La tutela delle vittime di violenza domestica e di genere nella Riforma Cartabia: le disposizioni immediatamente applicabili della l. 134/2021 ...
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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752 Direttore responsabile: Antonio Zama La tutela delle vittime di violenza domestica e di genere nella Riforma Cartabia: le disposizioni immediatamente applicabili della l. 134/2021 The protection towards victims of domestic and gender-based violence in the Cartabia reform: immediately applicable provisions on L. 134/2021 17 Febbraio 2022 Mariacaterina Coiro Abstract Nell’ambito del progetto di adeguamento del sistema italiano ai criteri di efficienza del processo e della giustizia, cui è improntata la riforma Cartabia, si collocano a pieno titolo le disposizioni immediatamente precettive introdotte dall’art. 2, entrate in vigore il 19 ottobre 2021. Tra esse, sebbene il focus dell’attenzione rimbalzi immediatamente alla nuova disciplina della prescrizione, sono parimenti meritevoli di approfondimento le modifiche apportate ad alcune disposizioni del codice penale, di procedura penale e sue disposizioni di attuazione, ad opera dei commi da 11 a 15 del menzionato articolo 2, che perseguono l’obiettivo di armonizzare e adattare la struttura di tutela interna agli standards eurounitari di protezione delle vittime di violenza domestica e di genere. Si tratta di un provvedimento che si pone perfettamente in linea con quanto già previsto dagli interventi legislativi n. 212/2015 e n. 69/2019, in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, sulla spinta delle esigenze di contrasto a tali forme di violenza, imposte in sede sovranazionale, dapprima con la Convenzione di Istanbul, poi con la direttiva 2012/29/UE. In specie, la l. 134/2021 concretizza una estensione del sistema di tutela preventiva – dagli obblighi informativi e di comunicazione alla persona offesa alle misure di ostacolo al pericolo di recidiva dell’autore di reato – anche a fattispecie criminose realizzate nella forma tentata e al reato di tentato omicidio. La legge modifica, inoltre, la disciplina sostanziale della sospensione condizionale della pena e introduce la previsione di arresto obbligatorio in flagranza per il neointrodotto reato di cui all’art. 387-bis c.p., seppur con relativo difetto di adeguamento alla disciplina delle misure cautelari personali. In the context of the project to adapt the Italian justice system to the efficiency trial and justice criteria, to which is inspired the Cartabia reform, there are the immediately preceding provisions introduced by art. 2, effective October 19 2021.
Among them, although the focus of attention immediately go back to the new discipline of prescription of crime, also deserve deepening the amendments at Penal Code, Criminal Procedure code and its implementing provisions, by the paragraphs 11 to 15 of Article 2, aimed to harmonize and adapt internal protection structure to the European standards of protection towards victims of domestic and gender violence. This is a provision perfectly in line with the legislative interventions n. 212/2015 and n. 69/2019, in matter of protection towards victims of domestic abuse and violence and gender crimes, on the basis of the needs to combat such forms of violence, imposed at supranational level, first with the Istanbul Convention, then with Directive 2012/29/EU. In particular, l. 134/2021 implements an extension of the preventive protection system - from provide information and communication to the person offended by crime, to the measures that hinder the risk of recurrence - including criminal offences committed in the form of attempt and the offence of attempted murder. The law also amends the regulation of the suspended sentence and introduces the provision of mandatory arrest in flagrante for the newly introduced crime of the art. 387 bis penal Code, although with a relative defect of adaptation with the discipline of precautionary measures. Sommario 1. Premessa: obiettivi programmatici dell’intervento e criteri direttivi della riforma 2. Le norme immediatamente applicabili in tema di violenza di genere e domestica: dettaglio delle modifiche introdotte 3. Il contesto normativo della riforma e la ratio delle innovazioni: dalla Convenzione di Istanbul al Codice rosso 4. L’arresto obbligatorio per il delitto di cui all’art. 387-bis c.p.: introduce davvero maggiore tutela per la vittima? 