La sentenza del Tribunale di Primo Grado nel caso Wanadoo in materia di politiche di prezzo predatorie

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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752
                                              Direttore responsabile: Antonio Zama

    La sentenza del Tribunale di Primo Grado nel caso
    Wanadoo in materia di politiche di prezzo predatorie
       I giudici comunitari confermano l’irrilevanza del recupero delle perdite ai fini
                    dell’accertamento delle strategie di prezzo predatorie
                                                 17 Febbraio 2007
                                                 Michele Giannino

Nella sentenza Wanadoo (Tribunale Primo Grado CE, causa T-340/03, France Télécom c Commissione) il
Tribunale di Primo Grado ha confermato ancora una volta la consolidata prassi seguita dalla Commissione
per l’esame delle politiche di prezzi predatorie di un’impresa dominante.
La fattispecie di prezzi predatori ricorre quando un’impresa dominante diminuisce i prezzi di vendita dei
suoi prodotti in modo tale da rendere i prodotti offerti dai suoi concorrenti meno appetibili per i
consumatori. Tale condotta, deprimendone i profitti, costringe i concorrenti ad abbandonare il mercato
ovvero impedisce l’ingresso di nuovi concorrenti nel mercato. In questo modo l’impresa dominante accetta
una riduzione dei profitti nel breve periodo, la quale dovrebbe essere compensata nel lungo periodo
dall’aumento dei prezzi reso possibile dall’eliminazione della concorrenza nel mercato rilevante.
Sul piano pratico, tuttavia, non è sempre facile distinguere tra una politica di prezzi predatoria vietata
dall’art. 82 CE quando è attuata da un’impresa dominante, e la decisione di un’impresa di abbassare i
prezzi per meglio contrastare i concorrenti, che invece non è vietata dal diritto sulla concorrenza.
Ai fini dell’accertamento delle pratiche di prezzo predatorie la Commissione ha elaborato un test,
confermato in più di un’occasione dai giudici comunitari (Corte di Giustizia CE, sentenza del 3 luglio
1991, causa C-62/86 AKZO/Commissione in Racc. pag. I-3359; sentenza del 14 novembre 1996, causa C-
333/94 P, Tetra Pak/Commissione, Racc. pag. I-5951), il quale si fonda su due elementi: l’analisi
comparativa prezzi/costi dalla quale risulti la mancata copertura dei costi e l’intento predatorio perseguito
dall’impresa dominante.
Più precisamente, il test della Commissione distingue due ipotesi:
A) se il prezzo è inferiore alla media dei costi variabili l’intento predatorio si presume, posto che in questo
caso l’impresa dominante non può avere altro interesse a praticare prezzi simili se non quello
dell’eliminazione dei propri concorrenti;
B) se il prezzo è superiore alla media dei costi variabili medi ma inferiore alla media dei costi totali medi
per aversi violazione dell’art. 82 CE è necessario dimostrare l’intento predatorio dell’impresa dominante.
In alcuni casi, la Commissione ha applicato il criterio della media dei costi incrementali di lungo periodo. I
costi incrementali comprendono i costi affrontati dall’impresa per la produzione di beni e servizi, poi ceduti
a prezzi predatori. Questo criterio è stato applicato per l’esame delle pratiche predatorie poste in essere da
imprese aventi il monopolio legale in un determinato settore al fine di impedire che il monopolista finanzi
la riduzione dei prezzi nel mercato aperto alla concorrenza con i profitti conseguiti nel mercato a questo
riservato. In altre parole, se i prezzi praticati dal monopolista nel mercato aperto non coprono tutti i costi
fissi e variabili per lo svolgimento di tale attività, cioè i costi incrementali, tali prezzi si presumono
predatori (Commissione, decisione del 20 marzo 2001, Caso COMP/35.141-Deutsche Post, in GUCE L
125 del 5 maggio 2001, pag. 27).
