La relatività generale - Mattia Villa V scientifico
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Indice: Premessa ………………………………………………………….3 Punti di partenza per la relatività Generale ………………………3 Esperimenti ideali ………………………………………………..4 Relatività Generale e sue applicazioni …………………………...4 1. Effetti dello spazio-tempo curvo sulla luce …………………...6 2. Il Redshift gravitazionale …………………………………......8 3. Le onde gravitazionali ………………………………………...8 2
Premessa Dopo la formulazione della teoria della relatività ristretta, Einstein si trovò di fronte a due problemi: se fosse possibile introdurre la gravitazione all’interno di questa teoria e se il primo degli assiomi della relatività ristretta, secondo il quale le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali, potesse essere ampliato a tutti i sistemi di riferimento. Questi due interrogativi si fusero in uno solo e costituirono l’ossatura della teoria della relatività generale, che supera e completa quella della relatività ristretta. Albert Einstein Punti di partenza per la relatività Generale Per formulare gli assiomi che stanno alla base della relatività generale, Einstein si basò sull’analisi di alcuni esperimenti ideali che avevano come fondamento il fatto che l’accelerazione di gravità dipende solo dalla distanza a cui ci troviamo da un pianeta e dalla sua massa gravitazionale. Infatti il modulo F della forza di interazione gravitazionale tra un pianeta e un punto materiale, di massa gravitazionale mg e massa inerziale mi, posto a distanza r dal centro del pianeta, è GM g m g F= 2 r dove Mg è la massa gravitazionale del pianeta e G è la costante di gravitazione universale. Il secondo principio della dinamica permette di calcolare l’accelerazione del punto materiale dovuta alla forza gravitazionale grazie all’equazione F = mi a 3
In cui compare la massa inerziale del punto stesso. Sostituendo la prima formula nella seconda e ricavando l’accelerazione da quest’ultima, si ottiene M g mg a= G r 2 mi Poiché sulla base di accurate misure sperimentali il rapporto mg/mi vale 1, sulla base di quest’ultima espressione si ricava che Mg a= G r2 che dimostra come per un valore di r fissato l’accelerazione di gravità a dipende soltanto dalle costanti G e Mg, per cui risulta essa stessa una costante (indicata con la lettera g) uguale per tutti i corpi. Esperimenti ideali Immaginando di trovarsi in un ascensore in caduta libera, dal momento che tutti i corpi interessati cadono con la stessa accelerazione g si subiscono alcuni effetti particolari: infatti un osservatore posto al suo interno non percepirebbe più la pressione sulle piante dei piedi dovuta al proprio peso e non avvertirebbe più neanche il peso di un eventuale oggetto nelle sue mani; lasciandolo andare esso si librerebbe a mezz’aria senza spostarsi rispetto a lui. La situazione risulterebbe del tutto simile a quella che si vive a bordo di una navicella in orbita intorno alla terra, dove la situazione è simile (tutti i corpi si muovono con la medesima velocità), oppure su di un’astronave che viaggi nello spazio profondo, a distanza enorme da ogni corpo massivo, in modo tale che si possano considerare trascurabili le attrazioni gravitazionali che agiscono su di essa, sebbene in questo caso la situazione fisica sia molto diversa. Esiste anche un fenomeno complementare a quello appena descritto: se l’astronave lontano da ogni corpo massivo inizia ad accelerare sotto la spinta dei propri motori, tutti i corpi presenti al suo interno (che tendono a conservare il proprio moto rettilineo uniforme per il principio di inerzia) si troveranno spinti verso il fondo. Risulta quindi possibile, se l’accelerazione dell’astronave è costante, creare al suo interno una forza-peso fittizia che permetta agli astronauti di poggiare i piedi sul pavimento. Nessuno degli esperimenti precedenti, se compiuto in un locale chiuso, permette allo sperimentatore di capire se si trova in presenza di un campo gravitazionale o all’interno di un mezzo di trasporto che sta accelerando in modo costante. Relatività Generale e sue applicazioni Partendo dall’analisi di esperimenti ideali come quelli appena presentati, Einstein formulò il principio di equivalenza che stabilisce che, in una zona delimitata dello spazio-tempo, è sempre possibile scegliere un opportuno sistema di riferimento, in modo da simulare l’esistenza di un dato campo gravitazionale uniforme o, reciprocamente, in modo da eliminare l’effetto della forza di gravità costante. Esso sta alla base del ragionamento che permise di estendere il principio di relatività ristretta a tutti i sistemi di riferimento; infatti ciò che accade in un sistema di riferimento inerziale avviene, in modo indistinguibile, in un sistema di riferimento che è in caduta libera all’interno di un campo gravitazionale. Allo stesso modo, ciò che accade in un sistema di riferimento inerziale in presenza della gravità è identico a ciò che avviene in un sistema di riferimento accelerato. 4
