IV Congresso di aggiornamento del Consiglio Nazionale Forense (Roma, S.Spirito in Sassia, 20 marzo 2009)

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IV Congresso di aggiornamento del Consiglio Nazionale Forense
                         (Roma, S.Spirito in Sassia, 20 marzo 2009)

                                              Antonio Carratta
                                     Ordinario di diritto processuale civile
                                           Università di Roma tre

          Le nuove modifiche al giudizio in Cassazione ed il «filtro» di ammissibilità del ricorso.

                                             (versione provvisoria)

1. – Considerazioni preliminari.

Nel «pacchetto» con le ennesime riforme al c.p.c., già approvate dalla Camera dei deputati il 2 ottobre
2008 e poi dal Senato, ma con modifiche, lo scorso 4 marzo 2009, ed attualmente di nuovo all’esame
della Camera, è stato inserito, quasi a sorpresa, un emendamento governativo che – ove approvato –
comporterebbe l’introduzione di una preventiva valutazione di ammissibilità (c.d. «filtro») di qualsiasi
ricorso per cassazione ad opera di un collegio costituito ad hoc in numero di tre componenti.
In particolare, l’emendamento propone l’introduzione nel c.p.c. del nuovo art. 360-bis, rubricato
«Ammissibilità del ricorso», nel quale si prevede che:
        a) il ricorso per cassazione «è dichiarato ammissibile» in quattro distinte ipotesi, e cioè: aa) il
            provvedimento impugnato abbia deciso le questioni di diritto «in modo difforme da
            precedenti decisioni della Corte»; bb) quando il ricorso ha ad oggetto una «questione nuova»
            oppure quando in relazione alla questione dedotta, la Cassazione ritiene di doversi
            pronunciare «per confermare o mutare il proprio orientamento» o quando sulla questione
            esistono «contrastanti orientamenti» nella giurisprudenza della Corte; cc) quando il ricorso
            denunci violazione «dei principi regolatori del giusto processo»; dd) infine, ricorrono i «i presupposti
            per una pronuncia ai sensi dell’art. 363»;
        b) la preventiva valutazione di ammissibilità, riguardante tutti i ricorsi per cassazione, va
            effettuata da un collegio formato da tre magistrati;
        c) la decisione sull’ammissibilità o sull’inammissibilità del ricorso è adottata a seguito di un
            procedimento in camera di consiglio, al quale vengono applicati i commi 2, 3 e 4 dell’art.
            380-bis;
        d) la decisione assume la forma dell’ordinanza non impugnabile.

I continui e frenetici interventi legislativi degli ultimi anni nel settore del processo civile - «gregge senza
pastore» direbbe Virgilio Andrioli - ci hanno abituato, ormai, ad avere prodotti normativi che si
presentano allo stato di «semilavorati» bisognosi di successivi aggiustamenti o interpretazioni correttive.
E tuttavia, occorre pur riconoscere che una cosa è la forma non eccelsa dei nuovi testi normativi, cui
l’interprete può comunque porre rimedio facendo ricorso a quella «linea di coerenza logica»
dell’ordinamento di cui parlava Emilio Betti, altra cosa è la situazione che si determina quando dietro
una cattiva qualità del testo si nasconde anche una pericolosa alterazione di posizioni sostanziali ormai
acquisite.
E’ quel che accade con il nuovo art. 360 bis c.p.c., dove ad una forma alquanto discutibile – come
vedremo – proprio dal punto di vista della «sintassi processuali» e dell’utilizzazione degli istituti a cui
questa «sintassi» accede si accompagna un’inaccettabile incisione della garanzia costituzionale del
ricorso per cassazione. Infatti, il disegno che sta dietro una norma come questa – al di là dei difetti di
fattura della stessa, che pure assumono una loro rilevanza – è evidente: intervenendo sul profilo
dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, e dunque su un istituto che è connesso alla sussistenza o
meno dei presupposti per esercitare l’impugnazione, si vorrebbe – in nome di una malinteso concetto di
nomofilachia – limitare di fatto il diritto delle parti al ricorso per cassazione che, a chiare lettere, l’art.

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111, 7° co., Cost., garantisce contro ogni sentenza sospettata di «violazione di legge». In sostanza, un
istituto tipicamente processuale, come appunto quello dell’ammissibilità/inammissibilità
dell’impugnazione, viene utilizzato – peraltro, in maniera impropria, come vedremo – per limitare
l’esercizio di una garanzia costituzionale.
Di fronte ad un simile tentativo, mi pare opportuno, anzitutto, sgombrare il campo da un equivoco,
ricorrente nel dibattito intorno al ruolo ed alla funzione della Cassazione nel nostro sistema processuale
ed alla base anche del nuovo art. 360 bis. E cioè, le ragioni che hanno indotto il legislatore costituzionale
nel 1948 ad introdurre nella nostra Carta costituzionale una norma che non ha niente di simile in altre
Carte costituzionali (anche se di questo spesso ci si dimentica quando si va a comparare il nostro
ricorso per cassazione con il ricorso alle Corti Supreme pure previsto in altri ordinamenti).
In presenza di una formulazione così chiara come quella dell’art. 111, 7° co., Cost. assume una valenza
del tutto secondaria verificare se questa previsione sia funzionale a salvaguardare il ruolo di organo della
nomofilachia della Corte, e dunque risponda ad un interesse generale dell’ordinamento ad avere
un’interpretazione ed applicazione uniforme del diritto oggettivo (ius constitutionis), oppure sia funzionale
alla salvaguardia del diritto delle parti del processo ad ottenere un controllo di legittimità diffuso su
tutte le sentenze dei giudici di merito (ius litigatoris).
Disquisire delle ragioni che hanno indotto i Costituenti ad inserire nel testo costituzionale la garanzia
dell’art. 111, 7° co., Cost. ha senza dubbio rilevanza sul piano teorico e ricostruttivo del sistema, ma
non può assumere alcuna rilevanza per attenuare o addirittura eliminare il vincolo che dalla norma
costituzionale discende per il legislatore ordinario. In altri termini, dal punto di vista del legislatore
ordinario domandarsi se i Costituenti nel formulare l’art. 111, co. 7°, Cost. abbiano tenuto presente o
no l’art. 65 ord. giud., che, come noto, definisce le funzioni della Corte di Cassazione nel nostro
ordinamento è fuorviante e può aprire la strada all’introduzione di norme – come appunto l’attuale art.
360 bis o come il precedente art. 366 bis – che sono chiaramente in contrasto con la formulazione
inequivocabile dell’art. 111, co. 7°, Cost. Dico questo per sottolineare il fatto che – ripeto, dal punto di
vista del legislatore ordinario – è evidente l’impossibilità costituzionale di percorrere, come
intenderebbe fare, la strada della limitazione dell’accesso al giudizio di Cassazione per consentire alla
Corte di svolgere al meglio le funzioni che l’art. 65 ord. giud. le assegna. Per conseguire un simile
risultato la strada non può essere questa, e non lo può essere per la semplice, ma decisiva ragione che,
così operando, si determinerebbe un capovolgimento delle fonti e dei principi dell’ordinamento –
costituzionalmente illegittimo – facendo prevalere mere esigenze di funzionamento di un organo
giudiziario su una garanzia costituzionalmente garantita. E’ come se – per rimanere sempre nell’ambito
del processo civile – il legislatore ordinario, al fine di migliorare il funzionamento dei tribunali,
escludesse o limitasse il diritto di azione anch’esso costituzionalmente garantito dall’art. 24, 1° co., Cost.
Ciò premesso, mi pare peraltro che, per come formulato, l’art. 360 bis non risponda affatto all’esigenza
di consentire alla Corte di assolvere al meglio le funzioni che l’art. 65 ord. giud. le assegna. Ed a tal fine
è significativo un passo della Relazione con la quale il Primo Presidente della Cassazione ha inaugurato
l’anno giudiziario 2009.

