L'organizzazione dei pubblici poteri in Italia e la Corte dei Conti

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L'organizzazione dei pubblici poteri in Italia e la Corte dei Conti
                                     NOTA M

                      GIOVANNI S O L I N A S COSSU
                        Consigliere della Corte dei Conti

   Xel caotico svolgimento della vita pubblica degli Stati moderni,
massime di quelli non ancora assestati su basi granitiche di leggi
secolari e di costumi profondamente penetrati nella coscienza delle
maggioranze, continuano a star di fronte, poderosamente armati, giron-
dini e giacobini, come negli epici tempi della grande rivoluzione
francese. Le leggi austere di protezione e rispetto a tutte le libertà
individuali e familiari cedono oramai terreno in tutti i campi del-
Fattività sociale, sopraffatta da non meno impellenti e molteplici
necessità dapprima ignorate o poco avvertite. Una scienza nuova ed
appena nata alla fine del secolo 18.° come propaggine della filosofia
degli enciclopedisti, l'Economia politica, acquistò tutta la sua viri-
lità nel secolo 19.° e in questi primi anni del 20.°, dando coscienza
di diritti e chiara visione di bisogni ad infinite classi di proletari.
I canoni nuovissimi, penetranti in tutti i meati più reconditi del
giure pubblico e privato, alterano, massime in Italia, la purità delle
classiche lineo del diritto romano e creano una legislazione barocca
e piena di curve, forse affrettata e frammentaria, ma tendente a pe-
netrare di giorno in giorno profondamente nella coscienza delle masse,
che dalle oscurità del sottosuolo sociale assurgono così a respirare
e rifarsi i polmoni nell'aria ossigenata della vita pubblica.
   Una parte, che non è certo la minore, di questa legislazione no-
vissima è dedicata per necessità di cose a creare l'armamentario
procedurale per l'esecuzione delle dette leggi, sotto forma d'organismi
nuovi, di trasformazione radicale degli organismi antichi, d'attribu-
zioni nuove da sovrapporre a quelle in atto esistenti. L'accresciuta
quantità o il variato modo d'essere degli istituti ed uffici ammini-
strativi consiglia da un lato di separare il ramo rigoglioso della scienza
dell'amministrazione dal vecchio tronco del giure amministrativo, e
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dall'altra parte rende indispensabile nei trattati dell'uno e dell'altro
corpo di dottrine un ponderoso proemio dedicato esclusivamente alle
organizzazioni, variabili d'anno in anno in ogni paese, variabilissime
da un paese all'altro.
   La pleiade sempre crescente e rinnovantesi degli organi ammini-
strativi d'uno Stato si svolge con leggi della dinamica sociale, per
mantenere innocui i contatti degli organi fra loro e per assurgere,
col sincronismo dei singoli movimenti, all'unicità e regolarità di
moto del complesso ma unico organismo dello Stato. Tutte queste
leggi minori, di carattere biologico, partecipano tuttavia della ferrea
e matematica natura delle leggi fisiche, dal cui impero le moli im-
mense dei pianeti son costrette a moversi entro orbita determinata
e costituire i sistemi planetarii attorno alle stelle fìsse. La legge
suprema dei contatti organici è quella delle competenze, governata
dai codici procedurali nell'ordinamento giudiziario civile e penale,
applicata giudiziariamente o gerarchicamente da organismi superiori
nei conflitti fra uffici pubblici a fisonomia omogenea o disparata,
devoluta finalmente a giurisdizioni speciali di giustizia amministra-
tiva nell'urto dei contatti fra gli organismi pubblici ed i singoli cit-
tadini.
   Quest'assetto nuovissimo, più economico che giuridico, dei pub-
blici servizi, che col collettivo loro dinamismo caratterizzano e quindi
costituiscono l'intima struttura degli Stati moderni, è determinato
in prevalenza dalla scala indefinitamente moltiplicantesi dei bisogni
di tutte le classi sociali, che ne chiedono alla podestà centrale dello
Stato il pieno soddisfacimento. Le classi dirigenti che gli Stati go-
vernano non possono sottrarsi all'influenza dell'ambiente in cui vi-
vono, e traducendo gradatamente in leggi le tendenze nuove, pon-
gono a poco a poco nel dimenticatoio le teorie politico-economiche
tenute finora in onore, come ad esempio il decentramento ed il self-
gouvernement, la superiorità dei governi che costano meno, la natu-
ralità e la generalizzazione territoriale delle leggi economiche, ecc.
   Trattasi di tendenze, irresistibili se vuoisi, perchè riscuotono il
consenso di forti maggioranze, ma pur sempre tendenze, le quali
non in tutto il mondo passano senza contrasto. E di ciò si ha una
prova riflessa, tanto nella scienza che non rispecchia con precisione
matematica e senza titubanze le moderne teorie, quanto nelle leggi
più imprecise e più oscillanti della stessa scienza.
   In posto eminente fra gli istituti amministrativi italiani funziona,
come d'altronde nella gran maggioranza degli Stati moderni, l'an-
tica e gloriosa Corte dei Conti, sulla quale molto s'è discusso in
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questi ultimi   anni   e non   sempre    con moderazione   serena   ed
obiettiva.
                                  *

   La Corte dei Conti del Begno d'Italia nacque, sulle rovine delle
Corti funzionanti negli antichi staterelli scomparsi, per la legge
14 agosto 1862, n. 800, la quale costituisce pur sempre la ragion
d'essere e la fonte giuridica di quest'istituto, per quanto le materie
di sua competenza siano enormemente cresciute e siano diventate
anche più complesse e più varie. Gli art. 10 a 20 della detta legge
enumerano tassativamente le materie d'attribuzione della Corte, alle
quali s'aggiungono alcune altre a lei attribuite con leggi speciali
senza alterare però la consistenza giuridica delle sue origini.
