inammissibilità o di archiviazione e un lieve aumento dei casi esitati con una decisione sfavorevole agli Stati: tabella 3; in controtendenza, nel medesimo periodo si rileva un calo dei ricorsi giacenti presso un organo competente della Corte, con una percentuale di riduzione attestata sul 7% globale: tabella 4; in analogia con l’ultimo elemento, nel corso del 2015 si rileva un sensibile aumento, attestato al 29%, della mole di ricorsi trattati in forma amministrativa, vale a dire 2
che non sono approdati all’esame di un organo giudiziale e che sono stati radiati anticipatamente dai ruoli della Corte Europea. Una serie di grafici aiutano a comprendere la posizione relativa dell’Italia nell’ambito del sistema internazionale di tutela dei diritti umani, qui dettagliati: Grafico 1: Riparto dei ricorsi attivati nei confronti degli Stati membri del CoE nel corso del 2015 3
Distribuzione per Stati del contenzioso alla fine del 2015 Regno Unito 256 Ucraina 13832 Turchia 8446 Macedonia 264 Svizzera 130 Svezia 43 Spagna 87 Slovenia 1654 Slovacchia 188 Serbia 1142 S. Marino 6 Fed. Russa 9207 Romania 3536 Portogallo 326 Polonia 1681 Norvegia 62 Olanda 273 Montenegro 171 Monaco 3 Moldavia 1223 Malta 54 Lussemburgo 7 Lituania 363 Liechtenstein 6 Lettonia 159 Italia 7567 Irlanda 15 Islanda 19 Ungheria 4617 Grecia 292 Germania 212 Georgia 2154 Francia 388 Finlandia 14 Estonia 71 Danimarca 30 Rep. Ceca 152 Cipro 59 Croazia 506 Bulgaria 794 Bosnia E. 840 Azerbaijan 1522 Austria 135 Armenia 978 Andorra 4 Albania 408 0 2000 4000 6000 8000 10000 12000 14000 16000 Da tale grafico si deduce già un elemento significativo: circa 64.850 ricorsi pendevano in giudizio alla fine del 2015 e circa 1/3 di essi coinvolgeva tre Stati: Ucraina, Federazione Russa e Turchia, con l’Italia immediatamente a ridosso con un carico giacente di 7567 casi evidenziante un’incidenza relativa attestata intorno all’11,60% sull’insieme del contenzioso pendente. Su un 4
piano storico, dal momento di istituzione della Corte nel 1959, il nostro Paese ha peraltro mantenuto una graduatoria relativa elevata nel carico di contenzioso pendente, attestandosi nella seconda posizione con 2336 casi, immediatamente dopo la Turchia e prima di Federazione Russa, Romania e Polonia. In un’ottica di analisi del lavoro della Corte, il foro si è dedicato in anni recenti all’esame di casi complessi svolgendo un’azione di concentrazione, utilizzando lo strumento processuale della connessione di casi che presentassero affinità tematiche; purtuttavia, sebbene il numero di giudizi pronunciati annualmente presentasse una curva in rallentamento (rispetto al passato), l’intervento giudiziale è cresciuto numericamente. Nel 2015, la Corte ha pronunciato 823 giudizi su 2441 ricorsi mentre ben 45.576 domande sono state trattate nell’anno, tra giudizi, decisioni o radiazioni dal ruolo. La curva tendenziale dei giudizi registra un andamento di tal fatta, qui illustrato: Grafico 2: evoluzione storica dei giudizi emessi dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo Giudizi emessi dalla Corte dal 1959 al 2015 2015 823 2014 891 2013 916 2012 1093 2011 1157 2010 1499 2009 1625 2008 1543 2007 1503 2006 1560 2005 1105 2004 718 2003 703 2002 844 2001 888 2000 695 1999 177 ANNI 1959-1998 837 0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800 Se si analizza in dettaglio la qualità delle violazioni alla base dei giudizi della Corte, emergono elementi peculiari qui illustrati. Nel novero dei casi trattati nel 2015, ¼ delle violazioni riguardano l’art. 6 della Convenzione del Consiglio d’Europa del 1950 (diritto al giusto procedimento, in senso di equità o ragionevole durata). Ancora, il 23% circa delle violazioni toccano il divieto della tortura o dei trattamenti degradanti – art. 3. Inoltre, il 15% delle violazioni incide sul diritto alla libertà e sicurezza (art. 5). 5
Ancora, ben il 30% dei riscontri di una violazione ha riguardato una grave rottura del sistema convenzionale e cioè il diritto alla vita in alternativa al divieto di torture o trattamenti disumani. Dal grafico sottostante, si ricava lo spettro delle violazioni analizzate dalla Corte Europea e quindi dell’incidenza relativa delle singole contestazioni collegate alla tutela dei diritti umani: Grafico 3: tipologia di violazioni accertate dalla Corte Europea Interpretazione dei dati: dall’insieme di tali percentuali si ricavano alcuni elementi di riflessione e cioè: peso relativo maggiore delle doglianze collegate a profili di diritto a un giusto procedimento in termini di equità e di efficienza delle procedure domestiche, seguito a ruota dai delicati aspetti connessi al divieto della tortura o al compimento di atti degradanti sulla persona detenuta in regimi carcerari di qualsivoglia tipo nei Paesi membri del Consiglio d’Europa; peso relativo significativo di profili di diritto alla libertà e alla sicurezza personale, declinazioni dell’inalienabile diritto alla privacy e all’incolumità individuale; seguono a ruota altri profili oggetto di analisi della Corte Europea, che spaziano dal diritto a un’effettiva tutela giudiziale domestica (previsione di tutte le garanzie collegate a un procedimento giurisdizionale, in una dialettica processuale corretta e trasparente) al diritto alla tutela dominicale (tutela del patrimonio individuale delle persone da indebite ingerenze esterne al diritto di proprietà) e ancora al diritto alla vita, cioè un bene primario che si traduce sia in obblighi di tutela materiale della vita delle collettività statali sia in obblighi di apprestamento di un sistema giudiziale efficiente che sanzioni eventuali 6
