LE CELLULE STAMINALI DEL CORDONE OMBELICALE: RACCOLTA, CONSERVAZIONE ED UTILIZZO - A CURA DI: Prof. Francesco Zinno

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LE CELLULE STAMINALI DEL CORDONE OMBELICALE: RACCOLTA, CONSERVAZIONE ED UTILIZZO - A CURA DI: Prof. Francesco Zinno
LE CELLULE STAMINALI DEL CORDONE
             OMBELICALE:
RACCOLTA, CONSERVAZIONE ED UTILIZZO

               A CURA DI:

           Prof. Francesco Zinno
LE CELLULE STAMINALI DEL CORDONE OMBELICALE: RACCOLTA, CONSERVAZIONE ED UTILIZZO - A CURA DI: Prof. Francesco Zinno
INDICE

LA CELLULA STAMINALE

UTILIZZO DELLE CELLULE STAMINALI

CRITERI DI IDONEITÀ

PRELIEVO

TRASPORTO

MANIPOLAZIONE

CONSERVAZIONE

BIBLIOGRAFIA
LE CELLULE STAMINALI DEL CORDONE OMBELICALE: RACCOLTA, CONSERVAZIONE ED UTILIZZO - A CURA DI: Prof. Francesco Zinno
LA CELLULA STAMINALE

Gli studi sulle cellule staminali sono iniziati molti anni fa, ma la scoperta della loro
esistenza (almeno di quelle che danno origine alle cellule del sangue) è avvenuta negli
anni 80.
La definizione di cellula staminale è utilizzata per definire delle cellule non
specializzate che hanno due capacità fondamentali:
     Autoriprodursi;
     Specializzarsi.
La prima definizione sottolinea la capacità di generare delle altre cellule staminali;
questa funzione è fondamentale per avere una riserva cellulare sempre presente,
senza la quale, il continuo rinnovamento dei vari organi e tessuti non potrebbe avere
luogo.
Le cellule specializzate, per addentrarsi nella seconda definizione, sono originate dalle
cellule staminali ma sono già orientate verso la formazione di un organo o un di
tessuto; la “decisione” di differenziarsi in un determinato senso è legata al
“microambiente” nel quale vanno a ritrovarsi: infatti lo sviluppo di ogni cellula è
influenzata dalle citochine (delle sostanze prodotte dall’organismo) e ogni organo ha le
proprie citochine caratteristiche. Di conseguenza se, ad esempio, una cellula
indifferenziata va a ritrovarsi nell’osso, le citochine caratteristiche di questo tessuto
porteranno la cellula a diventare un “osteoblasto” (cellula che costituisce il tessuto
osseo).
In base alle potenzialità differenziative (fig. 1), le cellule staminali possono essere
classificate in:

      Cellule totipotenti: sono delle cellule altamente indifferenziate che hanno la
       capacità di orientarsi verso la formazione di qualunque organo o tessuto.
      Cellule pluripotenti: hanno possibilità di differenziarsi in molti (ma non in tutti)
       organi o tessuti.
      Cellule multipotenti: derivano dalle cellule pluripotenti e hanno una capacità
       differenziativa sempre ampia, ma in un numero di organi più ristretto rispetto
       alle cellule dalle quali originano.
      Cellule unipotenti (o cellule progenitrici): sono cellule che hanno la possibilità di
       differenziarsi in un solo organo o tessuto; un esempio sono le cellule staminali
       emopoietiche, che hanno la possibilità di andare a formare le cellule del sangue.

In passato si pensava che una volta che una cellula fosse passata allo stadio
differenziativo successivo, non fosse più possibile tornare indietro; in realtà
attualmente, studiando le cellule staminali emopoietiche, si è visto che le cellule
possiedono una capacità particolare: sono fornite di “plasticità”. Questo concetto
evidenzia la capacità delle cellule staminali emopoietiche di “de-differenziarsi e
orientarsi verso un altro organo o tessuto, una volta che queste sono poste a contatto
del microambiente della nuova localizzazione (fig. 2)
Fig.1