   Non occorre confrontare, con facile erudizione di diritto comparato,
la Corte dei Conti italiana con gli analoghi istituti esistenti nei di-
versi Stati dell'Europa civile. Oramai è risaputo che la nostra Corte
ha una fisonomia propria, perchè non è identica ad alcuno degli isti-
tuti congeneri, ma ritrae le caratteristiche più salienti dell'istituto
francese (magistratura contabile) e di quello belga (riscontro delle
entrate e delle spese). Ne si potrebbe discutere, in previsione di
futuri provvedimenti legislativi, se e quali evoluzioni sarebbe utile *
imprimere alla Corte italiana, essendo esse per necessità di cose as-
solutamente subordinate alle evoluzioni degli uffici pubblici da lei
controllati.
   La classica divisione dei poteri della sovranità, che corre sotto
il nome del Montesquieu, con la conseguente classificazione dei ser-
vizi pubblici, è oramai diventata distinzione dei poteri, o meglio delle
competenze, che non altera l'unità della podestà sovrana ma ne fa-
cilita lo svolgimento. Da questa evoluzione nella legge fondamentale
del diritto pubblico, statutario ed amministrativo, molti organismi
possono avere fisonomia complessa e mista di funzioni anche etero-
genee, senza alterare l'armonia dei contatti, purché ogni funzione
si evolva entro i confini della propria specie.
   Alla stregua di cosiffatti principii la Corte dei Conti italiana può
dirsi un istituto giurisdizionale, amministrativo o misto? Nessuno
nega la giurisdizionalità della Corte nella sua qualità di magistra-
tura contabile, essendo questa funzione un residuo del contenzioso
amministrativo, espressamente conservato, con la competenza d'ap-
pello in materia di pensioni, dall'art. 12 della legge 20 marzo 1865
n. 2248 ali. E. Da ciò però non si deduce che la Corte abbia unità
giurisdizionale analoga a quella delle Corti di Cassazione, sebbene
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 vi sia ancora una scuola, esigua a dir vero di numero, che, ispiran-
 dosi al giure pubblico francese, propugni il detto principio. È vero
che anche le sezioni della Corte che esercitano il riscontro degli
atti del potere esecutivo, ius dicunt, perchè esaminano se negli atti
 stessi esista violazione di leggi. Ma anche i giuristi dottrinàrii ius
dicunt) per quanto non esercitino giurisdizione, la quale consiste nel
ius dicere con formula d'imperio coercitiva erga omnes e munita
 d'effetti giuridici e patrimoniali permanenti. Ciò avvertito, se ne
 deve logicamente conchiudere che, mentre la Corte è magistrato
giurisdizionale entro la cerchia contabile, non esercita giurisdizione
in tutte le altre materie alla sua competenza devolute, specie nel
 riscontro costituzionale.
    Esaminando più profondamente quest'ultima funzione, oscilla la
dottrina e la giurisprudenza ancora fra il ritenerla come una pro-
paggine del potere legislativo, oppure come una varietà della vasta
 categoria delle funzioni di controllo amministrativo. Alcuni fra i
vecchi trattatisti di diritto costituzionale ed alcuni fra i vecchi com-
mentatori dalla legge sulla Corte opinarono, in base alle tradizioni
inglese e belga, esercitare quest'alto consesso la podestà sindaca-
toria sugli atti del potere esecutivo come mandatario dei due rami
del Parlamento, ai quali compete esclusivamente la compartecipa-
zione al potere legislativo. E tale dottrina, sebbene quasi tramon-
tata, ebbe eco nel 1903 in due classiche decisioni della Quarta
Sezione del Consiglio di Stato. In base però alla mutata legge fonda-
mentale della distinzione dei poteri sovrani, la scuola oramai pre-
valente, pur non combattendo la delegazione dei due rami del Par-
lamento come substrato giuridico della podestà sindacatoria della
Corte dei Conti, nega però che la detta delegazione sia da ascri-
versi nella cerchia del potere legislativo e la classifica senz'altro
fra le funzioni amministrative. Astraendo infatti dai subbietti di
questo ius singulare ed esaminando oggettivamente il grave problema,
si deduce che la podestà sindacatoria degli atti del potere esecu-
tivo appartiene a ciascuna delle Camere come prerogativa propria,
senza obbligo d'esercitarla in comune e con unico risultato; che
inoltre a questa podestà, separatamente o congiuntamente esercitata,
non partecipa il Re per mezzo dei suoi Ministri responsabili; che
infine essa non ha per finalità una legge imperativa erga omnes, ma
uno e spesso due ordini del giorno, forse anche contradditori per uno
stesso argomento, dei quali la dottrina e la pratica non hanno fi-
nora dimostrato l'obbligatorietà per lo stesso potere esecutivo sin-
dacato. Mancando, dunque, gli elementi per far classificare il sinda-
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cato in esame nell'orbita degli atti del potere legislativo, e non
appartenendo esso evidentemente all'ordine giudiziario, se ne deve
concliiudere favorevolmente alla sua classificazione nella nostra ca-
tegoria delle funzioni amministrative, le quali non contraddicono
alla natura ed al modo d'essere di ciascuna delle due Camere le-
gislative singolarmente considerate.
