IN BIBLIOTECHE E SCIENZE DELL'INFORMAZIONE - PROBLEMI E PROSPETTIVE DELLE BIBLIOTECHE NELL'ERA DI INTERNET

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LAVORO DI DIPLOMA DI

               TIMOTEO MORRESI

         DIPLOMA OF ADVANCED STUDIES
   IN BIBLIOTECHE E SCIENZE DELL'INFORMAZIONE

          ANNO ACCADEMICO 2019/2020

 PROBLEMI E PROSPETTIVE DELLE

BIBLIOTECHE NELL’ERA DI INTERNET

                    TUTOR
               DANIELE CRIVELLI
Timoteo Morresi
Abstract

Nell’era digitale le biblioteche riusciranno a sopravvivere? I libri cartacei continueranno ad essere
stampati e letti? I bibliotecari dormiranno sonni tranquilli o il loro mestiere è in pericolo? A queste
e ad altre domande cercherà di rispondere questo lavoro sulla base del parere autorevole di due
esperti in materia: Robert Darnton e John Palfrey. Sebbene il loro punto di vista si basi molto sulla
realtà statunitense, le loro considerazioni sono applicabili in generale anche alla situazione europea
e a quella svizzera. Oltre a riflettere sul futuro delle biblioteche, la presente ricerca prende in
considerazione nelle pagine conclusive alcuni dati relativi alle principali biblioteche svizzere e a
quelle cantonali ticinesi.

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Problemi e prospettive delle biblioteche nell’era di Internet
Sommario

Premessa………………………………………………………………………………………..……4
I) Introduzione…………………………………………………………………………….………....4
II) Il ruolo delle biblioteche di ricerca………………………………………………………………..5
III) Le biblioteche come ambienti di cultura e apprendimento………………………………………9
IV) La “biblioteca piattaforma”……………………………………………………………………..11
V) Il ruolo dei bibliotecari………………………………………………………………………......13
VI) Conservazione per preservare la cultura………………………………………………………..14
VII) Il copyright…………………….………………………………………………………………15
VIII) La privacy……………………………………………………………………………………..17
IX) Conclusioni……………………………………………………………………………………..18

Allegati:
Alcuni dati statistici in Svizzera e in Ticino………………………………………………………...20

Bibliografia………………………………………………………………………………………….23

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Premessa

Nel febbraio 2016 aveva suscitato un polverone un’intervista apparsa sulla “NZZ am Sonntag” a
Rafaell Ball. L’allora nuovo direttore della biblioteca del Politecnico federale di Zurigo aveva
dichiarato al settimanale zurighese del 7 febbraio che le biblioteche pubbliche sono sopravvalutate,
non sono più il luogo della conoscenza ma soltanto un luogo di libri. La gran parte della letteratura
è già oggi digitalizzata e si può trovarla in Internet. Le biblioteche, soprattutto quelle più piccole,
possono dunque essere chiuse.
Il presente lavoro intende rispondere alle affermazioni provocatorie di Ball e andare oltre. Per farlo
mi sono essenzialmente basato su due libri: Il futuro del libro di Robert Darnton, pubblicato da
Adelphi nel 2011 e BiblioTech: perché mai le biblioteche sono importanti più che mai nell’era di
Google di John Palfrey, edito da Editrice Bibliografica nel 2016.
Robert Darnton è uno storico statunitense, ritenuto uno dei massimi conoscitori della storia della
Francia del Settecento. Dopo aver ricoperto incarichi prestigiosi, nel 2007 fu nominato professore
ad Harvard e direttore della Biblioteca, carica che mantiene fino al 2017. In italiano sono stati
tradotti diversi suoi libri, tra i più famosi: L'età dell'informazione. Una guida non convenzionale al
Settecento, edito da Adelphi nel 2007 e I censori all'opera, pubblicato sempre da Adelphi nel 2017.
John Palfrey è preside della Phillips Andover Academy (Massachusetts). È stato tra gli artefici della
riorganizzazione della Harvard Law School Library ed è direttore e fondatore della Digital Public
Library of America. In Italia, scritto con Urs Gasser, è uscito nel 2009 Nati con la rete. La prima
generazione cresciuta su Internet.

I) Introduzione

Secondo Darnton e Palfrey il mondo è ormai entrato in una nuova era, caratterizzata dalle
innovazioni tecnologiche in materia di comunicazione. Le nuove generazioni, “nate digitali”, sono
sempre connesse e dappertutto si servono del cellulare per conversare. I libri continueranno ad
essere sfogliati e maneggiati dai lettori? I dispositivi di lettura si sono diffusi nel panorama
dell’informazione. Ma il dispositivo più antico di tutti, la forma codice, è ancora di gran lunga
prevalente. Anzi la sua parte di mercato registra un aumento continuo. Nel 1998 nel mondo si erano
pubblicati 700.000 nuovi titoli; nel 2003 essi erano saliti 859.000 e nel 2007 976.000; oggi si è
superato il milione di libri.

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La resistenza della forma “codice” dimostra un principio generale della storia della comunicazione
secondo cui un medium non ne sostituisce un altro, almeno nel breve termine.
I manoscritti continuarono a circolare per molto tempo dopo l’invenzione di Gutenberg; i giornali
non scalzarono il libro a stampa; la radio non prese il posto dei giornali, la televisione non spazzò
via la radio; e Internet non ha estromesso gli spettatori dalla televisione. L’innovazione tecnologica
offre dunque un messaggio di continuità, nonostante il diffondersi delle invenzioni?
Secondo Darnton la risposta è negativa. La crescita esponenziale delle modalità di comunicazione
elettroniche è paragonabile all’invenzione della stampa a caratteri mobili, e noi – afferma Darnton –
“abbiamo altrettante difficoltà ad assimilarla di quante ne ebbero i lettori del Quattrocento, quando
si trovarono di fronte ai testi a stampa” (p. 19).
Il futuro sarà tuttavia digitale. Ora stiamo vivendo in un periodo di transizione in cui la modalità a
stampa o analogica coesiste con quella digitale. Per ora viviamo in un ambiente informativo più
digitale: le nuove opere sono e continueranno a essere create e conservate, o archiviate, in prima
istanza in formato digitale. In questa transizione i bibliotecari non possono immediatamente fare a
meno del cartaceo per concentrarsi solo sul digitale. Alcuni utenti continuano a stampare i materiali
per leggerli, per portarli con sé, per annotarli a mano. Altri si servono delle copie a stampa dei libri
per iniziare la loro ricerca, come si faceva in passato. Il formato cartaceo o analogico può facilitare
l’accesso all’informazione per alcuni aspetti in modo fondamentale. Ascoltando attentamente gli
utenti, i bibliotecari osservano che occorre fornire accesso sia ai materiali cartacei sia a quelli
digitali.
Secondo Palfrey la sfida essenziale per le biblioteche è di trovare un equilibrio nell’enorme mole di
attività che riguarda l’analogico e il digitale. Per continuare ad acquisire più materiali ogni anno, in
più formati, è necessario aumentare i budget delle biblioteche ma i finanziamenti pubblici sono in
calo. Una soluzione a questo problema potrebbe consistere in una maggiore e più stretta
collaborazione tra le biblioteche: se vogliono avere successo, le biblioteche devono allearsi per le
acquisizioni e la conservazione del materiale in modo molto più ambizioso che in passato.

