Il punto di pratica professionale - Decreto liberalizzazioni e professioni: lavori in corso per la modifica dell'ordinamento
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Il punto di pratica professionale Decreto liberalizzazioni e professioni: lavori in corso per la modifica dell’ordinamento a cura di Mauro Marrucci – Consulente del lavoro in Livorno Il D.L. 24 gennaio 2012, n.1 - c.d. Decreto Liberalizzazioni, recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, convertito nella L. 24 marzo 2012, n.27 pubblicata nella G.U. n.71 del 24 marzo 2012 – Suppl. Ordinario n.53, interviene ancora una volta in materia di “professioni”, proseguendo nella logica di una più complessiva riforma del sistema, già preconizzata, a suo tempo dal D.L. n.223/06 (c.d. Decreto Bersani) e delineata, in dettaglio, dal D.L. n.138/11, convertito nella L. n.148/11 e, da ultimo, modificato con la L. n.183/11 (Legge di Stabilità per il 2012). In particolare il D.L. n.1/12, incide su tariffe professionali e “praticantato”, rendendo immediatamente operative alcune disposizioni che, all’interno del D.L. n.138/11, avevano una valenza meramente programmatica nell’ambito dei principi a cui il Governo si deve ispirare per il riordino delle professioni ordinate e, in via ulteriore, modifica la disciplina delle società tra professionisti, già introdotta dalla L. n.183/11, imponendo una presenza minoritaria da parte dei soci di capitale rispetto ai soci liberi professionisti. Decreto liberalizzazioni: da norme principio a disposizioni immediatamente efficaci In dettaglio, l’art.9, co.1, dispone l’abrogazione delle tariffe regolamentate nel sistema ordinistico, pertanto, nell’ambito delle professioni la cui disciplina è demandata alla tutela di un ordine, un collegio o un albo professionale1. Coerentemente, il successivo co.5 provvede ad abrogare implicitamente tutte le disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso professionale, rinviano alle tariffe. L’argomento delle tariffe professionali era già stato oggetto d’intervento da parte dell’art.2 del D.L. n.223/06, convertito, con modificazioni, dalla L. n.248/06, che, con decorrenza dal 12 agosto 2006, aveva, tra l’altro2, abrogato le disposizioni che prevedevano l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti. La questione degli onorari professionali era stata altresì posta tra i principi ispiratori della riforma degli ordinamenti a cui è stato demandato il Governo, dall’art.3, co.5, del D.L. n.138/11, modificato dall’art.10, co.12, della L. n.183/11, da realizzare con decreto di delegificazione entro il 12 agosto 2012. 1 Le professioni interessate dall’intervento normativo sono pertanto le seguenti: agenti di cambio; agronomi e dottori forestali; agrotecnici e agrotecnici laureati; architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori; assistenti sociali; attuari; avvocati; biologi; chimici; consulenti del lavoro; dottori commercialisti ed esperti contabili; farmacisti; geologi; geometri e geometri laureati; giornalisti; infermieri; ingegneri; medici chirurghi e odontoiatri; medici veterinari; notai; ostetriche; periti agrari e periti agrari laureati; periti industriali e periti industriali laureati; psicologi; revisori contabili; spedizionieri doganali; tecnici sanitari di radiologia medica; tecnologi alimentari. 2 Le disposizioni dettate dall’art.2 del Decreto Bersani – al cui contenuto gli ordinamenti professionali, entro il 1° gennaio 2007, dovevano adeguare le norme deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina contrastanti - erano inoltre intervenute ad abrogare: il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni; il divieto di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l'oggetto sociale relativo all'attività libero- professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità. La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 13 n.16 del 23 aprile 2012