condotte di soggetti che ledano o attentino alla vita delle persone con congrui tempistiche e con giuste riparazioni pecuniarie. Se si articola questa distribuzione, analizzando il contenzioso ripartito per Stati se ne ricava tale fotografia della comparazione dei giudizi tra le singole realtà statuali coinvolte nel sistema di tutela dei diritti umani: Giudizi emessi nel 2015 a carico dei singoli Paesi aderenti al sistema convenzionale Regno Unito 13 Ucraina 51 Turchia 87 Macedonia 12 Svizzera 10 Svezia 6 Spagna 4 Slovacchia 14 Serbia 17 RSM 1 Russia 116 Romania 84 Portogallo 20 Polonia 29 Norvegia 1 Olanda 1 Montenegro 4 Monaco 0 Moldova 19 Malta 5 Lussemburgo 1 Lituania 14 Liechtenstein 2 Lettonia 7 Italia 24 Irlanda 0 Islanda 1 Ungheria 44 Grecia 47 Germania 11 Francia 27 Finlandia 7 Estonia 5 Danimarca 0 Rep. Ceca 4 Cipro 6 Croazia 25 Bulgaria 32 Bosnia 3 Belgio 13 Azerbaijan 19 Austria 8 Armenia 8 Andorra 0 Albania 7 0 20 40 60 80 100 120 140 Stati Membri 7
Da questa tabella si evince come la posizione relativa dell’Italia in quanto a numero di giudizi pronunciati sia relativamente positiva, se confrontata con quei Paesi che hanno un maggior carico di sentenze emesse (Federazione Russa, Turchia e Romania) e quegli Stati che invero hanno il minor carico di giudizi (Andorra, Principato di Monaco, Danimarca, Irlanda, Repubblica di San Marino, Norvegia e Olanda). Di fronte al numero globale di 823 giudizi resi nel 2015 suddiviso per 45 (Paesi), la media aritmetica si attesta sul valore di 27,9 a fronte della quale lo Stato italiano si pone al di sotto con la sua media percentuale del 2,91% di casi decisi sul monte globale di 823 sentenze rese nel 2015. Se si tenta un’analisi di dettaglio della situazione generale del nostro Paese, si evidenziano taluni elementi riepilogativi generali riferiti all’anno 2015, sia sul piano quantitativo che qualitativo. Sul piano quantitativo emerge tale scenario di fondo: la Corte Europea ha istruito 4463 ricorsi per il nostro Paese nel corso dell’anno ma ben 4438 di essi sono stati dichiarati inammissibili o archiviati, elemento decisivo questo per ridimensionare la portata del contenzioso a carico. Invero, il collegio ha emesso 24 pronunce (su 25 domande), delle quali 20 hanno acclarato almeno una violazione della Convenzione Europea sui Diritti Umani. Valgano questi grafici a illustrare tali elementi, in una cornice pluriennale dinamica focalizzata nel 2015, ma ancorata al 2014 e proiettata parzialmente sul 2016: Ricorsi trattati 2014 2015 2016 Dati parziali al: 1/7/201 6 Assegnati a collegio 5486 1931 7991 Assegnati a collegio: 6822 Giudice monocratico 115 Comitato – 3 giudici 5295 Camera – 7 giudici 1406 Grande Camera – 17 6 Notificati al Governo 1763 1848 289 Casi decisi 9769 4463 1531 Giudice monocratico: inammissibili/radiati 9227 1697 773 : Comitato inammissibili/radiati 338 2715 727 : Camera inammissibili/radiati 60 26 5 : Decisioni di accoglimento Volumi 144 25 26 Misure provvisorie 32 28 14 - accolte 1 1 2 - rigettate 31 27 12 Se il discorso si sposta dal profilo quantitativo a quello qualitativo, si può verificare l’attività di controllo della Corte sull’azione del nostro Paese per l’osservanza del sistema di protezione dei diritti umani. 1 Dati riferiti al I semestre del 2016 8
I casi rilevanti affrontati sul piano sanitario sono qui menzionati con richiamo ai principali sviluppi del 2015 menzionati nel profilo ufficiale predisposto dalla Corte nel suo portale ufficiale: Ricorso Parrillo c/Italia: n. 46470/11 La vicenda, approdata all’esame della Grande Camera di Strasburgo, riguardava la legittimità della normativa italiana di cui alla L.O. 40/2004, sulla procreazione medicalmente assistita. L’interessata (cittadina italiana nata a Roma nel 1954 e ivi residente), impedita dall’ordinamento italiano di poter disporre a titolo di donazione dei propri embrioni congelati alla ricerca scientifica, alfine decise di adire la Corte Europea nel 2011, che in esito a una complessa istruttoria triennale, statuì il deferimento del caso alla Grande Camera il 28/1/2014. In una procedura allargata anche per l’intervento in giudizio di diversi enti e istituzioni scientifiche (Centro Europeo per la giustizia e i diritti umani, Movimento per la vita, Forum delle Associazioni Familiari, Luca Coscioni, Amica Cicogna ONLUS, Osservatorio italiano sui Diritti e SIFES) nonché diversi parlamentari