L'istituto dell'ammonimento è una misura di prevenzione con finalità dissuasive, finalizzata a scoraggiare ogni forma di persecuzione o di ...

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“L’istituto dell’ammonimento è una misura di
prevenzione con finalità dissuasive,
finalizzata a scoraggiare ogni forma di
persecuzione o di violenza nel contesto di
relazioni affettive e sociali” – TAR Lombardia
– Brescia – sez. I – sentenza del 17 giugno
2021 – n. 572

        L’ammonimento, caratterizzandosi per la sua natura preventiva ed emergenziale, non
deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.
        Con maggiore precisione si è affermato che l’istituto dell’ammonimento è una misura
di prevenzione con finalità dissuasive, finalizzata a scoraggiare ogni forma di persecuzione o
di violenza nel contesto di relazioni affettive e sociali.
        Detto provvedimento assolve ad una funzione tipicamente cautelare e preventiva, in
quanto preordinato ad impedire che gli atti persecutori o violenti siano più ripetuti e
cagionino esiti irreparabili.
        In tali evenienze, il Questore, nell’ambito dei suoi poteri discrezionali, può valutare il
se e il quando emanare il provvedimento di ammonizione; oltre ad essere titolare del potere
di emettere o meno la misura, egli può infatti decidere se emanare senza indugio il
provvedimento di ammonizione, oppure se le circostanze consentano di avvisare il possibile
destinatario dell’atto, con l’avviso di avvio del procedimento, previsto dall’ art. 7 della l. n.
241/1990 e ciò, stante la natura eminentemente cautelare di tale istituto, sovente volto a far
fronte ad una situazione di emergenza con la massima urgenza.

      Massimazione a cura della Redazione di Iura Novit Curia©

      SENTENZA

       sul ricorso numero di registro generale 1258 del 2015, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandro Pedone, domiciliato presso la
T.A.R. Segreteria in Brescia, via Carlo Zima, 3, rappresentato e difeso dall’avvocato Luca
Coletta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
       contro
       Ministero dell’Interno, Questura di Bergamo, ciascuno in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato,
domiciliataria in Brescia, via S. Caterina, 6;
       per l’annullamento
       del decreto di ammonimento Cat. -OMISSIS- emesso a carico del ricorrente dal
Questore di Bergamo in data 30/03/2015 ex art. 8 co. 2 D.l. 11/2009 all’esito di accertamenti
esperiti in seguito al ricevimento di una richiesta di ammonimento presentata dalla
richiedente.

       Visti il ricorso e i relativi allegati;
       Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno e di Questura di
Bergamo;
       Visti tutti gli atti della causa;
       Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 9 giugno 2021 il dott. Bernardo Massari;
       Dato atto che la controversia è stata trattenuta in decisione, senza discussione orale,
sulla base degli atti depositati, ai sensi del combinato disposto dell’art. 25 del d.l. 137/2020 e
dell’art. 4 del d.l. 28/2020, ivi richiamato;
       Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