2. – L’incidenza dell’introduzione del «filtro» sull’attuale situazione della Corte.

Nella Relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario 2009 il Primo Presidente della Cassazione
plaudiva all’iniziativa governativa per l’introduzione di questo “filtro” e si augurava che il Governo
mantenesse il testo originario e non consentisse ulteriori modifiche dello strumento «che lo
snaturerebbero e ne annullerebbero l’utilità e la funzionalità». Aggiungeva, ancora, a sostegno di
quest’auspicio che «si tratta di una riforma fondamentale, che avrebbe un duplice, rilevantissimo
beneficio: - per la Corte stessa, non più oberata da questioni “bagatellari”, - per l’intero sistema-
Giustizia poiché consentirebbe alla Corte di concentrarsi ancor più sul suo ruolo “di indirizzo”,
migliorando tempi dei processi e certezza degli indirizzi» (1).
In realtà, è facile rilevare – ed il prosieguo del discorso spero lo dimostri - come i “presunti” benefici,
che – secondo la valutazione fattane dal Primo Presidente della Cassazione - dovrebbero derivare
1
) Relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2009, p. 79.
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dall’introduzione di un simile meccanismo di limitazione di accesso al giudizio di legittimità, non solo
non siano ragionevolmente prevedibili alla luce del testo del nuovo art. 360 bis, ma si ricolleghino ad un
modello di “filtro” che non è quello previsto dall’art. 360 bis. Il modello di «filtro» avuto in mente dal
Primo Presidente della Cassazione è, evidentemente, quello adottato in altri sistemi processuali, come,
ad es., in quello francese (2) o in quello tedesco (3), di sistemi, cioè, che non hanno da fare i conti con
una norma analoga all’art. 111 della nostra Costituzione.
E’ evidente, dunque, che l’introduzione nel nostro sistema di un modello di «filtro» simile a quello
francese o tedesco – come si riconosce nella stessa richiamata Relazione – «porrebbe dubbi non
irragionevoli di legittimità costituzionale alla luce degli art. 24 e 111, settimo comma, Cost.» ( 4). Ma è
parimenti evidente che il «duplice, rilevantissimo beneficio» ricollegato dal Primo Presidente della
Cassazione all’introduzione dell’art. 360 bis sia difficilmente giustificabile con riferimento alla proposta
formulazione di quest’articolo ed al modello di «filtro» ivi ideato.
E’ da chiedersi, infatti, - se l’art. 360 bis dovesse davvero diventare testo di legge - come possa la sua
applicazione portare ad eliminare le «questioni bagatellari» che oberano la Corte, visto che dalla
formulazione dell’articolo non emerge alcun riferimento – e non poteva essere diversamente, stante il
7° co. dell’art. 111 Cost. - né al valore né alla materia della controversia con riferimento alla quale
dovesse essere proposto il ricorso.
E, d’altro canto, occorre anche chiedersi come possa uno strumento come quello delineato dall’art. 360
bis migliorare i «tempi dei processi» e la «certezza degli indirizzi» - secondo gli auspici del Primo
Presidente della Cassazione - visto che, da un lato, la fase di “filtro” costituirebbe comunque
un’ulteriore fase del giudizio davanti alla Cassazione che andrebbe ad aggiungersi al normale giudizio
inevitabilmente allungandone i tempi di trattazione e, dall’altro lato, il problema dell’uniformità degli
«indirizzi giurisprudenziali» della Corte rileva “a valle” della proposizione dei ricorsi e non a monte della
stessa, dove, invece, troverebbe applicazione il meccanismo del “filtro”, e dunque, non può ritenersi
sufficiente l’introduzione del “filtro”per ritenere assicurata l’uniformità degli indirizzi della Corte.
Piuttosto, affidare il «filtro» ad un collegio formato ad hoc, che deve esaminare tutti i ricorsi proposti
(allo stato, oltre 100.000 ricorsi), se può, in teoria, incidere sui tempi del giudizio in Cassazione perché
toglierebbe di mezzo i ricorsi senza possibilità di accoglimento, per essere svolto in maniera corretta ed
approfondita richiede molto più tempo di quello che impiegherebbe la sezione ad eseguire il medesimo
esame preliminare sui ricorsi ad essa affidati.
Né si può trascurare che – come vedremo meglio nel prosieguo – esso costringe i ricorsi dichiarati
ammissibili dal collegio ad hoc ad un doppio esame, in parte coincidente perché vertente sempre sul