5. Considerazioni conclusive Summary 1. Introduction: policy objectives and guidelines of the reform 2. The immediately applicable provisions about gender and domestic violence: detail of amendments introduced 3. The reform environment and the reasons of the innovations: from the Istanbul Convention to Codice Rosso 4. The mandatory arrest for crime of article 387-bis c.p.: does it really introduce protection for the victim? 5. Final reflections 1. Premessa: obiettivi programmatici e criteri direttivi della riforma
La riforma del processo e del sistema sanzionatorio penale, che reca il nome del Ministro della Giustizia Marta Cartabia, pubblicata con la L. 27 settembre 2021 n. 134, “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia ripartiva e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”, è entrata ufficialmente in vigore il 19 ottobre 2021, determinando un duplice effetto sul piano operativo. Tale intervento, che a seguito dell’approvazione degli emendamenti risulta essere composto da due articoli e numerosi commi, si articola a livello strutturale, per un verso, in una legge delega che demanda al governo l’adozione di provvedimenti di riforma del processo e del sistema sanzionatorio penale, oltre che di disciplina della giustizia ripartiva (articolo 1), da attuare entro un anno dall’entrata in vigore (ossia entro il 19 ottobre 2022); per altro verso, introduce delle disposizioni di modifica sostanziale e processuale del diritto penale, che sono immediatamente precettive e, dunque, valide già dal 19 ottobre 2021, a seguito della vacatio legis. Nell’ambito della categoria delle previsioni immediatamente applicabili, l’attenzione maggiore di quanti commentano la riforma si è immediatamente soffermata sul tema della prescrizione del reato e della introduzione della causa di improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini massimi di durata del giudizio di impugnazione, che rappresentano indubbiamente temi ancora e sempre al centro di questione, soprattutto in considerazione della circostanza per cui l’innovazione della l. 134/2021 finisce per produrre indirettamente effetti eterogenei rispetto alla riforma Bonafede della prescrizione, attuata con l. 9 gennaio 2019 n. 3, che dapprima aveva introdotto il regime di limitazione nella fase impugnatoria. Tuttavia, è degno di pari approfondimento il nucleo di ampliamento della tutela preventiva delle vittime di violenza domestica e di genere, che la riforma attua attraverso le disposizioni parimenti immediatamente in vigore di cui all’art. 2 commi 11-15 della legge. È doveroso, preliminarmente, evidenziare che anche la parte della riforma sulla tutela delle vittime di violenza domestica e di genere sottolinea come la legge 134/2021 rappresenti un punto fondamentale nel complessivo disegno di riorganizzazione della giustizia, sorto per effetto del disegno di legge Bonafede del marzo 2020 che, in sede di pubblicazione, si presenta come il risultato del lavoro di mediazione e convergenza di diverse forze politiche e visioni del sistema processual penalistico. L’ambizioso obiettivo della legge ha prodotto un progetto di riforma organico e sistematico, diretto al recupero dell’efficienza del processo e del sistema giustizia interamente considerato e al raggiungimento di prestigiosi e concreti standards organizzativi e strutturali. Il binomio a fondamento del disegno riformatorio si muove lungo le direttive “efficienza – ragionevole durata del processo”, in linea non soltanto con i principi costituzionali e sovranazionali notoriamente ricondotti agli articoli 111 della Costituzione e 6 della CEDU, ma soprattutto con la necessità di concretizzare gli interventi che l’Italia ha previsto per i quattro settori pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione della legislazione e promozione della concorrenza, al fine di gestire, sul piano nazionale, la destinazione dei fondi europei del Newt Generation EU e dare attuazione al Piano nazionale di ripresa e resilienza[1].
