L'organizzazione dei pubblici poteri in Italia e la Corte dei Conti
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L'organizzazione dei pubblici poteri in Italia e la Corte dei Conti NOTA M GIOVANNI S O L I N A S COSSU Consigliere della Corte dei Conti Xel caotico svolgimento della vita pubblica degli Stati moderni, massime di quelli non ancora assestati su basi granitiche di leggi secolari e di costumi profondamente penetrati nella coscienza delle maggioranze, continuano a star di fronte, poderosamente armati, giron- dini e giacobini, come negli epici tempi della grande rivoluzione francese. Le leggi austere di protezione e rispetto a tutte le libertà individuali e familiari cedono oramai terreno in tutti i campi del- Fattività sociale, sopraffatta da non meno impellenti e molteplici necessità dapprima ignorate o poco avvertite. Una scienza nuova ed appena nata alla fine del secolo 18.° come propaggine della filosofia degli enciclopedisti, l'Economia politica, acquistò tutta la sua viri- lità nel secolo 19.° e in questi primi anni del 20.°, dando coscienza di diritti e chiara visione di bisogni ad infinite classi di proletari. I canoni nuovissimi, penetranti in tutti i meati più reconditi del giure pubblico e privato, alterano, massime in Italia, la purità delle classiche lineo del diritto romano e creano una legislazione barocca e piena di curve, forse affrettata e frammentaria, ma tendente a pe- netrare di giorno in giorno profondamente nella coscienza delle masse, che dalle oscurità del sottosuolo sociale assurgono così a respirare e rifarsi i polmoni nell'aria ossigenata della vita pubblica. Una parte, che non è certo la minore, di questa legislazione no- vissima è dedicata per necessità di cose a creare l'armamentario procedurale per l'esecuzione delle dette leggi, sotto forma d'organismi nuovi, di trasformazione radicale degli organismi antichi, d'attribu- zioni nuove da sovrapporre a quelle in atto esistenti. L'accresciuta quantità o il variato modo d'essere degli istituti ed uffici ammini- strativi consiglia da un lato di separare il ramo rigoglioso della scienza dell'amministrazione dal vecchio tronco del giure amministrativo, e
- 539 — dall'altra parte rende indispensabile nei trattati dell'uno e dell'altro corpo di dottrine un ponderoso proemio dedicato esclusivamente alle organizzazioni, variabili d'anno in anno in ogni paese, variabilissime da un paese all'altro. La pleiade sempre crescente e rinnovantesi degli organi ammini- strativi d'uno Stato si svolge con leggi della dinamica sociale, per mantenere innocui i contatti degli organi fra loro e per assurgere, col sincronismo dei singoli movimenti, all'unicità e regolarità di moto del complesso ma unico organismo dello Stato. Tutte queste leggi minori, di carattere biologico, partecipano tuttavia della ferrea e matematica natura delle leggi fisiche, dal cui impero le moli im- mense dei pianeti son costrette a moversi entro orbita determinata e costituire i sistemi planetarii attorno alle stelle fìsse. La legge suprema dei contatti organici è quella delle competenze, governata dai codici procedurali nell'ordinamento giudiziario civile e penale, applicata giudiziariamente o gerarchicamente da organismi superiori nei conflitti fra uffici pubblici a fisonomia omogenea o disparata, devoluta finalmente a giurisdizioni speciali di giustizia amministra- tiva nell'urto dei contatti fra gli organismi pubblici ed i singoli cit- tadini. Quest'assetto nuovissimo, più economico che giuridico, dei pub- blici servizi, che col collettivo loro dinamismo caratterizzano e quindi costituiscono l'intima struttura degli Stati moderni, è determinato in prevalenza dalla scala indefinitamente moltiplicantesi dei bisogni di tutte le classi sociali, che ne chiedono alla podestà centrale dello Stato il pieno soddisfacimento. Le classi dirigenti che gli Stati go- vernano non possono sottrarsi all'influenza dell'ambiente in cui vi- vono, e traducendo gradatamente in leggi le tendenze nuove, pon- gono a poco a poco nel dimenticatoio le teorie politico-economiche tenute finora in onore, come ad esempio il decentramento ed il self- gouvernement, la superiorità dei governi che costano meno, la natu- ralità e la generalizzazione territoriale delle leggi economiche, ecc. Trattasi di tendenze, irresistibili se vuoisi, perchè riscuotono il consenso di forti maggioranze, ma pur sempre tendenze, le quali non in tutto il mondo passano senza contrasto. E di ciò si ha una prova riflessa, tanto nella scienza che non rispecchia con precisione matematica e senza titubanze le moderne teorie, quanto nelle leggi più imprecise e più oscillanti della stessa scienza. In posto eminente fra gli istituti amministrativi italiani funziona, come d'altronde nella gran maggioranza degli Stati moderni, l'an- tica e gloriosa Corte dei Conti, sulla quale molto s'è discusso in