II) Il ruolo delle biblioteche di ricerca

Secondo Robert Darnton il problema è di non facile soluzione. Darnton lo pone in prospettiva,
analizzando due modi di concepire le biblioteche che sono entrambi una grande illusione,
un’illusione che contiene una parte di verità.

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Negli anni Cinquanta del secolo scorso le biblioteche erano una sorta di “luogo fortificato” del
sapere. Il sapere si trovava in tomi rilegati e la grande biblioteca sembrava esserne il contenitore
deputato. La conoscenza era suddivisa in categorie standard, classificata per autori e titoli nello
schedario e accessibile sulle pagine dei libri. In tutte le università la biblioteca era la costruzione più
solenne, un luogo in cui vigeva il silenzio: non si poteva parlare, mangiare, disturbare e distrarsi.
Oggi molto spesso negli Stati Uniti le sale di lettura sono quasi vuote: gli studenti moderni e
postmoderni, seppur hanno ancora rispetto per le biblioteche, preferiscono svolgere le loro ricerche
sul computer di casa. Per loro il sapere arriva attraverso la rete, non sta nelle biblioteche. Sanno che
le biblioteche non potranno mai circoscriverlo all’interno delle proprie mura, poiché le informazioni
sono infinite, disseminate ovunque su Internet, e per rintracciarle serve un motore di ricerca, non
delle schede di carta. Darnton sostiene che “c’è qualcosa di vero in entrambe le concezioni, quella
della biblioteca come cittadella e quella di Internet, come spazio libero e aperto” (p. 55).
A questo punto Darnton solleva la questione di Google Book Search. Nel 2006 Google stipulò un
accordo con cinque grandi biblioteche di ricerca (la Public Library di New York, le biblioteche
dell’Università di Harvard, del Michigan, di Stanford e la Bodleian Library di Oxford) allo scopo di
digitalizzare i loro fondi. I libri su cui gravavano i diritti d’autore rappresentavano un problema; a
ciò si dovevano aggiungere le cause intentate da alcuni editori e autori. Nonostante questi problemi,
l’idea di Google sembrava essere un modo per rendere tutto il sapere contenuto nei libri disponibile
a tutti coloro che avevano accesso al World Wide Web. Si presentava dunque come l’ultima fase di
quella democratizzazione della conoscenza che era iniziata con l’invenzione della scrittura, del
codice, dei caratteri mobili e di Internet.

Google Book Search sostituirà le biblioteche di ricerca, rendendole obsolete? Al contrario. Secondo
Darnton le “renderà più importanti che mai”. Lo studioso americano articola il suo ragionamento in
otto punti.
1) È utopistico credere che Google possa mettere online praticamente tutti i libri che siano stati
stampati. Ammettiamo che Google abbia già digitalizzato il 90 percento dei libri esistenti negli Stati
Uniti. Chi ci dice che i rimanenti libri non digitalizzati non siano importanti?
2) Il patrimonio bibliografico complessivo delle cinque grandi biblioteche di ricerca, citate sopra,
non riesce neanche lontanamente a esaurire la riserva di libri esistente negli Stati Uniti. Nelle
biblioteche di ricerca degli Stati Uniti sono conservati circa 543 milioni di libri. Lo scopo iniziale
dichiarato di Google è di digitalizzarne 15 milioni. Altre trentuno biblioteche americane stanno
partecipando a Google Book Search e la rappresentatività del suo database migliorerà. Ma Google
non si è ancora addentrato nelle raccolte speciali, dove sono custodite le opere più rare. E

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naturalmente la totalità della letteratura mondiale supera di gran lunga le capacità di
digitalizzazione di Google.
3) È difficile immaginare che la questione dei diritti d’autore non rappresenti più un problema.
Secondo la legge sui diritti di proprietà intellettuale del 1976 e l’estensione dei termini di scadenza
del copyright stabilita con la legge del 1998, la maggior parte dei libri pubblicati dopo il 1923 è
attualmente protetta da diritti, che oggi si estendono fino a settant’anni dopo la morte dell’autore.
Per i libri non coperti dal diritto d’autore, Google permetterà la visualizzazione del testo completo e
la riproduzione di tutte le pagine. Per i libri sotto copyright, permetterà la visualizzazione solo di
una parte del testo. Riuscirà a convincere gli editori e gli autori a rinunciare ai diritti sui libri
pubblicati tra il 1923 e un periodo abbastanza recente? Ma li convincerà anche a modificare i
termini dei loro diritti anche per il presente e per il futuro? Nel 2006 negli Stati Uniti sono stati
pubblicati 291'920 nuovi titoli e nell’ultimo decennio, come abbiamo visto, il numero di nuovi libri
non ha cessato di crescere, nonostante il diffondersi dell’editoria elettronica.
Come potrà Google tenersi aggiornato sulla produzione attuale mentre contemporaneamente
procede alla digitalizzazione dei libri degli scorsi secoli? Per Darnton “è meglio aumentare le
acquisizioni nelle nostre biblioteche di ricerca, anziché affidarsi a Google per la conservazione dei
libri futuri a beneficio delle future generazioni” (p. 59-60).
4) Nel mondo della tecnologia elettronica le imprese decadono in modo rapido.
Google potrebbe dissolversi o la sua tecnologia passare di moda, sostituita da una più potente, che
renderebbe il suo database obsoleto e non più accessibile, come è stato il caso nel recente passato
dei floppy disk e CD-ROM. Le biblioteche durano invece nel tempo. Meglio corroborarle, piuttosto
che dichiararle passate di moda, poiché il passar di moda è proprio dei media elettronici.
5) Google farà degli errori.
Per quanto Google ponga attenzione alla qualità e ai controlli di qualità, ometterà alcuni libri,
salterà delle pagine, produrrà pagine imperfette e creerà testi non ben messi a fuoco. Fino a qualche
anno fa pensavamo che i microfilm avrebbero conservato i testi in modo duraturo; oggi non ne
siamo più convinti.
6) Come già per i microfilm, non v’è certezza che le copie di Google dureranno per sempre.
Hardware e software declinano a un ritmo impressionante. Tutti i documenti “nati digitali” corrono
il rischio di andare persi, finché non si risolverà la questione della sopravvivenza elettronica. Ad es.
non si è conservato l’80 percento di tutti i film muti e la metà di tutti i film usciti prima della
seconda guerra mondiale. Il libro rappresenta dunque il miglior sistema di conservazione che sia
mai stato inventato: nulla infatti sa preservare i testi meglio dell’inchiostro su carta, in particolare
quelli editi prima dell’Ottocento.