In particolare il D.L. n.138/11, indicava, in seno all’art.3, co.5, alla lett.d) il principio, da attuare, successivamente, in seno alla riforma, secondo il quale: il compenso spettante al professionista è (doveva essere) pattuito per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale. Il professionista è (doveva essere) tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico. In caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell’interesse dei terzi si applicano le tariffe professionali stabilite con decreto dal Ministro della Giustizia. Per mano dell’art.10, co.12, della L. n.183 del 2011, oltre alla disposizione che ammetteva la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe, è stata eliminata dal testo anche quella che richiamava le tariffe professionali quale elemento di riferimento per la determinazione del compenso spettante al professionista, pattuito per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale. L’art.9, co.7, del D.L. n.1/12, ha provveduto ad eliminare la parte residuale del suddetto principio, abrogando – tra l’altro - l’art.5, co.3, lett.d) del D.L. n.138/11. Se da un lato si assiste all’abrogazione del principio ispiratore in materia di tariffe professionali, dall’altro si osserva come esso trovi immediata attuazione normativa secondo la previsione dettata dall’art.9, comma, 4, del Decreto Liberalizzazioni. Questa disposizione impone infatti, muovendo dalla disposizione abrogata, che “il compenso per le prestazioni professionali” sia “pattuito, nelle forme previste dall’ordinamento, al momento del conferimento dell’incarico professionale”. In via ulteriore “il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell’incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell’esercizio dell’attività professionale. In ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente con un preventivo di massima, deve essere adeguata all’importanza dell’opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi (…)”. Secondo la novellata previsione normativa viene meno l’obbligo della forma scritta, già previsto dai principi indicati dall’art.3, co.5, lett.d), con cui il professionista sarebbe stato tenuto a comunicare il preventivo al cliente. A conferma di questa impostazione si registra la modifica, intervenuta in sede di conversione del decreto L. n.1/12 che cancella ogni riferimento alla necessità della forma scritta (rinviando genericamente alle forme previste nell’ordinamento) che, invece, era prevista nella originaria stesura, anche se, unicamente, ove richiesta dal cliente. Inoltre il preventivo, che nella prima stesura del Decreto Liberalizzazioni sembrava dover assumere il carisma della definitività sin dal momento del conferimento dell’incarico, assume ora, sulla base delle modifiche apportate dalla legge di conversione, una rilevanza di massima, tale da poter subire modifiche nel corso dello svolgimento del rapporto professionale, secondo regole di trasparenza per le vicende riferite al medesimo, non sempre prevedibile ab initio. La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 14 n.16 del 23 aprile 2012
Secondo la disposizione dettata dall’art.9, co.4, inoltre, il professionista nel comunicare al cliente il livello di complessità dell’incarico (…) deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell’esercizio dell’attività professionale. Occorre tuttavia osservare che, il D.L. n.1/12 non ha provveduto né a modificare né ad abrogare la lettera e) dell’art.3, co.5, del D.L. n.138/11, sull’obbligo per il professionista di stipulare un’assicurazione per i rischi derivanti dall’attività esercitata. Sembrerebbe quindi potersi dedurre che l’obbligo assicurativo, al momento, continui ad assumere la portata di mero principio a cui, tra gli altri, dovrà essere improntato il regolamento di riforma degli ordinamenti professionali. Sulla base di questo presupposto pertanto – pur costituendo una buona regola quella della stipula di una polizza professionale per responsabilità civile – non sembrerebbe immediatamente vincolante l’obbligo per il professionista di comunicare al cliente i dati della polizza assicurativa ai sensi di quanto previsto dalla disposizione in commento, prima dell’entrata in vigore del regolamento governativo. Secondo quanto previsto dall’art.9, co.2, del D.L. n.1/12, nella circostanza in cui il compenso al professionista sia liquidato da parte di un organo giurisdizionale, deve essere determinato con riferimento a parametri stabiliti con Decreto del Ministro vigilante da emanare entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della L. 24 marzo 2012, n.27 di conversione del D.L. n.1/12. Con un ulteriore Decreto del Ministro della giustizia sono peraltro stabiliti i parametri per oneri e contribuzioni alle casse