   Ma pur considerando amministrativa la funzione sindacatoria pre-
detta, sarà essa giurisdizionale? La risposta negativa pare discenda
a stretto rigore dalla premessa. La Corte dei Conti, mandataria delle
due Camere, esamina tutti i documenti amministrativi e contabili
emanati dallo Stato nell'esercizio delle sue funzioni- enormemente
svariate e molteplici e ne segnala all'Amministrazione emittente t u t t e
le manchevolezze e tutte le difformità dalle leggi imperanti. Se l'Am-
ministrazione attiva, come conclusione del dibattimento intervenuto,
riconosce l'attendibilità del rilievo della Corte, modifica l'atto di-
 scusso in conformità alla richiesta, e la Corte v'imprime il suo visto
 di registrazione. Ma se l'Amministrazione non ritiene accettabili le
 osservazioni della Corte, le impone con rito solenne la r e g i s t r a -
 zione con riserva perchè il documento abbia corso, e la Corte, mentre
 eseguisce l'ordine, riferisce tutti i casi della specie con elenchi quin-
 dicinali alle presidenze delle due Camere. Ciascuna Camera ha una
 Commissione permanente per l'esame dei casi denunciati e per le
 relative proposte, che si dovrebbero poi tradurre in ordini del giorno
 non obbligatorii se dal Governo non accettati. La dottrina e la pra-
 tica dunque non danno argomento per dedurre alcuna traccia di
 giurisdizionalità, cioè d'impero, di coercizione, degli atti della specie
 per le due Camere che della podestà sono originariamente investite,
 e molto meno per la Corte che istruisce i singoli affari iure man-
 dati. Meditando su questi organismi delicatissimi della sovranità na-
 zionale* e sul loro funzionamento, si tenderebbe ad assomigliare la
 Corte dei Conti allo schiavo nomenclator degli antichi romani, in-
 caricato di segnalare al suo padrone, non solo tutte le persone che
 lo salutavano per le vie, ma anche tutti i fatti salienti che pote-
 vano interessare il padrone nella vita. Ciò però non costringeva il
 padrone a seguire costantemente i consigli del suo zelante domestico.
   Molte altre osservazioni possono farsi per illustrare conveniente-
mente questo gravissimo ed interessante argomento.
   Il controllo costituzionale degli atti amministrativi è delegato alla
Corte perchè essa esamini soltanto se il documento controllato non.
sia contrario alle leggi ed ai regolamenti (art. 14 della legge orga-
nica). Ma il pubblico crede ad una latitudine quasi sconfinata della
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funzione dell'alto consesso e tende ad ascrivergli a colpa di debo-
lezza, negligenza, insipienza, se non peggio, qualunque fatto anor-
male e più o meno losco si verifichi nello svolgimento dei pubblici
servizi. D'altro lato la Corte deve combattere aspre battaglie per
vincere la riluttanza degli enti pubblici controllati a cooperare leal-
mente perchè il controllo si eserciti con obbiettiva serenità e sia
fecondo di buoni risultati. Basti questo semplice accenno per dimo-
strare come l'educazione dei costumi della burocrazia d'ogni specie,
militante, consulente, sindacante, sia molto lontana fra noi da quel-
l'ideale strettamente necessario per costituire lo Stato di diritto
vagheggiato, finora invano, dagli ideologi tedeschi.
   Ma anche la funzione della Corte così ristretta diventa ogni
giorno più difficile. Perchè si giudichi se un documento ammini-
strativo violi o no una legge o un regolamento, occorre che legge
e regolamento siano di facile e sicura interpretazione ed applica-
zione, o nel loro senso letterale, o col sussidio delle regole d'erme-
neutica sancite nei prolegomeni del Cod. civ. Ciò pur troppo si ve-
rifica sempre più raramente nella selva selvaggia della legislazione
italiana di quest'ultimo quarto di secolo, e nella prima applicazione
d'una legge nuova è quasi normale il fenomeno della divergenza
 di vedute fra la Corte e la competente amministrazione attiva, e si
 moltiplicano quindi all'infinito i casi delle registrazioni con riserva,
attraverso le quali poi si consolida una giurisprudenza per le ne-
cessità giornaliere del controllo.
    Se si correggessero con vigore e con costanza le due anomalie
segnalate finora, ne guadagnerebbe il retto funzionamento dei pub-
blici servizii.
   In un più elevato ambiente possono formularsi altre utili osser-
vazioni.
   F r a tre anni la Corte dei Conti del Eegno d'Italia celebrerà il
suo giubilèo. Quando fu creata era essa quasi l'unico istituto di
controllo, non solo costituzionale, ma anche amministrativo e con-
tabile di tutta l'amministrazione militante. La contabilità di Stato
si limitava all'accertamento grafico della gestione del bilancio senza
assurgere menomamente alle sue cause legali.
    Lo svolgimento dei fatti amministrativi funzionava quasi automati-
camente, ed erano pochissime le amministrazioni centrali che con-
trollassero periodicamente con uno stabile corpo d'ispettori i dipen-
denti uffici della provincia. Ora invece le ispezioni stabili e straor-
dinarie sono moltiplicate e selezionate all'infinito, non solo pel retto
funzionamento dei servizi pubblici, ma per l'osservazione sistematica
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 dei più salienti fenomeni sociali. Ora la contabilità di Stato s'è
 elevata alla dignità di ragioneria e s'è unificata sotto la direzione
 d'un ministro responsabile ; e v'è da augurarsi che mercè la diffu-
 sione della scienza attuariale, che comincia ad insegnarsi negli
 istituti d'istruzione media e superiore del Regno, i ragionieri del
 prossimo avvenire, degni eredi degli antichi maestri razionali che
 furon gloria italiana, procedano simultaneamente al controllo delle
 scritture di bilancio e delle loro cause legali, che sono i fatti am-
 ministrativi. Ora infine i due rami del parlamento hanno giunte
 permanenti del bilancio che controllano costituzionalmente anche i
 fatti amministrativi, specie nella proporzione dei disegni di legge
 d'approvazione dei conti consuntivi degli esercizi finanziari chiusi.