italiani, il collegio allargato di 15 giudici si espresse sul caso il 27/agosto/2015. La sostanza della pronuncia rigetta le tesi dell’interessata asserendosi l’insussistenza della violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 della Convenzione del Consiglio d’Europa 1950). Gli argomenti addotti sono essenzialmente tre: l’ampia discrezionalità dello Stato italiano nel regolare la materia della fecondazione assistita in un contesto normativo internazionale non univoco nella disciplina del caso; l’accuratezza del procedimento legislativo che ha condotto al varo della legge 40/2004 (che operò a suo tempo un bilanciamento di interessi tra la protezione degli embrioni e l’interesse delle persone a un dispiegamento del diritto di autodeterminazione); la mancanza di una prova inequivoca sul consenso del partner deceduto della ricorrente all’effettuazione dell’atto di liberalità mancato, all’esame del giudizio in parola. Ricorso M.C. e altri c/Italia: n. 5376/11. Il caso in esame, trattato anche nel 2015, riguarda una vicenda che ha visto coinvolti 162 cittadini italiani che hanno adito la Corte Europea nel 2011 per ottenere una rivalutazione annuale dell’indennità integrativa speciale accessoria all’indennizzo dovuto con la legge 210/1992 per infezioni contratte per emotrasfusioni o somministrazione di emoderivati infetti. Lo Stato italiano è stato impegnato, nel biennio 2013-2015, a eseguire correttamente la “sentenza-pilota 3/9/2013” che vincolava l’Italia a sanare un problema sistemico ripristinando il diritto alla parità di trattamento di cittadini con distinte patologie, penalizzati nelle loro ragioni pecuniarie (diritto a indennizzo per danni da epatiti post- trasfusionali). Il 2015 ha visto il nostro Paese impegnato nella stesura di un complesso piano modulare, condiviso con le Regioni interessate, per garantire agli aventi diritto la liquidazione degli indennizzi dovuti, rivalutati anche nel salario accessorio dell’I.I.S., sia nelle ragioni maturate dal 1/1/2012, sia negli arretrati maturati entro il 31/12/2011. Ricorso Smaltini c/Italia: n. 43691/09. Anche questo è un caso degno di menzione negli atti ufficiali della Corte Europea, perché costituisce un precedente significativo nella prassi giurisdizionale che affronta il riconoscimento di danni da polluzione con riflessi sull’ambiente e sulla salute umana, asseritamente cagionati dall’impianto dell’ILVA S.p.a ubicato nella città ionica. La complessità del caso è avvalorata dalla lunghezza dell’istruttoria, avviata nel 2009 da una signora, residente nel Comune di Taranto, che nel 2006 contrasse una rara patologia, la leucemia mieloide acuta, e che dopo una complessa vicenda maturata nelle sedi giudiziarie italiane (procedimento penale radicato nel Circondario di Taranto), adì nel 2009 la Corte Europea lamentando la violazione del diritto alla vita e a un giusto processo. Valutata la 9
documentazione processuale esibita dalle parti, alfine la IV Sezione della Corte il 24/3/2015 ha dichiarato l’irricevibilità del ricorso per l’impossibilità di provare in giudizio il nesso eziologico tra la condotta incriminata e i danni affermati dalla ricorrente, facendo leva su due argomentazioni di fondo: mancanza di univocità dei dati epidemiologici che comprovino la causalità degli eventi e la regolarità dell’attività di controllo giudiziario svolta dall’autorità italiana nella persona del giudice per le indagini preliminari di Taranto che nell’ambito del giudizio penale non aveva potuto all’epoca dei fatti stabilire l’imputabilità della condotta all’ILVA Spa, in base agli elementi di prova disponibili. Da tale impianto logico, supportato da una analisi della prassi giurisdizionale di Strasburgo, la Corte non ha potuto che derivarne un giudizio di non accoglimento a sfavore della ricorrente e in favore dello Stato italiano convenuto. La delicatezza del caso è avvalorata dalla discussione su uno dei cardini oggettivi della responsabilità penale nel diritto italiano, e cioè il nesso di causalità, che sostiene (oltre a una condotta colpevole e alla verificazione di un evento) sia la tenuta di un procedimento nazionale sia la tenuta di un procedimento internazionale e che volta per volta deve essere corroborato da fatti ed elementi di prova certi ed inequivoci ad opera dell’attore. 10