professionali basati sulle tariffe, nella logica della salvaguardia dell’equilibrio finanziario, anche di lungo periodo, delle stesse casse previdenziali professionali. Tuttavia, in ragione della disposizione transitoria dettata dal successivo co.3 dell’art.9, le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del D.L. n.1/12, continuano a trovare applicazione, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, sino all’entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al co.2 e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione medesima. L’intervento in materia di tirocinio professionale Il Decreto Liberalizzazioni interviene anche in materia di tirocinio per l’accesso alla professione. Anche in questa circostanza, l’apparato normativo introduce alcune disposizioni con efficacia immediata, a fronte dell’abrogazione di alcuni principi ispiratori della riforma delle professioni, espressi dall’art.3, co.5, del D.L. n.138/11, in particolare, per quanto d’interesse, alla lettera c), la quale, nel proprio complesso, disponeva che: la disciplina del tirocinio per l’accesso alla professione deve conformarsi a criteri che garantiscano l’effettivo svolgimento dell’attività formativa e il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione. Al tirocinante dovrà essere corrisposto un equo compenso di natura indennitaria, commisurato al suo concreto apporto. Al fine di accelerare l’accesso al mondo del lavoro, la durata del tirocinio non potrà essere superiore a diciotto mesi e potrà essere svolto, in presenza di una apposita convenzione quadro, in concomitanza al corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Per le professioni sanitarie resta confermata la normativa vigente. Il vuoto normativo cagionato dall’abrogazione delle disposizioni programmatiche di cui al secondo ed al terzo periodo dell’art.3, co.5, del D.L. n.138/11, disposta dall’art.9, co.7, del D.L. n.1/12, viene subito colmato da ulteriori disposizioni del Decreto Liberalizzazioni riferite al trattamento economico, alla durata ed alla regolamentazione del periodo di La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 15 n.16 del 23 aprile 2012
praticantato che trovano immediata efficacia anche se con alcune parziali modifiche rispetto alla primogenita impostazione normativa. Secondo quanto previsto dall’art.9, co.4, ultimo periodo del D.L. n.1/12 al tirocinante deve essere riconosciuto un rimborso spese forfettariamente concordato dopo i primi sei mesi di tirocinio. Sotto il profilo economico diviene obbligatoria la corresponsione di un compenso al tirocinante soltanto una volta trascorso un periodo di sei mesi dall’inizio del periodo di praticantato secondo la libera pattuizione tra le parti, senza alcun vincolo quantitativo-qualitativo sotto il profilo economico. Si viene infatti a perdere ogni riferimento alla equità della determinazione del compenso ed alla relativa commisurazione al concreto apporto fornito dal praticante al professionista. In questa logica quindi la determinazione del compenso dovrà improntarsi a criteri di correttezza e buona fede da parte del professionista, fatto salvo quanto previsto da disposizioni ordinamentali anche di natura deontologica. Del resto il rapporto di tirocinio professionale assume una valenza del tutto estranea ad una forma di carattere contrattuale subordinato e, in questa logica, non potrà essere posto alcun richiamo alle disposizioni in materia di giusta retribuzione disposte dall’art.36 Costituzione, salvo quanto diremo in materia di apprendistato. Fermo restando il limite di durata - già indicato dall’art.3, co.5, lett.c), terzo periodo - in diciotto mesi, l’art.9, co.6, prevede che il tirocinio possa essere svolto, soltanto per i primi sei mesi3, in presenza di un’apposita convenzione quadro stipulata tra i consigli nazionali degli ordini e il Ministro dell’istruzione, università e ricerca, in concomitanza col corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Analoghe convenzioni possono essere stipulate tra i Consigli nazionali degli ordini e il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione per lo svolgimento del tirocinio presso pubbliche amministrazioni, all’esito del corso di laurea. Poiché la disposizione stabilisce, con effetto immediato, la durata massima del tirocinio professionale per un periodo massimo di diciotto