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7) Google prevede di digitalizzare molte versioni di ciascun libro, lavorando sulle copie man mano
che le trova sugli scaffali; ma le metterà a disposizione tutte? E se sì, quale delle versioni porrà in
cima alla lista delle copie consultabili?
Il comune lettore potrebbe perdersi tra le migliaia di edizioni diverse delle tragedie di Shakespeare,
dunque sceglierà quelle che Google gli rende più accessibili. E in base a quale criterio Google
determinerà l’ordine di rilevanza dei documenti? Attualmente il motore di ricerca di Google si serve
di un algoritmo segreto, che ordina le pagine web secondo la frequenza degli accessi ai siti ad esse
collegati. Nulla però fa pensare che prenderà in considerazione gli standard dei bibliografi, ad es.
privilegiando la prima edizione a stampa o l’edizione più aderente alla volontà dell’autore. Per
Google sono attivi migliaia di ingegneri, ma a quanto pare nessun bibliografo. Gli studiosi seri
avranno sempre bisogno di analizzare e consultare molte edizioni, ma nelle versioni originali, non
nelle riproduzioni digitali che Google determinerà secondo criteri che probabilmente esuleranno
dalla scienza bibliografica.
8) Anche se accurata, l’immagine digitalizzata che appare nel computer non rivelerà mai
esattamente gli aspetti cruciali di un libro.
È il caso delle dimensioni. Leggere un piccolo volume in dodicesimo, che si può facilmente tenere
in mano, è diverso che leggere un grande libro in folio appoggiato a un leggio. L’esperienza diretta
di un libro è fondamentale: contano la grana della carta, la qualità della stampa, il tipo di rilegatura.
Se poi il libro possiede annotate delle note a margine, può dirci molte cose riguardo al posto che
aveva nella vita intellettuale dei suoi lettori.
Darnton ammette che questa sua fascinazione per la stampa e la carta potrebbe esporlo “all’accusa
di fare del romanticismo o di reagire come un dotto pedante e démodé che non vede l’ora di
chiudersi dentro la sala dei libri rari” (p. 63). Le collezioni di libri rari rappresentano una parte
essenziale delle biblioteche di ricerca, la parte che rimane al di fuori di Google. Ma le biblioteche
consentono ai lettori di immergersi nei libri in spazi silenziosi e confortevoli, in cui il libro cartaceo
può essere conosciuto in tutta la sua individualità.
Nessuna schermata di computer è paragonabile al piacere della pagina stampata. Tuttavia va
riconosciuto che Internet offre dati che si possono trasformare nel classico volume a stampa. Il book
on demand, la pubblicazione su richiesta, è già un’industria fiorente. E forse prima o poi i libri che
appaiono su uno schermo portatile provocheranno lo stesso piacere per l’occhio quanto le pagine di
un documento pubblicato secoli fa.
Nel frattempo Darnton invita a sostenere la biblioteca, a riempirla di libri stampati, a riarredare le
sale di lettura. Ma sottolinea pure di non considerarla un magazzino o un museo. Quasi tutte le
biblioteche di ricerca, mentre prestano i libri, sono già dei centri importanti per la trasmissione di

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impulsi elettronici. Assicurano insiemi di dati, mantengono in funzione archivi digitali. Molte di
esse, come abbiamo visto, consentono a Google di digitalizzare le loro collezioni a stampa. Perciò
Darnton afferma: “Lunga vita a Google, ma non aspettatevi che Google viva abbastanza a lungo da
sostituire quel venerabile edificio dalle colonne corinzie” (p. 64). In quanto luoghi fortificati del
sapere e base di lancio per le avventure su Internet, la biblioteca di ricerca continui ad ergersi al
centro del recinto del campus universitario, a salvaguardia del passato e a centrale di energia per il
futuro.

Anche Palfrey è in generale ottimista riguardo al futuro delle biblioteche, in parte per le ragioni
elencate da Darnton, in parte per altri motivi. Egli scrive che nei prossimi decenni avremo bisogno
ancora della presenza fisica delle biblioteche in quanto esse offrono agli utenti dei servizi.
Innanzitutto la maggior parte delle biblioteche rappresentano dei luoghi assolutamente tranquilli,
diversamente dal mondo circostante, rumoroso e caotico. Il silenzio della sala di lettura è adatto allo
studio. Lo scopo principale di tale spazio è quello di favorire la lettura, la riflessione, la scrittura, la
preparazione agli esami. In biblioteca le aree in cui vige il silenzio si devono salvaguardare poiché
molto apprezzate.
In secondo luogo lo studio può essere un’attività sociale. Gli studenti potrebbero frequentare la
biblioteca, anche quando i libri cartacei non saranno più al centro del loro apprendimento, per
incontrare altri studenti e condividere la stessa esperienza, studiando l’uno accanto all’altro e
facendo magari le stesse pause.
Terzo: la presenza dei bibliotecari. Con il loro servizio di reference possono rivelarsi utili nell’era
digitale più di quanto non lo fossero nel passato analogico. In un’epoca in cui le informazioni sono
sovrabbondanti in tutte le discipline, i bibliotecari di reference possono fornire un ottimo servizio
agli studenti e agli altri utenti della biblioteca.

III) Le biblioteche come ambienti di cultura e apprendimento

Per quanto le biblioteche, se vorranno sopravvivere, dovranno creare progetti nuovi e innovativi, ciò
non basterà per garantire loro un futuro sereno. Nel trovare nuove forme di coinvolgimento, esse –
afferma Palfrey - non devono trasformarsi in meri centri culturali. Se le biblioteche lo diventassero,
avremmo centri culturali in ogni città, ma non più biblioteche. Un centro culturale costa molto
meno ed è meno difficile da gestire rispetto ad una biblioteca pubblica.