Ricorsi in campo sanitario nel 2016 promossi o istruiti contro lo Stato italiano Nel corso del 2016, lo Stato italiano e in particolare gli organi competenti per problematiche sanitarie (Ministero della salute – Direzioni Generali interessate: DGCOREI-DGVESC-DGPRE- DGPSRUSSN) hanno dovuto affrontare alcuni ricorsi specifici promossi innanzi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo per talune violazioni nel campo dei diritti umani e delle libertà fondamentali. La casistica ricade nel settore della sanità pubblica e investe varie fattispecie concrete all’analisi della Corte Europea (danni biologici da emotrasfusioni o vaccinazioni obbligatorie, questioni salariali connesse a indennizzi pubblici collegati a verificazione di danni biologici da emotrasfusione, riflessi sanitari dell’inquinamento ambientale cagionato da immissioni di impianti industriali o da emissione di sostanze tossiche rilasciate da siti di discariche illegali sul territorio italiano, riconoscimento dell’attività professionale svolta negli enti del S.S.N.). In diversi momenti della procedura, il Ministero della salute ha fornito il suo contributo instaurando gli opportuni contatti con la Rappresentanza permanente d’Italia presso il Consiglio d’Europa, che a sua volta si relazionava con i rappresentanti dello Stato abilitati ad assistere il Paese nei giudizi presso la Corte Europea. Nel corso di questo anno il Ministero ha trattato diversi casi riferiti a giudizi tecnicamente pendenti giacché i ricorsi e gli atti introduttivi erano stati depositati nella cancelleria in periodi anteriori al 1 gennaio 2016, e quindi la Corte di Strasburgo aveva già provveduto a istruire i dossier dando impulso al procedimento e invitando le parti a svolgere le rispettive argomentazioni tecniche. Si fornisce in questa sede una panoramica dei ricorsi trattati, inquadrandoli in una cornice processuale e illustrando alcuni elementi sul nucleo giuridico delle tesi di parte e sul tema fondamentale del giudizio. RICORSO DE NICOLA c./ITALIA: 19298/13 (Riconoscimento di prestazioni professionali in strutture del Servizio Sanitario Nazionale) Il caso in esame è stato portato all’attenzione della Corte Europea il 3/2/2013, su iniziativa di un medico specialista che nel 1987 aveva svolto un incarico professionale nella medicina dei servizi presso l’U.L.S.S. n. 4 di Chieti. Il ricorso si basava sulla mancata remunerazione delle spettanze 11
economiche e sul difetto di stabilizzazione nel rapporto di lavoro sulla base di un accordo sindacale collettivo approvato con il D.P.R. n. 504/1987. La vicenda maturò nell’ordinamento italiano all’inizio degli anni ’90 quando l’interessata adì il giudice del lavoro di Chieti – che con decisione depositata il 28/10/1993 rigettò l’azione per difetto di inquadramento giuridico, in quanto l’incarico svolto rientrava nell’ambito della medicina fiscale, che non consentiva all’epoca la conversione del rapporto di lavoro prestato dall’interessata, la quale, peraltro, essendo medico convenzionato esterno, non poteva neanche essere assunta dal datore di lavoro per espresso divieto dell’art. 32 della legge istitutiva del S.S.S. 833/1978. Peraltro, la sentenza di I grado venne contraddetta nel giudizio di appello, radicato presso il Tribunale di Chieti; il collegio invero accolse le istanze della soccombente e con sentenza d’appello 15/1/1994 riconobbe le spettanze pretese e la stabilizzazione del rapporto di lavoro, con rinvio ad altra sede del giudizio di quantificazione del credito litigioso. Nel relativo procedimento civile sul “quantum debeatur”, alfine si definì tale aspetto con una condanna che imponeva all’ULSS 4 di Chieti il versamento alla creditrice di 129.143,84 EU oltre alle spese del processo. A questo punto, la USL abruzzese decise di rivolgersi al Supremo Collegio con ricorso 22529/07: tuttavia, il 7/7/2009, la Corte di Cassazione confermò il verdetto del tribunale teatino (sulla base di 4 motivi logici che riconoscono la competenza a decidere sul caso, la legittimità del verdetto impugnato (i debiti di un ente disciolto ricadono nella sfera del subentrante), la correttezza del procedimento logico dei colleghi d’appello (l’incarico rivestito rientra nella medicina legale e non già nella medicina fiscale) e l’effettività del rapporto sinallagmatico tra prestazione resa e compenso spettante. Dopo l’intervento del giudice ordinario, a fronte dell’asseveramento del debito effettuato il 19/10/2010 dai competenti organi dell’USL, persistendo il mancato esatto pagamento l’interessata si rivolse al T.A.R. – sezione di Pescara che il 23/10/2012 emise ordinanza esecutiva imponendo l’estinzione del debito entro il termine di 90 giorni dalla notifica con l’intervento di commissario “ad acta” all’uopo preposto. A distanza di un anno, il medico abruzzese decise il 3 ottobre 2013 di adire la Corte Europea per violazione dell’art. 6 della Convenzione del Consiglio d’Europa del 1950 (diritto a una decisione imparziale, equa e tempestiva da parte di un organo giudiziale costituito per legge). Notificato il ricorso tramite le consuete vie amministrative in data 18/3/2016, gli organi tecnici del Ministero della Salute (DGCOREI- DGPSRUSSN) si sono adoperati per valutare i primi elementi del ricorso, anche e soprattutto alla luce della proposta, mediata dalla Corte, di transigere la controversia con un regolamento amichevole (art. 43 Convenzione del 1950) che archivi il caso onde evitare l’incognita di un’eventuale decisione sfavorevole allo Stato italiano. Effettuati i primi riscontri anche con l’ausilio della Regione Abruzzo, il Ministero della Salute ha elaborato i primi elementi fattuali da cui emerge che i ritardi nell’adempimento del “credito giudiziale” (accertato in sede giudiziale) sono addebitabili alle carenze di disponibilità di cassa per la gestione liquidatoria dell’ex ULSS 4 di Chieti (poi riassorbita nella nuova ASL unificata n. 2 di Lanciano-Vasto-Chieti); tuttavia, tale carenza è in via di riassorbimento grazie agli stanziamenti finanziari cui poi hanno fatto seguiti i necessari provvedimenti del Commissario Liquidatore, intervenuti tra il mese di marzo 2012 e il mese di maggio 2015, a soddisfacimento definitivo delle ragioni della Ricorrente. In questa fase del contenzioso, nelle more del giudizio, notificati tali elementi alla Rappresentanza italiana e, suo tramite, alla Corte di Strasburgo, si rimane in attesa degli sviluppi assunti dall’organo giudicante, in termini di transazione amichevole del Ricorso su accordo delle parti ovvero di proseguimento del caso, con l’alea di una decisione finale del giudizio promosso a Strasburgo. 12
RICORSO M.C e 162 c./ITALIA: 5376/11 / Ricorsi collegati (Rivalutazione dell’Indennità Integrativa Speciale, su indennizzi speciali per danni da emotrasfusioni e somministrazione di emoderivati infetti – legge 210/1992) Numero di Ruolo Parti agenti c/Italia 70604/10 PICCI + 136 71446/10 ARENA + 11 726/08 CORONELLA + 234 72994/10 G.M. + 173 (residenti tra Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, F.V.G., Veneto, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzi, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna) 72673/10 VASSALLO + 55 4282/11 LOZZI + 99 4694/11 BERARDI 5546/11 CHERUBINI + 59 12192/11 DI SOMMA 13132/11 CASTALDI + 9 16938/11 IACONA + 7 19210/11 ATZORI + 90 72628/10 CIOMMEI 72969/10 AMBROSO 4896/11 MAGRINI 19275/16 BURZO + 50 (+10) Il caso in esame consiste in un ricorso alla Corte di Strasburgo n. 5376/11 (M.C. + 162 c/Italia) promosso da un ampio gruppo di cittadini italiani (residenti nella maggior parte nella Regione Veneto) per la mancata rivalutazione dell’indennità integrativa speciale (IIS) accessoria all’indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992 in favore di persone fisiche che avevano contratto nello Stato italiano una patologia a causa di emotrasfusioni o somministrazioni di emoderivati 13
infetti. La legge 210/92, data l’entità del fenomeno, aveva riconosciuto il diritto per chi avesse contratto tale tipo di malattia di percepire un assegno composto da due parti: una fissa ed una complementare, entrambe soggette al processo di rivalutazione monetaria per il recupero dell’inflazione. La crisi economica dello Stato ebbe ripercussioni sui privati costringendo l’Esecutivo italiano a varare il Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dall’art. 11 della legge 30 luglio, n. 122) che sostanzialmente denegò a posteriori il diritto alla rivalutazione. Diversi Tribunali sollevarono però questione di legittimità della norma presso la Corte Costituzionale che, con sentenza n. 293/2011, ritenne fondata la questione, atteso il diverso trattamento previsto per i pazienti affetti da epatite rispetto a quelli affetti da sindrome da talidomide (operando solo per questi ultimi l'adeguamento annuale dell'indennità). La Corte sancì l'illegittimità della norma per violazione del principio di uguaglianza codificato dall’art. 3 della Costituzione. La ratio del beneficio concesso ai soggetti portatori della sindrome da talidomide aveva fondamento analogo, se non identico, a quello del beneficio introdotto dall'art. 13, della legge n. 210 del 1992, per le persone affette da epatite post-trasfusionale. Del resto, la Corte di Cassazione conformò il suo indirizzo al principio della Consulta: tuttavia l’adeguamento dello Stato italiano a questi orientamenti tardava a realizzarsi. La mancata osservanza di questa decisione indusse allora i ricorrenti, il 29/11/2010, a rivolgersi alla Corte Europea per una pluralità di asserite violazioni (equo processo, ricorso effettivo, diritto alla vita, divieto di discriminazione e tutela della proprietà) del sistema di tutela dei diritti umani. Aperta l’istruttoria, il giudice di Strasburgo adottò il 3/9/2013 la procedura di sentenza pilota, acclarando un problema sistemico del nostro Paese che aveva creato una smagliatura nello Stato di diritto, cioè la tutela di un equo processo, in una impasse non sbloccata nonostante l’intervento della Consulta. Di qui la scelta di utilizzare uno strumento peculiare che congelando una molteplicità di ricorsi affini a quello in esame, sospendesse l’istruttoria in attesa che lo Stato si conformasse alla sentenza pilota del collegio europeo. Ecco allora che lo Stato attraverso i suoi organi tecnici del Ministero della Salute (DGCOREI- DGVESC), coordinati dal Governo centrale, avviò dal 2015 la stesura di un Piano d’azione che coinvolgesse le Regioni in cui si erano verificati i casi infettivi con affezioni e/o decessi. L’intensa opera è stata caratterizzata da procedimenti liquidatori negli anni 2012-2013 (avviati da Puglia e Veneto), cui ha fatto seguito l’azione finanziaria delle regioni