In particolare, gli interventi programmati dalla legislazione interna mirano alla semplificazione e accelerazione dell’accesso al processo, con un ampio lavoro in termini di digitalizzazione e innovazione tecnologica e strutturale degli uffici giudiziari, oltre che al contenimento dei flussi di ingresso nel sistema giustizia, attraverso la modifica del regime di procedibilità e l’introduzione di cause estintive in fase di indagini preliminari, alla riduzione dei tempi di durata della fase delle indagini preliminari e dei gradi di giudizio, al potenziamento degli strumenti deflattivi del carico dibattimentale[2]. Oggetto del PNRR e della riforma, secondo i criteri direttivi della delega di cui all’art. 1 comma 26, dunque, è anche la previsione di una concreta innovazione organizzativa degli uffici giudiziari, con l’introduzione dell’Ufficio per il processo penale presso gli uffici giudiziari di merito e presso la Corte di Cassazione e la costituzione di un Comitato tecnico scientifico per il monitoraggio sull’efficienza della giustizia penale e sulla statistica durata dei procedimenti, con funzioni di consulenza e supporto nella valutazione dell’impatto delle riforme. 2. Le norme immediatamente applicabili in tema di violenza di genere e domestica: dettaglio delle modifiche introdotte Come anticipato in premessa, attraverso i commi 11-13 e 15 dell’art. 2, la L. 134/2021 introduce una serie di modifiche ad alcune disposizioni del codice penale e di procedura penale relative alla tutela delle vittime di violenza di genere e domestica. L’intervento della riforma Cartabia sul tema costituisce il completamento del progetto di adeguamento normativo e di concreto rafforzamento delle garanzie verso cui l’ordinamento interno è spinto dagli interventi che si susseguono da diversi anni sul piano sovranazionale. È evidente che tali variazioni, pienamente rispondenti alle vicende che l’evoluzione socio culturale prospetta, rappresentano un passaggio obbligato per un disegno di riforma esteso e complesso quale quello in esame che, come si diceva, tocca vari ambiti del sistema sostanziale e processuale di giustizia. La legge estende espressamente la portata applicativa delle misure di tutela preventiva introdotte con la legge n. 69/2019 (cd. Codice Rosso) anche alle vittime di tentato omicidio e di determinati reati commessi in forma tentata, sempre che in relazione ad essi sia configurabile il delitto tentato (posto che, per esempio, il reato di cui all’art. 572 c.p. non può essere realizzato secondo il paradigma di cui all’art. 56 c.p.). La precisazione testuale che la riforma apporta alle disposizioni che di seguito si indicano è sicuramente opportuna dal momento che, come evidenziato dal parere del CSM, essendo il delitto tentato una ipotesi criminosa autonoma, gli effetti giuridici sfavorevoli propri di determinate norme incriminatrici, prima della riforma, dovevano ritenersi riferite alla sola ipotesi di reato consumato e non anche al tentativo: trattandosi di norme che non possono essere applicate analogicamente, in quanto contenenti previsioni sfavorevoli, quelle oggi oggetto di riforma non avrebbero potuto essere applicate alla corrispondente fattispecie in forma tentata, se non espressamente previsto, per cui la l. 134 interviene a colmare un vulnus in funzione estensiva dell’apparato garantistico, a fronte dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità e dottrinale che ne escludeva la portata implicita.
Sul piano sistematico, i commi 11 e 12 dell’art. 2 (“Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, alle norme di attuazione del codice di procedura penale e disposizioni di accompagnamento alla riforma”) inseriscono negli articoli 90 ter comma 1 bis, 362 comma 1 ter, 370 comma 2 bis e 659 comma 1 bis c.p.p., 64 bis comma 1 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, l’inciso “per il delitto previsto dall’articoli 575 del codice penale, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati (…)”, laddove la precedente formulazione recava indicazione “per i delitti ”, riferendosi espressamente alla sola forma consumata. Seguono in dettaglio le disposizioni modificate: l’art. 90 ter comma 1 bis c.p.p., aggiunto dalla l. 69/2019 (come tutti quelli di seguito indicati), prevede che le comunicazioni circa l’evasione, la cessazione della misura di sicurezza detentiva, la scarcerazione e la volontaria sottrazione all’esecuzione dell’imputato o del condannato devono essere sempre comunicate alla persona offesa e all’eventuale difensore nominato quando si procede per tentato omicidio o per i reati, consumati o tentati, di maltrattamenti contro familiari e conviventi, ex art. 572 c.p., violenza sessuale ex art. 609 bis c.p. e ipotesi aggravate ex art. 609 ter c.p., atti sessuali con minorenne ex art. 609-quater c.p., corruzione di minorenne ex art. 609 quinquies c.p., violenza sessuale di gruppo ex art. 609 octies c.p., atti persecutori ex art. 612 bis c.p., lesioni personali ex art. 582 e 583 quinquies c.p. nelle ipotesi aggravate a norma dell’art 576 comma primo numeri 2, 5, 5.1, 577 comma primo numero 1 e secondo c.p.; l’art. 362 comma 1 ter c.p.p., nel titolo dedicato alle attività del Pubblico Ministero, prescrive al pubblico ministero, quando si procede per le ipotesi delittuose tentate o consumate sopra indicate, di assumere informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, nel termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa; l’art. 370 comma 2 bis c.p.p., rubricato “atti diretti e delegati”, obbliga la polizia giudiziaria a procedere senza ritardo a compiere gli atti delegati dal pubblico ministero, quando si indaga per i reati di cui sopra; l’art. 659 comma 1 bis c.p.p., “esecuzione dei provvedimenti del giudice di sorveglianza”, prescrive che, quando a seguito di un provvedimento del giudice di sorveglianza deve essere disposta la scarcerazione del condannato per uno dei delitti indicati e oggetto di riforma, il Pubblico Ministero che cura l’esecuzione ne dia immediata comunicazione, a mezzo della polizia giudiziaria, alla persona offesa e all’eventuale difensore nominato; l’art. 64 bis comma I disp. att. c.p.p., in tema di trasmissione obbligatoria di provvedimenti al giudice civile nei procedimenti per separazione personale dei coniugi o nelle cause relative ai figli minori d’età o all’esercizio della potestà genitoriale, impone che venga trasmessa senza ritardo al giudice civile procedente la copia delle ordinanze che applicano misure cautelari personali o ne dispongono sostituzione o revoca, nonché dell’avviso di conclusione dell’indagini preliminari, del provvedimento di archiviazione e della sentenza emessa nei confronti di parti in relazioni ai delitti menzionati. Sul piano sostanziale, il comma 13 dell’art. 2 della l. 134/2021 modifica il comma quinto dell’art. 165 c.p., prevedendo che la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena in favore di un soggetto condannato per i delitti in esame è subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati.