    A questa moltiplicazione degli istituti di controllo attivi e spe-
 cializzati corrisponde in misura anche più forte la moltiplicazione
degli enti controllati. Non v'è oramai più alcuna legge nuova che
 non aggiunga sempre maggiori materie alla competenza dello Stato,
il quale per corrispondervi è costretto a creare nuovi uffici centrali
e provinciali e gli antichi sbocconcella e suddivide. Oltre ciò il
Governo, conscio delle sempre crescenti ed onerose responsabilità
che assume, si circonda di consigli consultivi permanenti e tempo-
ranei, senza tener conto dell'istituto sintetico dell'avvocatura era- *
riale. Da tutto ciò consegue che l'originaria intensificazione del
funzionamento del controllo costituzionale della Corte dei Conti si
manifesta forse oramai esuberante perchè duplicata con altri con-
trolli istituiti nell'interno organamento delle amministrazioni attive.
   E d'altra parte la Corte, istituto unico costituito sulla falsariga
delle esigenze amministrative anteriori al movimento finora prospet-
tato, non potrebbe forse far fronte a tutti i bisogni per difetto di
potenzialità organica e di specifica competenza, se non a patto di
trasformarsi con criterio sincrono a quello dell'evoluzione degli enti
controllati. Precorrendo poi col pensiero la traiettoria finale della
necessaria evoluzione innovatrice degli istituti statali, si potrebbe
forse arrivare fino a concepire un Consiglio di Stato privo delle
sue attribuzioni consultive e trasformato in supremo tribunale per
la giustizia amministrativa, e la Corte dei Conti, cedute le sue fun-
zioni di controllo agli altri istituti che ora in tutto o in parte du
plicatamente le esercitano, ritornare alla dignità originaria di supremo
giudice di tutti i gestori dei bilanci dello Stato e degli enti minori
di diritto pubblico.
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                                           #

  Molti problemi comparativamente secondari ma di non lieve im-
portanza reclamerebbero, nell'ipotesi d'una revisione della legge
                                                                  i

organica sulla Corte dei Conti e dei connessi regolamertti, un'armo-
nizzazione, un coordinamento, forse un radicale mutamento di pa-
recchi servizii, in analogia agli obbiettivi profondamente mutati
nell'organizzazione dei pubblici poteri. Converrebbe, ad esempio, ri-
durre ad unica flsonomia le procedure del contenzioso contabile,
concedendo a tutti i contabili dello Stato e degli enti autarchici,
ivi comprese le opere pie, unico tribunale di prima istanza in una
sezione della Corte, concentrando nella Corte plenaria la giurisdi-
zione di secondo grado pure per tutti, e riconoscendo nei due gradi
l'applicabilità dei rimedi straordinari del giure privato, l'opposizione
e la revocazione. Converrebbe forse esonerare la Corte dalla funzione
amministrativa di liquidar le pensioni dovute dallo Stato, attribuen-
dola ai competenti Ministeri, o meglio a quello del Tesoro, conser-
vando alla Corte plenaria la giurisdizione contenziosa dei reclami
contro le liquidazioni stesse ; e se a ciò non si volesse addivenire,
converrebbe cangiare la giurisprudenza invalsa d'applicare anche al-
l'istituto amministrativo delle liquidazioni i canoni del rito giudi-
ziario, ivi compreso il rimedio straordinario della revocazione ristretta
a pochi casi. Converrebbe ridurre a minima espressione il controllo
amministrativo, salvo sempre la registrazione contabile, sui docu-
menti cùe spesso costituiscono l'esplicazione grafica di cause legali
in precedenza controllate, come il controllo sui mandati emessi in
eseguimento di decreti già registrati. Converrebbe escludere dal
riscontro e dalla registrazione i decreti emessi nell'esercizio di fa-
coltà insindacabili competenti al sovrano o al potere esecutivo, come
i decreti d'amnistia, grazia e condono, i decreti di dispense matri-
moniali, i decreti concernenti l'esercizio dei diritti di patronato,
quelli che riguardano la gestione dei patrimoni o l'esercizio del
culto delle chiese palatine, ecc. Trattasi in massima di procedimenti
formali oramai privi di contenuto giuridico, o con un contenuto non
 sindacabile dalla Corte del Conti perchè protetto dalle prerogative
succitate.
   Vi sono però alcuni altri problemi che conviene esaminare con
qualche larghezza.
   L'organismo della Corte dei Conti consta di due parti ben distinte :
la magistratura, il personale amministrativo. La magistratura è com-
posta : dei presidenti e consiglieri, del procuratore generale, dei re-
   Riv. di Dir. Pubbl.,   parte I. — 35.
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 ferendari, del segretario generale. Il personale amministrativo è
 organizzato come quelli delle altre amministrazioni centrali, dal vo-
lontario al capo divisione.
    I presidenti e consiglieri, per quanto non muniti dell'inamovibi-
lità statutaria competente ai magistrati ordinarii, godono tuttavia
 di una inamovibilità specifica o meglio d'un singultire privilegium
fori ad essi derivante dall'art. 4 della legge organica 14 agosto 1862.
