L'ITALIA SUL BARATRO/MATTEO RENZI O "L'ESPRIT DE REVANCHE" - Raffaele ...

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L’ITALIA SUL BARATRO/MATTEO RENZI O “L’ESPRIT DE
REVANCHE”
13-03-2018

L’intervista rilasciata da Matteo Renzi ad Aldo Cazzullo e pubblicata, ieri, su “Il Corriere
della Sera”, trasuda questo sentimento di rivincita, anche se il Bismarck di Renzi è stato
Renzi stesso

La disfatta di Sedan, nella guerra franco-prussiana del 1870, non provocò soltanto, nella storia
di Francia, la fine del Secondo Impero e la nascita della Terza Repubblica, ma, con le
successive imposizioni del Trattato di Francoforte del 1871 (la perdita dell’Alsazia-Lorena e le
umilianti clausole economico-finanziarie, volute dal cancelliere-principe Ottone di Bismarck-
Schönhausen), originò, per l’umiliazione subita, nel profondo dell’opinione pubblica francese,
dal ceto politico repubblicano alla borghesia, dalle classi meno abbienti al “popolo di Parigi”, un
moto di indignazione e uno spirito di rivincita, “l’esprit de revanche”, definito poi dagli storici,
come revanscismo.
Il termine è passato, successivamente, a significare, nel linguaggio comune, lo spirito della
rivincita di chi ritiene di aver subito un’ingiustizia e manifesta la volontà di volersi rifare di
effettivi o di presunti torti. L’intervista rilasciata da Matteo Renzi ad Aldo Cazzullo e pubblicata,
ieri, su “Il Corriere della Sera”, trasuda questo sentimento di rivincita, anche se il Bismarck di
Renzi è stato Renzi stesso. L’analisi delle risposte alle domande dell’intervistatore lascia
stupefatti perché, pro forma, Renzi si assume la responsabilità della débâcle e dichiara di non
nutrire rimpianti, né rancori, in realtà rovescia sugli altri la colpa, rivendicando, con la consueta
saccenteria, la validità di tutte le scelte fatte.

“IL MIO CICLO ALLA GUIDA DEL PD SI È CHIUSO”

                                                     “Il mio ciclo alla guida del PD si è chiuso”. Una
consapevolezza di questa portata, pur confliggendo con la dichiarazione, a ridosso del voto, di
voler rimanere alla guida del PD fino al 2021, anche in caso di sconfitta, avrebbe comportato,
dopo quattro anni di guida del partito e tre del governo, di presentarsi davanti agli organi
collegiali, nonché di fronte al paese, e di compiere una disamina coraggiosa, e persino brutale,
degli errori commessi, anche caratteriali, in prima persona e insieme con i più stretti
collaboratori, consiglieri, ispiratori e sodali. Non solo, ma di ascoltare le riflessioni e le
considerazioni delle minoranze. Sarebbe stato un atto di umiltà e di coraggio, da autentico
leader politico, quale ritiene di essere. Avrebbe così reso un buon servizio al partito, aprendo la
strada ad una futura ricerca collettiva sulla questione, magari in un’assemblea nazionale,
inquadrando i deficitari risultati elettorali 2018, nella complessiva crisi della sinistra italiana ed
europea. Non scappando e lasciando, con una lettera di dimissioni e con un’intervista, gli
interrogativi in sospeso. Le sconfitte, collezionate nel corso della sua gestione, a parte le
elezioni europee del 2014 (regionali, referendum, ecc.) sono state liquidate come incidenti di
percorso (non lo erano affatto, piuttosto segnali disattesi e non colti dello tsunami in arrivo, con
la perdita di altri sette milioni di voti, rispetto al referendum costituzionale). Di chi le colpe, per
Renzi? Presto detto: la campagna di odio contro di lui; la linea politica confusa, né carne, né
pesce; l’eccesso di moderatismo e di prudenza, scambiato dagli elettori per timidezza e
rinunzia; un logorante dibattito interno e la “stoltezza politica” dei candidati, i quali proponevano
il voto sulla loro persona e non sul simbolo del partito. Chi ha scelto i candidati? Forse la ruota
della fortuna di Mike Buongiorno? O Matteo Renzi?