Tutto ciò portò Einstein a porre alla base della sua teoria della gravitazione il principio di relatività generale, secondo il quale le leggi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento. Con questo principio Einstein non solo superò il primo assioma della relatività ristretta, ma anche quello sulla costanza della velocità della luce. Infatti in un sistema di riferimento inerziale la luce che proviene da una stella si propaga in linea retta, mantenendo la propria velocità costante in direzione, verso e modulo. Invece in un sistema di riferimento accelerato bisogna comporre il moto della luce visto nel sistema inerziale con quello aggiuntivo (e accelerato) del primo riferimento rispetto al secondo. Di conseguenza la velocità della luce cambia in direzione, e la sua traiettoria appare incurvata. Il principio di equivalenza ed il principio di relatività generale furono solo i punti di partenza per la teoria della relatività generale di Einstein, che venne completata solo nel 1916, dopo anni di lavoro. Essa si basa su due idee fondamentali: • La presenza di masse incurva lo spazio-tempo • I corpi soggetti alla forza di gravità devono essere considerati come particelle libere, che si muovono seguendo le geodetiche* dello spazio-tempo *In ogni spazio è possibile determinare le curve di minima lunghezza che uniscono i vari punti. Esse si chiamano curve geodetiche (o più brevemente geodetiche). Per millenni nessuno ha avuto dubbi sul fatto che la geometria euclidea fosse l’unico spazio esistente e concepibile. In esso si considera valido il quinto postulato di Euclide secondo il quale esiste ed è unica la parallela condotta da un punto esterno a una retta. Ma nei primi decenni del secolo scorso diversi matematici scoprirono che è possibile ottenere nuove teorie geometriche modificando questo quinto postulato, come per esempio nelle geometrie iperboliche (introdotte da Lobacevskij e da Bolyai) nelle quali per un punto esterno a una retta è possibile condurre infinite rette parallele a quella data; inoltre la somma degli angoli interni di un triangolo è sempre minore a un angolo piatto; o nella geometria ellittica (introdotta da Rienmann). Tutto ciò è dimostrato e sistemato in maniera rigorosa nella teoria geometrica generale di Rienmann. In particolare, per ogni spazio si può definire una proprietà intrinseca che si chiama curvatura. Gli spazi con geometria ellittica hanno curvatura positiva, mentre quelli con geometria iperbolica hanno curvatura negativa. Nel complesso tali spazi si dicono curvi, mentre spazi come quello di Euclide o lo spazio-tempo di Minkowski hanno curvatura nulla e si dicono piatti. Poiché la teoria della relatività ristretta non prende in considerazione l’attrazione gravitazionale tra le masse il suo spazio-tempo è piatto; nella relatività generale, invece, è importante conoscere la distribuzione delle masse nello spazio perché attraverso l’equazione di campo di Einstein si può calcolare qual è la geometria dello spazio. In generale tale geometria varia da zona a zona: le parti di spazio-tempo più vicine alle masse hanno curvature più accentuate di quelle che si trovano lontane da esse. 5
Una celebre illustrazione divulgativa della curvatura dello spazio-tempo dovuta alla presenza di massa, rappresentata in questo caso dalla Terra. La concezione di gravità secondo Einstein risulta quindi del tutto nuova: la presenza di masse incurva la geometria dello spazio-tempo. In esso, le masse stesse si muovono come particelle libere, seguendone le linee di minima lunghezza (geodetiche). Ogni massa risente soltanto della geometria della zona di spazio-tempo in cui si trova, anche se l’effetto globale può dare l’impressione che esista una forza che agisce su di essa. Se i punti materiali sono soggetti ad altre forze (per esempio di natura elettrica) le loro traiettorie ne risentono: esse non sono più geodetiche ma possono essere calcolate a partire dalla conoscenza delle forze applicate. Gli effetti della relatività generale si manifestano compiutamente quando sono in gioco grandi masse, oppure quando si è in presenza di grandi densità di massa. Partendo dall’equazione di campo di Einstein è possibile dimostrare che in un universo “quasi piatto” (come quello nelle vicinanze della Terra, che non ha una massa molto grande) l’effetto della curvatura dello spazio-tempo è sperimentalmente indistinguibile da quella della forza di Newton. Effetti dello spazio-tempo curvo sulla luce Come precedentemente notato, la luce, in un sistema di riferimento accelerato, segue una traiettoria curvilinea. Dato che, per il principio di equivalenza, l’effetto di un sistema di riferimento accelerato è indistinguibile da quello di un campo gravitazionale, possiamo chiederci se la luce possa essere deviata dalla curvatura dello spazio-tempo. Esiste un’altra ragione per porsi tale problema: la luce trasporta energia e, secondo la relatività ristretta, non vi è una vera differenza tra una quantità E di energia e una massa m = E . Anche seguendo questa idea, è naturale chiedersi se la gravità, cioè c2 la curvatura dello spazio-tempo, ha effetti sulla propagazione della luce così come ha effetto sulle masse. Dal momento che, nelle condizioni sperimentali che sono normali sulla terra, non si è mai osservata la deviazione gravitazionale di un fascio di luce, si deve dedurre che tale fenomeno è difficile da rilevare e si può quindi sperare di metterlo in evidenza soltanto disponendo di un campo gravitazionale particolarmente intenso e nelle “vicinanze” della terra, l’unica scelta possibile è quindi di fare ricorso al campo gravitazionale del Sole. Nell’ambito della teoria della relatività generale è possibile calcolare la deviazione angolare subita da un raggio di luce che passa rasente alla superficie del Sole. Tale valore è molto piccolo (1,75 6