       FATTO e DIRITTO

        Espone il ricorrente di aver ricevuto la notifica, in data 01.04.2015, a mezzo dei
Carabinieri della Stazione di-OMISSIS-, l’epigrafato provvedimento con cui la Questura di
Bergamo, ai sensi dell’art. 8 D.L. n. 11/09, lo ammoniva a tenere una condotta conforme alla
legge con interruzione immediata delle condotte, riferite in motivazione, in danno della sig.ra
-OMISSIS-.
        Avverso tale atto il sig. -OMISSIS- proponeva ricorso chiedendone l’annullamento e
deducendo:
        1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8 e 10 della l. n. 241 del 1990, nonché
dell’art. 97 della Costituzione.
        2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 della l. n. 241 del1990, nonché
dell’art. 97 della Costituzione; eccesso di potere per carenza di motivazione sotto diverso
profilo.
        3. Violazione dell’art. 24 comma 7 della l. n. 241 del 1990, nonché degli artt. 24 e 97
della Costituzione per illegittimità delle modalità del consentito solo parziale accesso agli atti
e per insussistenza in concreto di ragioni di interesse per l’ordine e la sicurezza pubblica ai
sensi dell’art. 3 comma 1 lett. b) del D.M. interno n. 415 del 1994; violazione dell’art. 24, co.
7, della l. n. 241 del 1990.
        4. Violazione dell’art. 8 del d.l. n. 11/2009; eccesso di potere per difetto di istruttoria e
travisamento dei fatti.
        5. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990, dell’art. 612 bis c.p. nonché dell’art. 8 del
d.l. n. 11/2009; eccesso di potere per carenza di motivazione e travisamento dei fatti.
        6. Violazione degli artt. 13, 25, 27 Cost. e 5, 6 CEDU, oltre che del principio di
determinatezza della pena.
        L’Amministrazione intimata si costituiva in resistenza instando per la reiezione del
gravame.
        Nella pubblica udienza del 9 giugno 2021 il ricorso veniva trattenuto in decisione.
        Giova premettere, ai fini della comprensione della vicenda, una sintetica ricostruzione
dei fatti.
        La sig.ra -OMISSIS-, precedente convivente dell’ammonito, assumendo di essere
oggetto reiterati comportamenti assillanti e vessatori da parte di quest’ultimo, presentava un
esposto ai Carabinieri di-OMISSIS- e pur non proponendo querela per il reato di cui all’art. 612
bis C.P. chiedeva di assumere i provvedimenti necessari a far cessare le descritte condotte.
        La Questura di Bergamo esperita la necessaria attività investigativa conducente a una
sostanziale conferma dei fatti denunciati e ritenuta fondata la possibilità che il ricorrente
potesse porre in essere “azioni imprevedibili e spropositate” idonee a ingenerare nella
denunciante “un concreto stato di grave ansia e paura”, adottava il provvedimento di
ammonimento qui avversato.
        Con i primi due motivi il ricorrente lamenta che sia stata omessa la comunicazione di
avvio del procedimento, in violazione degli artt. 7, 8 e 10 della l. n. 241 del 1990, non
sussistendo ragioni di urgenza che ne giustificassero la pretermissione, nonché la carenza di
istruttoria e la mancata instaurazione del contraddittorio con l’interessato.
        Le censure non meritano condivisione.
        La giurisprudenza è ferma nel ritenere che l’ammonimento, caratterizzandosi per la
sua natura preventiva ed emergenziale, non deve essere preceduto dalla comunicazione di
avvio del procedimento (T.A.R. Piemonte, sez. I, 03/11/2020, n. 665; T.A.R. Emilia Romagna,
Parma, 11/05/2020, n. 81; TAR Lazio, Sez. I, 10 agosto 2018, n. 8968).
        Con maggiore precisione si è affermato che l’istituto dell’ammonimento è una misura
di prevenzione con finalità dissuasive, finalizzata a scoraggiare ogni forma di persecuzione o
di violenza nel contesto di relazioni affettive e sociali. Detto provvedimento assolve ad una
funzione tipicamente cautelare e preventiva, in quanto preordinato ad impedire che gli atti
persecutori o violenti siano più ripetuti e cagionino esiti irreparabili. In tali evenienze, il
Questore, nell’ambito dei suoi poteri discrezionali, può valutare il se e il quando emanare il
provvedimento di ammonizione; oltre ad essere titolare del potere di emettere o meno la
misura, egli può infatti decidere se emanare senza indugio il provvedimento di ammonizione,
oppure se le circostanze consentano di avvisare il possibile destinatario dell’atto, con l’avviso
di avvio del procedimento, previsto dall’ art. 7 della l. n. 241/1990 e ciò, stante la natura
eminentemente cautelare di tale istituto, sovente volto a far fronte ad una situazione di
emergenza con la massima urgenza (T.R.G.A, Trento, 08/06/2020, n. 85).
        Quanto all’omissione del contraddittorio procedimentale, questo T.A.R. ha già avuto
modo di affermare che il decreto di ammonimento di cui all’art. 8 d.l. 23 febbraio 2009 n. 11
non presuppone l’acquisizione della prova del fatto penalmente rilevante punito dall’art. 612
bis c.p., ma – nel presupposto di un potere valutativo ampiamente discrezionale
dell’amministrazione – richiede la sussistenza di un quadro indiziario che renda verosimile,
secondo collaudate massime di esperienza, l’avvenuto compimento di atti persecutori. Per
questo motivo, il questore deve soltanto apprezzare la fondatezza dell’istanza, formandosi il
ragionevole convincimento sulla plausibilità e attendibilità delle vicende esposte, senza che
sia necessario il compiuto riscontro dell’avvenuta lesione del bene giuridico tutelato dalla
norma penale incriminatrice: in questo caso, dunque, qualora emergano consistenti indizi di
una condotta aggressiva e disdicevole, non è indispensabile l’attivazione del contraddittorio
tra le parti né che il provvedimento sia preceduto dalla comunicazione di avvio del
procedimento (T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 28/01/2011, n.183
        Infondata appare anche la doglianza relativa al parziale diniego di accesso agli atti dal
momento che l’interessato ha potuto prendere visione dell’esposto della denunciante e
perciò prendere posizione, in sede processuale, rispetto ai fatti ivi esposti, mentre non pare
illegittimo il diniego di ostensione degli ulteriori atti investigativi attesa l’esigenza di tutela
della riservatezza di terzi e tenuto conto che il provvedimento impugnato non pare fondato