mesi, diverse previsioni poste dai singoli regolamenti di praticantato sembrerebbero doversi conformare a tale previsione. Questo comporta, ad esempio, che la durata del periodo di praticantato, prevista dall’art.13 dell’apposito regolamento dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in 24 mesi sia da riconsiderare nel termine di 18 mesi in quanto, altrimenti, contraria a norma imperativa di legge. La disposizione in argomento, nel punto in cui prevede accordi convenzionali tra gli ordinamenti nazionali delle professioni ed il Ministero dell’istruzione, università e ricerca sembra poter trovare una interessante chiave di lettura alla luce delle disposizioni dettate, in materia di apprendistato di alta formazione e ricerca, dall’art.5 del D.Lgs. n.167/11 (T.U. dell’apprendistato). Questa tipologia di apprendistato, per soddisfare l’ambito scopo di rilancio dell’istituto, viene infatti ad acquisire una portata maggiore di quanto previsto in precedenza dalla versione regolamentata dal D.Lgs. n.276/03, essendo declinata, in tutti i settori di attività, pubblici o privati - oltre che per attività di ricerca ed esperienze professionali, per il conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore, di titoli di studio universitari e dell’alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, per la specializzazione tecnica superiore - anche per lo svolgimento del praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche. 3 Il principio già dettato dall’art.3, comma 5, lett. c) del D.L. n.138/11, come evidenziato nel testo, non prevedeva limitazioni temporali. La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 16 n.16 del 23 aprile 2012
Non a caso il legislatore ne vede possibile l’utilizzo finanche per l’accesso alle professioni ordinistiche secondo una logica normativa d’insieme – a scopo economico e sociale - che vuole favorire l’accelerazione dell’ingresso al mondo del lavoro, secondo la previsione già dettata, sotto il profilo programmatico, dall’art.3, co.5, lett.c) del D.L. n.138/11 e ora dall’art.9, co.6, del D.L. n.1/12. Il primo Ordine professionale ad ammettere, nel 2009, la possibilità di svolgimento di parte della pratica professionale attraverso l’apprendistato di alta formazione è stato quello dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili. Successivamente, anche il regolamento di praticantato dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, entrato in vigore il 1° novembre 2011, ne conferma e sfrutta la possibilità nell’ambito di un’interazione tra mondo delle professioni e ambito universitario4. Lo svolgimento della pratica in alto apprendistato comporterà, infatti, un necessario e continuo, quanto virtuoso, dialogo tra le università – o gli istituti formativi – da una parte e gli ordini ed il mondo delle professioni dall’altra, tale da consentire la realizzazione di moderni percorsi di transizione, basati sulla reale integrazione tra formazione teorica e pratica5. Resta evidente che le somme corrisposte al tirocinante, fatto salvo che il periodo di tirocinio non sia svolto con ricorso all’apprendistato di alta formazione e ricerca – circostanza che imporrà l’assoggettamento alla normativa contributiva e fiscale prevista per la fattispecie subordinata – saranno assoggettate a tassazione in virtù delle disposizioni dettate dall’art.50, co.1, lett.c) del D.P.R. n.917/86 (T.U.I.R.) che assimila ai redditi di lavoro dipendente le somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento ove non sussista un rapporto di lavoro dipendente tra il soggetto erogante e quello percipiente6. Secondo quanto previsto dall’ultimo periodo dell’art.9, co.6, del D.L. n.1/12, le disposizioni in materia di tirocinio non trovano tuttavia applicazione alle professioni sanitarie, per le quali resta confermata la normativa già vigente. I “residuali” principi base per la riforma delle professioni Come già abbiamo osservato la materia delle professioni attende comunque una più ampia regolamentazione sulla base dei principi, residualmente declinati dall’art.3, co.5, del D.L. n.138/11. La disposizione ha stabilito in termini preliminari che, fermo restando l’esame di Stato per l’accesso alle professioni, gli ordinamenti professionali devono garantire che l’esercizio dell’attività risponda, senza eccezioni, ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l’effettiva