L’art. 123 c.p.p., il quale disciplina la facoltà dell’imputato detenuto o internato in un istituto per l’esecuzione di misure di sicurezza e l’imputato in stato di arresto o di detenzione domiciliare o custodito in luogo di cura, di presentare impugnazioni, dichiarazioni e richieste con atto ricevuto rispettivamente dal direttore o, nel secondo caso, da un ufficiale di polizia giudiziaria, i quali ne curano l’iscrizione in un apposito registro e l’immediata comunicazione all’autorità competente, prevede ora che le stesse siano contestualmente comunicate anche al difensore nominato, obbligando l’attivazione della P.A. a tal fine. 3. Il contesto normativo della riforma e la ratio delle innovazioni: dalla Convenzione di Istanbul al Codice rosso Il tema delle condotte di violenza nei confronti delle donne e nel contesto domiciliare è stato oggetto di crescente attenzione da parte dello Stato italiano, sul versante normativo e soprattutto della criminalizzazione delle condotte. Purtuttavia, non è mai stata introdotta nel codice penale o di rito una definizione di violenza di genere, che non è contenuta nemmeno nella l. 69/2019. Occorre risalire alla convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne e della violenza domestica, nota come Convenzione di Istanbul del 2011, sottoscritta dall’Italia nel settembre 2012, ratificata con L. 77/2013 ed entrata in vigere il 01 agosto 2014, per avere una delle prime compiute definizioni del concetto di violenza di genere, nell’ambito di un progetto di prevenzione e contrasto al complesso fenomeno delle varie forme di lesione legate al genere – gender based crimes – nonché la predisposizione di meccanismi concreti di protezione a sostegno delle vittime. Il tema era stato già indagato in occasione di una serie di interventi normativi di carattere internazionale: già le Nazioni Unite, con la General Recommendation no. 19 of the United Nations Committee on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women, del 1992; ma anche la Dichiarazione dell’Assemblea Generale Onu sull’eliminazione della violenza contro le donne, la United Nations General Assembly Resolution 48/104 del 1993 (CEDAW), la Convenzione interamericana di Belém do Pará del 1994 sulla prevenzione, la punizione e l’eliminazione della violenza contro le donne. In particolare, il preambolo della Convenzione definisce la violenza contro le donne come una species della generale categoria della violenza di genere, consistente in condotte dal carattere sistematico che producono quale effetto il condizionamento dei comportamenti, delle abitudini di vita, della personalità della vittima, fino ad includere forme gravi di discriminazione. Si estrinseca in ogni forma di violenza motivata unicamente in ragione del genere, che si traduce in una violazione dei diritti umani, idonea ad arrecare danni o sofferenze di natura sessuale, fisica, psicologica o economica, anche solo nella forma della minaccia di compiere tali atti. Inoltre, il concetto assume la specificazione di violenza domestica quando tali condotte di vessazione vengono poste in essere nell’ambito del contesto familiare o domestico, nei confronti di un coniuge, convivente, di un ex coniuge.
