L'informazione come bene comune e servizio pubblico

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/ 5 / 2012 / In Molise

        L’informazione come bene comune e servizio pubblico

                              di Antonio Ruggieri

  Il mio intervento ha l’obiettivo di mettere a fuoco la qualità del sistema del-
l’informazione molisana e l’atteggiamento della Pubblica Amministrazione
nei suoi confronti, ma volendo fare un commento sia pure sommario alle cose
che ha detto Norberto Lombardi, esordisco così: il Molise è tecnicamente con-
servatore, perché segnatamente dalle politiche straordinarie per il Mezzogior-
no in poi, nel Molise sono arrivate risorse ingenti amministrate dalla politica,
da essa utilizzate per rafforzare ed estendere il suo consenso elettorale.
  All’epoca il Molise aveva una massa piuttosto considerevole di cosiddetti
residui passivi, cioè di soldi che ci arrivavano dai Governi centrali e centristi
(nella nostra regione la DC era al 55% affatto casualmente) che non riusci-
vamo a spendere e che tornavano a Roma.
  Questo è stato l’asse fondamentale della nostra modernizzazione; noi sia-
mo diventati moderni, abbiamo traguardato quella specie di medioevo rurale
che è il nostro passato prossimo e abbiamo costruito questa modernità di
media incidenza, attraverso risorse esogene che non sono state capaci di sti-
molare forze produttive locali in maniera che queste forze produttive alimen-
tassero un modello di sviluppo armonioso e autosufficiente.
  La politica era ed è l’elemento di mediazione di queste risorse, e dunque è
la detentrice di tutta la ricchezza circolante nella nostra comunità. Questa
strategia è stata capace di costruire un vero e proprio blocco sociale conser-
vatore, componendo interessi differenti.
  La gestione della spesa pubblica senza controllo ha significato centinaia e
centinaia di posti di lavoro che la politica ha trasformato in forme di control-
lo sociale e naturalmente elettorale; su questo processo si è costruito il bloc-
co sociale conservatore che rappresenta un formidabile ostacolo rispetto
all’affermazione di un’idea progressista per il Molise degli anni venturi.
  Rompere questo blocco sociale conservatore significa avere l’idea, la visione
della direzione innovativa verso la quale la nostra comunità deve orientarsi.
  È vero, la politica è solo un pezzo della classe dirigente di una comunità, ma
forse ne costituisce il pezzo determinante, perché decide in quale direzione la
comunità deve andare.

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  Probabilmente il senso di quello che abbiamo detto in questi giorni è che
per sostituire al blocco sociale conservatore un blocco sociale progressista,
bisogna muovere e motivare pezzi di società, soggetti sociali, avere la capa-
cità di interpretare e comporre i loro interessi, altrimenti il rischio è che al
centrodestra si sostituisca sì il centrosinistra, ma non se ne accorgerà nessu-
no perché le cose resteranno uguali.
  Faccio un esempio per essere ulteriormente chiaro: la situazione dei giova-
ni forse rappresenta l’emergenza più drammatica della nostra condizione; se
a loro il centrodestra dice, mettetevi in fila in una short list e appena possibi-
le vi assumo con un contratto a termine in modo da tenervi sotto ricatto, il
centrosinistra non può rispondere cambiando semplicemente l’offerente poli-
tico della medesima proposta.
  Tutto quello che abbiamo detto in questi giorni sulla cultura e sulla valoriz-
zazione dei beni culturali, deve diventare politica d’investimento; bisogna
fare analisi dei costi, lotta agli sprechi e ingegneria finanziaria di progetti che
mettano a lavorare i nostri giovani restituendogli il senso dei loro diritti e
dell’utilità sociale del loro lavoro.
  Volevo dire questo perché mi pare che su questo piano una mano alla poli-
tica vada data; i partiti non sono più quelli di una volta, pesanti e territoriali;
al loro interno ormai, per quanto facciano, non ci sono più le risorse militanti
e le energie intellettuali per un compito così difficile come quello a cui ac-
cennavo.
  Se quella nella quale ci troviamo non è una crisi congiunturale ma è una
crisi di sistema, non possiamo aspettare che passi la buriana con l’idea di
tornare a fare come facevamo, ci vuole un’altra prospettiva, ci vuole un altro
modello, ci vuole un’altra idea fondativa per la sopravvivenza e per il futuro
della nostra comunità.
  Questa “rivoluzione” ha bisogno di una nuova etica individuale e comuni-
taria e dunque c’è bisogno di buona informazione.
  Noi sappiamo le cose che ci fanno sapere; quelle che ci racconta il sistema
dei media.
  La democrazia, nell’epoca in cui viviamo, è partecipativa nel senso che
l’informazione innesca delle dinamiche che stimolano oppure debilitano la
partecipazione attiva dei cittadini.
  Non è naturalmente un problema solo molisano e non è nemmeno solo ita-
liano, perché il consenso che prima si organizzava attraverso i partiti, nel-
l’epoca che viviamo si organizza con i mezzi di comunicazione di massa.
  La nostra Costituzione, nel Quarantotto, è stata impalcata sui partiti politici
che ne rappresentavano i pilastri perché fino alla caduta del Fascismo essi
sono stati i vettori della democrazia e della partecipazione civica.
  In un paese di analfabeti, il contadino o l’operaio andava alla camera del
lavoro, alla sezione del partito oppure in parrocchia, incontrava il professore,