Abruzzi e Calabria, supportata dallo Stato con il varo della legge di Stabilità 190/2014. L’impianto di questa legge fissava le tappe per lo stanziamento degli oneri di copertura dell’indennità integrativa speciale nel biennio 2012/2014 e degli arretrati di rivalutazione maturati sino alla fine del 2011. Il pacchetto comprendeva (e comprende) 4 tranche per gli enti regionali di tal fatta: 100.000.000,00 Eu per il 2015, 200.000.000,00 MLN per il 2016 e 289.000.000,00 per il 2017 così come 146.000.000,00 di Eu per il 2018, demandando a un decreto del M.E.F., di intesa con il Ministero della Salute, la ripartizione dei saldi secondo una sequenza prestabilita e rimettendo agli organi finanziari centrali l’erogazione annuale degli importi fissati per legge. Con i canali diplomatici consueti, la Corte Europea venne informata di tali sviluppi nell’ordinamento italiano e tra i mesi di marzo e aprile 2015 aprì la prospettiva di un Regolamento amichevole che si basasse su un accordo tra le Parti in causa del ricorso, finanziato con le coperture della Legge 90/2014. Alfine, il 26 maggio 2016, dopo un’intensa azione diplomatica, il Giudice avallò l’accordo transattivo che assegnava ai ricorrenti distinti montanti a copertura dei danni morali pretesi e di ogni altro onere fiscale connesso, in favore sia degli aventi causa diretti sia degli eredi legittimi ove subentrato il decesso del de cujus. Con il medesimo dispositivo la Corte di Strasburgo decise la radiazione della causa 5376/11 dal ruolo. La conclusione positiva di questo caso, nell’ottica della Corte europea, lasciava (e lascia) aperto lo spiraglio per la definizione 14
positiva dei numerosi ricorsi affini (ben 16 ricorsi collettivi attivati dal 2008 in avanti) promossi da cittadini italiani, se e nella misura in cui lo Stato riuscirà ad onorare gli impegni assunti nell’ambito del Piano d’azione sui pagamenti concordati, a copertura degli arretrati dovuti dell’I.I.S. e dei pagamenti dovuti nel biennio 2012/2014. RICORSI COLLETTIVI c./ITALIA: (Danni biologici e morali da emotrasfusioni – transazioni dello Stato) 1 68060/12 17/10/2012 PERRONE D.A. e 23 2 16178/13 10/01/2013 DRAGONE A.A. e 78 3 23130/13 11/01/2013 DE LUCCHI C.A. e 45 4 23149/13 12/01/2013 D’ANGELO N.D. e 3 5 64572/13 09/01/2013 SORAGNI G.A. e 40 6 13662/13 10/01/2013 SCOLAMIERO-GUADAGNI - ROBOTTI (patrocinante parte 3) V.C e 6 7 13837/13 11/01/2013 SCOLAMIERO-GUADAGNI D.C. e 4 8 22933/13 11/01/2013 SCOLAMIERO-GUADAGNI V.C. e 4 9 13668/13 10/01/2013 SCOLAMIERO-GUADAGNI G.A. e 77 10 13657/13 10/01/2013 SCOLAMIERO-GUADAGNI M.A. e 38 11 22918/13 11/01/2013 SCOLAMIERO-GUADAGNI M.C. e 8 12 22978/13 11/01/2013 SCOLAMIERO-GUADAGNI D.B. 13 22985/13 11/01/2013 SCOLAMIERO-GUADAGNI M.G. e 72 14 22899/13 11/01/2013 SCOLAMIERO-GUADAGNI C.S. e 5 15 9673/13 11/01/2013 SCOLAMIERO-GUADAGNI 15
V.D.C. e 2 16 158/12 09/12/2011 CAPPELLARO S.A. e 96 17 3892/12 05/01/2012 PERRONE D.M.M. e 7 18 8154/12 23/12/2011 LANA-SACCUCCI S.A. e 305 19 41143/12 16/05/2012 LANA-SACCUCCI M.A. e 57 Tra il 2011 e il 2013 distinti gruppi di cittadini italiani decisero di adire la Corte Europea per una vicenda di denegate transazioni che lo Stato nel 2007 aveva proposto a propri cittadini che negli anni ’80 del 1900 si erano ammalati di AIDS o di epatite virale B/C contratte per emotrasfusioni indotte da patologie congenite (emofilia o talassemia) o da operazioni chirurgiche. Lo Stato nel 1992 offrì alle vittime da danno ingiusto uno strumento legale, la legge 210/1992, che disponeva un indennizzo ad hoc. In un secondo momento, le autorità proposero ai ricorrenti uno strumento conciliativo (previsto dalle leggi 222 e 244 del 2007) che consentiva loro, anteriormente al 19 gennaio 2010, di transigere con lo Stato le domande di indennizzo pendenti. Ma da tale opportunità venivano esclusi i Ricorrenti a Strasburgo, penalizzati dal varo del D.M. n. 162 del 4 maggio 2012 che limitava l’accesso alle transazioni attraverso rigorosi termini di prescrizione 2 incidenti sulle domande di indennizzo di cui alla legge 210. Da ciò derivavano vari elementi di contestazione, portati all’attenzione della Corte dei diritti dell’uomo, per violazione di fondamentali principi internazionali consacrati dalla Convenzione per la tutela dei diritti umani (asserite violazioni della tutela dei beni in proprietà privata, del principio di uguaglianza e di certezza giuridica, del diritto alla vita, nonché del divieto di discriminazioni soggettive). Sin da allora vennero avanzate circa 7000 domande di adesione alla transazione. Nelle more 2 Termini di prescrizione: 5 anni per la presentazione di domanda di indennizzo ad opera di soggetto vivente e 10 anni per la presentazione di istanza da parte di soggetto erede del familiare deceduto. 16