Nell’ambito di tali nozioni convenzionali vengono ricomprese alcune ipotesi concrete di soggetti a cui va esteso il meccanismo di tutela delineato e delineando dal trattato quali, a titolo meramente esemplificativo, le violenze intimate partner, le violenze sugli anziani, sui soggetti diversamente abili, le pratiche tradizionali o legate alla cultura imposte alle donne, ma anche matrimoni forzati, pratiche di mutilazioni genitali, gravidanze forzate, schiavitù sessuale, oltre ad ogni forma di lesione che risulti essere gravemente discriminatoria e lesiva dei diritti umani[3]. Il nucleo di disciplina introdotto dalla Convenzione di Istanbul, delineato dall’articolo 5, individua dei precisi obblighi internazionali a cui sono tenuti ad adeguarsi gli Stati contraenti: accanto al generale obbligo di astensione da condotte integrative di violenza contro le donne direttamente o indirettamente imputabili agli organi statali, vi sono anche previsioni mirate a dotarsi di strumenti per prevenire, indagare e punire gli autori degli atti di violenza, oltre che ad assicurare alle vittime delle misure di riparazione per i casi in cui le stesse abbiano riportato dei danni di qualsiasi natura, soprattutto economica, direttamente riconducibile a soggetti privati. Il disegno programmatico dell’atto, che in ogni caso riconosce un margine di discrezione per gli Stati contraenti nella determinazione del tipo di sanzione da prevedere per essere in linea con gli standards di contrasto al fenomeno delineato, si fonda sulle cosiddette tre “P”: prevention, a cui è dedicato il capitolo III; protection, oggetto del capitolo IV; prosecution, nei confronti degli autori delle violazioni, come si evince dal capitolo VI. Oltre al merito di aver fornito un apporto definitorio, la Convenzione di Istanbul rappresenta uno dei passaggi obbligati prima dell’approvazione della L. 119/2013, ulteriore tassello nella creazione di un efficace sistema di tutela delle vittime di violenza di genere, che introduce nel sistema interno novità legislative sia sostanziali che processuali, oltre alla definizione dei concetti di violenza domestica e di genere. Sul piano sostanziale, tale legge per la prima volta si muove nella direzione di valorizzare, ai fini dell’applicazione delle norme di riferimento, il concetto di relazione affettiva, svincolata dal formale legame matrimoniale o di convivenza, per aprire verso una concezione molto più aderente alle trasformazioni del sentire sociale e anche della cronaca giudiziaria, che evidenziavano come spesso le condotte violente si reiteravano soprattutto dopo la conclusione del vincolo matrimoniale. In tale direzione, la modifica dell’aggravante di cui all’art 609 ter comma 5 quater c.p., oltre alla considerazione del reato di atti persecutori aggravato dallo stato di coniugio anche se posto in essere da un coniuge separato o divorziato. Si parla, inoltre, di violenza assistita per delineare la forma di sopruso psicologico di cui sono vittima i minori che abbiano assistito a violenze esercitate su componenti del nucleo familiare, in loro presenza, oltre che nelle ipotesi in cui compiute in loro danno, implementando il sistema punitivo con la previsione della aggravante di cui all’art 61 n. 11 quinquies c.p. Sul versante processuale, la legge rafforza gli obblighi informativi nei confronti delle vittime di determinati reati, in ordine ad ogni vicenda relativa alle misure cautelari nell’ambito del procedimento in cui è parte, anche quelle relative all’obbligo o divieto di dimora, che invece era limitato precedentemente a quelle previste dagli articoli 282 bis e 283 ter c.p.p. Inoltre, obblighi informativi circa l’avviso della richiesta di archiviazione sono estesi a tutti i delitti commessi con violenza alla persona, e non solamente al reato di cui all’art. 572 c.p., con elevazione del termine per presentare opposizione a venti giorni.