2

) E’ vero che anche in Francia, a partire dal 2001, è previsto il meccanismo delle formations restreintes
composte da tre giudici chiamati a decidere - attraverso un esame preliminare - sul rigetto dei ricorsi
inammissibili o manifestamente infondati. Ma nel sistema francese: a) queste formazioni ristrette sono
costituite all’interno di ogni sezione; b) un membro del collegio o una delle parti possa far domanda per
rinviare l’esame alla chambre in composizione ordinaria.
3

) Occorre ricordare che nel sistema tedesco l’ammissibilità del ricorso davanti alla Corte di revision sino al
2001 era subordinata ad un criterio «patrimoniale» (valore della causa pari ad almeno 60.000 marchi). La
riforma del 2001 ha abolito tale limite, ma ha introdotto un meccanismo di controllo del gravame affidato al
giudice che ha emesso la sentenza. Infatti, l’accesso al grado superiore è subordinato all’autorizzazione alla
impugnazione indicata in sentenza (Zalassung) e va comunque rilasciata ove la causa rivesta «importanza di
principio», per una questione di diritto di interesse generale od in ipotesi di Divergenz (quando la decisione
si discosti dalla giurisprudenza di vertice) al fine di garantire l’uniformità e lo sviluppo della giurisprudenza.
La riforma ha anche previsto la possibilità di riesame del diniego del giudice a quo da parte dei Senate della
Corte di revisione. Secondo l’art. 543 Z.P.O., nel testo novellato dalla riforma del 2001, l’impugnazione può
avere corso quando la questione di diritto sia di importanza fondamentale, allorché l’evoluzione del diritto o
la salvaguardia dell’uniformità della giurisprudenza richiedano una decisione della Suprema Corte, o in
presenza della violazione di fondamentali principi procedurali.
4
) Relazione, cit., p. 81.
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profilo dell’ammissibilità del ricorso, con evidente allungamento dei tempi complessivi. Con buona
pace del principio di ragionevole durata, più volte richiamato proprio a giustificare l’introduzione di un
meccanismo di «filtro» per l’accesso al giudizio di cassazione.
E non è un caso, infatti, che nel sistema francese, al quale l’art. 360 bis sembra ispirarsi, le formation
restreintes, dapprima istituite come formazioni autonome ed esterne alla sezione, sono diventate organi
interni a ciascuna sezione (sebbene costituite di volta in volta e non stabili).
Peraltro, lo stesso Primo Presidente della Cassazione, sempre nella richiamata Relazione di
inaugurazione dell’anno giudiziario 2009, riconosce che «con riguardo alle modalità di composizione
del collegio ristretto, va condivisa l’opinione che ne ritiene necessaria un’accurata e dettagliata
disciplina» (5), suggerimento, questo, beatamente ignorato dalla discussione parlamentare che finora ha
interessato l’art. 360 bis.
Al di là di queste considerazioni, che rivelano una notevole dose di ambiguità nella prospettazione delle
ragioni giustificatrici della scelta e che attengono propriamente all’opportunità pratica di introdurre un
meccanismo come quello ipotizzato nell’art. 360 bis, emergono in tutta la loro insuperabile consistenza i
problemi che questa disposizione – per come formulata – fa sorgere sia con riferimento al suo
coordinamento con altre disposizioni del codice che disciplinano il giudizio in Cassazione, sia – e
soprattutto – con le garanzie costituzionali degli artt. 3, 24, 2° comma, 25, 101, 2° co., e 111, 1° e 7°
co., Cost.

3. – L’ambito applicativo della nuova disposizione.

Procediamo con ordine e vediamo, anzitutto, le incongruenze che la nuova disposizione fa emergere sul
piano della disciplina ordinaria, in particolare nel confronto con gli artt. 360 e 366.
Un primo problema che mi pare emerga dalla semplice lettura della norma attiene al suo ambito
applicativo. Sia nella rubrica dell’art. 360 bis, sia nel testo si parla di ammissibilità del ricorso, e dunque la
volontà del legislatore sembrerebbe orientata a consentire l’applicazione della nuova norma alla
valutazione di ammissibilità del ricorso nel suo complesso. In realtà, per come formulati i criteri di
valutazione di ammissibilità nell’art. 360 bis, essi dovrebbero essere riferiti non al ricorso nel suo
complesso, ma ai singoli motivi di ricorso.
Per rendersi conto di ciò è sufficiente soffermarsi brevemente sui singoli criteri che determinano
l’ammissibilità.
Prendiamo il n. 1 dell’art. 360 bis: nell’affermare ammissibile il ricorso avanzato contro un
provvedimento che «ha deciso le questioni di diritto in modo difforme da precedenti decisioni della
Corte», esso non può voler dire che il ricorso nel suo complesso per tutti i motivi proposti ai sensi
dell’art. 360 è ammissibile, ma che lo è con riferimento al motivo o ai motivi che abbiano ad oggetto
«questioni di diritto» decise dalla sentenza impugnata in modo difforme da precedenti decisioni della
Corte.
E così nel n. 2. E’ sempre al motivo proposto che occorre guardare al fine di stabilire se esso «ha per
oggetto una questione nuova o una questione sulla quale la Corte ritiene di pronunciarsi per confermare
o mutare il proprio orientamento» o sulla quale «esistono contrastanti orientamenti nella giurisprudenza
della Corte». Ed ancora nel n. 3, dove il motivo è da considerare ammissibile quando si avanzi una
censura relativa a violazione dei principi regolatori del giusto processo. L’unica ipotesi nella quale
effettivamente è l’ammissibilità del ricorso nella sua interezza che rileva e non il singolo motivo, è nel n.
4, dove vengono richiamati i presupposti per una pronuncia ai sensi dell’art. 363.
Ma se così è, si deve anche ammettere che con riferimento al singolo ricorso potranno aversi motivi da
considerare ammissibili, ai sensi dell’art. 360 bis, e motivi che tali non sono. Del tutto impropriamente,
dunque, l’art. 360 bis afferma che «se il ricorso è dichiarato inammissibile, il provvedimento impugnato
passa in giudicato»: ciò avverrà solo nell’eventualità in cui tutti i motivi avanzati con il ricorso vengano
dichiarati inammissibili.