— 540 — questi ultimi anni e non sempre con moderazione serena ed obiettiva. * La Corte dei Conti del Begno d'Italia nacque, sulle rovine delle Corti funzionanti negli antichi staterelli scomparsi, per la legge 14 agosto 1862, n. 800, la quale costituisce pur sempre la ragion d'essere e la fonte giuridica di quest'istituto, per quanto le materie di sua competenza siano enormemente cresciute e siano diventate anche più complesse e più varie. Gli art. 10 a 20 della detta legge enumerano tassativamente le materie d'attribuzione della Corte, alle quali s'aggiungono alcune altre a lei attribuite con leggi speciali senza alterare però la consistenza giuridica delle sue origini. Non occorre confrontare, con facile erudizione di diritto comparato, la Corte dei Conti italiana con gli analoghi istituti esistenti nei di- versi Stati dell'Europa civile. Oramai è risaputo che la nostra Corte ha una fisonomia propria, perchè non è identica ad alcuno degli isti- tuti congeneri, ma ritrae le caratteristiche più salienti dell'istituto francese (magistratura contabile) e di quello belga (riscontro delle entrate e delle spese). Ne si potrebbe discutere, in previsione di futuri provvedimenti legislativi, se e quali evoluzioni sarebbe utile * imprimere alla Corte italiana, essendo esse per necessità di cose as- solutamente subordinate alle evoluzioni degli uffici pubblici da lei controllati. La classica divisione dei poteri della sovranità, che corre sotto il nome del Montesquieu, con la conseguente classificazione dei ser- vizi pubblici, è oramai diventata distinzione dei poteri, o meglio delle competenze, che non altera l'unità della podestà sovrana ma ne fa- cilita lo svolgimento. Da questa evoluzione nella legge fondamentale del diritto pubblico, statutario ed amministrativo, molti organismi possono avere fisonomia complessa e mista di funzioni anche etero- genee, senza alterare l'armonia dei contatti, purché ogni funzione si evolva entro i confini della propria specie. Alla stregua di cosiffatti principii la Corte dei Conti italiana può dirsi un istituto giurisdizionale, amministrativo o misto? Nessuno nega la giurisdizionalità della Corte nella sua qualità di magistra- tura contabile, essendo questa funzione un residuo del contenzioso amministrativo, espressamente conservato, con la competenza d'ap- pello in materia di pensioni, dall'art. 12 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 ali. E. Da ciò però non si deduce che la Corte abbia unità giurisdizionale analoga a quella delle Corti di Cassazione, sebbene
-541 - vi sia ancora una scuola, esigua a dir vero di numero, che, ispiran- dosi al giure pubblico francese, propugni il detto principio. È vero che anche le sezioni della Corte che esercitano il riscontro degli atti del potere esecutivo, ius dicunt, perchè esaminano se negli atti stessi esista violazione di leggi. Ma anche i giuristi dottrinàrii ius dicunt) per quanto non esercitino giurisdizione, la quale consiste nel ius dicere con formula d'imperio coercitiva erga omnes e munita d'effetti giuridici e patrimoniali permanenti. Ciò avvertito, se ne deve logicamente conchiudere che, mentre la Corte è magistrato giurisdizionale entro la cerchia contabile, non esercita giurisdizione in tutte le altre materie alla sua competenza devolute, specie nel riscontro costituzionale. Esaminando più profondamente quest'ultima funzione, oscilla la dottrina e la giurisprudenza ancora fra il ritenerla come una pro- paggine del potere legislativo, oppure come una varietà della vasta categoria delle funzioni di controllo amministrativo. Alcuni fra i vecchi trattatisti di diritto costituzionale ed alcuni fra i vecchi com- mentatori dalla legge sulla Corte opinarono, in base alle tradizioni inglese e belga, esercitare quest'alto consesso la podestà sindaca- toria sugli atti del potere esecutivo come mandatario dei due rami del Parlamento, ai quali compete esclusivamente la compartecipa- zione al potere legislativo. E tale dottrina, sebbene quasi tramon- tata, ebbe eco nel 1903 in due classiche decisioni della Quarta Sezione del Consiglio di Stato. In base però alla mutata legge fonda- mentale della distinzione dei poteri sovrani, la scuola oramai pre- valente, pur non combattendo la delegazione dei due rami del Par- lamento come substrato giuridico della podestà sindacatoria della Corte dei Conti, nega però che la detta delegazione sia da ascri- versi nella cerchia del potere legislativo e la classifica senz'altro fra le funzioni amministrative. Astraendo infatti dai subbietti di questo ius singulare ed esaminando oggettivamente il grave problema, si deduce che la podestà sindacatoria degli atti del potere esecu- tivo appartiene a ciascuna delle Camere come prerogativa propria, senza obbligo d'esercitarla in comune e con unico risultato; che inoltre a questa podestà, separatamente o congiuntamente esercitata, non partecipa il Re per mezzo dei suoi Ministri responsabili; che infine essa non ha per finalità una legge imperativa erga omnes, ma uno e spesso due ordini del giorno, forse anche contradditori per uno stesso argomento, dei quali la dottrina e la pratica non hanno fi- nora dimostrato l'obbligatorietà per lo stesso potere esecutivo sin- dacato. Mancando, dunque, gli elementi per far classificare il sinda-