Il criterio dei costi incrementali è stato applicato anche dall’AGCM nel caso Caronte.
Un’impresa svolgeva servizi di trasporto marittimo nello Stretto di Messina con una forte posizione di
dominanza sulla rotta Villa San Giovanni/Messina, non facilmente contendibile a causa di elevate barriere
all’ingresso. L’impresa dominante aveva cominciato a operare anche sulla rotta Reggio Calabria/Messina a
prezzi particolarmente bassi come per risposta ai nuovi collegamenti svolti da un’altra impresa di
navigazione su questa rotta. L’AGCM, sulla base del criterio dei costi incrementali ha condannato
l’impresa dominante per aver praticato prezzi predatori. La rotta Reggio Calabria/Messina era operata in
perdita al fine di togliere quota di mercato al nuovo concorrente e le perdite erano sussidiate con i proventi
generati dalla rotta Villa San Giovanni/Messina dove l’impresa era dominante (AGCM, provvedimento n.
10650 del 17 aprile 2002, Diano/Tourist Ferry Boat-Caronte Shipping, in Bollettino n. 16/2002).
Dopo aver brevemente illustrato l’orientamento delle istituzioni comunitarie in materia di prezzi predatori,
possiamo ora esaminare la sentenza Wanadoo. La Commissione aveva condannato Wanadoo per
violazione dell’art. 82 CE, avendo questa praticato tariffe predatorie nel mercato per la forniture di servizi
di accesso ad internet ad alta velocità per la clientela residenziale. La Commissione aveva rilevato che la
strategia predatoria aveva consentito a Wanadoo di appropriarsi di una quota consistente di un mercato in
grande sviluppo quale quello per l’accesso ad Internet ad alta velocità. Wanadoo aveva poi impugnato la
decisione della Commissione davanti al Tribunale di Primo Grado.
Tra le censure mosse da Wanadoo alcune riguardano il test sulla strategia predatoria usato dalla
Commissione. La ricorrente sostiene che i prezzi predatori rilevati dalla Commissione sarebbero stati
irrazionali nel mercato rilevante. Secondo Wanadoo, il tentativo di restringere la concorrenza facendo
ricorso a pratiche predatorie non avrebbe avuto verosimilmente buon fine. Infatti le basse barriere
d’ingresso nel mercato rilevante non avrebbero certo impedito l’arrivo di nuovi concorrenti in sostituzione
di quelli costretti ad uscire dal mercato dalle pratiche predatorie.
Il Tribunale però ribatte che ai fini dell’applicazione dell’art. 82 CE la prova dell’effetto restrittivo o
dell’oggetto restrittivo di una condotta abusiva sono intercambiabili. In altre parole, ai fini
dell’accertamento di una condotta abusiva sotto forma di imposizione di prezzi predatori non è necessario
dimostrare l’effettiva esclusione del concorrente dal mercato. È invece necessario, secondo la
giurisprudenza AKZO/Commissione, dimostrare che i prezzi non coprono i costi. Così, se i prezzi non
coprono i costi variabili l’elemento dell’intento predatorio è presunto. Se, invece, i prezzi non coprono i
costi medi è necessario fornire la prova dell’esistenza di un disegno volto all’eliminazione della
concorrenza. Questo elemento deve essere provato con indizi gravi e concordanti.
Nel caso di specie la condotta abusiva posta in essere da Wanadoo può essere divisa in due periodi: dal
periodo che va sino all’agosto del 2001 per il quale la Commissione ha dimostrato la mancata copertura dei
costi variabili; il periodo che decorre dalla data di cui sopra sino all’ottobre 2002 per il quale la
Commissione ha provato la mancata copertura dei costi totali. In relazione a questo periodo di tempo la
Commissione ha correttamente dimostrato l’esistenza di un intento predatorio sulla base di prove
documentali. Si trattava di documenti riportanti affermazioni le quali esplicitavano l’intenzione
dell’impresa dominante di appropriarsi del mercato dominante.