Il d. lgs. 212 del 15 dicembre 2015, poi, recepiva finalmente nell’ordinamento interno la direttiva europea 29 del 25 ottobre 2012, istitutiva di norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. La direttiva 2012/29/UE, che sostituiva la mai adottata in Italia decisione quadro 2001/220/GAI, ha il merito di aver posto l’attenzione sulla persona offesa nelle varie fasi del procedimento penale, con la previsione di aree relative al diritto della vittima all’informazione, all’accesso ai servizi di assistenza, alla partecipazione al procedimento penale, a ricevere protezione specifica in ragione delle concrete esigenze di tutela, costituendo, un vero e proprio “corpus juris di matrice europea dei diritti delle vittime di reato”. L’intervento del 2015, in particolare, modificava gli articoli 90, 134, 190 bis, 351, 362, 392, 498 c.p.p. e introduceva gli articoli 90 bis, 90 ter, 90 quater e 143 bis c.p.p., che in sostanza ottemperavano a quanto prescritto a livello europeo in ordine al diritto della persona offesa di essere informata in merito alle facoltà essa riconosciute nell’ambito del procedimento penale in cui è coinvolta ovvero in ordine alle vicende relative alla scarcerazione o evasione dell’imputato in stato di custodia cautelare o del condannato. All’esito di un breve iter parlamentare, il 19 luglio 2019 veniva approvata la legge n. 69 “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, meglio conosciuta come Codice rosso: un insieme di 21 articoli la cui ratio viene individuata dalla Relazione del Governo al disegno di legge nella “esigenza di completezza della tutela delle vittime”. In particolare, le modifiche introdotte sul piano processuale, legate dall’esigenza di evitare pericolosi momenti di stasi nelle fasi dell’acquisizione, della iscrizione delle notizie di reato, nello svolgimento delle indagini preliminari, sono la risposta alla sentenza della Corte EDU Talpis contro Italia del 02 marzo 2017, che condannava l’Italia per il ritardo delle autorità procedenti nell’adottare misure necessarie a proteggere la vittima di violenza domestica, causando la morte del figlio della coppia e il tentato omicidio della madre [4]. Tecnicamente, la legge 69/2019 introduce nel codice penale le nuove fattispecie di reato di cui agli articoli 387 bis “Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa”, 558 bis “costrizione o induzione al matrimonio ”, 612 ter “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, 583 quinquies “deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”; nel codice di procedura penale rafforza il sistema di tutela preventiva della persona offesa, modificando le disposizioni relative all’obbligo di riferire la notizia di reato, all’assunzione di informazioni e svolgimento degli atti diretti e delegati da parte della polizia giudiziaria, alle informazioni e comunicazioni da far pervenire alla persona offesa senza ritardo. Le disposizioni modificative del Codice rosso, in specie, sono ricondotte alle fattispecie delittuose di maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenza sessuale, aggravata e di gruppo, corruzione di minorenne, atti persecutori, diffusione di immagini o video sessualmente espliciti, lesioni personali e deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, aggravate “dalla relazione”, oltre ai reati di costrizione o indizione al matrimonio e pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili che solo per un difetto di coordinamento non sono espressamente richiamate dalla legge. Per effetto della riforma Cartabia, l’elenco dei delitti individuati dal Codice rosso come destinatari del sistema di tutela preventiva viene arricchito dalla inclusione del delitto di tentato omicidio e della forma tentata dei menzionati.
4. L’arresto obbligatorio per il delitto di cui all’art. 387 bis c.p.: introduce davvero maggiore tutela per la vittima? Uno degli aspetti della riforma che richiede maggiore approfondimento è rappresentato dalla modifica dell’articolo 380 c.p.p. attraverso la inclusione del delitto di cui all’art. 387 bis c.p. tra le ipotesi di arresto obbligatorio. Come noto, attraverso l’art. 387-bis c.p., l’art. 4 della l.69/2019 introduceva il reato di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Testualmente, la norma prevede che “chiunque, essendovi legalmente sottoposto, violi gli obblighi o i divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari di cui agli articoli 282 bis e 282 ter del codice di procedura penale o dall’ordine di cui all’articolo 384 bis del medesimo codice è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”. La fattispecie di reato, costruita come norma penale in bianco, che rinvia alla legge processuale penalistica per l’individuazione delle singole misure cautelari di riferimento, interviene a dare diretta applicazione all’art. 53 della Convenzione di Istanbul, colmando un vuoto normativo, in quanto prima della sua introduzione le condotte di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e di avvicinamento alla persona offesa assumevano rilevanza unicamente sul piano cautelare quale motivo per valutare un aggravamento della misura cautelare in corso. Al fine di armonizzare il sistema di tutela preventiva ed incrementare la portata dissuasiva di una norma già tesa a porre un argine alle condotte di avvicinamento e comunicazione con la persona offesa, la riforma Cartabia, sostituendo la lettera 1 ter del secondo comma dell’art. 380 c.p.p., introduce un ampliamento