4. - L’escamotage linguistico della categoria dell’ammissibilità/inammissibilità: a) il n. 1 dell’art. 360 bis.
5
) Relazione, cit., p. 83.
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Sempre rimanendo sul piano lessicale, non si può non rilevare che l’art. 360 bis parli di ammissibilità
con riferimento ad ipotesi rispetto alle quali non rileva affatto un profilo propriamente riconducibile
alla tradizionale fattispecie della «ammissibilità/inammissibilità» dell’impugnazione. E’ insegnamento
ormai risalente e diffuso che il vizio di inammissibilità del mezzo di impugnazione attenga
all’insussistenza dei presupposti indicati dal legislatore per il corretto esercizio del diritto di
impugnazione e non al merito dell’impugnazione proposta, che, piuttosto, richiede dal giudice
dell’impugnazione una valutazione di fondatezza o infondatezza.
Ed infatti, a conferma di questa impostazione vale la pena di richiamare la sola disposizione del giudizio
in cassazione che – allo stato attuale - disciplina in maniera puntuale la sussistenza del vizio di
inammissibilità, vale a dire l’art. 366 c.p.c. Le ipotesi nelle quali detta disposizione individua il vizio
dell’inammissibilità del ricorso sono puntualmente determinate e tutte riconducibili a profili di natura
processuale e non al merito dell’impugnazione proposta.
Così non è, invece, nel nuovo art. 360 bis, dove con un escamotage linguistico abbastanza palese si
pretende di far passare per vaglio di ammissibilità/inammissibilità del ricorso una valutazione che,
invece, ha a che fare propriamente con il merito dell’impugnazione proposta (6). E questo vale per tutte
le ipotesi di ammissibilità/inammissibilità del ricorso indicate dalla nuova disposizione.
Prendiamo in considerazione separatamente le diverse fattispecie di ammissibilità e le conseguenti
ipotesi di inammissibilità che scaturiranno dall’applicazione della nuova disciplina.
Dire – come fa il n. 1 dell’art. 360 bis – che il ricorso è da ritenere ammissibile «quando il
provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo difforme da precedenti decisioni
della Cassazione» significa implicitamente dire che il ricorso è inammissibile «quando il provvedimento
impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme a precedenti decisioni della Cassazione».
Se si riflette su questa formulazione, è facile rilevare come, nell’ipotesi in cui il ricorso abbia ad oggetto
una sentenza dei giudici di merito che abbia interpretato correttamente il diritto oggettivo, ma in
maniera difforme dai precedenti della Cassazione sul punto, il ricorso va considerato comunque
ammissibile soltanto perché non conforme ai precedenti. Al contrario, la sentenza conforme al
precedente della Cassazione, viene automaticamente e per tabulas ritenuta priva di vizi ed il relativo
ricorso sostanzialmente infondato nel merito.
Ed ancora: cosa deve intendersi per «precedenti decisioni» della Corte? E’ sufficiente una sola decisione
di una sezione semplice della Corte per integrare il «precedente»? Probabilmente no, perché l’art. 360
bis parla di «precedenti decisioni», e dunque di più di una decisione. Ed allora, sono sufficienti due
decisioni «precedenti» o il riferimento è ad un orientamento consolidato? La formulazione non è chiara
e, di conseguenza, la discrezionalità del collegio che deve valutare l’ammissibilità del ricorso troppo
ampia.
Ed inoltre, si può ritenere questa conclusione conforme al dettato costituzionale dell’art. 101, 2° co.,
Cost., che riconosce a tutti i giudici – e dunque anche a quelli di merito – la piena autonomia
nell’interpretazione del diritto oggettivo? Nel prevedere che il ricorso è ammissibile se la sentenza
impugnata ha deciso in maniera non conforme ai precedenti della Cassazione non si introduce – sia
pure surrettiziamente – l’idea che una sentenza di merito non conforme ai precedenti della Cassazione
sia viziata da violazione di legge e quindi ricorribile per Cassazione? E questo – si badi – nonostante
che il giudice di merito che abbia liberamente interpretato la legge da applicare l’abbia fatto
correttamente e sia garantito in ciò dalla norma costituzionale.
Ed ancora, si può ragionevolmente ritenere – alla luce dell’art. 111, 7° co., Cost., che considera
«sempre» ammissibile il ricorso per cassazione per violazione di legge – che un ricorso per cassazione
proposto avverso un provvedimento del giudice di merito che abbia deciso in modo conforme ai
precedenti della stessa Cassazione sul punto sia viziato da inammissibilità? Quali presupposti
mancherebbero nel ricorso avanzato? Se il ricorso – così come impone la norma costituzionale – va
considerato ammissibile e va deciso (sia pure per dichiararlo infondato) tutte le volte in cui denunci una

6
 ) In senso analogo il Parere del plenum del C.S.M. sul Disegno di legge n. 1441 bis A Camera dei Deputati,
deliberato il 30 settembre 2008, reperibile in www.csm.it; v. anche A.N.M., Osservazioni sul d.d.l. s/1082, 28
novembre 2008.

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«violazione di legge», appare difficilmente giustificabile sul piano del rispetto dell’art. 111, 7° co., Cost.
una formulazione come quella del n. 1 dell’art. 360 bis che nega l’accesso alla decisione del giudice della
legittimità perché la decisione impugnata ha deciso le questioni di diritto in maniera conforme ai
precedenti della Cassazione.
Ma se così è, non sarebbe stato più corretto far ricadere una simile valutazione nell’ambito delle ipotesi
di manifesta infondatezza del ricorso avanzato, già previste dall’art. 375 c.p.c. e decise in camera di
consiglio dalla sezione?