— 542 — cato in esame nell'orbita degli atti del potere legislativo, e non appartenendo esso evidentemente all'ordine giudiziario, se ne deve concliiudere favorevolmente alla sua classificazione nella nostra ca- tegoria delle funzioni amministrative, le quali non contraddicono alla natura ed al modo d'essere di ciascuna delle due Camere le- gislative singolarmente considerate. Ma pur considerando amministrativa la funzione sindacatoria pre- detta, sarà essa giurisdizionale? La risposta negativa pare discenda a stretto rigore dalla premessa. La Corte dei Conti, mandataria delle due Camere, esamina tutti i documenti amministrativi e contabili emanati dallo Stato nell'esercizio delle sue funzioni- enormemente svariate e molteplici e ne segnala all'Amministrazione emittente t u t t e le manchevolezze e tutte le difformità dalle leggi imperanti. Se l'Am- ministrazione attiva, come conclusione del dibattimento intervenuto, riconosce l'attendibilità del rilievo della Corte, modifica l'atto di- scusso in conformità alla richiesta, e la Corte v'imprime il suo visto di registrazione. Ma se l'Amministrazione non ritiene accettabili le osservazioni della Corte, le impone con rito solenne la r e g i s t r a - zione con riserva perchè il documento abbia corso, e la Corte, mentre eseguisce l'ordine, riferisce tutti i casi della specie con elenchi quin- dicinali alle presidenze delle due Camere. Ciascuna Camera ha una Commissione permanente per l'esame dei casi denunciati e per le relative proposte, che si dovrebbero poi tradurre in ordini del giorno non obbligatorii se dal Governo non accettati. La dottrina e la pra- tica dunque non danno argomento per dedurre alcuna traccia di giurisdizionalità, cioè d'impero, di coercizione, degli atti della specie per le due Camere che della podestà sono originariamente investite, e molto meno per la Corte che istruisce i singoli affari iure man- dati. Meditando su questi organismi delicatissimi della sovranità na- zionale* e sul loro funzionamento, si tenderebbe ad assomigliare la Corte dei Conti allo schiavo nomenclator degli antichi romani, in- caricato di segnalare al suo padrone, non solo tutte le persone che lo salutavano per le vie, ma anche tutti i fatti salienti che pote- vano interessare il padrone nella vita. Ciò però non costringeva il padrone a seguire costantemente i consigli del suo zelante domestico. Molte altre osservazioni possono farsi per illustrare conveniente- mente questo gravissimo ed interessante argomento. Il controllo costituzionale degli atti amministrativi è delegato alla Corte perchè essa esamini soltanto se il documento controllato non. sia contrario alle leggi ed ai regolamenti (art. 14 della legge orga- nica). Ma il pubblico crede ad una latitudine quasi sconfinata della
- 543 - funzione dell'alto consesso e tende ad ascrivergli a colpa di debo- lezza, negligenza, insipienza, se non peggio, qualunque fatto anor- male e più o meno losco si verifichi nello svolgimento dei pubblici servizi. D'altro lato la Corte deve combattere aspre battaglie per vincere la riluttanza degli enti pubblici controllati a cooperare leal- mente perchè il controllo si eserciti con obbiettiva serenità e sia fecondo di buoni risultati. Basti questo semplice accenno per dimo- strare come l'educazione dei costumi della burocrazia d'ogni specie, militante, consulente, sindacante, sia molto lontana fra noi da quel- l'ideale strettamente necessario per costituire lo Stato di diritto vagheggiato, finora invano, dagli ideologi tedeschi. Ma anche la funzione della Corte così ristretta diventa ogni giorno più difficile. Perchè si giudichi se un documento ammini- strativo violi o no una legge o un regolamento, occorre che legge e regolamento siano di facile e sicura interpretazione ed applica- zione, o nel loro senso letterale, o col sussidio delle regole d'erme- neutica sancite nei prolegomeni del Cod. civ. Ciò pur troppo si ve- rifica sempre più raramente nella selva selvaggia della legislazione italiana di quest'ultimo quarto di secolo, e nella prima applicazione d'una legge nuova è quasi normale il fenomeno della divergenza di vedute fra la Corte e la competente amministrazione attiva, e si moltiplicano quindi all'infinito i casi delle registrazioni con riserva, attraverso le quali poi si consolida una giurisprudenza per le ne- cessità giornaliere del controllo. Se si correggessero con vigore e con costanza le due anomalie segnalate finora, ne guadagnerebbe il retto funzionamento dei pub- blici servizii. In un più elevato ambiente possono formularsi altre utili osser- vazioni. F r a tre anni la Corte dei Conti del Eegno d'Italia celebrerà il suo giubilèo. Quando fu creata era essa quasi l'unico istituto di controllo, non solo costituzionale, ma anche amministrativo e con- tabile di tutta l'amministrazione militante. La contabilità di Stato si limitava all'accertamento grafico della gestione del bilancio senza assurgere menomamente alle sue cause legali. Lo svolgimento dei fatti amministrativi funzionava quasi automati- camente, ed erano pochissime le amministrazioni centrali che con- trollassero periodicamente con uno stabile corpo d'ispettori i dipen- denti uffici della provincia. Ora invece le ispezioni stabili e straor- dinarie sono moltiplicate e selezionate all'infinito, non solo pel retto funzionamento dei servizi pubblici, ma per l'osservazione sistematica