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Le biblioteche devono diventare ambienti di cultura ma anche di apprendimento. “Tuttavia -
sostiene Palfrey - esse devono stare alla larga da due estremi pericolosi dello spettro. Da un lato,
non possono essere solamente luoghi nei quali ottenere informazioni, dato che questo è possibile
farlo anche in altro modo. Dall’altro, non possono limitarsi a fornire servizi già disponibili in
qualsivoglia luogo pubblico, grazie a un qualsiasi organizzatore di eventi capace e creativo” (p. 90).
La soluzione ideale per le biblioteche, secondo Palfrey, sarà la coesistenza tra ambiente fisico e
digitale, di divertimento e apprendimento, come già esiste in alcune realtà: la Library 10 di
Helsinki, la Johnson County Central Resource Library in Kansas e i centri YouMedia.
Le biblioteche in un’epoca più digitale dovrebbero più guardare alle istituzioni educative che non ai
centri culturali. In molti casi esse fungono come una seconda possibilità di scolarizzazione per
coloro che non hanno finito i loro studi o non hanno potuto trarne profitto. Per alcuni ragazzi la
biblioteca pubblica è un luogo di apprendimento mentre ancora sono studenti a scuola. Per altri è
l’occasione di perfezionare delle conoscenze che non sono riusciti a mettere a frutto a scuola o di
cui hanno bisogno per cambiare lavoro. Per i più anziani la biblioteca costituisce un vivace “terzo
luogo”, alternativo alla casa o al centro per anziani; in essa possono trovarvi i giornali e i periodici
che non possono permettersi di comprare da soli, socializzare con altri utenti, imparare ad usare i
computer, eventualmente apprendere a compilare online la dichiarazione dei redditi – dunque
esperienze sociali, culturali e di apprendimento.
Le biblioteche sono luoghi importanti soprattutto per gli immigrati. Negli Stati Uniti sono le
istituzioni di cui chi arriva da un nuovo paese si fida maggiormente. Per questi nuovi immigrati il
sistema bibliotecario pubblico può rappresentare quell’educazione che non hanno ricevuto in patria
e aiutarli ad inserirsi in una nuova cultura. I nuovi residenti vi trovano un mezzo per imparare la
lingua del posto e diventare nuovi cittadini.
I bibliotecari e gli architetti dovrebbero collaborare per creare spazi che vadano incontro ai bisogni
culturali, sociali e informativi di comunità specifiche in un’epoca più digitale. Le biblioteche
accademiche, pubbliche e scolastiche hanno esigenze diverse e non è quindi appropriato
immaginare un unico tipo di struttura. Accanto a spazi tranquilli e contemplativi ne occorrono altri
dove ci sia del movimento. Le biblioteche devono essere luoghi che esortino gli utenti a sognare e
pensare in grande.

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IV) La “biblioteca piattaforma”

Palfrey ammette che ci potrebbe essere un futuro in cui la biblioteca sarà più o meno obsoleta. Tra i
vari scenari possibili nessuno di questi per vari motivi è particolarmente favorevole per le
biblioteche, gli autori e gli editori, i proprietari di librerie, i lettori o la democrazia. “Se Amazon,
Apple, Google da semplici mezzi per far scoprire nuove forme di intrattenimento diventeranno
anche i principali distributori – i libri che mia figlia vorrà leggere, i film che mio figlio vorrà
guardare, e probabilmente anche tutta la musica che vorranno ascoltare - quale spazio resterà alle
biblioteche? ... Chi ha a cuore il futuro delle biblioteche deve protestare e battersi per difendere
l’importanza di un accesso pubblico alla conoscenza” (p. 96).
Nell’era digitale occorre che ci sia anche un’opzione pubblica. I bibliotecari aiutano gli utenti a
reperire conoscenze e informazioni disponibili per tutti, prive del vincolo di parzialità delle
indicazioni di una qualsiasi azienda commerciale. Nell’adattarsi all’era digitale finora le biblioteche
si sono innovate più lentamente rispetto alle imprese private. Il rischio che un piccolo gruppo di
aziende commerciali tecnicamente all’avanguardia stabilisca la gran parte di ciò che leggiamo è
dunque reale. “La grande bellezza del ricco e diversificato sistema bibliotecario che si è sviluppato
negli ultimi 150 anni risiede nel ruolo dei bibliotecari, che hanno selezionato e reso disponibile una
grande varietà di materiali perché la gente possa consultarla e farne uso” (p. 97). Questo sistema
nessuno può manipolarlo a suo favore; nessuna entità commerciale può portare a fine corsa il
sistema bibliotecario nell’interesse del profitto. Anziché diminuire bisogna aumentare gli
investimenti nel sistema bibliotecario per renderlo competitivo rispetto alle aziende tecnologiche
innovative e ben finanziate, che sempre più dominano il settore dell’informazione.
Per il futuro delle biblioteche – sostiene Palfrey – la collaborazione è essenziale. Le biblioteche
devono collaborare alla costruzione di un’infrastruttura digitale comune. Le biblioteche devono
organizzarsi in piattaforme piuttosto che continuare a essere magazzini. Per “piattaforma” Palfrey
intende l’accesso in modo facile e efficiente all’informazione e alla conoscenza che esse forniscono.
Una piattaforma può essere un luogo e anche un servizio. Il concetto di “biblioteca piattaforma” si
oppone a quello di “biblioteca magazzino”, intesa come luogo in cui gli oggetti fisici sono
immagazzinati per un recupero successivo. Come “piattaforma” la biblioteca rende possibile
l’incontro di persone con idee forti, sia fisicamente sia virtualmente, in forma registrata o dal vivo. I
bibliotecari devono essere i gestori e gli amministratori di queste piattaforme, non in quanto enti a
sé stanti, ma all’interno di una rete crescente di strutture che agiscono anch’esse come tali. Molte
biblioteche stanno compiendo il passo verso questi programmi con successo.