Queste affermazioni erano riferibili ai componenti del personale direttivo dell’impresa pronunciate
nell’ambito di presentazioni officiali per organi decisionali ovvero contenute in una lettera quadro. Per
questa ragioni appariva difficile sostenere la natura spontanea e impulsiva di tali dichiarazioni.
La ricorrente ha anche contestato il test sulla strategia predatoria della Commissione nella parte dove il test
non prevede la possibilità per l’impresa dominante del recupero delle perdite. Secondo Wanadoo sarebbe
irrazionale per un’impresa dominante porre in atto una politica di prezzi predatori se poi non può
ragionevolmente sperare di ridurre la concorrenza e alzare i prezzi nel lungo periodo. Le condizioni per
realizzare con successo una politica di prezzi predatori non esistevano nel mercato rilevante, in particolar
modo per l’assenza di elevate barriere all’ingresso. L’eliminazione dei concorrenti e il conseguente
aumento dei prezzi avrebbe verosimilmente attirato nuovi operatori, la pressione concorrenziale dei quali
avrebbe impedito a Wanadoo di sostenere in modo profittevole l’aumento dei prezzi.
In effetti in alcuni ordinamenti, come, ad esempio, nel diritto antitrust nord-americano, l’elemento del
recupero delle perdite è necessario al fine della sussistenza della pratica predatoria. La Suprema Corte degli
Stati Uniti nel caso Brooke Group ha stabilito che la possibilità dell’impresa di recuperare la perdita è un
elemento essenziale, insieme alla mancata copertura dei costi, della politica di prezzi predatori. È quindi
necessario dimostrare che, sulla base delle condizioni e della struttura del mercato rilevante, l’impresa, una
volta eliminati i concorrenti, può aumentare con profitto i prezzi oltre il livello di equilibrio (Brook Group
Ltd. v Brown & Williamson Tobacco Corp., in Supreme Court , 99, p. 551).
Il Tribunale, tuttavia, non ha accolto le censure avanzate dalla ricorrente e non si è discostato
dall’orientamento consolidato, secondo il quale, come sopra esposto, al fine di dimostrare una pratica
predatoria rilevano solo due elementi: la mancata copertura dei costi e l’intento predatorio. Una volta
provata l’esistenza di questi due elementi è superfluo accertare se l’impresa dominante ha la possibilità di
recuperare le perdite.
Infine, può essere utile soffermarsi sulla posizione espressa dalla Commissione relativamente
all’applicazione dell’art. 82 CE alle pratiche di prezzi predatori (DG Competition discussion paper on the
application of art. 82 of the treaty to exclusionary abuses).
In primo luogo la Commissione propone di sostituire uno dei fattori dell’analisi prezzi/costi del test. La
media dei costi varabili dovrebbe essere sostituita con la media dei costi evitabili (average avoidable costs
). I costi evitabili si riferiscono ai costi sostenuti dall’impresa per l’aumento della produzione e che
l’impresa avrebbe evitato se non avesse deciso di aumentare la produzione. Rispetto ai costi variabili, i
costi evitabili sono rilevanti quando l’impresa dominante per poter porre in essere la strategia predatoria
deve aumentare la capacità produttiva. Perciò, gli investimenti fissi per l’aumento della produzione
costituisco elementi di costo rilevanti ai fini del test predatorio, e i prezzi inferiori a tali costi sono
fortemente sospettati di essere predatori.
Invece, la Commissione conferma l’irrilevanza della prova della possibilità dell’impresa dominante di
recuperare le perdite. La Commissione ragiona che la posizione dominante delll’impresa che attua la
strategia predatoria è imputabile ad una serie di fattori, tra i quali la presenza di elevate barriere all’ingresso
nel mercato. Da questo elemento è possibile presumere la possibilità dell’impresa dominante di recuperare
i costi, posto che l’ingresso di nuovi concorrenti nel mercato appare improbabile a causa delle elevate
barriere all’ingressso. In altre parole, la dimostrazione della possibilità di recupero delle perdite appare
superflua, posto che tale possibilità già è insita nel potere di mercato dell’impresa dominante.