5. – Segue: b) il n. 2 dell’art. 360 bis.

Lo stesso discorso vale per l’ipotesi del n. 2 dell’art. 360 bis, laddove si riconosce come ammissibile il
ricorso che abbia per oggetto «una questione nuova o una questione sulla quale la Corte ritiene di
pronunciarsi per confermare o mutare il proprio orientamento ovvero quando esistono contrastanti
orientamenti nella giurisprudenza della Corte».
Nel momento in cui, nel valutare l’ammissibilità del ricorso, venga posto l’accento sulla «questione»
proposta attraverso il motivo di ricorso, è evidente che la valutazione trascende l’esame della
sussistenza dei presupposti processuali per avanzare il ricorso, che normalmente rilevano ai fini della
valutazione di ammissibilità dell’impugnazione, ed entra direttamente nel merito del motivo avanzato. E
dunque, se la formulazione della nuova disposizione viene interpretata per ciò che effettivamente vuole
dire, e cioè che è da dichiarare «inammissibile» il ricorso che abbia per oggetto «una questione non nuova
o una questione sulla quale la Corte non ritiene di pronunciarsi per confermare o mutare il proprio
orientamento ovvero quando non esistono contrastanti orientamenti della giurisprudenza della Corte»,
non siamo ancora una volta in presenza di una valutazione che viene definita di ammissibilità del ricorso
proposto, ma che di fatto attiene alla manifesta infondatezza della questione avanzata?
Inoltre, se confrontiamo la formulazione del n. 2 con quella del n. 1 dell’art. 360 bis, si comprende
anche l’ampiezza della discrezionalità riconosciuta al collegio chiamato ad applicare il «filtro». Ed infatti,
sebbene dal n. 1 si ricavi – come abbiamo visto – l’ammissibilità del ricorso quando la sentenza
impugnata abbia deciso su questioni di diritto in modo difforme dai precedenti della Cassazione, ai
sensi del n. 2 l’ammissibilità del ricorso viene estesa non solo alle ipotesi in cui – nonostante la
conformità della sentenza impugnata ai precedenti – il ricorrente avanzi questioni nuove, ma anche
laddove avanzi questioni (non nuove) sulle quali discrezionalmente il collegio ad hoc ritenga opportuno
che una delle sezioni della Corte si pronunci nel merito per confermare o mutare il proprio
orientamento. Senza considerare, peraltro, che in questo caso la valutazione sull’opportunità o meno
che la Corte si pronunci per confermare o mutare il proprio orientamento viene riconosciuta ad un
collegio – quello chiamato a decidere dell’ammissibilità del ricorso – che è diverso dalla sezione
chiamata a pronunciarsi sul merito del ricorso.
Per come formulata la norma manca qualsiasi predeterminazione dei criteri ai quali deve ispirarsi il
collegio ad hoc, in presenza di un ricorso con il quale siano avanzate questioni non nuove, al fine di
optare per l’ammissibilità o per l’inammissibilità. E questo, oltre che rilevare – ancora una volta – con
riferimento all’art. 111, 7° co., perché rimette alla valutazione squisitamente discrezionale del collegio ad
hoc la scelta se consentire o meno una decisione nel merito del ricorso proposto ed immune da vizi di
ammissibilità, rileva anche con riferimento al principio di uguaglianza dell’art. 3 Cost., in quanto si
consente al collegio di valutare in maniera differente situazioni identiche, ed alla riserva di legge di cui
all’art. 111, 1° co., Cost., in quanto i criteri di valutazione non sono predeterminati dal legislatore ma
rimessi al «fai-da-te» del collegio ad hoc.

6. – Segue: c) il n. 3 dell’art. 360 bis.

La considerazione che la valutazione richiesta dall’art. 360 bis al collegio ad hoc attenga al merito e non
all’ammissibilità del ricorso appare ancora più giustificata nelle altre due ipotesi di c.d. ammissibilità del
ricorso richiamate dall’art. 360 bis.

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Nel n. 3, infatti, viene ricollegata la valutazione di ammissibilità all’ipotesi in cui appaia «fondata la censura
relativa a violazione dei principi regolatori del giusto processo».
In questo caso sono le stesse parole utilizzate dal legislatore a porre uno stretto collegamento fra la
valutazione di ammissibilità del ricorso e la valutazione di fondatezza del motivo avanzato. E’ la
valutazione di fondatezza prima facie del ricorso che lo rende ammissibile.
E dunque, ancora una volta la norma impone di considerare inammissibile il ricorso quando «non appaia
fondata la censura relativa a violazione dei principi regolatori del giusto processo», ovvero quando
dall’esame nel merito del motivo proposto emerge la manifesta infondatezza della censura proposta.
Peraltro, anche con riferimento a quest’ipotesi emerge un eccessivo tasso di discrezionalità in capo al
collegio ad hoc, che, ancora una volta, rileva ai fini della salvaguardia della riserva di legge in materia
processuale di cui all’art. 111, 1° co., Cost. Ed il tasso di eccessiva – e, a me pare, incostituzionale –
discrezionalità si delinea in maniera chiara sia nella valutazione di apparente fondatezza della censura
relativa a violazione dei principi regolatori del giusto processo, sia nel riferimento proprio ai principi
regolatori del giusto processo, il cui catalogo non è predeterminato a livello legislativo e solo in parte
ricavabile dal dettato costituzionale.

7. – Segue: d) il n. 4 dell’art. 360 bis.