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Secondo Palfrey l’archiviazione dell’informazione rappresenterà il maggiore cambiamento
strutturale delle biblioteche nel prossimo decennio. Il numero di persone che leggono e-book o altri
contenuti digitali piuttosto che analogici aumenterà e parallelamente cambieranno anche le funzioni
e le azioni delle biblioteche. Le biblioteche al posto di archiviare diverse serie ridondanti di
materiali fisici, cominceranno a rendere condiviso l’accesso a materiali elettronici.
L’inevitabile transizione verso una biblioteca digitale, connessa e mobile non avviene in modo
istantaneo ma sta concretizzandosi velocemente, e dev’essere ben coordinata. “Una delle sfide
maggiori nel gestire una biblioteca oggi – osserva Palfrey - è determinare quanto rapidamente
compiere il passaggio verso questa nuova dimensione” (p. 101). Non tutti gli utenti hanno
familiarità con il mondo digitale o sono favorevoli ai materiali elettronici. Dovendo tener conto
delle esigenze dei propri frequentatori, le biblioteche per qualche tempo saranno in bilico tra
analogico e digitale. L’importante è che le biblioteche non facciano il passo verso il digitale da sole,
una alla volta.
Uno degli sforzi coordinati più vasti per convergere le biblioteche in piattaforme, vale a dire
l’iniziativa di costituire la Digital Public Library of America (DPLA), è ben avviato. Il suo scopo è
quello di creare una struttura di biblioteca nazionale dell’era digitale per gli Stati Uniti e sotto alcuni
aspetti, per tutto il mondo. Nell’ottobre 2010 circa 40 direttori di biblioteche, fondazioni, università
e aziende tecnologiche si sono messi d’accordo per costruire una biblioteca digitale contenente tutti
i libri delle più grandi biblioteche di ricerca, accessibile gratuitamente a tutto il mondo.
Oltre alla DPLA vi sono nel mondo altre iniziative con l’obiettivo di creare una biblioteca digitale
nazionale. Nel 2009 a Seoul è stata inaugurata la biblioteca digitale nazionale della Corea del Sud.
La rete più estesa di biblioteche digitali nazionali, Europeana, riunisce 23 milioni di oggetti culturali
(libri, manoscritti, mappe, dipinti, film oggetti museali, documenti d’archivio e altri oggetti) in
formato digitale di molti paesi europei.
Come saranno le biblioteche e il web nei prossimi dieci o vent’anni nessuno lo sa. Diventeranno
una serie di sistemi sempre più commerciali, orientati al profitto? Oppure sarà un ecosistema
equilibrato che comprenderà opzioni pubbliche convincenti? Una cosa è però certa secondo Palfrey:
le biblioteche avranno successo e sapranno rinnovarsi in un’era connessa, digitale e mobile solo se
intraprenderanno un approccio collaborativo per la creazione di piattaforme condivise. Le
“biblioteche piattaforme”, aperte e libere, dovranno essere le fondamenta della futura infrastruttura
bibliotecaria. Altrimenti le aziende come i motori di ricerca e i social network avranno il
sopravvento rispetto alle biblioteche nella formazione della democrazia nel nostro futuro digitale.

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V) Il ruolo dei bibliotecari

Il lavoro di bibliotecario – si chiede Palfrey – è in via di estinzione? Il timore che ciò accada è
evidente tra gli operatori in alcuni settori del mondo delle biblioteche. Se i bibliotecari resteranno
troppo legati ad una concezione tradizionale del loro mestiere, impegnandosi solo nel preservare
collezioni di oggetti fisici, avranno davanti a sé un avvenire difficile. “I bibliotecari devono
reinventare sé stessi e la loro professione e allinearne le attività con ciò che le comunità chiedono
loro di fare” (p. 136). I bibliotecari che stanno avendo successo nell’era digitale sono quelli che
agiscono in rete, non in un magazzino isolato, e operano come nodi di rete fra le biblioteche e i
bibliotecari stessi.
Le biblioteche rischiano di rimanere indietro se non investiranno a breve il tempo e il denaro
necessari per la formazione e l’aggiornamento. Le abitudini di apprendimento, ricerca e
intrattenimento dei loro utenti mutano con il passare del tempo.
Fra non molto, ogni sistema bibliotecario necessiterà di avere tra i suoi operatori almeno alcuni che
siano competenti nell’uso e nello sviluppo delle tecnologie digitali. Nella maggior parte delle
biblioteche negli Stati Uniti o nel mondo sono pochi i dipendenti che stanno al passo con il rapido
sviluppo delle tecnologie.
Molte delle competenze e delle esperienze che sono state utili ai bibliotecari nel secolo scorso
valgono ancora oggi, ma ve ne sono state aggiunte delle nuove. Queste abilità preesistenti, che sono
ancora rilevanti, riguardano “la capacità di aiutare gli utenti a trovare l’informazione desiderata, di
prevedere quali sono le altre risorse che potrebbero essere interessanti o da cui potrebbero trarre
utilità e di essere lungimiranti quando si parla di conservazione” (p. 142). Ma in un mondo
dominato dai media digitali i bibliotecari hanno bisogno di nuove capacità.
Le rinnovate competenze comprendono “la progettazione, la creazione e il riuso delle nuove
tecnologie, la selezione di informazione autorevole da quella poco credibile nel complicato mondo
della rete, e l’avvio di collaborazioni con persone dalle esperienze più diverse per co-produrre
informazione e conoscenza in formati digitali” (P. 142).
La biblioteconomia in un’era digitale e connessa può avere successo. Tuttavia deve evolvere a ogni
livello di vita professionale e in tutti i tipi di biblioteche, archivi e istituzioni del patrimonio
culturale per venire incontro alle necessità del pubblico odierno.
Per prepararsi a questo cambiamento, i bibliotecari devono focalizzarsi non su singole biblioteche
fisiche ma su reti più ampie, fisiche e digitali, di cui le loro fanno parte.
Le esigenze e le aspettative degli utenti della biblioteca sono ormai molto diverse e gli stessi
materiali sono spesso disponibili non come oggetti fisici ma in formato digitale. Il mestiere del

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bibliotecario è mutato dall’investire in documenti fisici e posti in un luogo determinato a un misto
di attività che dipendono da una rete più vasta. “I bibliotecari oggi – sostiene Palfrey – devono
coprodurre la rete, rendere utile ciò che si può trovare grazie alla rete stessa e aiutare le persone che
vivono in un mondo sempre più connesso” (p. 144).
Nelle biblioteche si dovranno modificare le mansioni dei propri dipendenti. Ciò che verrà richiesto
ai bibliotecari sta cambiando: dall’abilità di gestire materiali fisici si passerà ad un grado maggiore
di dimestichezza con le reti digitali.
A differenza di ciò che avviene nelle grandi aziende commerciali, i bibliotecari possono aiutare gli
utenti a fare la distinzione tra le informazioni credibili e quelle poco attendibili. Garantire questo
servizio è fondamentale per la competitività dei bibliotecari.
La transizione nella professione bibliotecaria è ancora all’inizio. Nel prossimo decennio vi sarà
ancora molto da apprendere e costruire.