 Cellula totipotente

 Cellula pluripotente

 Cellula multipotente

 Cellula unipotente

                        Fig. 2

                         Cellula staminale emopoietica

                         Osso danneggiato

                         Osso riparato

Per quel che riguarda l’identificazione della cellula staminale, bisogna sottolineare che
queste non hanno caratteristiche morfologiche particolari, ma possono essere
identificate solo andando a ricercare delle caratteristiche antigeniche specifiche; in
particolare sono fondamentali alcune strutture proteiche che si trovano sulla loro
parete. Il carattere distintivo specifico è l’antigene CD34.
Da quanto detto, quindi, si evince che le definizioni di cellula staminale emopoietica e
cellula CD34+ possono essere utilizzate come sinonimi.
La presenza di cellule CD34+ è descritta nel midollo osseo (1-3 % delle cellule
midollari), nel sangue da cordone ombelicale (0,8 – 1,2 %) e nel sangue periferico dopo
stimolazione farmacologia (prima della stimolazione non superano lo 0,2 %, mentre
successivamente alla somministrazione di fattori di crescita emopoietici possono
arrivare al 2 % delle cellule nucleate).
Gli studi relativi alle cellule staminali presenti nel cordone ombelicale sono iniziati
negli anni ’70 (Knudtzon et al.) e proseguiti negli anni successivi (Broxmeyer et al.,
Isoyama et al).
Le cellule staminali da sangue cordonale, rispetto alle altre fonti cellulari, hanno delle
caratteristiche che le differenziano. In primo luogo è necessario segnalare che,
nonostante il loro numero sia limitato, hanno una capacità replicativa più elevata
rispetto alle altre cellule, cosa che è stata evidenziata anche nelle fasi iniziali degli
studi sul sangue placentare (Wagner et al.). Altra peculiarità è legata al fatto che la
compatibilità necessaria nel trapianto da cordone, rispetto al trapianto eseguito
utilizzando altre fonti di cellule, è meno ristretta, in quanto, anche di fronte ad una
non completa compatibilità, è possibile eseguire il trapianto, senza che la presenza di
complicanze immunologiche sia più elevata rispetto alla completa compatibilità.
Altri vantaggi, rispetto alle fonti “tradizionali”, sono essenzialmente legati alla
riduzione delle complicanze infettive e all’assoluta assenza di rischi per il donatore.
Fra le problematiche che si possono riscontrare, troviamo essenzialmente la bassa
quantità di cellule presenti, anche se, recentemente, per poter ovviare a questo
problema, si stanno effettuando numerose ricerche relative alla coltura e
all’espansione cellulare, oltre che al cosiddetto doppio trapianto utilizzando, cioè, due
unità di sangue placentare, raccolto da due diversi donatori (Haspel et al.).
IL PRELIEVO DEL SANGUE DA CORDONE OMBELICALE

Il prelievo del sangue placentare è il primo step di una serie di processi che porterà
alla conservazione in azoto liquido delle cellule cordonali.
Per poter procedere al prelievo è necessario essere forniti di un’apposita sacca,
studiata per ridurre al minimo i rischi che potrebbero portare all’esecuzione di un
prelievo non idoneo; a tal fine bisogna sottolineare che il prelievo è una procedura
priva di rischi per il nascituro e per la puerpera, ma, ai fini dell’esecuzione di un
prelievo utilizzabile ai fini trapiantologici, è necessario che il prelevatore sia istruito
in maniera accurata.
La sacca, che è parte integrante del “Kit di raccolta”, è costruita in materiale plastico
ed è racchiusa in un involucro che la mantiene in condizione di sterilità (necessaria per
eseguire le manovre necessarie al prelievo in campo sterile – in sala parto o in sala
operatoria). All’interno della sacca, corredata da uno o, più spesso da due aghi di
grosso calibro, sono presenti 20-30 ml di una sostanza anticoagulante, chiamata CPD,
che è necessaria per evitare che il sangue placentare una volta raccolto nella sacca, si
coaguli, rendendo vano il prelievo.
La raccolta viene effettuata in modo diverso a seconda che si tratti di un parto
spontaneo o di un cesareo, fermo restando l’assenza di rischi a carico della mamma e
del bambino.