- 544 — dei più salienti fenomeni sociali. Ora la contabilità di Stato s'è elevata alla dignità di ragioneria e s'è unificata sotto la direzione d'un ministro responsabile ; e v'è da augurarsi che mercè la diffu- sione della scienza attuariale, che comincia ad insegnarsi negli istituti d'istruzione media e superiore del Regno, i ragionieri del prossimo avvenire, degni eredi degli antichi maestri razionali che furon gloria italiana, procedano simultaneamente al controllo delle scritture di bilancio e delle loro cause legali, che sono i fatti am- ministrativi. Ora infine i due rami del parlamento hanno giunte permanenti del bilancio che controllano costituzionalmente anche i fatti amministrativi, specie nella proporzione dei disegni di legge d'approvazione dei conti consuntivi degli esercizi finanziari chiusi. A questa moltiplicazione degli istituti di controllo attivi e spe- cializzati corrisponde in misura anche più forte la moltiplicazione degli enti controllati. Non v'è oramai più alcuna legge nuova che non aggiunga sempre maggiori materie alla competenza dello Stato, il quale per corrispondervi è costretto a creare nuovi uffici centrali e provinciali e gli antichi sbocconcella e suddivide. Oltre ciò il Governo, conscio delle sempre crescenti ed onerose responsabilità che assume, si circonda di consigli consultivi permanenti e tempo- ranei, senza tener conto dell'istituto sintetico dell'avvocatura era- * riale. Da tutto ciò consegue che l'originaria intensificazione del funzionamento del controllo costituzionale della Corte dei Conti si manifesta forse oramai esuberante perchè duplicata con altri con- trolli istituiti nell'interno organamento delle amministrazioni attive. E d'altra parte la Corte, istituto unico costituito sulla falsariga delle esigenze amministrative anteriori al movimento finora prospet- tato, non potrebbe forse far fronte a tutti i bisogni per difetto di potenzialità organica e di specifica competenza, se non a patto di trasformarsi con criterio sincrono a quello dell'evoluzione degli enti controllati. Precorrendo poi col pensiero la traiettoria finale della necessaria evoluzione innovatrice degli istituti statali, si potrebbe forse arrivare fino a concepire un Consiglio di Stato privo delle sue attribuzioni consultive e trasformato in supremo tribunale per la giustizia amministrativa, e la Corte dei Conti, cedute le sue fun- zioni di controllo agli altri istituti che ora in tutto o in parte du plicatamente le esercitano, ritornare alla dignità originaria di supremo giudice di tutti i gestori dei bilanci dello Stato e degli enti minori di diritto pubblico.
- 545 - # Molti problemi comparativamente secondari ma di non lieve im- portanza reclamerebbero, nell'ipotesi d'una revisione della legge i organica sulla Corte dei Conti e dei connessi regolamertti, un'armo- nizzazione, un coordinamento, forse un radicale mutamento di pa- recchi servizii, in analogia agli obbiettivi profondamente mutati nell'organizzazione dei pubblici poteri. Converrebbe, ad esempio, ri- durre ad unica flsonomia le procedure del contenzioso contabile, concedendo a tutti i contabili dello Stato e degli enti autarchici, ivi comprese le opere pie, unico tribunale di prima istanza in una sezione della Corte, concentrando nella Corte plenaria la giurisdi- zione di secondo grado pure per tutti, e riconoscendo nei due gradi l'applicabilità dei rimedi straordinari del giure privato, l'opposizione e la revocazione. Converrebbe forse esonerare la Corte dalla funzione amministrativa di liquidar le pensioni dovute dallo Stato, attribuen- dola ai competenti Ministeri, o meglio a quello del Tesoro, conser- vando alla Corte plenaria la giurisdizione contenziosa dei reclami contro le liquidazioni stesse ; e se a ciò non si volesse addivenire, converrebbe cangiare la giurisprudenza invalsa d'applicare anche al- l'istituto amministrativo delle liquidazioni i canoni del rito giudi- ziario, ivi compreso il rimedio straordinario della revocazione ristretta a pochi casi. Converrebbe ridurre a minima espressione il controllo amministrativo, salvo sempre la registrazione contabile, sui docu- menti cùe spesso costituiscono l'esplicazione grafica di cause legali in precedenza controllate, come il controllo sui mandati emessi in eseguimento di decreti già registrati. Converrebbe escludere dal riscontro e dalla registrazione i decreti emessi nell'esercizio di fa- coltà insindacabili competenti al sovrano o al potere esecutivo, come i decreti d'amnistia, grazia e condono, i decreti di dispense matri- moniali, i decreti concernenti l'esercizio dei diritti di patronato, quelli che riguardano la gestione dei patrimoni o l'esercizio del culto delle chiese palatine, ecc. Trattasi in massima di procedimenti formali oramai privi di contenuto giuridico, o con un contenuto non sindacabile dalla Corte del Conti perchè protetto dalle prerogative succitate. Vi sono però alcuni altri problemi che conviene esaminare con qualche larghezza. L'organismo della Corte dei Conti consta di due parti ben distinte : la magistratura, il personale amministrativo. La magistratura è com- posta : dei presidenti e consiglieri, del procuratore generale, dei re- Riv. di Dir. Pubbl., parte I. — 35.