delle ipotesi di arresto obbligatorio anche in tali casi. Da subito, l’art 387 bis c.p. era già stato oggetto di acute osservazioni da quanti riscontravano che la ratio del delitto non fosse propriamente in linea con la sua portata pratica, dal momento che il limite edittale massimo individuato in anni tre di reclusione non consentisse l’arresto facoltativo, vale a dire un intervento immediato da parte della polizia giudiziaria chiamata ad intervenire in circostanze particolarmente allarmanti. Nemmeno la disposizione era stata accompagnata dall’inserimento di una norma di coordinamento come avvenuto, invece, attraverso l’art. 3 del d.l. 152/1992 in relazione alla violazione degli arresti domiciliari, in virtù del quale è consentito l’arresto anche fuori dai casi di flagranza e l’applicazione di misure coercitive in sede di convalida anche fuori dalle ipotesi dell’art. 380 c.p.p. A ben vedere, tuttavia, nemmeno l’intervento della l. 134/2021 può ritenersi idoneo ad assicurare le garanzie tutela per la persona offesa che il legislatore si prefigge come finalità, in quanto la norma reca un difetto di coordinamento con la disciplina delle misure cautelari. Premesso che, in via generale, ai fini dell’applicazione di una misura coercitiva il limite di pena edittale deve essere superiore nel massimo a tre anni, ai sensi dell’art. 280 c.p.p. e che, al di fuori di tale limite, l’applicazione di una misura coercitiva è consentita solo nel caso di arresto facoltativo, previsto per i delitti di cui all’art. 381 comma II c.p.p. (tutte fattispecie punite con pena non superiore nel massimo a tre anni di reclusione, quindi, generalmente escluse dall’applicazione di una misura cautelare coercitiva), l’inclusione del reato di cui all’art 387 bis c.p. tra le ipotesi di arresto obbligatorio, in assenza di una disposizione analoga, comporta logicamente l’impossibilità di applicare una misura coercitiva in caso di convalida.
Dopo aver, infatti, condotto in arresto obbligatorio per violazione dell’art. 387 bis c.p., il Pubblico Ministero dovrà disporre la liberazione immediata del soggetto arrestato poiché il limite edittale non consente l’applicazione della misura coercitiva, ma può rilevare solo ai fini di una richiesta di aggravamento della misura già adottata. Come evidenziato linearmente nella nota della Procura di Tivoli dell’11 ottobre 2021[5], prima dell’introduzione dell’art. 387 bis c.p., che prevede la pena massima edittale di anni tre di reclusione, non si era posto il problema dell’applicazione di una misura cautelare coercitiva dopo la convalida di un arresto, in quanto tutti i delitti per cui è previsto l’arresto facoltativo ai sensi dell’art. 380 commi 1 e 2 c.p.p. e le ipotesi di arresto obbligatorio di cui all’art. 381 comma 1 c.p.p. prevedevano una pena superiore nel massimo ai tre anni e dunque rientrante nel limite posto dall’art 280 c.p.p.; mentre, per le ipotesi di arresto obbligatorio puniti con pena inferiore ai tre anni, di cui all’art. 381 comma 2 c.p.p. era correlata la previsione dell’art. 280 comma 1 e 391 comma 5 c.p.p., che consente il ricorso a misura custodiale. Anzi, addirittura, la Corte Costituzionale aveva evidenziato con la sentenza n.137/2020 una irragionevole discrasia con i delitti dell’art. 381 comma 1 c.p.p. che, sebbene puniti con pena più grave, non consentivano la misura custodiale: “il quadro normativo scaturito dalle plurime modificazioni di cui si è detto mostra un difetto di coordinamento tra le norme richiamate, derivante dalla circostanza che solo per i delitti tassativamente indicati dall’art. 381 comma 2 c.p.p. è oggi possibile l’applicazione, in sede di convalida, delle misure cautelari coercitive in deroga agli ordinari limiti edittali, nel mentre per i delitti, consumati o tentati, di cui al precedente comma 1, per i quali la pena edittale massima sia compresa tra i tre anni e i quattro anni, non è possibile applicare la misura degli arresti domiciliari, fermo restando che per l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, al di fuori della deroga contenuta nel comma 5 dell’art. 391 c.p.p., è necessario che il delitto pero il quale si procede sia punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni”[6]. Sarebbe opportuno, a tal fine, un intervento del legislatore attraverso cui si introduca una deroga espressa, come già previsto dall’art. 280 comma 1 c.p.p. in relazione all’art. 391 c.p.p. per i reati per cui è consentito l’arresto facoltativo in flagranza, puniti con pena inferiore al limite di tre anni. Del resto, essendo la deroga già prevista per i casi di arresto facoltativo, non pare sussisterebbero ostacoli di ordine logico e pratico per reati verso cui è consentito proprio l’arresto obbligatorio. 5. Considerazioni conclusive Come evidenziato nel corso del contributo, l’intento programmatico del legislatore nel settore della violenza domestica e di genere è volto al rafforzamento del meccanismo di tutela preventiva nei confronti di soggetti destinatari di tali forme di aggressione: per il nostro ordinamento, la costruzione di questo apparato garantistico è un percorso che si completa attraverso il susseguirsi di interventi normativi spesso eterogenei. L’estensione delle previsioni anche alle ipotesi di alcuni delitti realizzati in forma tentata, ad opera della riforma Cartabia, sicuramente rappresenta una precisazione sul piano applicativo che soddisfa quanti osservano l’autonomia strutturale della fattispecie tentata.