Parto spontaneo

Non appena il bambino è venuto alla luce (utilizzando un termine tecnico si dovrebbe
dire dopo “l’espulsione del neonato”), viene reciso il cordone ombelicale, secondo i
criteri decisi da medico ostetrico; successivamente, dopo l’apertura della sacca di
prelievo, si punge con l’ago, di cui quest’ultima è provvista, la vena ombelicale
permettendo al sangue presente nella placenta di defluire nella sacca di raccolta.
Questa operazione si svolge durante la fase di secondamento, cioè quando non è
ancora avvenuta l’espulsione della placenta. Una volta che il prelievo è terminato la
sacca viene sigillata e confezionata per essere inviata presso il luogo dove sarà
valutata e, se idonea, conservata.

Parto cesareo

Successivamente al prelievo del neonato, durante l’esecuzione del cesareo, viene
effettuato il prelievo della placenta (“secondamento manuale”) e raccolta in un
contenitore sterile; viene incannulata, anche in questo caso, la vena ombelicale e il
deflusso del sangue viene favorito dalla spremitura della placenta. In alcuni Centri la
raccolta viene eseguita con la placenta ancora in utero, anche se, nella nostra
esperienza, è preferibile la prima metodica descritta.
TRASPORTO

Il trasporto del sangue da cordone ombelicale fino al laboratorio dove sarà eseguita la
manipolazione, deve avvenire in modo da preservare le caratteristiche delle cellule,
senza che queste vengano sottoposte a stress, che le renderebbe scarsamente vitali
e, quindi inutilizzabili ai fini trapiantologici.
Per poter garantire queste caratteristiche è necessario che vengano utilizzati
materiali idonei e personale esperto in trasporto di materiali biologici. Le procedure
legali per il trasporto di questi particolari “materiali” sono evidenziate nella Circolare
n.3 del Ministero della salute dell’8 maggio 2003.
Il Kit di prelievo, oltre alla sacca, è costituito da un contenitore che la conterrà nella
fase di trasporto (“contenitore secondario”). Questo contenitore è costituito da
materiale resistente, impermeabile e a tenuta stagna. Altro punto importante è che
sia in grado di mantenere una temperatura costante; infatti il sangue placentare deve
essere trasportato in modo da evitare gli sbalzi, in alto o in basso della temperatura.
Bisogna sottolineare che alcuni trasportatori utilizzano, quando il cordone deve essere
trasportato con mezzi aerei, stive non pressurizzate che arrivano, in volo, a
temperature molto inferiori a 0°C; questo modo non è idoneo al trasporto del
materiale biologico, in quanto i contenitori, anche i più efficienti, non sono in grado di
mantenere la temperatura costante se all’esterno ci sono degli sbalzi di notevole
entità. È, inoltre, fondamentale che il traporto aereo del materiale biologico sia
effettuato nel rispetto delle norme IATA
L’arrivo dell’unità presso la Banca del cordone deve avvenire preferibilmente entro 48
dal prelievo, termine da non superare per preservare le caratteristiche delle cellule.
MANIPOLAZIONE

Quando l’unità di cordone ombelicale (fig.1) arriva presso il laboratorio che provvede a
prepararlo alla conservazione e, successivamente a congelarlo, vengono avviate le varie
procedure per valutare l’idoneità alla conservazione.

Fig.1

Prima di essere manipolate, le unità devono essere sottoposte ad alcuni esami per
valutare se il cordone raccolto è idoneo all’uso clinico; in particolare vengono
conteggiate le cellule contenute (i globuli bianchi, fra i quali sono comprese le cellule
staminali, devono essere almeno 400 milioni in caso di trapianto allogenico e almeno
100 milioni in caso di trapianto autologo) le cellule staminali devono essere in numero
superiore a 500.000 nel caso di utilizzo allogenico e superiore a 100.000 in caso di uso
proprio. Altro controllo è effettuato per escludere che il cordone sia stato
contaminato da batteri e/o da funghi. Gli esami sierologici devono escludere la
presenza di infezioni a trasmissione ematica, come epatite B, epatite C, HIV e sifilide.
Dopo che è stata appurata l’idoneità, il cordone viene sottoposto ad alcuni
procedimenti che permettono la conservazione, come ad esempio l’eliminazione dei
globuli rossi e/o del plasma. In genere questi processi vengono effettuati con degli
strumenti automatici.
La conservazione avviene sottoponendo il sangue placentare a congelamento in azoto
liquido, il quale porta l’unità a circa -190°C; successivamente avviene la conservazione
in contenitori appositi.
E’ necessario che queste procedure vengano effettuate in strutture che abbiano i
requisiti di idoneità atti a garantire che la manipolazione sia eseguita nel miglior modo
possibile (fig. 2).
Requisiti strutturali minimi di un laboratorio di criopreservazione