 La predetta disposizione ha un punto notevole. Essa non si riferisce
 alle nomine del consiglieri, alle promozioni di essi a presidenti di
 sezione ed alla nomina del presidente generale, i quali provvedi-
 menti son lasciati alla libera scelta del Sovrano in base a proposta
 del Consiglio dei Ministri, come si verifica oramai per tutti i fun-
 zionarii superiori dello Stato. Per quanto tuttavia ristretta alla parte
 disciplinare, la formula in discorso garantisce efficacemente Pindi-
 pendenza di questa magistratura contabile, perchè il parere della
 Commissione speciale all'uopo costituita ha l'autorità d'una sentenza
 passata in giudicato, ed il decreto reale che vi provvede non è che
 un decreto formale d'attuazione cancelleresca del succitato parere.
 Tuttociò è perfettamente analogo all'ordinamento della magistratura
 ordinaria, alla quale i provvedimenti disciplinari s'applicano con
 decreti reali conformi, una volta alle sentenze emesse dalla compe-
 tente Corte di Cassazione di Eoma, ed ora al parere del Consiglio
 superiore della magistratura. Ma la forinola, su parere conforme d'una
 commissione dell'art. 4 della legge organica predetta, non fu accet-
 tata senza contrasto. Kella duplice discussione della detta legge
fatta nei due rami del parlamento subalpino nel 1861 e nel 1862, il
 Governo non propose e non voleva ammettere la detta formula, per
 quanto vigorosamente propugnata in Senato, ritenendola contraria,
 se non alla lettera, almeno allo spirito della prerogativa sovrana,
risultante dall'art. 6 dello Statuto fondamentale del Eegno. Anzi tal
 dibattito nella Camera dei deputati diede motivo a Francesco Crispi
a sostenere la sua tesi favorita della perfettibilità dello Statuto mercè
periodici ritocchi secondo le esigenze dei tempi. Accettata final-
 mente la forinola, essa fu ristretta ai soli procedimenti disciplinari,
escludendone le nomine e le promozioni ; ed essa forinola servì poi
 di base all'analogo ordinamento adottato, nel 1865, per i magistrati
ordinarii.
    II privilegio finora illustrato non s'estende ai referendarii, né al
 procuratore generale. Fin dalle origini fece capolino il dualismo fra
i referendarii, allora ragionieri, e la magistratura. Proposta dal Go-
verno la creazione degli uni e dell'altra, la Commissione parlamen-
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tare nel 1861, con un controprogetto propose di sopprimere i ra-
gionieri ed il procuratore generale e di lasciare che la magistratura
fosse composta soltanto di consiglieri. Mala Camera e il Senato ri-
pristinarono la proposta ministeriale; e così furono inclusi nella
legge organica i ragionieri ed il procuratore generale, non conce-
dendo ai primi il privilegio dell'art. 4 della legge, riservato ai soli
Consiglieri, per quanto le funzioni di questi ultimi siano in determi-
nati casi esercitate anche dai ragionieri. Divenuti essi referendarii
sull'esempio dei loro colleghi del Consiglio di Stato, il loro reclu-
tamento, per gli ordinamenti attuali, si verifica, non per concorso,
ma a scelta fra i Capi Sezione, come per i Capi Divisione.
   E per ultimo il Procuratore generale non è capo d'un ufficio auto-
nomo e collegiale come avviene negli organismi giudiziarii, ma è
una persona che delega le sue funzioni, nelle varie sezioni conten-
ziose della Corte e nelle assemblee plenarie, ai referendarii all'uopo
prescelti. E pur non avendo la generalità d'attribuzioni e il privi-
legio dei Consiglieri, è incluso con essi in unico ruolo organico, e
se diventa Consigliere, la sua anzianità si computa da quando è
nominato Procuratore generale.
   Trattasi insomma di categorie d'alti funzionari eterogenee per di-
versità d'origini e per disparità di funzioni, ed una legge nuova
dovrebbe organizzarli ed armonizzarli in modo più consono ai co-
muni obiettivi.
                                  #

   Il numeroso personale amministrativo e d'ordine addetto agli uf-
fici della Corte è regolato, a sensi dell'art. 6 capoverso 2.° della
legge organica, secondo le norme stabilite per le amministrazioni
centrali. La loro organizzazione infatti è stata cangiata semprechè
cangiavano gli organismi dei Ministeri e con gli stessi criteri.
   Pel personale della Corte esiste tuttavia una disposizione specia-
lissima che in questi ultimi tempi ha creato non poche difficoltà e
dubbiezze non ancora completamente superate.
   L'art. 5 della legge 14 agosto 1862, è così concepito :
   « Le nomine, promozioni e rimozioni degli impiegati della Corte
e dei suoi uffici di riscontro e di revisione sono fatte con Decreto
Reale, a relazione del Ministro delle Finanze (ora del Tesoro),
sulla proposta della Corte a sezioni riunite ».
   Per fissare intrinsecamente la posizione del detto articolo nel
contenuto attuale della legge organica e delle successive, devesi
anzitutto ricordare sinteticamente l'evoluzione storica degli istituti
amministrativi italiani fino ad oggi.
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    Nel 1862, continuavano a funzionare in Italia le due giurisdizioni
 contenziose ereditate dagli organismi degli staterelli preesistenti al
 giovane Segno; il contenzioso amministrativo a garanzia dei diritti
 privati lesi dall'esercizio del ius imperii competente alle Ammini-
 strazioni pubbliche ; il contenzioso giudiziario a salvaguardia dei
 diritti privati in collisione fra loro. I due contenziosi furono fusi in
 una sola giurisdizione dalla legge 20 marzo 1865, allegato E, la
 quale conservava soltanto alcune specialissime giurisdizioni ammini-
 strative, e fra esse quella contabile competente alla Corte dei Conti.