VI) Conservazione per preservare la cultura

Nel passaggio dall’analogico al digitale si deve – afferma Palfrey – ancora trovare il modo di
preservare i documenti di valore nati digitali. I formati mutano rapidamente, complicando il lavoro
di interpretazione dei file dopo appena una decina di anni. Molti dei dati creati oggi si stanno
perdendo più rapidamente di quanto dovrebbero.
Il compito delle biblioteche nella tutela della conoscenza culturale nel lungo periodo è certamente
prioritario. “La loro capacità di adempiere a questa funzione a lungo termine è oggi in pericolo per
varie ragioni, incluso il fatto che le biblioteche garantiscono talvolta l’accesso a materiali che non
acquistano e che le sfide della conservazione stanno anche nel mutamento dei formati del digitale”
(p. 151).
Cent’anni fa sarebbe stato meno difficile preservare i documenti di lavoro di scienziati e studiosi.
Scegliere che cosa tenere e che cosa eliminare è sempre stato parte integrante del lavoro degli
archivisti, oggi reso più complesso dalla variabilità dei formati. Archivisti e bibliotecari sono alla
ricerca di una soluzione unica, facile, economica a questi problemi. Ci riusciranno? Palfrey è
scettico. Secondo lui la preservazione a lungo termine ha bisogno di essere coordinata più
efficacemente di quanto non sia oggi. Occorrono anche più investimenti in questo periodo di
transizione dai materiali analogici a quelli digitali. La maggioranza delle biblioteche oggi non
ritiene più che una qualsiasi istituzione possa detenere una documentazione esaustiva. Non è
essenziale avere tante biblioteche che conservino gli stessi documenti in formato fisico. La maggior

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parte delle collezioni fisiche nelle biblioteche non viene consultata mai o quasi raramente. Ecco
perché secondo Palfrey biblioteche e archivi, invece di continuare ad affidarsi a un insieme di
istituzioni isolate, devono sviluppare una rete comune.
Uno dei problemi principali con cui sono confrontate oggi le biblioteche e gli archivi è la
conservazione della posta elettronica e delle pagine web; la mole di lavoro in questo ambito è
amplissima e i progressi sono lenti. La questione non si può affrontare efficacemente se non con un
lavoro di squadra da parte delle biblioteche e degli archivi. Non ha senso che ogni singola biblioteca
sia in competizione con le sue pari in quanto a dimensioni della propria collezione. Le biblioteche
devono collaborare in modo che possano investire altre risorse per venire incontro alle esigenze dei
suoi utenti. Un’amichevole competizione tra biblioteche dovrebbe avvenire a livello dei servizi
offerti ai membri della comunità, mentre a livello della conservazione a lungo termine la strada da
percorrere è quella della coordinazione.

VII) Il copyright

Nell’era digitale per le biblioteche il prestito è molto più complicato rispetto all’era analogica a
causa di due fattori: la legislazione sul copyright e le restrizioni tecnologiche.
La legge sul copyright, risalente alla fondazione degli Stati Uniti, rappresenta secondo Palfrey un
ostacolo per la creazione di biblioteche performanti nell’era digitale. “Riforme sensate del copyright
e della privacy sono mattoni essenziali per la costruzione delle biblioteche nella transizione dal
mondo analogico a quello digitale. Se non ci saranno cambiamenti nelle politiche e nelle leggi
attuali, i bibliotecari avranno un futuro difficile rispetto alla loro missione di servizio pubblico a
favore di quanti vivono in una democrazia“ (p. 184).
Prima che gli e-reader e gli e-book si diffondessero, le biblioteche avevano la possibilità di
comprare, dare in prestito e conservare la maggioranza dei materiali a stampa sottoposti al diritto
d’autore con una certa facilità. Bastava che le biblioteche avessero denaro per acquistarli, spazio
dove collocarli sugli scaffali e che gli utenti avessero tempo e interesse per leggerli.
Nell’era analogica una delle restrizioni alla legislazione sul diritto d’autore che facilitava il prestito
dei libri era la dottrina della prima vendita (in inglese first sale doctrine). In poche parole la legge
sul diritto d’autore consente al creatore di controllare solo la prima vendita o distribuzione di una
copia materiale dell’opera. Una volta venduta, il detentore del diritto di copyright non può opporsi
alla rivendita, prestito, noleggio o cedimento a terzi di quella copia.

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La diffusione dei materiali digitali come gli e-book ha reso le cose molto più complesse in fatto di
biblioteche e prestiti. Di solito le opere a stampa sono vendute o donate alle biblioteche. Riferendosi
alla dottrina della prima vendita e ad altre leggi, le biblioteche possono prestare le loro copie
cartacee ai propri utenti, ad altre biblioteche e agli utenti di altre strutture attraverso il prestito
interbibliotecario. Delle opere digitali invece sono vendute alle biblioteche e ai consumatori non le
opere in sé, ma le licenze d’uso. “Le licenze sono contratti che si possono imporre e che
garantiscono il permesso di fare o utilizzare qualcosa che altrimenti sarebbe nel diritto esclusivo di
un proprietario” (p. 188). Per esempio possono limitare le modalità in cui le biblioteche possono
rendere disponibili le opere ai propri utenti.
Le biblioteche non sono più possessori di materiali digitali ma acquirenti che stanno diventando
abbonati. Il problema principale è che ad esse può essere impedito di soddisfare uno degli incarichi
basilari nei confronti del pubblico: prestare libri. È così minacciato uno dei compiti fondamentali
delle biblioteche: consentire il libero accesso alla cultura a chi non se lo può permettere.
Per le biblioteche la differenza tra avere a noleggio o possedere la copia di un’opera è decisiva. Il
detentore dei diritti di copyright mantiene una forma più stretta di proprietà della copia con licenza
d’uso di un libro digitale rispetto alla vendita di un libro a stampa fuori moda. La dottrina della
prima vendita non è stata applicata all’ambito digitale e di conseguenza alle copie con licenza
d’uso.
Per definizione un libro digitale, una registrazione audio o un’immagine non appartengono a chi ha
acquistato la licenza d’uso. Le biblioteche non possiedono le copie dei libri digitali che hanno
comprato, non allo stesso modo in cui possiedono le copie dei libri a stampa. Inoltre alcune licenze
di libri elettronici scadono dopo un certo numero di prestiti, obbligando le biblioteche ad acquistare
di nuovo una licenza costosa. Prima con i libri a stampa ciò non accadeva; per le biblioteche la
situazione attuale è sfavorevole.
La domanda di e-book da parte degli utenti è in costante aumento (per il Ticino v. grafico a p. 22).
Anche se i principali editori che offrono libri elettronici per il prestito stanno crescendo, molte case
editrici hanno rifiutato di partecipare a questo tipo di progetti o vi aderiscono solo a condizioni
d’uso più restrittive. Le biblioteche hanno cercato di trattare condizioni a loro favorevoli ma con
scarso successo.
I bibliotecari e i giuristi negli Stati Uniti hanno chiamato in causa i tribunali e il Congresso per
chiedere riforme legislative che riequilibrassero la legge, in modo che gli interessi degli utenti
venissero tutelati. Varie opzioni legali sono attualmente allo studio, non da ultimo la possibilità di
creare un’ampia dottrina della prima vendita digitale. Il Congresso – sostiene Palfrey - potrebbe