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Ruggieri, L’informazione come bene comune e servizio pubblico

l’intellettuale che leggeva il giornale e veniva a conoscenza di cose che non
aveva la possibilità di sapere in altro modo.
  Non è più così, e quella comunicazione uno a uno, personale e interlocuto-
ria, è stata superata dai mezzi di comunicazione di massa, dalla televisione
prima degli altri.
  La televisione, come diceva Mc Luhan, è il mezzo di comunicazione di mas-
sa per eccellenza, il giornale non lo è nello stesso modo e nella stessa misura;
io leggo il giornale da solo, rifletto su quello che leggo; la televisione da una
sola sorgente emittente comunica con una massa sterminata di utenti.
  Essa ha modificato alla radice l’antropologia dell’epoca moderna, in Italia l’ha
modificata ancora più in profondità con Berlusconi che rappresenta un’anomalia
sesquipedale per quello che riguarda il rapporto democratico così come viene
codificato in tutti i paesi occidentali, fra la politica e la proprietà dei mezzi di
comunicazione. Berlusconi ha operato direttamente in politica per 20 anni, ma
per i venti precedenti ha lavorato a una vera e propria rivoluzione del linguaggio
e dell’immaginario collettivo, con le cosiddette televisioni commerciali, cam-
biando la maniera di concepire la politica e la comunicazione.
  Quando dico questo, dico che c’è bisogno di una revisione dell’articolo 21
della Costituzione che non ci tutela più; è stato scritto nel Quarantotto, quan-
do c’era necessità solo di sottrarre la stampa alla censura del Fascismo, ades-
so c’è bisogno di dare norma e nuova dimensione alla rutilante rivoluzione
elettrica ed elettronica, nel mezzo della quale ci troviamo.
  Le norme devono mutare mano a mano che mutano le condizioni civili e
culturali del Paese. Sotto questo profilo il Molise rappresenta un’emergenza
al limite del patetico. Diventa anche difficile discuterne seriamente, nel sen-
so che nella nostra regione non è mai esistita una legge regionale di sostegno
non all’editoria, ma al pluralismo dell’informazione, perché questo è il titolo
del ragionamento da fare.
  Noi viviamo in una sorta di Romania di Ceausescu, in cui l’informazione è
lo specchio della politica che la foraggia e la utilizza come un megafono a
sua disposizione.
  Quando si dice quello che sto per dire, è come se un bambino finalmente
dichiarasse la nudità del re che tutti cercano di occultare.
  Come tutti noi, io sono abituato a una civiltà della comunicazione per cui
nei talk show di approfondimento politico vedo Maurizio Landini che parla
in unità di tempo e di luogo con Renato Brunetta; la pensano dichiaratamen-
te in maniera opposta, ma si confrontano apertamente.
  Nel Molise se qualcuno scrive “Il regno del Molise” dedicato a Michele Io-
rio, questi gli risponde facendosi intervistare “in ginocchio” su Telemolise, e
tutto questo noi lo tolleriamo in una dimensione che con la democrazia non
ha niente a che vedere, perché essa, nel mondo in cui viviamo, è basata sulla
comunicazione corretta.