dell’istruttoria delle domande, si attivò un contenzioso presso i giudici amministrativi nazionali per impugnare i criteri (ritenuti restrittivi) di filtro delle domande di transazione e il termine dal quale decorre la validità dei moduli transattivi. Con alterne pronunce il Consiglio di Stato ribadì nel 2015 (in sede di pareri emessi nelle more di un ricorso straordinario al Capo dello Stato) la legittimità del criterio della prescrizione ma censurò il requisito temporale che condizionava la validità delle transazioni (=presenza di un evento trasfusionale non anteriore al 24 luglio 1978). Nel 2014 il legislatore intervenne d’urgenza con la previsione di una disposizione (art. 27-bis della legge 114/2014) regolante una “forma di equa riparazione”, alternativa alla via processuale. Il Ministero della Salute, per dar seguito alla volontà legale, con i suoi organi tecnici ha strutturato una modulazione delle pratiche di pagamento fino alla data del 31/12/2017, aperte a tutti coloro che decidono di optare per questa soluzione forfettaria che prevede la corresponsione di EU 100.000,00 per gli aventi diritto accettanti, sulla base del criterio della gravità dell’infermità ovvero della situazione economica individuale. L’accettazione del rimedio include la rinuncia coeva a qualsiasi azione legale, interna ed internazionale, lasciando peraltro libere le parti di privilegiare la via processuale soggetta all’alea delle sorti del giudizio. Nel corso di questo anno, nella dialettica del procedimento a Strasburgo, la Corte Europea- I Sezione il 14/1/2016 è intervenuta con una sentenza che riunendo i vari ricorsi contiene una pluralità di decisioni (radiazione di cause o condanne a vario titolo per danno morale, materiale e spese di giudizio), a seconda delle posizioni soggettive analizzate su ciascuna delle 889 parti interessate). ll dispositivo rimase congelato nell’efficacia sino al termine di 3 mesi per un eventuale rinvio alla Grande Camera che invero venne respinto in via preliminare da un panel giudiziario della Corte Europea, rendendo così definitivo il verdetto alla data del 4 luglio 2016. Da allora, decorre il termine semestrale che consente allo Stato italiano di comunicare alla Corte i contenuti del Piano d’azione contenente le misure finanziarie atte al ristoro delle pretese giudiziali, basate sulla disposizione dell’art. 27 bis della legge 114/2014, con l’azione annuale garantita dagli organi tecnici del Ministero della Salute, chiamato alla definizione di circa 5000 fascicoli su base triennale nell’intervallo di tempo 2015-2017, destinati a offrire la soluzione transattiva dell’art. 27 a tutti coloro che sceglieranno tale rimedio extra-giudiziale. RICORSO CORDELLA e altri c./ITALIA: 54414/13 RICORSO L.A. MELLE e altri c/ITALIA: 54264/15 RICORSO A.A. 37277/16 e altri c/ITALIA (Riflessi sull’ambiente e sulla salute umana di emissioni inquinanti del sito ILVA ubicato nei Comuni di Taranto e Statte) 17
Per inquadrare i ricorsi in parola, occorre un breve cenno sulle vicende dell’impianto siderurgico dell’ILVA di Taranto: l’ILVA S.p.a., negli sviluppi più recenti, è una società costituita dall’IRI nel 1965, in un distretto industriale foriero di promesse di sviluppo: l’impresa ha come oggetto sociale la produzione e la trasformazione di acciaio e sorse nel quartiere tarantino di Tamburi, area a forte espansione abitativa. L’impianto siderurgico era di proprietà dell’ITALSIDER, nata dalla fusione dell’ILVA Altiforni e Acciaierie e di Cornigliano S.p.a., aziende della FINSIDER, che gestivano gli stabilimenti di Piombino e Bagnoli oltreché del sobborgo genovese di Cornigliano. Nel 1987, la controllante e la controllata entrarono in crisi e lo Stato decise la creazione di una nuova società di capitali, l’ILVA S.p.a. che dopo varie vicende societarie entrò sotto il controllo della holding “Riva Fire S.p.a.” La crisi del comparto industriale a partire dagli anni ’80 del 1900 segnò una prima svolta: si disgregò la società, ragion per cui lo Stato privatizzò l’impresa spogliandosi della proprietà: il sito partenopeo venne chiuso, lo stabilimento di Piombino venne ceduto al Gruppo Lucchini, mentre il Gruppo Riva acquistò gli impianti di Cornigliano e di Taranto. Tra il 2002 e il 2005, per vicende giudiziarie locali che hanno interessato il distretto giudiziario genovese, venne progressivamente smantellato il sito di Cornigliano e si ampliò lo stabilimento tarantino che nel 2006 raggiunse il picco di produzione di acciaio. Ma qui iniziano i problemi, perché le emissioni industriali che si diffondono nel quartiere di Tamburi e poi nelle aree limitrofe della città di Taranto posero al centro la questione legata all’inquinamento ambientale e ai danni correlati alla salute. Campagne condotte da comitati cittadini e da ambientalisti denunciavano sempre più casi di patologie e di morti attribuibili in particolare alla presenza di 70 ettari di parchi minerali generatori di polveri che fungono da veicolanti dei gas nocivi, degli impianti di raffinazione (che emettono soprattutto il benzopirene) ed il camino E312 dell’impianto di agglomerazione per quanto riguarda l’inquinamento da diossina. Le denunce e le campagne che per anni hanno movimentato l’opinione pubblica sono poi sfociate