Nella sentenza Wanadoo (Tribunale Primo Grado CE, causa T-340/03, France Télécom c Commissione) il
Tribunale di Primo Grado ha confermato ancora una volta la consolidata prassi seguita dalla Commissione
per l’esame delle politiche di prezzi predatorie di un’impresa dominante.
La fattispecie di prezzi predatori ricorre quando un’impresa dominante diminuisce i prezzi di vendita dei
suoi prodotti in modo tale da rendere i prodotti offerti dai suoi concorrenti meno appetibili per i
consumatori. Tale condotta, deprimendone i profitti, costringe i concorrenti ad abbandonare il mercato
ovvero impedisce l’ingresso di nuovi concorrenti nel mercato. In questo modo l’impresa dominante accetta
una riduzione dei profitti nel breve periodo, la quale dovrebbe essere compensata nel lungo periodo
dall’aumento dei prezzi reso possibile dall’eliminazione della concorrenza nel mercato rilevante.
Sul piano pratico, tuttavia, non è sempre facile distinguere tra una politica di prezzi predatoria vietata
dall’art. 82 CE quando è attuata da un’impresa dominante, e la decisione di un’impresa di abbassare i
prezzi per meglio contrastare i concorrenti, che invece non è vietata dal diritto sulla concorrenza.
Ai fini dell’accertamento delle pratiche di prezzo predatorie la Commissione ha elaborato un test,
confermato in più di un’occasione dai giudici comunitari (Corte di Giustizia CE, sentenza del 3 luglio
1991, causa C-62/86 AKZO/Commissione in Racc. pag. I-3359; sentenza del 14 novembre 1996, causa C-
333/94 P, Tetra Pak/Commissione, Racc. pag. I-5951), il quale si fonda su due elementi: l’analisi
comparativa prezzi/costi dalla quale risulti la mancata copertura dei costi e l’intento predatorio perseguito
dall’impresa dominante.
Più precisamente, il test della Commissione distingue due ipotesi:
A) se il prezzo è inferiore alla media dei costi variabili l’intento predatorio si presume, posto che in questo
caso l’impresa dominante non può avere altro interesse a praticare prezzi simili se non quello
dell’eliminazione dei propri concorrenti;
B) se il prezzo è superiore alla media dei costi variabili medi ma inferiore alla media dei costi totali medi
per aversi violazione dell’art. 82 CE è necessario dimostrare l’intento predatorio dell’impresa dominante.
In alcuni casi, la Commissione ha applicato il criterio della media dei costi incrementali di lungo periodo. I
costi incrementali comprendono i costi affrontati dall’impresa per la produzione di beni e servizi, poi ceduti
a prezzi predatori. Questo criterio è stato applicato per l’esame delle pratiche predatorie poste in essere da
imprese aventi il monopolio legale in un determinato settore al fine di impedire che il monopolista finanzi
la riduzione dei prezzi nel mercato aperto alla concorrenza con i profitti conseguiti nel mercato a questo
riservato. In altre parole, se i prezzi praticati dal monopolista nel mercato aperto non coprono tutti i costi
fissi e variabili per lo svolgimento di tale attività, cioè i costi incrementali, tali prezzi si presumono
predatori (Commissione, decisione del 20 marzo 2001, Caso COMP/35.141-Deutsche Post, in GUCE L
125 del 5 maggio 2001, pag. 27).
Il criterio dei costi incrementali è stato applicato anche dall’AGCM nel caso Caronte.