 Né prima né dopo la detta legge si pensò a garantire con adeguati
 rimedii organici di protezione tutti quegli interessi legittimi, quelle
 legittime aspettative, quei diritti pubblici subiettivi, o diritti atte-
 nuati, la cui sussistenza e consistenza fu riconosciuta in Italia con
 la volgarizzazione della scienza tedesca. La vita burocratica, tutta
 infarcita più di questi pseudo-diritti che di quelli patrimoniali
 veri e propri, non aveva per essi un giudice, finché l'opportunissima
 riforma Crispi del 1889, non fece sorgere l'istituto della giustizia
 amministrativa ; istituto oramai divenuto giurisdizionale con la legge
 del 1907.
    Nel 1862, pertanto, mentre tutti gli impiegati dello Stato erano
in piena balìa del potere esecutivo per mancanza assoluta di norme
fisse nelle nomine e promozioni ed anche nei provvedimenti disci-
plinari, l'art. 5 della legge 14 agosto 1862, poneva gli impiegati
della Corte dei Conti in una situazione privilegiata al confronto di
quella dei colleghi delle Amministrazioni attive, esigendo per essi
formali proposte dalla Corte a sezioni riunite per eccitare e lumeg-
giare i provvedimenti sovrani amministrativi e disciplinari. Era il
preludio al funzionamento di quei Consigli d'Amministrazione e di-
sciplina, che ' organizzati dapprima con regolamenti ministeriali di
ordine interno, furono stabiliti per tutti con la legge statutaria degli
impiegati pubblici, ora testo unico 22 novembre 1908, n. 693.
    Qual valore ebbe l'art. 5 della legge sulla Corte dei Conti dal
1862 al 1889, e qual valore conserva attualmente 1 Due scuole stanno
a fronte dell'argomento, che si presenta arduo e non ancora autore-
volmente risoluto.
    Considerato astrattamente, l'intervento della Corte dei Conti con
le sue proposte legislativamente prescritte, nelle vicende liete o tristi
dei suoi funzionari, dovrebbe esser classificato fra gli atti prepara-
tore d'un provvedimento amministrativo, sintetizzato nel Decreto
Eeale che si emana su proposta del Ministro responsabile del Te-
soro. E come atto preparatorio, o d'istruttoria, non solo esso non
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potiebbe aver forza di provvedimento definitivo, ma alle sue con-
clusioni non potrebbero essere vincolate le deliberazioni del prov-
vedimento vero e proprio, il Decreto Beale, nò le proposte del Mi-
nistro del Tesoro all'autorità sovrana.
   Sembra a molti che questa opinione non sia accettabile, giacché il
motivo intrinseco della disposizione legislativa in discussione con-
sisterebbe, secondo essi, nel garantire agli impiegati della Corte la
soggezione assoluta alla Corte stessa e la loro immunità da qua-
lunque contatto col potere esecutivo, come conseguenza logica e pre-
sidio sussidiario efficacissimo all'indipendenza della magistratura
garantita dell'art. 4 della legge organica predetta. Per questa ra-
gione diretta, ed anche per l'intervento della Corte plenaria, la quale
esercita funzioni in prevalenza giurisdizionali, fa d'uopo conchiudere
che il Decreto Beale, su relazione del Ministro del Tesoro, che san-
ziona la proposta della Corte, dev'essere conforme alla detta pro-
posta, come se ne hanno altri esempi nella nostra legislazione am-
ministrativa.
   Molteplici obiezioni a questo postulato si presentano dai fautori
della soluzione più liberale. Il parere della Corte prescritto dall'ar-
ticolo 5 della legge organica non è atto giurisdizionale, ma parte
d'un complesso atto amministrativo, che consta della proposta stessa
della relazione del Ministro del Tesoro, del Decreto Beale: se v'è
legame estrinseco di questi tre atti fra loro, non è indispensabile
che vi sia legame intrinseco di conformità dei due ultimi atti al
primo. Ammettendo poi che la proposta della Corte plenaria fosse
un atto giurisdizionale, si dovrebbe esso esplicare, non con decreto
reale, ma con sentenza della Corte stessa eseguibile coattivamente
erga omnus, come tutti gli atti di contenzioso amministrativo alla Corte
competenti; atti che non possono essere moltiplicabili per giuri-
sprudenza, perchè sono quelli tassativamente designati nell'art. 12,
della legge 20 marzo 1865, sul contenzioso amministrativo. Né per
interpretazione d'un articolo di legge si può stabilire la conformità
d'un decreto del potere esecutivo, di cui il Re è. la più alta espres-
sione, ad un parere di sua natura consultivo, per quanto legislati-
vamente prescritto, ma occorre che la legge stessa prescriva in modo
esplicito la conformità del decreto alla proposta. Nell'ipotesi in di-
scorso la dimostrazione contraria scaturisce limpidamente dal con-
fronto fra l'art. 4 e l'art. 5 della legge 14 agosto 18G2 ; dappoiché,
mentre l'art. 4 prescrive la conformità dei decreti reali riflettenti la
magistratura della Corte ai pareri della Commissione speciale all'uopo
istituita, l'art. 5 non prescrive tal conformità \)el caso ivi prospet-
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tato, ne è lecito prescriverla per illazione, in argomento d'impor-
 tanza infinitamente minore del primo. E per ultimo è pericoloso pre-
 supporre limiti e garanzie che le leggi non prescrivono, giacché per
 garantire il libero funzionamento di parti secondarie d'un complesso
 organismo, si correrebbe l'alea di limitare l'indipendenza e la sovra-
 nità statutaria del potere esecutivo.