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garantire alle biblioteche speciali diritti per consentire loro il prestito, l’archiviazione e la
conservazione degli e-book.
Le biblioteche hanno ancora la possibilità di iniziare un progetto pubblico d’avanguardia nel campo
digitale oggi dominato da editori commerciali e aziende a scopo di lucro tra cui Amazon, Google e
OverDrive. Chi ha a cuore le biblioteche deve opporsi alle tendenze di tipo legale e tecnologico che
nell’era digitale stabiliscono nuove limitazioni all’accesso più che renderlo migliore. Altrimenti il
pericolo è che in questa nuova epoca ci potrebbe essere meno accessibilità rispetto a quella
analogica.

VIII) La privacy

La privacy è un tema più semplice del copyright quando si parla di libri elettronici e prestito, anche
se altrettanto importante. Nell’ambito analogico quando un libro è comperato da una biblioteca, non
sussiste nessun altro rapporto tra la biblioteca e un qualsiasi soggetto legato alla produzione del
libro. La biblioteca paga l’acquisto, colloca il libro nella sua collezione e poi lo dà in prestito al
primo che ne fa richiesta. La biblioteca può tenere un registro di chi ha il libro per assicurarsi che i
volumi non vadano persi e per applicare eventuali multe. Nell’ambito digitale la relazione tra la
biblioteca e l’editore o il fornitore dell’e-book è più articolata. La biblioteca paga una licenza per
un’opera per poter prestarla a un utente. Ma essa non effettua un prestito nel senso proprio del
termine. L’editore può aver lavorato con un’azienda come OverDrive, leader di mercato, per
consentire il prestito di un libro digitale all’utente di una biblioteca. Oppure un editore ha creato un
sistema per consentire il prestito direttamente agli utenti, e la biblioteca in tal caso acquista solo le
licenze d’uso. In questi casi il bibliotecario si affida a terze parti o all’editore per la protezione della
privacy degli utenti.
Dal punto di vista dell’utente, un approccio commerciale alla riservatezza può funzionare bene ma
non è privo di rischi. “Il mercato può anche funzionare in modo vantaggioso per i lettori: le aziende
che gestiscono i dati del prestito elettronico vorranno attrarre verso i loro servizi i bibliotecari, che li
testeranno come clienti, per cui avvieranno pratiche che favoriscano la privacy individuale rispetto
ad altri interessi. Le aziende che non riescono a proteggere la riservatezza degli utenti si troveranno
senza l’appoggio di centinaia di biblioteche” (pp. 205-206). Ma il mercato non sempre funziona in
modo perfetto.
Questa situazione pone in agitazione più di un bibliotecario. Diversamente che in passato nell’era
digitale i bibliotecari non sono più gli intermediari principali tra le persone e le informazioni. Gli

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intermediari chiave nell’ambito del prestito elettronico sono sempre più le aziende commerciali, che
possono agire correttamente, ma possono anche essere mosse da interessi diversi dai tradizionali
valori delle biblioteche, come la riservatezza dei fruitori delle biblioteche.
Ad esempio negli Stati Uniti uno dei casi che più fece discutere è stato il dibattito sul Patriot Act.
L’idea che l’interesse di un lettore per un libro sull’Islam potesse far avviare un’indagine su un
individuo sospetto fece trasalire diversi bibliotecari. I loro timori secondo Palfrey sono fondati: le
aziende commerciali di fronte a una pressione statale potrebbero non essere così rigorose come le
biblioteche.
Palfrey auspica un’alleanza tra le biblioteche e gli editori per risolvere a breve la crisi del prestito
elettronico. Come noi cittadini abbiamo bisogno di salvaguardare le biblioteche, abbiamo altrettanto
bisogno che i bibliotecari ci aiutino a difendere una legislazione equa sul copyright e sulla privacy
nell’era digitale.

IX) Conclusioni

Ritornando a Rafaell Ball, da cui prendeva le mosse questo lavoro (v. Premessa a p. 4), osservo
quanto segue alle sue principali conclusioni:
1. Le biblioteche pubbliche sono sopravvalutate, non sono più il luogo della conoscenza ma
soltanto un luogo di libri. I dati delle dieci più grandi biblioteche svizzere mostrano un calo sia per
quanto riguarda gli utenti attivi sia per ciò che concerne i prestiti totali (v. i grafici alle pp. 20-21).
Nelle biblioteche cantonali ticinesi si nota invece una sostanziale stabilità in entrambi gli ambiti (v.
i grafici alle pp. 21-22). L’affermazione di Ball mi pare eccessiva.
2. La gran parte della letteratura è già oggi digitalizzata e si può trovarla in Internet. Non è vero,
come dimostrato dalle otto osservazioni di Robert Darnton, riassunte alle pp. 6-9. Semmai è Internet
che renderà più importanti che mai le biblioteche di ricerca.
3. Le biblioteche, soprattutto quelle più piccole, possono dunque essere chiuse. Se le biblioteche
chiudessero, alle città grandi e piccole mancherebbero dei “terzi luoghi” aperti al pubblico. In
un’indagine del 2013, il 90 % degli americani sopra i 16 anni dichiarava che la scomparsa della
biblioteca locale avrebbe avuto conseguenze negative sulle loro comunità. In futuro non è escluso
che ciò accada: ma, oltre alla casa e al posto di lavoro, in molte comunità “terzi luoghi” sono
diventati i centri commerciali, come Starbucks nel mondo reale o Facebook nel mondo virtuale.
Centinaia di biblioteche americane fondate dal filantropo Andrew Carnegie all’inizio del XX secolo
sono state soppresse o riconvertite ad altri scopi. Comunque sia, la capacità dei giovani di
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apprendere, cercare e trovare informazioni, sceverare quelle credibili da quelle che non lo sono,
potrebbe risultare compromessa se i servizi bibliotecari venissero meno, anche se il ruolo della
biblioteca nel processo di apprendimento viene sostituito da aziende (Amazon) e società senza
scopo di lucro molto diffuse (Wikipedia).