                            Zona sterile.                      Spazio per la conservazione.
                            In questo spazio si                In questa zona sono presenti i
                            effettua la                        contenitori ad azoto liquido per la
                            manipolazione cellulare            conservazione delle cellule congelate
 Zona filtro.
 Da questa area
 si accede alla
 zona sterile

Fig. 2

In particolare è fondamentale che il laboratorio di riferimento sia strutturalmente
adeguato; queste caratteristiche sono garantite da alcune norme internazionali come
le norme di “Good Manifacture Practice” (GMP). Possedere l’accreditamento GMP è
una qualità che evidenzia come il Centro operi in conformità con le procedure di
questo ente ed in particolare che la manipolazione cellulare sia eseguita in
strettissima sterilità. Altro accreditamento che un laboratorio dovrebbe possedere è
l’ISO. Questo tipo di accreditamento indica che l’ente accreditato ha documentato
tutte le procedure che vengono effettuate in esso e che le stesse sono seguite da
ogni operatore con le stesse modalità, in modo da garantire che ogni unità conservata
sia trattata in maniera indipendente dall’operatore.
CONSERVAZIONE

Il cordone ombelicale, dopo essere stato valutato e preparato alla conservazione,
viene congelato, come accennato in precedenza, portandolo a temperature talmente
basse da rallentare in maniera drastica i processi metabolici delle cellule.
Il sangue placentare viene posizionato in sacche (fig. 1) costruite con un materiale
capace di resistere alle basse temperature e successivamente viene miscelato con una
soluzione che evita che le cellule vengano danneggiate dai cristalli di ghiaccio che si
formano durante il congelamento; questa soluzione ha come componente fondamentale
il dimetilsuffossido, il quale, in caso di utilizzo dell’unità, viene allontanato dal
concentrato cellulare.

Fig. 1

Il congelamento avviene utilizzando degli strumenti, detti “congelatori a discesa
programmata” che portano alla temperatura di circa -190°C le cellule in maniera
graduale, conservando intatta la loro vitalità.

La conservazione avviene in contenitori detti “criogenici” (fig. 2). Si tratta di
contenitori studiati per contenere azoto liquido, unica sostanza in grado di garantire
le temperature citate in precedenza; altra loro peculiarità è che si riforniscono
autonomamente dell’azoto necessario, evitando problematiche legate a deficit di
rifornimento.

Fig. 2
La conservazione effettuata secondo questi criteri, garantirà una vitalità cellulare
idonea all’utilizzo per moltissimi anni.
CRITERI DI IDONEITÀ DELL’UNITÀ DI SANGUE PLACENTARE

I criteri di idoneità al prelievo ed alla conservazione del sangue placentare devono
essere valutati sia considerando lo stato di salute materno che le caratteristiche
della raccolta.

-Stato di salute materno:

I criteri di esclusione dal prelievo sono legati allo stato di salute attuale e pregresso
della madre; in particolare non vi è indicazione alla raccolta (considerando che nessun
Centro trapianti può considerare idoneo un donatore che presenta le suddette
caratteristiche) quando la madre abbia in atto o presenti esiti di malattie a
trasmissione ematica (epatite B, epatite C, HIV, sifilide) e/o sia stata affetta o abbia
in atto patologie neoplastiche.

In relazione ai markers dell’epatite B, la presenza di HbcAb in assenza di HbsAg deve
far avviare la donatrice alla valutazione della presenza virale per mezzo della PCR
(indagine particolarmente sensibile per la ricerca di particelle virali). Non esclude il
prelievo la positività per il CMV, così come non precludono il prelievo la sofferenza
fetale e il lungo travaglio.

-Caratteristiche della raccolta:

Le unità, in seguito alla caratterizzazione da effettuare prima del congelamento,
devono rispondere ad alcuni requisiti che sono descritti ed approvati dai network che
si occupano di trapianto di cellule staminali cordonali.