- 546 - ferendari, del segretario generale. Il personale amministrativo è organizzato come quelli delle altre amministrazioni centrali, dal vo- lontario al capo divisione. I presidenti e consiglieri, per quanto non muniti dell'inamovibi- lità statutaria competente ai magistrati ordinarii, godono tuttavia di una inamovibilità specifica o meglio d'un singultire privilegium fori ad essi derivante dall'art. 4 della legge organica 14 agosto 1862. La predetta disposizione ha un punto notevole. Essa non si riferisce alle nomine del consiglieri, alle promozioni di essi a presidenti di sezione ed alla nomina del presidente generale, i quali provvedi- menti son lasciati alla libera scelta del Sovrano in base a proposta del Consiglio dei Ministri, come si verifica oramai per tutti i fun- zionarii superiori dello Stato. Per quanto tuttavia ristretta alla parte disciplinare, la formula in discorso garantisce efficacemente Pindi- pendenza di questa magistratura contabile, perchè il parere della Commissione speciale all'uopo costituita ha l'autorità d'una sentenza passata in giudicato, ed il decreto reale che vi provvede non è che un decreto formale d'attuazione cancelleresca del succitato parere. Tuttociò è perfettamente analogo all'ordinamento della magistratura ordinaria, alla quale i provvedimenti disciplinari s'applicano con decreti reali conformi, una volta alle sentenze emesse dalla compe- tente Corte di Cassazione di Eoma, ed ora al parere del Consiglio superiore della magistratura. Ma la forinola, su parere conforme d'una commissione dell'art. 4 della legge organica predetta, non fu accet- tata senza contrasto. Kella duplice discussione della detta legge fatta nei due rami del parlamento subalpino nel 1861 e nel 1862, il Governo non propose e non voleva ammettere la detta formula, per quanto vigorosamente propugnata in Senato, ritenendola contraria, se non alla lettera, almeno allo spirito della prerogativa sovrana, risultante dall'art. 6 dello Statuto fondamentale del Eegno. Anzi tal dibattito nella Camera dei deputati diede motivo a Francesco Crispi a sostenere la sua tesi favorita della perfettibilità dello Statuto mercè periodici ritocchi secondo le esigenze dei tempi. Accettata final- mente la forinola, essa fu ristretta ai soli procedimenti disciplinari, escludendone le nomine e le promozioni ; ed essa forinola servì poi di base all'analogo ordinamento adottato, nel 1865, per i magistrati ordinarii. II privilegio finora illustrato non s'estende ai referendarii, né al procuratore generale. Fin dalle origini fece capolino il dualismo fra i referendarii, allora ragionieri, e la magistratura. Proposta dal Go- verno la creazione degli uni e dell'altra, la Commissione parlamen-
— 547 — tare nel 1861, con un controprogetto propose di sopprimere i ra- gionieri ed il procuratore generale e di lasciare che la magistratura fosse composta soltanto di consiglieri. Mala Camera e il Senato ri- pristinarono la proposta ministeriale; e così furono inclusi nella legge organica i ragionieri ed il procuratore generale, non conce- dendo ai primi il privilegio dell'art. 4 della legge, riservato ai soli Consiglieri, per quanto le funzioni di questi ultimi siano in determi- nati casi esercitate anche dai ragionieri. Divenuti essi referendarii sull'esempio dei loro colleghi del Consiglio di Stato, il loro reclu- tamento, per gli ordinamenti attuali, si verifica, non per concorso, ma a scelta fra i Capi Sezione, come per i Capi Divisione. E per ultimo il Procuratore generale non è capo d'un ufficio auto- nomo e collegiale come avviene negli organismi giudiziarii, ma è una persona che delega le sue funzioni, nelle varie sezioni conten- ziose della Corte e nelle assemblee plenarie, ai referendarii all'uopo prescelti. E pur non avendo la generalità d'attribuzioni e il privi- legio dei Consiglieri, è incluso con essi in unico ruolo organico, e se diventa Consigliere, la sua anzianità si computa da quando è nominato Procuratore generale. Trattasi insomma di categorie d'alti funzionari eterogenee per di- versità d'origini e per disparità di funzioni, ed una legge nuova dovrebbe organizzarli ed armonizzarli in modo più consono ai co- muni obiettivi. # Il numeroso personale amministrativo e d'ordine addetto agli uf- fici della Corte è regolato, a sensi dell'art. 6 capoverso 2.° della legge organica, secondo le norme stabilite per le amministrazioni centrali. La loro organizzazione infatti è stata cangiata semprechè cangiavano gli organismi dei Ministeri e con gli stessi criteri. Pel personale della Corte esiste tuttavia una disposizione specia- lissima che in questi ultimi tempi ha creato non poche difficoltà e dubbiezze non ancora completamente superate. L'art. 5 della legge 14 agosto 1862, è così concepito : « Le nomine, promozioni e rimozioni degli impiegati della Corte e dei suoi uffici di riscontro e di revisione sono fatte con Decreto Reale, a relazione del Ministro delle Finanze (ora del Tesoro), sulla proposta della Corte a sezioni riunite ». Per fissare intrinsecamente la posizione del detto articolo nel contenuto attuale della legge organica e delle successive, devesi anzitutto ricordare sinteticamente l'evoluzione storica degli istituti amministrativi italiani fino ad oggi.