secondi d’arco, cioè 1,75 tremilaseicentesimi di grado), ma poteva già essere misurato con le tecnologie che erano a disposizione negli anni intorno al 1920. La verifica sperimentale di questa ipotesi può essere effettuata in questo modo: in una notte qualunque si può osservare la posizione apparente nel cielo di una stella S rispetto ad altre stelle di riferimento. La stessa stella sarà poi osservata durante una eclissi, quando il Sole è oscurato dalla massa della Luna. La deflessione del Sole è attrattiva; perciò sembrerà che la luce della stella provenga da un punto S1 spostato, rispetto a S, dalla parte opposta rispetto a quella in cui si trova il sole. Illustrazione dell'effetto lente gravitazionale: la sorgente "vera" è nel riquadro in alto a destra. Il percorso della luce è rappresentato dalle frecce bianche, mentre quelle arancioni permettono di ricostruire la posizione apparente della sorgente ovvero la posizione delle sue immagini. Tale verifica sperimentale fu realizzata per la prima volta nel 1919, quando osservazioni di Arthur Eddington durante un'eclisse di Sole confermarono la visibilità di alcune stelle vicine al bordo solare, che in realtà avrebbero dovuto essere invisibili: i fotoni luminosi venivano deviati dal Sole della quantità prevista dalle equazioni. In realtà, essa risultò poi impropria perchè le osservazioni avevano un errore medio dello stesso ordine di grandezza dell'effetto considerato. Negativo della lastra di Sir Arthur Eddington raffigurante l'eclisse solare del 1919, utilizzata per mettere alla prova la previsione di deviazione gravitazionale della luce. 7
Il Redshift gravitazionale Sempre secondo i ragionamenti illustrati in precedenza, se il campo gravitazionale agisce su una massa che risale al suo interno, rallentandola, deve agire in qualche modo anche sulla sua luce, visto che essa trasporta energia. In effetti, la teoria della relatività generale prevede che la luce proveniente da una stella (e che, quindi, è partita dalla superficie della stella ed è giunta fino alla Terra “risalendo” il campo gravitazionale) abbia una frequenza minore di quella con cui era stata emessa. Visto che, nell’ambito della luce visibile, il rosso è il colore a cui corrisponde la frequenza minore, tale fenomeno prende il nome di spostamento verso il rosso (o redshift) gravitazionale. Le onde gravitazionali Tra le previsioni teoriche della relatività generale ve ne è una di particolare interesse: se la geometria dello spazio-tempo è determinata dalla distribuzione delle masse presenti in esso, quando tale distribuzione viene modificata (per esempio perché una di tali masse si sposta molto rapidamente) la geometria dello spazio-tempo cambia di conseguenza. Questa variazione nella geometria non è istantanea in tutto l’Universo, ma si propaga alla velocità della luce c. La propagazione della variazione della geometria dello spazio-tempo prende il nome di onda gravitazionale. Le onde gravitazionali interagiscono molto debolmente con la materia; per fare un esempio, un’onda gravitazionale che attraversasse il Sole perderebbe soltanto una parte su 1016 della sua energia. Per questo la rilevazione di tali onde pone problemi fisici e tecnologici eccezionali. D’altronde, proprio questa debole interazione con la materia rende le onde gravitazionali strumenti di grande importanza per la ricerca astronomica e cosmologica: per esempio, un’onda gravitazionale che passasse attraverso il Sole e che fosse rilevata sulla Terra potrebbe fornire una specie di “radiografia” dell’interno del sole. Lo strumento più importante utilizzato per la misurazione di tali onde è l’antenna gravitazionale, cioè un cilindro di grande massa che può essere messo in oscillazione dal passaggio di un’onda di gravità. Purtroppo nessun apparato sperimentale è riuscito a individuare un segnale che sia sicuramente interpretabile come il passaggio di un’onda gravitazionale. Forse la tecnologia non è ancora in grado di effettuare con successo esperimenti di questo tipo. La ragione, però, potrebbe essere un’altra: onde gravitazionali di intensità relativamente elevata sono generate da eventi molto energetici, come l’esplosione di una supernova. La probabilità che uno di tali eventi avvenga nella zona di universo in cui si trova la Terra è piuttosto bassa. Pertanto gli scienziati sono obbligati ad attendere, affinando, nel frattempo, le proprio conoscenze e la propria tecnologia. 8
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