La medesima operazione si rinviene nel n. 4, dove l’ammissibilità del ricorso viene ricollegata alla
sussistenza dei «presupposti per una pronuncia ai sensi dell’art. 363», cioè a dire quando ci sia l’esigenza
che la Corte affermi d’ufficio un «principio di diritto» nell’interesse della legge sulle questioni affrontate
dal ricorso per la «particolare importanza» delle stesse.
Ebbene, anche in questo caso non è forse la valutazione di ammissibilità/inammissibilità del ricorso
proposto calibrata sulle «questioni» affrontate e dunque sul merito delle stesse?
Non solo. Nell’affermare che il ricorso vada dichiarato ammissibile quando ricorrano i «presupposti per
una pronuncia ai sensi dell’art. 363» il n. 4 dell’art. 360 bis entra in evidente contraddizione proprio con
la formulazione dell’art. 363 c.p.c., il quale prevede espressamente che la Corte possa pronunciare
d’ufficio il principio di diritto «quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile». E difatti,
proprio per questa ragione l’ultimo comma dello stesso art. 363 c.p.c. puntualizza che «la pronuncia
non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito». Come si conciliano queste disposizioni dell’art.
363 c.p.c. con la previsione del n. 4 dell’art. 360 bis che parla di «ammissibilità» del ricorso? Come si
concilia il richiamo dei presupposti dell’art. 363 c.p.c. (fra i quali vi è anche l’inammissibilità del ricorso
proposto dalle parti) con la dichiarazione di ammissibilità, che, in quanto tale, fa venir meno proprio
uno dei presupposti indicati dall’art. 363?
Inoltre, il riferimento che il n. 4 dell’art. 360 bis fa alla «pronuncia ai sensi dell’art. 363» dovrebbe
comportare anche che la stessa pronuncia sul ricorso della parte dichiarato ammissibile non avrà effetto
sul provvedimento del giudice di merito, così come recita l’ultimo comma dell’art. 363 c.p.c. Ma se così
è, quale utilità deriverebbe dalla dichiarazione di ammissibilità alla parte che ha proposto il ricorso?

8. – Il rapporto dell’art. 360 bis con l’art. 360 e la restrizione dei motivi di ricorso per cassazione.

Alle incongruenze che sono state finora evidenziate con riferimento all’uso non corretto delle categorie
concettuali si accompagna anche il rischio di una profonda restrizione dell’accesso al giudizio di
legittimità e dunque sul piano sostanziale della tutela.
Da questo punto di vista, particolare attenzione mi pare meriti il confronto fra l’art. 360 bis e l’art. 360
che individua i motivi per proporre ricorso per Cassazione. Per come formulata la nuova disposizione,
è da ritenere che la valutazione di ammissibilità/inammissibilità del ricorso debba interessare tutti i
motivi di ricorso per Cassazione indicati dall’art. 360 c.p.c., sia quelli che attengono ad errores in judicando,
sia quelli che attengono ad errores in procedendo. Ciò significa che il motivo di ricorso proposto risulterà
ammissibile solo se ricorreranno i presupposti indicati dall’art. 360 bis.
Ebbene, è opportuno domandarsi se – applicando l’art. 360 bis ai motivi dell’art. 360- questo non
comporti anche l’esclusione del controllo di legittimità delle decisioni dei giudici di merito con

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riferimento a qualcuno dei motivi indicati dall’art. 360, i quali riescono a ricomprendere in effetti tutti i
possibili profili di «violazione di legge» di cui parla genericamente l’art. 111, 7° co., Cost.
E’ evidente che se dal confronto dovesse emergere che una simile esclusione in concreto può
determinarsi si porrebbe un serio problema sia di coordinamento fra le due norme del codice, con
conseguente incertezza applicativa, sia – soprattutto - di conciliabilità del nuovo art. 360 bis con il
riconoscimento costituzionale del diritto di proporre ricorso per cassazione avverso tutte le sentenze
«per violazione di legge».
Ma, prima di affrontare un simile problema, è opportuno sciogliere il dubbio sulla natura tassativa o
meno delle ipotesi di ammissibilità del ricorso che l’art. 360 bis.
Anche su questo punto il testo della norma non è chiaro. E’ indubbio, però, che se la finalità del
legislatore è quella di «filtrare» l’accesso al giudizio in Cassazione, la norma sarebbe del tutto inutile ove
si ritenesse che le ipotesi di ammissibilità del ricorso in essa indicate siano meramente esemplificative.
Ove si ammettesse ciò, infatti, si dovrebbe anche ammettere che nei casi indicati dall’art. 360 bis il
ricorso debba essere dichiarato ammissibile senz’altro (una sorta di «ammissibilità necessaria»), mentre
in tutte le altre ipotesi la valutazione di ammissibilità del ricorso andrebbe lasciata alla libera valutazione
del collegio ad hoc.
Ora, è difficile negare che, per essere incentrata sull’ammissibilità del ricorso e non sulla sua
inammissibilità, la norma potrebbe anche essere interpretata come indicazione di ipotesi non esaustive
di necessaria ammissibilità del ricorso. Ed infatti, si guarda bene la norma dal prevedere che solo nelle
ipotesi espressamente richiamate il ricorso debba essere considerato ammissibile.
Del resto, se anche si volesse sostenere che – dando rilievo alla finalità perseguita dal legislatore – la
limitazione dell’ammissibilità del ricorso alle sole ipotesi indicate dall’art. 360 bis sia implicita, resta il
fatto che, in ogni caso, le ipotesi di inammissibilità dell’impugnazione necessitano di un’espressa
previsione (come accade, in effetti, nell’art. 366 c.p.c.).
Non avendo previsto alcuna sanzione per i ricorsi che non presentino le caratteristiche indicate dall’art.
360 bis se ne dovrebbe dedurre, ragionevolmente, che essi potrebbero essere dichiarati ammissibili o
inammissibili sulla base di una valutazione discrezionale dell’organo chiamato ad applicare il «filtro»,
senza che vi sia alcuna indicazione del legislatore (da una parte, un’ammissibilità «necessitata» o
«vincolata»; dall’altra, un’ammissibilità «discrezionale»). E questo significherebbe, di conseguenza, che di
volta in volta il collegio sarebbe libero di valutare senza alcuna predeterminazione del legislatore
l’ammissibilità o meno del ricorso che non presenti le caratteristiche di ammissibilità necessaria dell’art.
360 bis. Determinando una grave antinomia rispetto all’art. 360 ed un’evidente violazione dell’art. 111,
7° co., Cost.
Ma i problemi di coordinamento con l’art. 360 e di compatibilità con l’art. 111, 7° co., Cost. non si
superano – ed anzi, direi, si aggravano ancor di più – se dovesse riconoscersi che le ipotesi dell’art. 360
bis siano ipotesi tassative di ammissibilità del ricorso. In tal caso, si dovrebbe anche riconoscersi che il
ricorso, pur legittimamente avanzato a norma dell’art. 360 c.p.c. e come esercizio della garanzia di cui
all’art. 111, 7° co., Cost., dovrebbe considerarsi ammissibile solo ed esclusivamente se fornito dei
requisiti indicati dall’art. 360 bis c.p.c. Con la conseguenza che un ricorso, pur denunciando uno dei
motivi di cui all’art. 360 c.p.c., in concreto sia sottratto all’accesso al giudizio di legittimità in quanto
non rientrante in alcuna delle fattispecie indicate dall’art. 360 bis.
Si pensi, anzitutto, all’ipotesi in cui il ricorso abbia ad oggetto questioni di diritto (sostanziale o
processuale) sulle quali la sentenza impugnata ha deciso in maniera conforme ai precedenti della
Cassazione sul punto, ma eventualmente errata per altri profili (come, ad es., l’errata applicazione della
norma alla fattispecie concreta), che non integrino la violazione dei principi del giusto processo (perché
in questo caso rileverebbe il successivo n. 3 dell’art. 360 bis): Ebbene, anche in questo caso il ricorso
verrà dichiarato inammissibile e la parte non avrà possibilità di ottenere il controllo della Corte sulla
violazione di legge che il giudice del merito ha compiuto. In realtà, in questo secondo caso dichiarando
inammissibile il ricorso – proprio in applicazione dell’art. 360 bis – lo si dichiarerà infondato nonostante
che, in concreto, sussista pienamente la «violazione di legge» e dunque la fondatezza alla luce dell’art.
360 n. 3 c.p.c. e dell’art. 111, 7° co., Cost