In particolare è necessario che:

-il volume prelevato sia superiore a 60 ml;
-la quantità totale di cellule nucleate (globuli bianchi) sia superiore a 1 x 108;
-i concentrati cellulari non siano contaminati dalla presenza di batteri e funghi;
-le unità vengano trasportate secondo i criteri descritti;
-i tempi di consegna al laboratorio di criopreservazione siano rispettati.
UTILIZZO DELLE CELLULE STAMINALI

Come detto in precedenza, le fonti, attualmente disponibili, di cellule staminali
emopoietiche sono essenzialmente tre.

Il trapianto di cellule staminali emopoietiche, qualunque sia la loro origine, viene
utilizzato abitualmente in alcune patologie, in altre il numero di pazienti trattati è
ancora piccolo, mentre, per quel che riguarda altre malattie, sono in corso numerosi
progetti di utilizzo futuro.

Bisogna, altresì, differenziare le patologie che presentano un’indicazione al trapianto
allogenico rispetto a quelle che necessitano di un trapianto autologo e, infine, definire
in quali di queste patologie può essere usato, almeno allo stato attuale, il sangue
cordonale.

                               TRAPIANTO AUTOLOGO

Nell’ambito del trapianto autologo (o autotrapianto), relativamente alle patologie
oncologiche ed ematologiche, dobbiamo, in primo luogo, dire che non si tratta di un
vero e proprio trapianto, ma di una somministrazione di cellule staminali proprie allo
scopo di favorire la ripresa della produzione di cellule midollari (globuli rossi, globuli
bianchi e piastrine) dopo l’esecuzione di una chemioterapia particolarmente aggressiva
(chemioterapia di “consolidamento”) che è necessaria in diverse patologie, come ad
esempio:

Tumori solidi

   neuroblastoma,
   sarcoma di Ewing,
   epatoblastoma,
   rabdomiosarcoma,
   retinoblastoma,
   nefroblastoma,
   sinovialsarcoma,
   medulloblastoma,
   condrosarcoma,
   nefroblastoma,
   ependimoma,
   tumore della mammella;
  
Malattie del sangue

      Linfoma Non Hodgkin,
      Linfoma di Hodgkin,
      Leucemie mieloidi croniche,
   mieloma multiplo,
      linfoma di Burkitt, ecc;

In queste malattie la fonte delle cellule staminali da utilizzare può essere una
qualsiasi, anche se fino ad ora, soprattutto per la scarsità di unità di sangue
placentare autologo, sono state usate prevalentemente cellule da midollo osseo e da
sangue periferico.

                              TRAPIANTO ALLOGENICO

Il trapianto allogenico (cioè da donatore), è indicato in numerose patologie
ematologiche, oncologiche e metaboliche.
Tra le patologie ematologiche possiamo elencare:

      Leucemie acute mieloidi e linfoidi,
      Leucemia linfoide cronica,
      Linfoma Non Hodgkin,
      Linfoma di Hodgkin,
      Mieloma multiplo,
      Anemia aplastica,
      Anemia di Fanconi,
      Anemia di Diamond-Blackfan,
      Talassemia,
      Mielodisplasia, ecc.

Le malattie oncologiche, che possono essere trattate con il trapianto allogenico sono
meno numerose e spesso ancora alla fase sperimentale, anche se esiste l’indicazione ad
esempio nel neuroblastoma e nel sarcoma di Ewing.
Riguardo le altre patologie che possono essere indirizzate al trapianto da donatore
abbiamo l’amiloidosi, la malattia di Krabbe, la sindrome di Wiskott-Aldrich,
l’Immunodeficienza severa combinata, ecc.
Altre patologie come la sclerosi multipla e la sclerosi laterale amiotrofica sono ancora
in fase di valutazione sia per quello che riguarda il trapianto autologo che allo genico.
(Ljungman e altri – 2005 )