- 548 — Nel 1862, continuavano a funzionare in Italia le due giurisdizioni contenziose ereditate dagli organismi degli staterelli preesistenti al giovane Segno; il contenzioso amministrativo a garanzia dei diritti privati lesi dall'esercizio del ius imperii competente alle Ammini- strazioni pubbliche ; il contenzioso giudiziario a salvaguardia dei diritti privati in collisione fra loro. I due contenziosi furono fusi in una sola giurisdizione dalla legge 20 marzo 1865, allegato E, la quale conservava soltanto alcune specialissime giurisdizioni ammini- strative, e fra esse quella contabile competente alla Corte dei Conti. Né prima né dopo la detta legge si pensò a garantire con adeguati rimedii organici di protezione tutti quegli interessi legittimi, quelle legittime aspettative, quei diritti pubblici subiettivi, o diritti atte- nuati, la cui sussistenza e consistenza fu riconosciuta in Italia con la volgarizzazione della scienza tedesca. La vita burocratica, tutta infarcita più di questi pseudo-diritti che di quelli patrimoniali veri e propri, non aveva per essi un giudice, finché l'opportunissima riforma Crispi del 1889, non fece sorgere l'istituto della giustizia amministrativa ; istituto oramai divenuto giurisdizionale con la legge del 1907. Nel 1862, pertanto, mentre tutti gli impiegati dello Stato erano in piena balìa del potere esecutivo per mancanza assoluta di norme fisse nelle nomine e promozioni ed anche nei provvedimenti disci- plinari, l'art. 5 della legge 14 agosto 1862, poneva gli impiegati della Corte dei Conti in una situazione privilegiata al confronto di quella dei colleghi delle Amministrazioni attive, esigendo per essi formali proposte dalla Corte a sezioni riunite per eccitare e lumeg- giare i provvedimenti sovrani amministrativi e disciplinari. Era il preludio al funzionamento di quei Consigli d'Amministrazione e di- sciplina, che ' organizzati dapprima con regolamenti ministeriali di ordine interno, furono stabiliti per tutti con la legge statutaria degli impiegati pubblici, ora testo unico 22 novembre 1908, n. 693. Qual valore ebbe l'art. 5 della legge sulla Corte dei Conti dal 1862 al 1889, e qual valore conserva attualmente 1 Due scuole stanno a fronte dell'argomento, che si presenta arduo e non ancora autore- volmente risoluto. Considerato astrattamente, l'intervento della Corte dei Conti con le sue proposte legislativamente prescritte, nelle vicende liete o tristi dei suoi funzionari, dovrebbe esser classificato fra gli atti prepara- tore d'un provvedimento amministrativo, sintetizzato nel Decreto Eeale che si emana su proposta del Ministro responsabile del Te- soro. E come atto preparatorio, o d'istruttoria, non solo esso non
— 549 — potiebbe aver forza di provvedimento definitivo, ma alle sue con- clusioni non potrebbero essere vincolate le deliberazioni del prov- vedimento vero e proprio, il Decreto Beale, nò le proposte del Mi- nistro del Tesoro all'autorità sovrana. Sembra a molti che questa opinione non sia accettabile, giacché il motivo intrinseco della disposizione legislativa in discussione con- sisterebbe, secondo essi, nel garantire agli impiegati della Corte la soggezione assoluta alla Corte stessa e la loro immunità da qua- lunque contatto col potere esecutivo, come conseguenza logica e pre- sidio sussidiario efficacissimo all'indipendenza della magistratura garantita dell'art. 4 della legge organica predetta. Per questa ra- gione diretta, ed anche per l'intervento della Corte plenaria, la quale esercita funzioni in prevalenza giurisdizionali, fa d'uopo conchiudere che il Decreto Beale, su relazione del Ministro del Tesoro, che san- ziona la proposta della Corte, dev'essere conforme alla detta pro- posta, come se ne hanno altri esempi nella nostra legislazione am- ministrativa. Molteplici obiezioni a questo postulato si presentano dai fautori della soluzione più liberale. Il parere della Corte prescritto dall'ar- ticolo 5 della legge organica non è atto giurisdizionale, ma parte d'un complesso atto amministrativo, che consta della proposta stessa della relazione del Ministro del Tesoro, del Decreto Beale: se v'è legame estrinseco di questi tre atti fra loro, non è indispensabile che vi sia legame intrinseco di conformità dei due ultimi atti al primo. Ammettendo poi che la proposta della Corte plenaria fosse un atto giurisdizionale, si dovrebbe esso esplicare, non con decreto reale, ma con sentenza della Corte stessa eseguibile coattivamente erga omnus, come tutti gli atti di contenzioso amministrativo alla Corte competenti; atti che non possono essere moltiplicabili per giuri- sprudenza, perchè sono quelli tassativamente designati nell'art. 12, della legge 20 marzo 1865, sul contenzioso amministrativo. Né per interpretazione d'un articolo di legge si può stabilire la conformità d'un decreto del potere esecutivo, di cui il Re è. la più alta espres- sione, ad un parere di sua natura consultivo, per quanto legislati- vamente prescritto, ma occorre che la legge stessa prescriva in modo esplicito la conformità del decreto alla proposta. Nell'ipotesi in di- scorso la dimostrazione contraria scaturisce limpidamente dal con- fronto fra l'art. 4 e l'art. 5 della legge 14 agosto 18G2 ; dappoiché, mentre l'art. 4 prescrive la conformità dei decreti reali riflettenti la magistratura della Corte ai pareri della Commissione speciale all'uopo istituita, l'art. 5 non prescrive tal conformità \)el caso ivi prospet-