possibilità di scelta degli utenti nell’ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti. L’art.9, co.7, del D.L. n.1/12 vi ha peraltro inserito una norma d’indirizzo auspicando la riduzione e l’accorpamento, su base volontaria, fra professioni che svolgono attività similari. Lo strumento normativo a cui è demandata la riforma degli ordinamenti professionali, prevista dall’art.3, co.5, del D.L. n.138/11, è quello del regolamento di delegificazione, in forma di Decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell’art.17, co.2, della L. n.400/88 da emanare entro il 12 agosto 2012. Sulla base delle abrogazioni di cui abbiamo dato conto, anche in ragione delle disposizioni divenute immediatamente efficaci per mano dell’art.9 del D.L. n.1/12, , i principi a cui, residualmente, il Governo dovrà improntarsi sono pertanto quelli riferiti: 4 Il riferimento è, in particolare, all’art.14 del Regolamento per il praticantato dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro. 5 Cfr. E. CARMINATI, L’alto apprendistato per l’accesso alle professioni ordinistiche, in Il Testo Unico dell’apprendistato e le nuove regole sui tirocini, a cura di M. Tiraboschi, Giuffrè, 380-381. 6 Ci si permetta di annotare che un emendamento al D.L. n.16/12, approvato al Senato ed in corso di conversione alla Camera, ha introdotto un nuovo regime di tassazione per le borse di studio, di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale, prevedendo una franchigia pari ad € 11.500. La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 17 n.16 del 23 aprile 2012
1. alla libertà di accesso alla professione e al suo esercizio che deve essere fondato e ordinato sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista, senza limitazioni, anche di carattere discriminatorio, per il numero di persone che sono titolate ad esercitare una certa professione, se non per ragioni di interesse pubblico, tra cui in particolare quelle connesse alla tutela della salute umana (art.3, co.5, lett.a), D.L. n.138/11); 2. alla previsione dell’obbligo – sanzionato deontologicamente - per il professionista di seguire percorsi di formazione continua permanente predisposti sulla base di appositi regolamenti emanati dai consigli nazionali (art.3, co.5, lett.b), D.L. n.138/11); 3. alla disciplina del tirocinio per l’accesso alla professione che deve conformarsi a criteri che garantiscano l’effettivo svolgimento dell’attività formativa e il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione (art.3, co.5, lett.c), D.L. n.138/11); 4. alla tutela del cliente tramite la stipula, da parte del professionista, di una idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale di cui dovrà dare conto al momento dell’assunzione dell’incarico (art.3, co.5, lett.e), D.L. n.138/11); 5. alla istituzione di organi disciplinari a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali sono specificamente affidate l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina a cui non potranno prendere parti, per incompatibilità, i soggetti con cariche di consigliere dell’Ordine territoriale o di consigliere nazionale (art.3, co.5, lett.f), D.L. n.138/11); 6. alla libertà della effettuazione di comunicazioni a scopo di pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, rispondenti a criteri di trasparenza, verità, correttezza e tali da non essere equivoche, ingannevoli e/o denigratorie (art.3, co.5, lett.g), D.L. n.138/11). Decreto liberalizzazioni: l’intervento sulle “società tra professionisti” L’articolo 9bis del D.L. n.1/12, introdotto in sede di conversione dalla L. n.27/12, provvede ad apportare alcune modifiche alla normativa sulle società tra professionisti. La modalità di esercizio della professione con società allo scopo costituite – anche per attività professionali multidisciplinari - è stata recentemente introdotta nell’ordinamento dalla L. n.183/11 che ne ha regolamentato la fattispecie all’art.10, commi da 3 a 11, abrogando la L. n.1815/39 e facendo salve le associazioni professionali, nonché i diversi modelli societari già vigenti alla data di entrata in vigore al 31 dicembre 2011. La Legge di Stabilità per il 2012 ha consentito la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile7. L’art.9bis del D.L. n.1/12 ha precisato che le società cooperative di professionisti devono essere costituite da un numero di soci non inferiore a tre. Ai sensi dell’art.4 della L. n.183/11, per assumere la qualifica di società tra professionisti, lo statuto sociale deve rispondere a precisi requisiti, prevedendo: a) l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci; b) l’ammissione in qualità di soci dei soli professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, anche in differenti sezioni, nonché dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante, ovvero soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche, o per finalità di investimento. 