“BISOGNA RIPARTIRE DA ZERO, DALL’OPPOSIZIONE”
Premesso che, per amore di verità, la ripartenza
dei democratici o, meglio, l’enfatizzata traversata del deserto, non sarà da zero, ma da
“sottozero”, il segretario del PD non si era accorto, prima d’oggi, dell’arrivo del
ciclone “populismo”? Nessun sondaggio, ancorché costoso, lo aveva preavvisato, preso
com’era, dalla celebrazione della ripresa economica e dall’autocompiacimento di aver fatto
uscire l’Italia dalla crisi? La rivelazione gli è stata fatta forse, in sogno, dal primo ideologo di
Trump, un certo Steve Bannon? E del disastro del Sud, e della Campania in particolare, ha
acquisito piena consapevolezza soltanto all’apertura delle urne, quando tutti i collegi
uninominali sono diventati appannaggio del Movimento Cinque Stelle? O prima, da presidente
del consiglio dei ministri? Il segretario del PD e premier, nel corso dei suoi doppi mandati, ha
mai sentito parlare della “questione meridionale”, della disoccupazione giovanile, della fuga
dei cervelli, della sovranità mafiosa sui territori meridionali, e non solo, e del flagello sociale
dell’usura, del racket e del gioco d’azzardo? Ha mai letto, o studiato, i rapporti del CENSIS,
della Svimez e de “Il Mattino” sullo stato dell’economia meridionale? Per carità, Renzi sapeva
tutto, aveva coscienza piena della situazione, ma l’errore, certo non suo (di chi? del Capo dello
Stato?), è stato di chi non l’ha ascoltato, sciogliendo prima le Camere, incentrando così il
confronto elettorale anticipato sull’agenda Europa. Non vuole fare polemiche con nessuno,
dichiara, ma l’accusa è precisa. Lui aveva visto giusto, sono gli altri ad aver sbagliato.

“LA RUOTA GIRA, LA RIVINCITA VERRA’ PRIMA DEL PREVISTO”

Stare all’opposizione (come su un nuovo Aventino?) può essere una grande occasione. La
rivincita del PD verrà molto prima del previsto. La sconfitta è una netta battuta di arresto, ma
non la fine di tutto (e meno male!). Quest’ottimismo di Renzi sfiora francamente la temerarietà,
in quanto si coniuga con un atteggiamento (apparentemente) da Ponzio Pilato: continuerò a
tirare il carro, con il sorriso; sul nuovo segretario deciderà l’assemblea; sui nomi non mi
esprimo; io non parlo male delle persone con le quali ho collaborato per anni; non parteciperò
alle consultazioni al Quirinale; non faremo nessun accordo con gli estremisti (M5S e Lega); la
piaggeria dei mediocri è stata sostituita dalla viltà e dall’opportunismo e non faremo da
stampella a nessuno. L’audacia di Renzi si trasforma in incoscienza politica, quando
l’intervistato ipotizza che, tra qualche settimana, il tema della riforma costituzionale, il suo
cavallo di battaglia, vilipeso e abbattuto dal referendum, tornerà centrale. Per davvero? Non la
riforma elettorale, non il DEF, non la formazione di un governo di transizione per tornare a
nuove elezioni, ma la riforma costituzionale di Renzi.
“NESSUNO DEI VINCENTI VUOLE TORNARE A VOTARE”

                                                 Siamo al clou della storica intervista. Renzi (bontà
sua!) riconosce che la palla sia in mano a Salvini e a Di Maio e che spetti a loro due, agli
estremisti, fare, o tentare di fare, un governo, in ragione delle loro affinità di programma
(vaccini, Europa, immigrazione, burocrazia, tasse, lavoro, giustizialismo e democrazia interna).
Hanno il diritto e forse il dovere, aggiunge, di provarci, pena il loro fallimento politico. E precisa:
nessuno dei vincenti vuole tornare a votare e sono i più convinti che questa legislatura debba
durare cinque anni, perché la gente chiede loro di mantenere le promesse fatte, a partire dal
reddito di cittadinanza. Donde Renzi abbia tratto questo convincimento, non risulta chiaro. Che
la conclusione del suo ragionamento sia un vero “miraggio”, non esiste dubbio: in caso di
nuove elezioni i leghisti e i pentastellati vedrebbero dimezzati i loro voti e i loro seggi
parlamentari. Peccato che l’intervistatore non gli abbia chiesto: a vantaggio di chi?

“NON FONDERÒ UN NUOVO PARTITO”

                         Tutti gli iscritti, vecchie e nuovi, a partire da Carlo Calenda, possono
dormire sonni tranquilli. Matteo Renzi lascia solo la segreteria, non il PD, e non fonderà un
nuovo partito. Farà il senatore della Repubblica, essendo uno dei pochi, nel PD, ad aver vinto
nel proprio collegio. Per quanto riguarda, invece, gli scissionisti, hanno preso meno consensi
di Vendola cinque anni fa e di Bertinotti dieci anni fa, nonostante la propaganda e il supporto
dei giornali, che li celebravano ogni giorno, mentre erano impegnati a sporcare la sua immagine
di leader.
Dove condurrà “l’esprit de revanche” di Renzi? Non molto lontano, se le analisi della sconfitta e
                                   le prospettive delineate sono quelle enunciate nell’intervista. Il suo spirito di rivincita,
                                   comunque, un risultato minimo, per ora, lo ha già conseguito: non dover condividere l’aula
                                   parlamentare con il suo nemico giurato, Massimo D’Alema.

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