Sicuramente sarebbe stato lecito attendersi, invece, maggiore coerenza con il sistema cautelare in riferimento alla previsione dell’arresto obbligatorio per il reato di cui all’art. 387-bis c.p. atteso che, non potendosi applicare una misura coercitiva a seguito della convalida dell’arresto di un soggetto autore della violazione dell’art. 387 bis c.p., quella che sembrerebbe ictu oculi essere una modifica per assicurare immediata tutela alla vittima, tradisce fondamentalmente la ratio della previsione stessa: in attesa che intervengano altri strumenti di protezione della vittima, quale potrebbe essere un aggravamento della misura cautelare nella violazione delle cui prescrizioni il reo si è reso autore di un altro reato specifico, potrebbero difatti intercorrere tempi che il sistema giustizia in Italia insegna non essere sempre celeri. [1] GATTA, G. L., Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della ‘Legge Cartabia’, in Sistema penale, 15.10.2021. [2] Parere CSM al disegno di legge A.C. 2435. [3] DI NICOLA TRAVAGLINI, P., MENDITTO, F., Codice Rosso. Il contrasto alla violenza di genere: dalle fonti sovranazionali agli strumenti applicativi, Milano, 2020. [4] Sentenza Corte Europea dei diritti dell’uomo, 02 marzo 2017, causa Talpis contro Italia, Sito Ministero della Giustizia. [5] Nota della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli n. 2305/2021, 11 ottobre 2021. [6] Sentenza Corte costituzionale n. 137, 25 maggio 2020, Pres. Coraggio. Bibliografia 1. GATTA, G. L., Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della ‘Legge Cartabia’, in Sistema penale, 15.10.2021. 2. DI NICOLA TRAVAGLINI, P., MENDITTO, F., Codice Rosso. Il contrasto alla violenza di genere: dalle fonti sovranazionali agli strumenti applicativi, Milano, 2020. TAG: Percorsi penali, riforma Cartabia, violenza domestica, Violenza di genere Avvertenza La pubblicazione di contributi, approfondimenti, articoli e in genere di tutte le opere dottrinarie e di commento (ivi comprese le news) presenti su Filodiritto è stata concessa (e richiesta) dai rispettivi autori, titolari di tutti i diritti morali e patrimoniali ai sensi della legge sul diritto d'autore e sui diritti connessi (Legge 633/1941). La riproduzione ed ogni altra forma di diffusione al pubblico delle predette opere (anche in parte), in difetto di autorizzazione dell'autore, è punita a norma degli articoli 171, 171-bis, 171- ter, 174-bis e 174-ter della menzionata Legge 633/1941. È consentito scaricare, prendere visione, estrarre copia o stampare i documenti pubblicati su Filodiritto nella sezione Dottrina per ragioni esclusivamente personali, a scopo informativo-culturale e non commerciale, esclusa ogni modifica o alterazione. Sono parimenti consentite le citazioni a titolo di cronaca, studio, critica o recensione, purché accompagnate dal nome dell'autore dell'articolo e dall'indicazione della fonte, ad esempio: Luca Martini, La discrezionalità del sanitario nella qualificazione di reato perseguibile d'ufficio ai fini dell'obbligo di referto ex. art 365 cod. pen., in "Filodiritto" (https://www.filodiritto.com), con relativo collegamento ipertestuale. Se l'autore non è altrimenti indicato i diritti sono di Inforomatica S.r.l. e la riproduzione è vietata senza il consenso esplicito della stessa. È sempre gradita la comunicazione del testo, telematico o cartaceo, ove è avvenuta la citazione. Filodiritto(Filodiritto.com) un marchio di InFOROmatica S.r.l
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