— 550 - tato, ne è lecito prescriverla per illazione, in argomento d'impor- tanza infinitamente minore del primo. E per ultimo è pericoloso pre- supporre limiti e garanzie che le leggi non prescrivono, giacché per garantire il libero funzionamento di parti secondarie d'un complesso organismo, si correrebbe l'alea di limitare l'indipendenza e la sovra- nità statutaria del potere esecutivo. La controversia rimase latente fino al 1889. Creata però in quel- Panno la giustizia amministrativa, e data con ciò tutela, fra l'altro, ai legittimi interessi dei funzionimi dello Stato, si svolse dinanzi alla Sezione IV del Consiglio di Stato una giurisprudenza fluttuante fra i due termini suddesignati ; giurisprudenza complicata con un nuovo elemento perturbatore. Con una prima decisione 8 febbraio 1895, su ricorso Nati, si co- minciò dall'ammettere timidamente che il Ministro del Tesoro po- tesse non dar corso alle proposte della Corte da lui ritenute non conformi alle leggi, massime a quella del bilancio; ammettendo però ex converso che non potesse proporre al Re un provvedimento dif- forme da quello dalla Corte presentato. Un salto abbastanza violento verso la tesi, più restrittiva è se- gnalato dalle due decisioni identiche della Sezione IY del Consiglio di Stato in data 19 giugno 1903 sui ricorsi Buono e Pastore. Ivi è affermato che le due funzioni prevalenti della Corte dei Conti sono la costituzionale e la giurisdizionale; che non può perciò parlarsi di funzioni amministrative, perchè la Corte è uno istituto superiore e quindi estraneo all'organizzazione amministrativa; che se da una parte deve ritenersi aver la Corte, per l'art. 5 della sua legge or- ganica, podestà assoluta sul suo personale, e non essere i decreti del potere esecutivo che atti formali per necessità conformi alle pro- poste della Corte, d'altra parte proposte e decreti, se conformi, non essendo atti amministrativi, non sono soggetti alla competenza della IV sezione. Le dette decisioni produssero due risultati. La scienza si pro- nunciò concordemente contraria ad affermazioni tanto eccessive, e ne sono una prova, fra l'altro, le note d'aspra ed analitica censura pubblicate in parecchi periodici, specie La Legge e la Giurisprudenza italiana dell'anno 1903. La Corte dei Conti però nel 6 aprile 1906, approvò e concretò in i)ochi articoli le norme di procedura per le decisioni da prendersi dalla Corte stessa in assemblea plenaria sui reclami dei suoi impiegati, concernenti questioni di personale e prov- vedimenti disciplinari. Con quest'atto solenne l'alto consesso mani- festò evidentemente il proposito di dedurre dalle decisioni finora
— 551 — illustrate due conseguenze capitali : affermare, cioè, il principio della conformità indispensabile dei decreti reali riguardanti il personale della Corte dei Conti alle proposte della Corte plenaria prescritte dall'art. 5 della sua legge organica; affermare, l'altro principio del- l'incompetenza della IV sezione del Consiglio di Stato, e quindi della competenza esclusiva della Corte sui reclami della specie. Quasi contemporaneamente, ossia nel 25 febbraio 1906 sovra un reclamo straordinario al Re inoltrato dall'impiegato della Corte dei Conti sig. Santangelo, le sezioni unite del Consiglio di Stato si pro- nunciarono recisamente in favore della tesi diametralmente opposta a quella propugnata dalla Corte dei Conti e dalla IV sezione dello stesso Consiglio. E la nuova massima fu accolta dalla I V sezione, che così cangiò giurisprudenza, con la decisione 11 luglio 1907 sul ricorso Piermartini. Notevole, in queste due identiche evoluzioni del Consiglio di Stato in diversa sede, è la circostanza che mentre l'alto consesso afferma la piena libertà del Ministro del Tesoro di non dar corso a proposte della Corte, concernenti il suo personale, che egli non ritenga conformi alle leggi; ed afferma anche la competenza della IV sezione sull'argomento; viceversa non si pronuncia sull'in- terpretazione dell'art. 5 della legge organica, se cioè il Re. su con- forme relazione del Ministro del Tesoro, possa dar corso a provve- dimenti non conformi alle proposte della Corte. Acuito così il dissidio fra il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti per un principio fondamentale del funzionamento della Corte stessa, s'imponeva la necessità di farlo cessare con una manifesta- zione inoppugnabile d'imperio per parte dello Stato, sia sotto forma di decisione della Cassazione romana in sede di conflitto, sia più propriamente con una legge, per la gravità del problema che si trat- tava di risolvere. E la legge intervenne e diede causa vinta alla Corte dei Conti sul punto della competenza a decidere sui reclami. L'art. 28 della legge 25 giugno 1909, n." 290, sullo stato giuridico degli impiegati civili (ora art. 58 de! testo unico 22 novembre successivo n. 693) è così concepito: « Nulla è innovato alle leggi sull'ordinamento giudiziario, sul « Consiglio di Stato, sull'istruzione pubblica, sui lavori pubblici, « sulle avvocature erariali, sull'ordinamento dell'esercizio di Stato « delle ferrovie non concesse alle imprese private, sulle pensioni « civili e militari, e alle altre leggi speciali, in quanto contengono di- « sposizioni diverse o contrarie al presente testo unico. « La Corte dai Conti a sezioni unite provvederà con regolamento