    La controversia rimase latente fino al 1889. Creata però in quel-
 Panno la giustizia amministrativa, e data con ciò tutela, fra l'altro,
 ai legittimi interessi dei funzionimi dello Stato, si svolse dinanzi
 alla Sezione IV del Consiglio di Stato una giurisprudenza fluttuante
fra i due termini suddesignati ; giurisprudenza complicata con un
 nuovo elemento perturbatore.
    Con una prima decisione 8 febbraio 1895, su ricorso Nati, si co-
 minciò dall'ammettere timidamente che il Ministro del Tesoro po-
 tesse non dar corso alle proposte della Corte da lui ritenute non
 conformi alle leggi, massime a quella del bilancio; ammettendo però
 ex converso che non potesse proporre al Re un provvedimento dif-
forme da quello dalla Corte presentato.
    Un salto abbastanza violento verso la tesi, più restrittiva è se-
 gnalato dalle due decisioni identiche della Sezione IY del Consiglio
 di Stato in data 19 giugno 1903 sui ricorsi Buono e Pastore. Ivi è
 affermato che le due funzioni prevalenti della Corte dei Conti sono
 la costituzionale e la giurisdizionale; che non può perciò parlarsi
 di funzioni amministrative, perchè la Corte è uno istituto superiore
 e quindi estraneo all'organizzazione amministrativa; che se da una
 parte deve ritenersi aver la Corte, per l'art. 5 della sua legge or-
 ganica, podestà assoluta sul suo personale, e non essere i decreti del
 potere esecutivo che atti formali per necessità conformi alle pro-
 poste della Corte, d'altra parte proposte e decreti, se conformi, non
 essendo atti amministrativi, non sono soggetti alla competenza della
 IV sezione.
    Le dette decisioni produssero due risultati. La scienza si pro-
 nunciò concordemente contraria ad affermazioni tanto eccessive, e ne
 sono una prova, fra l'altro, le note d'aspra ed analitica censura
 pubblicate in parecchi periodici, specie La Legge e la Giurisprudenza
 italiana dell'anno 1903. La Corte dei Conti però nel 6 aprile 1906,
 approvò e concretò in i)ochi articoli le norme di procedura per le
 decisioni da prendersi dalla Corte stessa in assemblea plenaria sui
 reclami dei suoi impiegati, concernenti questioni di personale e prov-
 vedimenti disciplinari. Con quest'atto solenne l'alto consesso mani-
 festò evidentemente il proposito di dedurre dalle decisioni finora
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illustrate due conseguenze capitali : affermare, cioè, il principio della
conformità indispensabile dei decreti reali riguardanti il personale
della Corte dei Conti alle proposte della Corte plenaria prescritte
dall'art. 5 della sua legge organica; affermare, l'altro principio del-
l'incompetenza della IV sezione del Consiglio di Stato, e quindi della
competenza esclusiva della Corte sui reclami della specie.
    Quasi contemporaneamente, ossia nel 25 febbraio 1906 sovra un
reclamo straordinario al Re inoltrato dall'impiegato della Corte dei
Conti sig. Santangelo, le sezioni unite del Consiglio di Stato si pro-
nunciarono recisamente in favore della tesi diametralmente opposta
a quella propugnata dalla Corte dei Conti e dalla IV sezione dello
stesso Consiglio. E la nuova massima fu accolta dalla I V sezione,
che così cangiò giurisprudenza, con la decisione 11 luglio 1907 sul
ricorso Piermartini. Notevole, in queste due identiche evoluzioni del
Consiglio di Stato in diversa sede, è la circostanza che mentre l'alto
consesso afferma la piena libertà del Ministro del Tesoro di non dar
corso a proposte della Corte, concernenti il suo personale, che egli
non ritenga conformi alle leggi; ed afferma anche la competenza
della IV sezione sull'argomento; viceversa non si pronuncia sull'in-
terpretazione dell'art. 5 della legge organica, se cioè il Re. su con-
forme relazione del Ministro del Tesoro, possa dar corso a provve-
 dimenti non conformi alle proposte della Corte.
    Acuito così il dissidio fra il Consiglio di Stato e la Corte dei
 Conti per un principio fondamentale del funzionamento della Corte
 stessa, s'imponeva la necessità di farlo cessare con una manifesta-
 zione inoppugnabile d'imperio per parte dello Stato, sia sotto forma
 di decisione della Cassazione romana in sede di conflitto, sia più
 propriamente con una legge, per la gravità del problema che si trat-
 tava di risolvere.
    E la legge intervenne e diede causa vinta alla Corte dei Conti
 sul punto della competenza a decidere sui reclami. L'art. 28 della
 legge 25 giugno 1909, n." 290, sullo stato giuridico degli impiegati
 civili (ora art. 58 de! testo unico 22 novembre successivo n. 693) è
 così concepito:
    « Nulla è innovato alle leggi sull'ordinamento giudiziario, sul
 « Consiglio di Stato, sull'istruzione pubblica, sui lavori pubblici,
 « sulle avvocature erariali, sull'ordinamento dell'esercizio di Stato
 « delle ferrovie non concesse alle imprese private, sulle pensioni
 « civili e militari, e alle altre leggi speciali, in quanto contengono di-
  « sposizioni diverse o contrarie al presente testo unico.
    « La Corte dai Conti a sezioni unite provvederà con regolamento
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«  a termini della legge 14 agosto 1862, n. 800, all'ordinamento dei
«  suoi servizi ed alle norme disciplinari pel proprio personale. Prov-
«  vederà pure alla definizione in forma contenziosa di tutti i reclami
«  dei suoi impiegati ».