Un’impresa svolgeva servizi di trasporto marittimo nello Stretto di Messina con una forte posizione di
dominanza sulla rotta Villa San Giovanni/Messina, non facilmente contendibile a causa di elevate barriere
all’ingresso. L’impresa dominante aveva cominciato a operare anche sulla rotta Reggio Calabria/Messina a
prezzi particolarmente bassi come per risposta ai nuovi collegamenti svolti da un’altra impresa di
navigazione su questa rotta. L’AGCM, sulla base del criterio dei costi incrementali ha condannato
l’impresa dominante per aver praticato prezzi predatori. La rotta Reggio Calabria/Messina era operata in
perdita al fine di togliere quota di mercato al nuovo concorrente e le perdite erano sussidiate con i proventi
generati dalla rotta Villa San Giovanni/Messina dove l’impresa era dominante (AGCM, provvedimento n.
10650 del 17 aprile 2002, Diano/Tourist Ferry Boat-Caronte Shipping, in Bollettino n. 16/2002).
Dopo aver brevemente illustrato l’orientamento delle istituzioni comunitarie in materia di prezzi predatori,
possiamo ora esaminare la sentenza Wanadoo. La Commissione aveva condannato Wanadoo per
violazione dell’art. 82 CE, avendo questa praticato tariffe predatorie nel mercato per la forniture di servizi
di accesso ad internet ad alta velocità per la clientela residenziale. La Commissione aveva rilevato che la
strategia predatoria aveva consentito a Wanadoo di appropriarsi di una quota consistente di un mercato in
grande sviluppo quale quello per l’accesso ad Internet ad alta velocità. Wanadoo aveva poi impugnato la
decisione della Commissione davanti al Tribunale di Primo Grado.
Tra le censure mosse da Wanadoo alcune riguardano il test sulla strategia predatoria usato dalla
Commissione. La ricorrente sostiene che i prezzi predatori rilevati dalla Commissione sarebbero stati
irrazionali nel mercato rilevante. Secondo Wanadoo, il tentativo di restringere la concorrenza facendo
ricorso a pratiche predatorie non avrebbe avuto verosimilmente buon fine. Infatti le basse barriere
d’ingresso nel mercato rilevante non avrebbero certo impedito l’arrivo di nuovi concorrenti in sostituzione
di quelli costretti ad uscire dal mercato dalle pratiche predatorie.
Il Tribunale però ribatte che ai fini dell’applicazione dell’art. 82 CE la prova dell’effetto restrittivo o
dell’oggetto restrittivo di una condotta abusiva sono intercambiabili. In altre parole, ai fini
dell’accertamento di una condotta abusiva sotto forma di imposizione di prezzi predatori non è necessario
dimostrare l’effettiva esclusione del concorrente dal mercato. È invece necessario, secondo la
giurisprudenza AKZO/Commissione, dimostrare che i prezzi non coprono i costi. Così, se i prezzi non
coprono i costi variabili l’elemento dell’intento predatorio è presunto. Se, invece, i prezzi non coprono i
costi medi è necessario fornire la prova dell’esistenza di un disegno volto all’eliminazione della
concorrenza. Questo elemento deve essere provato con indizi gravi e concordanti.
Nel caso di specie la condotta abusiva posta in essere da Wanadoo può essere divisa in due periodi: dal
periodo che va sino all’agosto del 2001 per il quale la Commissione ha dimostrato la mancata copertura dei
costi variabili; il periodo che decorre dalla data di cui sopra sino all’ottobre 2002 per il quale la
Commissione ha provato la mancata copertura dei costi totali. In relazione a questo periodo di tempo la
Commissione ha correttamente dimostrato l’esistenza di un intento predatorio sulla base di prove
documentali. Si trattava di documenti riportanti affermazioni le quali esplicitavano l’intenzione
dell’impresa dominante di appropriarsi del mercato dominante.
Queste affermazioni erano riferibili ai componenti del personale direttivo dell’impresa pronunciate
nell’ambito di presentazioni officiali per organi decisionali ovvero contenute in una lettera quadro. Per
questa ragioni appariva difficile sostenere la natura spontanea e impulsiva di tali dichiarazioni.