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Ancora, si pensi al ricorso con il quale venga avanzato il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Non
trattandosi di una decisione su questione di diritto, l’unico modo per far sì che il ricorso superi il vaglio
di ammissibilità dell’art. 360 bis sarebbe di configurarlo come violazione dei principi del giusto
processo. In realtà, quando si parla di principi del giusto processo il riferimento non è alla motivazione
insufficiente o contraddittoria su un punto controverso e decisivo per il giudizio. E dunque, è difficile
che in questa direzione sia possibile trovare un varco per superare il “filtro” di ammissibilità del ricorso
proposto.
Mettendo in relazione l’art. 360 n. 5 con l’art. 360 bis c.p.c., se ne ricava che, mentre preso isolatamente
il ricorso avanzato a norma dell’art. 360 n. 5 per il legislatore è pienamente ammissibile, diventa
inammissibile in quanto non denuncia una «violazione dei principii regolatori del giusto processo» (n. 3
dell’art. 360 bis). Ma se così è, questo implicitamente sta a significare che lo stesso legislatore ritiene
ammissibile il ricorso proposto, ma manifestamente infondato in quanto il vizio denunciato non assurge a
violazione dei principi regolatori del giusto processo. Nella valutazione del legislatore, cioè, il vizio della
motivazione di una sentenza, mentre con riferimento all’art. 360 è considerato un vizio rilevante della
sentenza, l’eventuale ricorso proposto avverso la stessa va considerato manifestamente infondato in quanto
non integrante una violazione dei principi regolatori del giusto processo.
Nella sostanza, quindi, la sentenza di merito non potrebbe più essere impugnata per vizio di
motivazione e la conferma di ciò potrebbe ricavarsi indirettamente dalla avvenuta
soppressione, in sede di discussione al Senato, dell’emendamento approvato dalla Camera
sulla c.d. doppia conforme, che rendeva espressamente ancora ammissibile il ricorso ai sensi
dell’articolo 360 n. 5 c.p.c. sia pure eccettuandone i casi in cui l’accertamento di fatto compiuto dal
giudice di primo grado fosse stato confermato da quello di appello.

9. – Il rapporto dell’art. 360 bis con gli artt. 375 e 380 bis c.p.c.

Non è chiarito con precisione neppure quali siano i rapporti tra il nuovo istituto processuale e il
procedimento camerale di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c. pure di recente modificati. Par di capire che
il collegio designato alla verifica dell’ammissibilità possa anche delibare se sussistano altre cause di
inammissibilità ovvero ipotesi di manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso, previste dall’art. 375,
1° co., nn. 1 e 5, seconda parte.
Ma una volta che il ricorso sia stato dichiarato ammissibile ed assegnato ad una sezione, questa potrà
nuovamente valutare il profilo dell’ammissibilità ed eventualmente applicare l’art. 375 c.p.c.?
La risposta non può che essere positiva, sia perché al giudizio davanti alla sezione è da ritenere siano
applicabili tutte le disposizioni sul giudizio in cassazione, sia perché comunque è la sezione il giudice cui
è demandata la decisione, una volta superato il vaglio preventivo di ammissibilità.
E’ da chiedersi, perciò, se in questo modo non si realizzi, con riferimento al ricorso dichiarato
ammissibile dal collegio ad hoc, un doppione della valutazione di ammissibilità del ricorso: la prima
davanti al collegio ad hoc in base all’art. 360 bis; la seconda davanti alla sezione in base all’art. 375 c.p.c.
Peraltro, la medesima situazione dovrebbe verificarsi nell’ipotesi in cui il ricorso avanzato per alcuni
profili risulti inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis e per altri profili sia, invece, da ritenere ammissibile.
Si determina in questo modo una moltiplicazione di tempi e di valutazioni sul solo profilo
dell’ammissibilità con ulteriore aggravio della durata del giudizio davanti alla Cassazione, e dunque un
risultato esattamente opposto a quello che si afferma di voler perseguire attraverso l’introduzione del
nuovo art. 360 bis.
Per quanto riguarda, poi, il procedimento da seguire per la pronuncia sull’inammissibilità, esso si
svolgerà secondo le forme del processo camerale, ma emergono importanti differenze rispetto al
modello descritto dall’art. 380 bis c.p.c.
Ed infatti, nel nuovo procedimento l’inammissibilità è dichiarata da un collegio di tre membri e
l’assegnazione del ricorso alla sezione avviene solo se questo è dichiarato ammissibile. Ma il
procedimento che viene indicato per la pronuncia sull’ammissibilità/inammissibilità è decisamente
singolare e comunque non coincidente con quello previsto per la dichiarazione di inammissibilità ad
opera della sezione dall’art. 380 bis.