   L'interpretazione di quest'articolo non può essere che letterale,
non essendo stato esso illustrato in alcuna guisa coi documenti e
con le discussioni parlamentari. Interpretato letteralmente, esso consta
di tre partr distinte; la prima, generica, comprende anche la Corte
dei Conti ; le altre due, specialissime, costituiscono per la Corte un
ius singultire.
   Fra le leggi speciali indicate nel primo comma del detto articolo
deve includersi necessariamente la legge organica sulla Corte dei
Conti. E così essa impera,, anche dopo la legge sullo stato giuri-
dico, in tutte le parti diverse o contrarie a quest'ultima legge. Sotto
quest'aspetto continua ad aver vigore l'art. 5, della legge organica
della Corte, qualunque sia il suo significato.
   Nel secondo comma dell'art. 58, surriportato, esistono due dispo-
sizioni distinte. Con la prima si conferisce alla Corte la podestà di
disporre con regolamento l'ordinamento dei suoi servizi e le norme
disciplinari pel proprio personale. La detta podestà, tutta regola-
mentare nei limiti delle leggi vecchie e nuove, non è che il dupli- -
cato di quella conferita al Presidente con l'art. 50, 2.° comma della
legge organica della Corte.
   La seconda disposizione investe la Corte d'un vero e proprio man-
dato legislativo, di provvedere alla definizione, in forma contenziosa,
di tutti i reclami degli impiegati della Corte.
   La prima podestà è stata esaurita col regolamento sul personale,
approvato dalla Corte plenaria e reso esecutorio dal suo presidente
in data 16 giugno 1909. Non ci fermeremo a discuterlo, essendo
esso sostanzialmente quasi conforme alla legge sullo stato giuridico
ed al suo regolamento. Occorre però notare la circostanza che, con
questo provvedimento amministrativo d'altissimo significato, pare si
sia voluto implicitamente ed unilateralmente risolvere il problema
dell'interpretazione da darsi all'art. 5 della legge organica della
Corte, dalla giurisprudenza finora non risoluta. L'art. l.° in fatti del
Regolamento in discorso riproduce letteralmente l'art. 5 della legge
14 agosto 1862, del quale si vuol così implicitamente confermare
la sussistenza e l'imperio.
   E nell'ulteriore svolgimento delle norme e procedure organiche e
disciplinari il regolamento si occupa d'ordinanze presidenziali, di
deliberazioni della Corte plenaria, anche nei casi in cui il provve-
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dimento deve essere integrato col decreto reale, senza contemplare
menomamente quest'ultimo e senza assegnargli il posto che gli dovrà
competere nella nuova organizzazione amministrativa.
   La seconda ed ultima podestà speciale, costituente il vero e pro-
prio mandato legislativo, non è ancora esaurita. Probabilmente la
Corte riprodurrà, più o meno variata, la sua deliberazione 6 aprile 1906,
sulla procedura dei reclami, lasciando alla futura giurisprudenza la
risoluzione di qualunque problema sul grave argomento.
   Ne vogliamo j>recorrere gli avvenimenti. Ad ogni modo trattan-
dosi d'istituto di prossima nascita, potremmo anticipare alquanto le
funzioni dell'ufficiale di stato civile, o più propriamente della leva-
trice, per certificarne il sesso.
   Sotto quest'aspetto, non pare che si tratti d'un nuovo caso di con-
tenzioso amministrativo da aggiungersi a quelli che competono alla
Corte. A questi della Corte, come a tutti gli altri impiegati dello
Stato, posson riconoscersi soltanto, nell'esercizio delle loro funzioni,
diritti pubblici subiettivi non sussidiati da un'azione vera e propria.
Essi, perciò, come gli altri, sono soggetti alla giustizia amministra-
tiva, e per essi esclusivamente si crea uno specialissimo organismo
della stessa specie ad un solo anno di distanza dalla pubblicazione
della legge che dava la giurisdizionalità, e per conseguenza l'uni-
versalità, alle due sezioni del Consiglio di Stato.
   Questo provvedimento apparisce serotino in un momento giuri-
dico in cui i funzionari della Corte, come gli altri loro colleghi,
sono sufficientemente provvisti di garanzie contro le presunte so-
praffazioni del potere esecutivo: ad esempio, ruoli organici, esami,
leggi regolatrici dello svolgimento delle rispettive carriere, consigli
d'amministrazione e di disciplina, tribunali per i reclami, ecc.: e
nella sua sostanza si presenta privo di contenuto.
   Ciò senza rilevare quali saranno in avvenire le funzioni delle se-
zioni unite della Corte, molteplici e contradditorie in un , solo ar-
gomento.
   La questione gravissima è, dunque, tutt'altro che risoluta, e forse
s'imporrà a breve scadenza l'obbligo di risolverla legislativamente.

                                   *

   Conchiuderemo questo sintetico e fuggevole studio richiamando i
concetti esposti nel proemio. La distinzione dei poteri della sovra-
nità e delle dipendenti organizzazioni di diritto pubblico si mate-
rializza in una severa delimitazione di competenze, mercè cui i con-
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tatti non potranno mai degenerare in attriti, né la cooperazione
potrà mai cangiarsi in sopraffazione. Questa legge di gravitazione,
che collega fra loro in poderosa sintesi tutti gli organismi dello
Stato, tanto più è applicabile alla Corte dei Conti, quanto più essa
trovasi a contatto con tutti gli organi dell'amministrazione militante.
Sarà così possibile la coesistenza ed il coordinato dinamismo dei
pubblici poteri, applicando ad essi la gran legge economica del mi-
nimo mezzo.
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