       PATOLOGIE IN CUI SONO ATTUALMENTE UTILIZZATE LE CELLULE
                   STAMINALI DA SANGUE CORDONALE

In relazione all’utilizzo del sangue cordonale nelle patologie che abbiamo descritto
finora, bisogna valutare caso per caso, rifacendosi a quanto evidenziato dai lavori
scientifici pubblicati sull’argomento.
Il sangue da cordone ombelicale è stato utilizzato per la prima volta in un caso di
anemia di Fanconi, a Parigi (Gluckman e altri – 1989), utilizzando un cordone prelevato
a New York dal fratello del paziente.
Attualmente l’ultima revisione della letteratura è stata pubblicata nel mese di aprile
di quest’anno da Brunstein sull’importante rivista British Journal of Haematology; in
questo articolo vengono valutate tutte le indicazioni correnti relativamente all’uso di
cellule staminali da sangue placentare.
Nell’ambito delle malattie ematologiche possiamo dire che l’utilizzo del cordone
ombelicale è sicuramente indicato in:

      leucemie acute,
      leucemia mieloide cronica,
      sindrome mielodisplastica,
      linfomi.

Altra letteratura cita trapianti in caso di:

      sindrome di Wiskott-Aldrich (Knutsen e altri – 2003, Kobayashi e altri - 2006),
      beta-talassemia (Fang e altri – 2004; Locatelli e altri – 2003),
      leucemia a cellule capellute (Adamkiewicz e altri – 2005),
      sindrome di Hurler (Staba e altri – 2004),
      malattia di Krabbe (Escolar e altri – 2005),
      Immunodeficienza severa combinata (SCID) (Bhattacharya e altri – 2005),
      malattia da accumulo di lisosomi/perossisomi (Martin e altri – 2006).
      Malattie autoimmuni

In tutti questi reports presenti in letteratura, i casi trattati sono più o meno
numerosi e il follow-up è ancora in corso. Tuttavia possiamo dire che in queste
patologie l’indicazione al trapianto con sangue placentare è al momento indicato nei
pazienti di basso peso (in particolare nei bambini).
Altro aspetto da considerare è l’estensione dell’uso del sangue cordonale ad altri casi
che non siano quelli descritti. Due sono le frontiere attualmente in studio, con tempi
diversi a seconda che si voglia prendere in considerazione l’espansione (la coltura con
incremento del numero di cellule di partenza) delle cellule staminali da sangue
placentare o il loro utilizzo nella cosiddetta “Medicina rigenerativa”, cioè l’impiego
delle cellule ancora più immature rispetto alle staminali emopoietiche (le cellule
“mesenchimali”) nella rigenerazione di organi.
Nel primo caso, possiamo dire che gli studi sono in fase estremamente avanzata e
quindi i tempi per l’impiego in uso clinico routinario sono abbastanza brevi. In
particolare gli studi sono già alla fase di trial clinico in relazione ai seguenti impieghi:

      Trapianto con due unità di sangue cordonale;
      Espansione delle cellule;
      Trapianto dopo ridotta chemioterapia;
      Infusione di cellule selezionate (cellule T-regolatrici, cellule derivate dai
       Netural Killer);
      Iniezione intramidollare di cellule staminali da cordone.
Per quello che riguarda la Medicina rigenerativa le ricerche sono tutti ancora in fase
di sperimentazione e non hanno ancora visto l’impiego delle cellule mesenchimali di
origine cordonali nell’uomo.
A supporto del probabile sviluppo dell’impiego del cordone ombelicale nella
rigenerazione di tessuti e organi, è necessario dire che le cellule mesenchimali di
origine midollare sono già utilizzate in trias clinici (utilizzate quindi sull’uomo).
Gli studi riguardano, sia per le mesenchimali di origine cordonale che midollare, molte
patologie d’organo, come le patologie di degenerazione neurologica (sclerosi multipla,
sclerosi laterale amiotrofica, ecc), patologie metaboliche come ad esempio il diabete
(Koblas ed altri – 2005) o patologie d’organo come le cardiopatie ischemiche o
congenite (Furfaro ed altri – 2006), le malattie del fegato (Shyu ed altri – 2007), dei
polmoni (Berger ad altri – 2006), della retina (Friendlander ed altri – 2007), ecc.
È necessario comunque sottolineare che, anche se con ottime speranza di riuscita,
quest’ultima tipologia di utilizzo prevede ancora diversi anni di studi per poter essere
applicato su larga scala.
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