— 552 — « a termini della legge 14 agosto 1862, n. 800, all'ordinamento dei « suoi servizi ed alle norme disciplinari pel proprio personale. Prov- « vederà pure alla definizione in forma contenziosa di tutti i reclami « dei suoi impiegati ». L'interpretazione di quest'articolo non può essere che letterale, non essendo stato esso illustrato in alcuna guisa coi documenti e con le discussioni parlamentari. Interpretato letteralmente, esso consta di tre partr distinte; la prima, generica, comprende anche la Corte dei Conti ; le altre due, specialissime, costituiscono per la Corte un ius singultire. Fra le leggi speciali indicate nel primo comma del detto articolo deve includersi necessariamente la legge organica sulla Corte dei Conti. E così essa impera,, anche dopo la legge sullo stato giuri- dico, in tutte le parti diverse o contrarie a quest'ultima legge. Sotto quest'aspetto continua ad aver vigore l'art. 5, della legge organica della Corte, qualunque sia il suo significato. Nel secondo comma dell'art. 58, surriportato, esistono due dispo- sizioni distinte. Con la prima si conferisce alla Corte la podestà di disporre con regolamento l'ordinamento dei suoi servizi e le norme disciplinari pel proprio personale. La detta podestà, tutta regola- mentare nei limiti delle leggi vecchie e nuove, non è che il dupli- - cato di quella conferita al Presidente con l'art. 50, 2.° comma della legge organica della Corte. La seconda disposizione investe la Corte d'un vero e proprio man- dato legislativo, di provvedere alla definizione, in forma contenziosa, di tutti i reclami degli impiegati della Corte. La prima podestà è stata esaurita col regolamento sul personale, approvato dalla Corte plenaria e reso esecutorio dal suo presidente in data 16 giugno 1909. Non ci fermeremo a discuterlo, essendo esso sostanzialmente quasi conforme alla legge sullo stato giuridico ed al suo regolamento. Occorre però notare la circostanza che, con questo provvedimento amministrativo d'altissimo significato, pare si sia voluto implicitamente ed unilateralmente risolvere il problema dell'interpretazione da darsi all'art. 5 della legge organica della Corte, dalla giurisprudenza finora non risoluta. L'art. l.° in fatti del Regolamento in discorso riproduce letteralmente l'art. 5 della legge 14 agosto 1862, del quale si vuol così implicitamente confermare la sussistenza e l'imperio. E nell'ulteriore svolgimento delle norme e procedure organiche e disciplinari il regolamento si occupa d'ordinanze presidenziali, di deliberazioni della Corte plenaria, anche nei casi in cui il provve-
— 553 — dimento deve essere integrato col decreto reale, senza contemplare menomamente quest'ultimo e senza assegnargli il posto che gli dovrà competere nella nuova organizzazione amministrativa. La seconda ed ultima podestà speciale, costituente il vero e pro- prio mandato legislativo, non è ancora esaurita. Probabilmente la Corte riprodurrà, più o meno variata, la sua deliberazione 6 aprile 1906, sulla procedura dei reclami, lasciando alla futura giurisprudenza la risoluzione di qualunque problema sul grave argomento. Ne vogliamo j>recorrere gli avvenimenti. Ad ogni modo trattan- dosi d'istituto di prossima nascita, potremmo anticipare alquanto le funzioni dell'ufficiale di stato civile, o più propriamente della leva- trice, per certificarne il sesso. Sotto quest'aspetto, non pare che si tratti d'un nuovo caso di con- tenzioso amministrativo da aggiungersi a quelli che competono alla Corte. A questi della Corte, come a tutti gli altri impiegati dello Stato, posson riconoscersi soltanto, nell'esercizio delle loro funzioni, diritti pubblici subiettivi non sussidiati da un'azione vera e propria. Essi, perciò, come gli altri, sono soggetti alla giustizia amministra- tiva, e per essi esclusivamente si crea uno specialissimo organismo della stessa specie ad un solo anno di distanza dalla pubblicazione della legge che dava la giurisdizionalità, e per conseguenza l'uni- versalità, alle due sezioni del Consiglio di Stato. Questo provvedimento apparisce serotino in un momento giuri- dico in cui i funzionari della Corte, come gli altri loro colleghi, sono sufficientemente provvisti di garanzie contro le presunte so- praffazioni del potere esecutivo: ad esempio, ruoli organici, esami, leggi regolatrici dello svolgimento delle rispettive carriere, consigli d'amministrazione e di disciplina, tribunali per i reclami, ecc.: e nella sua sostanza si presenta privo di contenuto. Ciò senza rilevare quali saranno in avvenire le funzioni delle se- zioni unite della Corte, molteplici e contradditorie in un , solo ar- gomento. La questione gravissima è, dunque, tutt'altro che risoluta, e forse s'imporrà a breve scadenza l'obbligo di risolverla legislativamente. * Conchiuderemo questo sintetico e fuggevole studio richiamando i concetti esposti nel proemio. La distinzione dei poteri della sovra- nità e delle dipendenti organizzazioni di diritto pubblico si mate- rializza in una severa delimitazione di competenze, mercè cui i con-
- 554 — tatti non potranno mai degenerare in attriti, né la cooperazione potrà mai cangiarsi in sopraffazione. Questa legge di gravitazione, che collega fra loro in poderosa sintesi tutti gli organismi dello Stato, tanto più è applicabile alla Corte dei Conti, quanto più essa trovasi a contatto con tutti gli organi dell'amministrazione militante. Sarà così possibile la coesistenza ed il coordinato dinamismo dei pubblici poteri, applicando ad essi la gran legge economica del mi- nimo mezzo.
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