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Stabilisce, infatti, l’art. 360 bis, 4° co., che «se il collegio ritiene inammissibile il ricorso, anche a norma
dell’articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5), seconda parte, il relatore deposita in cancelleria una
relazione con la concisa esposizione delle ragioni che giustificano la dichiarazione di inammissibilità».
Dopodiché, si applica l’art. 380 bis, commi secondo, terzo e quarto; vale a dire si procederà alla
fissazione della data dell’adunanza camerale ed alla comunicazione della stessa alle parti ai fini della
presentazione di memorie e della richiesta degli avvocati delle parti di essere sentiti.
Se ne deduce che: a) in un primo momento (non si specifica come e quando) il collegio nella sua
composizione integrale valuta l’ammissibilità o meno del ricorso; b) ove il collegio ritenga il ricorso
inammissibile, si avrà la fissazione dell’adunanza ed il deposito in cancelleria della relazione da parte del
relatore con l’esposizione concisa delle ragioni che giustificano la dichiarazione di inammissibilità al fine
di consentire alle parti di far valere le proprie ragioni contro la valutazione fatta dal collegio; c) in sede di
adunanza il collegio deciderà definitivamente sull’ammissibilità o meno del ricorso. Di fatto per ogni
ricorso da dichiarare inammissibile si costringe il collegio dei tre membri a riunirsi ben due volte, con
ulteriore aggravio dei tempi processuali.

10. - La formazione del collegio ad hoc.

Sempre sul piano squisitamente processuale emerge il più assoluto silenzio della nuova norma sul
modo e sui criteri secondo i quali debba essere costituito il collegio cui è devoluto il vaglio di
ammissibilità. La sola cosa certa è che tale collegio (composto da tre magistrati, e non da cinque come
tutti i collegi in cassazione) non deve essere incardinato all'interno di ciascuna sezione, perché – come si
ricava agevolmente dalla lettura dell’art. 360 bis – esso deve operare a "valle" delle sezioni.
Ora, rispetto a questo collegio va, anzitutto, rilevato che di fatto si tratta di un organo giurisdizionale
del tutto nuovo e speciale, che viene introdotto all’interno della struttura della Cassazione. La specialità
del collegio in questione si ricava sia dalla deroga che l’art. 360 bis introduce all’art. 67 delle norme
sull’ordinamento giudiziario (r.d. n. 12 del 1941), in base al quale la Corte di Cassazione «giudica col
numero invariabile di cinque votanti» (7), sia dalla limitazione della sua funzione giurisdizionale alla sola
valutazione di ammissibilità dei ricorsi avanzati davanti alla Corte di Cassazione e non anche alla
decisione nel merito, sia dal fatto che non ha niente a che vedere con le sezioni in cui si articola la stessa
Cassazione, sia dalla sottrazione della sua formazione agli ordinari criteri di formazione delle sezioni e
dalla deroga all’art. 66 ord. giud., in base al quale la Cassazione «è costituita in sezioni» (comma 1) e «la
composizione delle sezioni è stabilita ai sensi dell’art. 7 bis» del medesimo ordinamento giudiziario
(comma 3), e cioè in base alle tabelle deliberate dal C.S.M. (comma 3 dell’art. 7 bis).
Si tratta di profili che non possono non preoccupare, sia ai fini del controllo delle parti sulla formazione
di questo collegio, che evidentemente viene rimessa nelle mani esclusive e discrezionali del Primo
Presidente della Cassazione, sia e soprattutto ai fini della conformità dell’art. 360 bis con la riserva di
legge dell’art. 111, 1° co., Cost., con la garanzia di terzietà ed imparzialità del giudice dell’art. 111, 2° co.,
Cost. e con l’alterazione che esso determina sul principio del giudice naturale precostituito per legge,
che – come ha messo in evidenza la Corte costituzionale (8) – attiene non solo alla predeterminazione
dell’organo giudiziario, ma anche ai criteri per l’individuazione del giudice-persona.
Resta la speranza che il legislatore inverta la rotta pericolosamente intrapresa e ostinatamente seguita
finora, a dispetto degli evidenti vizi di illegittimità costituzionale che l’art. 360 bis evidenzia. Altre
soluzioni ci sono e vanno sperimentate.
Se vuole tener ferma la volontà di introdurre un «filtro» all’accesso in Cassazione – come, peraltro,
sollecitato da tempo anche in dottrina – la soluzione non può non essere conforme al dettato
costituzionale dell’art. 111, 7° co., Cost. e va trovata nell’alveo già segnato dagli artt. 375 e 380 bis c.p.c.
e sul terreno organizzativo interno alla stessa Corte. Il rischio da evitare ad ogni costo è di confondere i
mezzi con il fine. Ed in questo caso il fine non è quello di introdurre un «filtro» all’accesso in

7
) Per il medesimo rilievo v. il Parere del plenum del C.S.M., citato.
8
 ) V. Corte cost., 23 dicembre 1998, n. 419, in Foro it., 1999, I, 760 ss., con nota di ROMBOLI; Corte cost., 25 luglio
2002, n. 393, ivi, 2003, I, 3247 ss.

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Cassazione purché sia, ma di trovare il modo di farla funzionare al meglio, senza ledere garanzie
costituzionali.

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