in un’inchiesta penale promossa dalla Procura della Repubblica di Taranto nel luglio 2012 (con l’ipotesi principale di disastro ambientale3), che costituì lo snodo per poter inserire nel fascicolo istruttorio le evidenze medico-scientifiche maturate nei decenni e che hanno orientato una serie di provvedimenti restrittivi della magistratura in sede di procedimento penale. Per comprendere la portata delle misure cautelari adottate dal potere giudiziario (sequestri patrimoniali disposti dal G.i.p. su richiesta della Procura della Repubblica di Taranto), basti considerare la struttura produttiva del ciclo integrale dell’ILVA S.p.a. (acquisizione di materie prime – lavorazioni – produzione di beni intermedi e finali): 3 Secondo l’art. Articolo 452-quater C.P. (Disastro ambientale) “Chiunque illegittimamente immette nell’ambiente sostanze o energie cagionando o contribuendo a cagionare un disastro ambientale, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da trentamila a duecentocinquantamila euro. Si ha disastro ambientale quando il fatto, in ragione della rilevanza oggettiva o dell’estensione della compromissione, ovvero del numero delle persone offese o esposte a pericolo, offende la pubblica incolumità. La stessa pena si applica se il fatto cagiona una alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema”. 18
Per comprendere le limitazioni imposte dagli organi inquirenti all’attività di impresa dell’ILVA S.p.a, che vanno direttamente ad incidere su tali asset: parchi minerali, stoccaggi e ripresa materie prime, produzione calcare e calce, cokeria, agglomerato, altoforno ed acciaieria, si consideri la portata di un intervento giudiziale che incide sul patrimonio aziendale dell’ILVA (illustrata nella tabella sottostante: limitando la disponibilità giuridica di fondamentali gangli dell’attività produttiva, che incidono nella filiera di impresa che parte dall’indotto, penetra al cuore dell’attività manifatturiera e limita la produzione dei beni finiti dell’impianto siderurgico. Gli anni più recenti, almeno a far tempo dal sequestro giudiziale intervenuto nel procedimento penale del 2012 (peraltro approdato nel mese di maggio 2016 alla fase del dibattimento presso la 19
Corte d’Assise di Taranto), hanno peraltro visto la decisione del Governo italiano, nel 2013, di “commissariare” con provvedimento di legge la società con il trasferimento coattivo dei beni e la sua sottoposizione diretta al controllo pubblico dello Stato, il che a sua volta ha portato la società a ulteriori modifiche con scissioni di rami di impresa e ristrutturazione dell’attività produttiva. In un quadro così articolato e in evoluzione (costellato di inchieste e processi penali, provvedimenti statali e regionali per contenere gli effetti dell’inquinamento, reiterati atti amministrativi come l’autorizzazione integrata ambientale e accordi finanziari per interventi urgenti), storicamente intervennero tra il 2013 e il 2015 i primi ricorsi alla Corte Europea: RICORSO CORDELLA e altri c./ITALIA: 54414/13 (29/7/2013) RICORSO L.A. MELLE e altri c/ITALIA: 54264/15 (25/10/2015) RICORSO A.A. 37277/16 e altri c/ITALIA (14/10/2015) Con essi, vari cittadini residenti nell’area tarantina sollevarono due tipi di doglianze, la violazione del diritto alla vita e del diritto alla privacy, nell’idea di fondo che lo Stato non fosse riuscito a tutelare con idonee misure giuridiche e comunicative le collettività urbane, mettendone a repentaglio la salute individuale e una equilibrata vita di relazioni sociali, ma anche la possibilità di un’efficace tutela processuale. Le domande dei cittadini vertevano su una serie di elementi scientifici e cioè le perizie processuali (chimica ed epidemiologica) redatte in sede penale e il rapporto SENTIERI dell’I.S.S. redatto tra il 2012 e il 2014, focalizzato sull’area tarantina e sulle patologie ivi diffuse (malattie infettive, tumore epatico e polmonare, mesotelioma della pleura e patologie respiratorie acute) in un’analisi comparata con medie nazionali, che supportavano le violazioni del sistema di tutela dei diritti umani, attualmente all’analisi della I Sezione della Corte Europea. In queste primissime fasi istruttorie dei Ricorsi, la Corte è impegnata a sondare le Parti per verificare la portata delle contestazioni e in quest’ottica anche il Ministero della Salute (attraverso gli uffici tecnici interessati della DGCOREI e della DGPRE) svolge la sua parte provando a elaborare in questa fase una serie di osservazioni tecniche e scientifiche, coordinate a livello governativo, per tentare di integrare la strategia difensiva da condurre a Strasburgo, in vista delle prossime mosse operative del collegio giudicante in una vicenda alquanto complessa che vede in gioco sia il diritto alla vita e all’incolumità personale sia in una cornice di fondo il diritto a un ambiente salubre, quali valori fondamentali presidiati dalla Corte Europea di Strasburgo in attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali. 20
Puoi anche leggere