su elementi ulteriori rispetto alla denuncia.
        Il quarto e quinto motivo si incentrano sull’asserito difetto di istruttoria e di
motivazione del decreto contestato.
        L’assunto è privo di pregio.
        Come reso evidente dagli atti di causa e dalla stessa difesa del ricorrente il
provvedimento è sorretto, sia pure sinteticamente, da una motivazione adeguata che torva
riferimento nelle condotte del ricorrente tradottisi in pedinamenti e appostamenti all’esterno
dell’abitazione, contatti non richiesti sul luogo di lavoro, nonché con l’invio di numerosissimi
sms telefonici e messaggi sul social network WhatsApp.
        Il ricorrente sostanzialmente non nega le circostanze sopra riferite, ma
sovrapponendovi un valutazione del tutto soggettiva, assume che la sua condotta sarebbe
giustificabile con la volontà di chiarire la natura del rapporto e le circostanze che avrebbero
condotto alla sua conclusione, negando che i contatti telefonici abbiano mai avuto un
contenuto minaccioso o ingiurioso.
        In realtà, ai fini dell’adozione del provvedimento di ammonimento ex art. 8, d.l. n.
11/2009, non è necessario che la responsabilità dello stalker sia accertata con un grado di
certezza tale da poter sostenere anche un’imputazione per il reato di cui all’art. 612 bis, c.p.
L’istituto dell’ammonimento costituisce una misura di prevenzione con finalità dissuasive,
finalizzata a scoraggiare ogni forma di persecuzione, avendo funzione tipicamente cautelare
e preventiva, preordinata a che gli atti persecutori posti in essere contro la persona non siano
più ripetuti e non cagionino esiti irreparabili. Il procedimento amministrativo di cui all’art. 8,
d.l. n. 11/2009 si muove su un piano diverso (preventivo e cautelare) da quello del
procedimento penale per il reato di cui all’art. 612 bis, c.p.a. e, conseguentemente, il
provvedimento conclusivo presuppone non l’acquisizione di prove tali da poter resistere in un
giudizio penale avente ad oggetto un’imputazione per il reato di atti persecutor, bensì la
sussistenza di elementi dai quali sia possibile desumere un comportamento persecutorio o
gravemente minaccioso che possa degenerare e preludere a condotte costituenti reato. Ne
consegue che, ai fini dell’ammonimento, non occorre che sia raggiunta la prova del reato,
bensì è sufficiente far riferimento ad elementi dai quali sia possibile desumere, con un
sufficiente grado di attendibilità, un comportamento persecutorio che ha ingenerato nella
vittima un perdurante e grave stato di ansia e di paura. Del resto, anche all’ammonimento
deve applicarsi quella logica dimostrativa a base indiziaria e di tipo probabilistico che informa
l’intero diritto amministrativo della prevenzione (T.A.R. Lazio, sez. I, 07/07/2020, n.7840).
        In tal senso non può che ribadirsi che le intenzioni di chi pone in essere dette condotte
sono del tutto irrilevanti rispetto all’oggettiva consistenza delle stesse e non possono
obliterare la volontà del soggetto denunciante di sottrarsi a qualunque tipo di attenzione
molesta e non desiderata tale da ingenerare quanto meno una situazione di ansia e timore.
        Vale rilevare che ai fini dell’adozione del decreto di ammonimento, l’art. 612 bis c.p.,
che fornisce la cornice entro cui collocare la valutazione operata dal Questore, anche solo in
chiave prognostica, dei comportamenti dell’ammonendo, fa riferimento alla reiterazione di
condotte di «minaccia o molestia», ponendo il fulcro della fattispecie sulle conseguenze
derivatene sulla condizione psichica ed esistenziale della vittima; costituendo la molestia
un minus, secondo uno spettro di progressione aggressiva, rispetto alla minaccia, sono
suscettibili di integrare la prima anche condotte che, senza rappresentare al soggetto passivo
un male ingiusto, integrino comunque una forma di indesiderata interferenza nella sfera
privata del medesimo e delle sue più strette relazioni, sottraendola al libero controllo
decisionale dell’interessata al fine di condizionarla secondo i disegni e le finalità proprie
dell’autore della molestia (Consiglio di Stato, sez. III , 21/04/2020, n. 2545).
        Da ultimo il ricorrente lamenta la presunta violazione degli artt. 13, 25, 27 Cost. e 5, 6
CEDU, oltre che del principio di determinatezza della pena.
        La censura non coglie nel segno.
        Invero il provvedimento in parola non ha natura sanzionatoria e afflittiva ma solo
cautelare e preventiva preordinato a impedire che gli atti persecutori siano ulteriormente
ripetuti e cagionino esiti irreparabili. La ratio della norma risiede, infatti, nella necessità di
apprestare tutela preventiva alla « vittima » di condotte potenzialmente suscettibili di
integrare la, ovvero di sfociare de futuro nell’alveo di « atti persecutori », tali da ingenerare
uno stato d’ansia, un fondato timore per la propria incolumità ovvero, siano in qualunque
modo idonee ad alterare le normali abitudini di vita dell’interessato (ex multis, T.A.R. Emilia
Romagna, Parma, 02/03/2020, n. 54; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 04/02/2019, n. 223).
        Per le ragioni che precedono il ricorso va rigettato compensando tuttavia le spese di
lite in considerazione della natura della controversia e della limitata attività difensiva
dell’Amministrazione, tradottasi solo in una costituzione formale e nel deposito di documenti.

      P.Q.M.

       Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia
(Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
respinge.
       Spese compensate.
       Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
       Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE)
2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della
dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle
generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare tutti i soggetti indicati in
motivazione.
       Così deciso in video conferenza da remoto nella camera di consiglio del giorno 9
giugno 2021 con l’intervento dei magistrati:
       Bernardo Massari, Presidente, Estensore
       Mara Bertagnolli, Consigliere
       Elena Garbari, Referendario
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