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  La comunicazione ha reimpalcato il concetto scolastico di democrazia e lo
ha fatto attraverso la comunicazione stessa; ha usato se stessa per aggiornar-
ne il principio.
  Nel 1941 Orson Welles ha fatto Quarto potere che era dedicato alla carta
stampata, come potere che si aggiungeva ai tre fondamentali di Monte-
squieu, quello legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario, e nel 1976
Sidney Lumet con Quinto potere ha messo a fuoco la funzione sempre più
pervasiva che nel nostro mondo svolge la televisione.
  Il problema è che mentre i primi tre poteri, quello legislativo, esecutivo e
giudiziario sono regolati rigorosamente dalla Costituzione e dalle leggi, i due
restanti non lo sono o lo sono in maniera ideologica e approssimativa.
  La televisione commerciale ha cannibalizzato quella pubblica, che ormai
non parla più al cittadino ma parla al consumatore; la televisione che è uno
strumento di eccezionale pervasività e che rappresenta il principale strumen-
to per creare consenso nel mondo in cui viviamo, dichiara di parlare al con-
sumatore e quindi è diventata uno strumento per vendere merci e non uno
strumento d’educazione civica, questo è il significato della battaglia cultura-
le che, non solo la sinistra, ma il tessuto culturale del nostro Paese ha perso
contro Berlusconi.
  Nel Molise, come sindacato unitario dei giornalisti ma anche con l’Ordine,
abbiamo condotto una battaglia che è durata l’intera legislatura scorsa; ab-
biamo cercato d’interloquire con Iorio e con i suoi delegati per far passare in
Consiglio una legge di sostegno al pluralismo dell’informazione che ci fa-
cesse superare il rapporto torbido che la politica molisana intrattiene col
mondo della comunicazione.
  Non siamo riusciti a venirne a capo; la trattativa per l’Assostampa del Mo-
lise l’ho condotta personalmente e con caparbietà oltre che con pazienza, ma
alla fine mi sono dovuto arrendere all’evidenza che la maggioranza del Con-
siglio regionale non aveva nessuna volontà di portare in Consiglio quella
legge e di farla approvare.
  Per quanto ci riguarda, appena ci saranno le condizioni istituzionali idonee,
la riproporremo perché riteniamo che questo sia un elemento fondamentale
per lo sviluppo equilibrato della nostra comunità.
  Tutto quello che è stato detto in questi giorni, la qualità del modello dello
sviluppo, le opzioni sul sistema sanitario regionale e sulla riforma possibile
del welfare, ha bisogno di essere comunicato ai cittadini in maniera corretta
ed autorevole.
  Lo ripeto perché credo rappresenti una questione di fondo: noi sappiamo
quello che ci fanno sapere e l’informazione è tecnicamente manipolata perché
viene prodotta da una redazione che stabilisce quello che si deve dire e quello
che non si deve dire; l’unica possibilità che abbiamo di salvarci da questa
specie di totalitarismo della manipolazione informativa è uno scenario plura-

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listico per cui a una voce, a un punto di vista, ne opponiamo un altro giustap-
posto, in maniera da poterci fare un’idea realistica di quello che accade.
  A livello nazionale si può scegliere se leggere il Giornale, la Repubblica o
il Manifesto, nel Molise questo è vietato perché i quotidiani sono tutti vicini
al potere che gli eroga risorse, a seconda di quanto essi gli sono vicini.
  L’unico ambito in cui possiamo parlare di pluralismo è la rete, il web, per-
ché in internet crollano le spese di gestione dell’editore.
  Ecco, uno scenario così complesso ha bisogno di essere regolamentato e
questa regolamentazione non deve realizzare solo un patto chiaro e traspe-
rente fra la politica e l’editore perché questo è solo una parte del problema,
l’altro aspetto, fondamentale, è la professionalità e la tutela dei lavoratori.
  In questa regione fare il giornalista non è possibile, a meno che uno non sia
assunto dalla Rai; ottima parte dei giovani che hanno fatto i giornalisti nelle
nostre emittenti private consideravano questo mestiere una specie di “prova
di passaggio” per mettersi in mostra ed essere assunti all’interno di un uffi-
cio pubblico. Questo è deprimente sotto il profilo democratico, ma io dico
anche professionale, dunque tutelare la professione giornalistica in questa
regione fa tutt’uno con la tutela della democrazia.
  Terza parola chiave della legge sono i servizi.
  Il sindaco di Pietrabbondante ha scritto una lettera all’Assostampa e
all’Ordine dei Giornalisti, lamentando che i distributori di giornali si rifiuta-
vano di portare i quotidiani a Pietrabbondante perché non li compra più nes-
suno, ma se si distribuiscono gratuitamente 30.000 copie di un quotidiano
cosiddetto free press, chi volete che compri più il giornale in edicola? Il
giornale free press con “La Gazzetta del Molise” non ha niente a che vedere;
il free press è nato in Scandinavia e ha una carenza di 20 minuti, il tempo
medio di una corsa in metropolitana; è un giornale di servizio e non
d’orientamento politico, lo si legge durante lo spostamento cittadino per ve-
nire a conoscenza dei servizi e delle offerte disponibili, per sapere dove an-
dare a teatro, che film danno al cinema o qual è la farmacia aperta, e vive so-
lo di pubblicità privata.
  “La Gazzetta del Molise” è diventato un giornale di orientamento politico
finanziato quasi esclusivamente dal pubblico.
  Badate, questa è una deroga pesante alla grammatica della nostra demo-
crazia; noi come giornalisti questo ragionamento lo riproporremo con forza,
ma vorremmo il sostegno civile e culturale di un fronte più ampio, perché la
nostra non è una battaglia corporativa; la difesa del posto di lavoro e della
tutela professionale dei giornalisti è legata alla battaglia in difesa della de-
mocrazia e della civiltà dell’intera nostra comunità.

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