La ricorrente ha anche contestato il test sulla strategia predatoria della Commissione nella parte dove il test
non prevede la possibilità per l’impresa dominante del recupero delle perdite. Secondo Wanadoo sarebbe
irrazionale per un’impresa dominante porre in atto una politica di prezzi predatori se poi non può
ragionevolmente sperare di ridurre la concorrenza e alzare i prezzi nel lungo periodo. Le condizioni per
realizzare con successo una politica di prezzi predatori non esistevano nel mercato rilevante, in particolar
modo per l’assenza di elevate barriere all’ingresso. L’eliminazione dei concorrenti e il conseguente
aumento dei prezzi avrebbe verosimilmente attirato nuovi operatori, la pressione concorrenziale dei quali
avrebbe impedito a Wanadoo di sostenere in modo profittevole l’aumento dei prezzi.
In effetti in alcuni ordinamenti, come, ad esempio, nel diritto antitrust nord-americano, l’elemento del
recupero delle perdite è necessario al fine della sussistenza della pratica predatoria. La Suprema Corte degli
Stati Uniti nel caso Brooke Group ha stabilito che la possibilità dell’impresa di recuperare la perdita è un
elemento essenziale, insieme alla mancata copertura dei costi, della politica di prezzi predatori. È quindi
necessario dimostrare che, sulla base delle condizioni e della struttura del mercato rilevante, l’impresa, una
volta eliminati i concorrenti, può aumentare con profitto i prezzi oltre il livello di equilibrio (Brook Group
Ltd. v Brown & Williamson Tobacco Corp., in Supreme Court , 99, p. 551).
Il Tribunale, tuttavia, non ha accolto le censure avanzate dalla ricorrente e non si è discostato
dall’orientamento consolidato, secondo il quale, come sopra esposto, al fine di dimostrare una pratica
predatoria rilevano solo due elementi: la mancata copertura dei costi e l’intento predatorio. Una volta
provata l’esistenza di questi due elementi è superfluo accertare se l’impresa dominante ha la possibilità di
recuperare le perdite.
Infine, può essere utile soffermarsi sulla posizione espressa dalla Commissione relativamente
all’applicazione dell’art. 82 CE alle pratiche di prezzi predatori (DG Competition discussion paper on the
application of art. 82 of the treaty to exclusionary abuses).
In primo luogo la Commissione propone di sostituire uno dei fattori dell’analisi prezzi/costi del test. La
media dei costi varabili dovrebbe essere sostituita con la media dei costi evitabili (average avoidable costs
). I costi evitabili si riferiscono ai costi sostenuti dall’impresa per l’aumento della produzione e che
l’impresa avrebbe evitato se non avesse deciso di aumentare la produzione. Rispetto ai costi variabili, i
costi evitabili sono rilevanti quando l’impresa dominante per poter porre in essere la strategia predatoria
deve aumentare la capacità produttiva. Perciò, gli investimenti fissi per l’aumento della produzione
costituisco elementi di costo rilevanti ai fini del test predatorio, e i prezzi inferiori a tali costi sono
fortemente sospettati di essere predatori.
Invece, la Commissione conferma l’irrilevanza della prova della possibilità dell’impresa dominante di
recuperare le perdite. La Commissione ragiona che la posizione dominante delll’impresa che attua la
strategia predatoria è imputabile ad una serie di fattori, tra i quali la presenza di elevate barriere all’ingresso
nel mercato. Da questo elemento è possibile presumere la possibilità dell’impresa dominante di recuperare
i costi, posto che l’ingresso di nuovi concorrenti nel mercato appare improbabile a causa delle elevate
barriere all’ingressso. In altre parole, la dimostrazione della possibilità di recupero delle perdite appare
superflua, posto che tale possibilità già è insita nel potere di mercato dell’impresa dominante.

TAG: Diritto comunitario, Diritto della concorrenza e della pubblicità

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