In questo periodo di transizione occorrono dunque maggiori investimenti nel servizio pubblico. Per
Palfrey, le aree che necessitano più urgentemente di maggiori finanziamenti sono la ricerca, lo
sviluppo e l’aggiornamento professionali, per cui gli operatori delle biblioteche saranno chiamati ad
adattarsi alle attività digitali, collaborative e di rete. Dove però trovare i fondi per questa costosa
transizione? Secondo Palfrey è questo il momento giusto per un nuovo investimento pubblico e
privato: simile a quello che avvenne negli Stati Uniti tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Se
non si riuscirà in tempi rapidi a investire nuove risorse per le biblioteche di pubblica lettura, in
momenti di transizione come l’attuale, ne uscirà danneggiata la nostra democrazia.
Ripensare le biblioteche come istituzioni e il ruolo dei bibliotecari come professionisti comporta
dunque la ricerca di un equilibrio fra tradizione e innovazione. Argomenta il nostro autore: “I
principi storici della biblioteconomia – l’accesso universale all’informazione, la privacy
individuale, la libertà di espressione, e soprattutto il rispetto della verità – sono necessari oggi come
lo sono sempre stati, e devono esserlo anche in futuro. Ma l’ago della bilancia nella professione
deve pendere con più decisione verso l’innovazione, altrimenti le biblioteche perderanno di
significato nei confronti del pubblico americano” (p. 229).

Sono servizi, questi, che devono essere forniti dagli enti pubblici, non dal settore privato. Quando in
gioco vi sono conoscenza e informazione – gli elementi essenziali su cui si fonda il nostro sistema
democratico – non è bene dipendere solo dal mercato. Il settore privato ha avuto un enorme merito
nell’innovazione digitale e in alcuni settori specifici, come ad esempio la fornitura di sistemi per la
posta elettronica aziendale. Ed è un bene che lo stimolo e il traino siano venuti dal settore privato.
Ma quando si tratta di documenti culturali, storici, politici e scientifici patrimonio di una società, è
il settore pubblico a dover svolgere il ruolo-guida. Non è dunque fuori luogo affermare che il
destino di Stati liberi, aperti e in cui l’informazione circola bene, potrebbe dipendere dal futuro
delle biblioteche. Le istituzioni hanno tutti i motivi di collaborare per garantir loro un futuro non
meno glorioso del loro passato, affascinante anche nell’era digitale. Le biblioteche sono troppo
importanti per la democrazia perché vengano meno al proprio ruolo.

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Allegati:
Alcuni dati statistici in Svizzera e in Ticino

Sia a livello svizzero, sia a livello delle biblioteche cantonali in Ticino sono stati presi in
considerazione due criteri: quello relativo agli utenti attivi e quello riguardante i prestiti totali; per il
Ticino è stato aggiunto il grafico concernente il prestito di e-book (per le dieci più grandi
biblioteche svizzere i relativi dati totali non sono disponibili). Per prestiti totali si intende: nella sala
di lettura, per invio diretto, il prestito interbibliotecario (mandati e ricevuti) e prolungamenti.

a) Le dieci più grandi biblioteche in Svizzera:

Rientrano in questa categoria le seguenti biblioteche:
- Biblioteca del Politecnico federale di Zurigo
- Biblioteca cantonale e universitaria di Losanna
- Biblioteca di Ginevra
- Biblioteca dell’Università di Basilea
- Biblioteca nazionale svizzera
- Zentralbibliothek di Zurigo
- Biblioteca dell’Università di Berna
- Biblioteca centrale e universitaria di Friburgo
- Zentral- und Hochschulbibliothek di Lucerna
- Biblioteca dell’Università di Ginevra

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Dopo aver raggiunto l’apice nel 2016 con 236'485 utenti attivi, dal 2017 il loro numero è in costante
calo e nel 2019 è sceso a quota 198'742.

Anche la linea dei prestiti totali, sfiorata nel 2015 la cifra di 4'800'000, segue negli anni seguenti
una parabola discendente, giungendo nel 2019 a 4'438'842 (qualche migliaia in meno rispetto ai
4'474'404 del 2013).

b) Le biblioteche cantonali in Ticino

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Se il numero degli utenti attivi delle biblioteche cantonali di Bellinzona e Lugano rimane più o
meno stabile, a Mendrisio (i cui dati sono disponibili dal 2014) registra una forte crescita (passando
da 1'955 nel 2018 a 2'691 nel 2019), mentre a Locarno subisce una lenta e costante erosione (da
4'085 nel 2010 a 2'734 nel 2019).

Quasi lo stesso discorso vale per i prestiti totali: sostanziale stabilità a Bellinzona e a Lugano,
aumento sensibile a Mendrisio (da 21'546 nel 2018 a 48'333 nel 2019) e situazione “altalenante” a
Locarno (da 99'196 nel 2013 a 57'126 nel 2018 e 71'004 nel 2019).

I prestiti di e-book in Ticino su Media Library On Line sono in continua crescita.

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Bibliografia

-Darnton, R. (2011). Il futuro del libro. Milano: Adephi.
-Palfrey, J. (2016). BiblioTech: perché le biblioteche sono importanti più che mai nell’era di
Google. Milano: Editrice Bibliografica.
-Ufficio federale di statistica, Les dix plus grandes bibliothèques en Suisse en terme d’offre, 2013-
2019.
-Ufficio federale di statistica, Bibliothèques publiques des villes (communes dès 10'000 habitants),
2009-2019.
-Statistiche Sbt.

Questa pubblicazione, Problemi e prospettive delle biblioteche nell’era di Internet DAS BSI, scritta
da Timoteo Morresi, è rilasciata sotto Creative Commons Attribuzione – Non commerciale 3.0
Unported License.

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