7 Società semplice; società in nome collettivo; società in accomandita semplice; società per azioni; società in accomandita per azioni; società a responsabilità limitata; società cooperative. La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 18 n.16 del 23 aprile 2012
c) i criteri e le modalità affinché l’esecuzione dell’incarico professionale conferito alla società sia eseguito solo dai soci in possesso dei requisiti per l’esercizio della prestazione professionale richiesta; la designazione del socio professionista sia compiuta dall’utente e, in mancanza di tale designazione, il nominativo debba essere previamente comunicato per iscritto all’utente; d) le modalità di esclusione dalla società del socio che sia stato cancellato dal rispettivo albo con provvedimento definitivo. L’art.9bis del Decreto Liberalizzazioni, per assicurare il mantenimento delle caratteristiche improntate all’egida professionale da parte delle società, ha provveduto a precisare, integrando la lettera b) che: in ogni caso, gli statuti sociali debbano prevedere che il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale degli stessi deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci; peraltro il venir meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della società e il consiglio dell’ordine o collegio professionale presso il quale è iscritta la società procede alla cancellazione della stessa dall’albo, salvo che la società non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di sei mesi. In via ulteriore ed in termini omologhi alla previsione riferita ai professionisti persone fisiche, dal principio espresso dall’art.3, co.5, lett.e) del D.L. n.138/11, è inserita, dall’art.9bis del D.L. n.1/12, all’art.10, co.4, della L. n.183/10 la lett.cbis che prevede l’obbligo, tra le previsioni statutarie, di inserire quella della stipula di una polizza di assicurazione per la copertura dei rischi derivanti dalla responsabilità civile per i danni causati ai clienti dai singoli soci professionisti nell’esercizio dell’attività professionale. L’art.10, co.5, della L. n.183/11 prevede inoltre che la denominazione sociale, qualunque ne sia l’estensione, deve contenere l’indicazione di “società tra professionisti”. In ogni caso il singolo professionista può partecipare ad una sola entità societaria essendo espressamente incompatibile la partecipazione a più di una società tra professionisti per il dettato di cui al successivo co.6. Secondo quanto previsto dal co.7, ciascun professionista è tenuto all’osservanza del codice deontologico del proprio ordine, così come la società è soggetta al regime disciplinare dell’ordine al quale risulti iscritta. L’art.9bis del D.L. n.1/12, ha introdotto all’art.10, co.7, della L. n.183/10, la previsione secondo cui il socio professionista può opporre agli altri soci il segreto concernente le attività professionali a lui affidate, rendendo avulsa da logiche societarie la specifica attività professionale che mantiene così un carisma di personalità facendo salvo il c.d. segreto professionale. Data la peculiarità delle società tra professionisti viene rimessa ad un regolamento ministeriale, da approvare entro sei mesi dall’entrata in vigore della L. n.183/11 – quindi entro il 1° luglio 2012 - la disciplina relativa all’esecuzione dell’incarico conferito alla società da parte di soci in possesso dei requisiti d’idoneità, alla scelta del professionista da parte dell’utente, all’incompatibilità per la partecipazione ad altre società e all’osservanza del codice deontologico e disciplinare dell’ordine al quale risulta iscritta la società. Tale regolamento, data la possibilità di esercizio di attività multidisciplinari da parte delle società di professionisti dovrà evidentemente chiarire, ancorché indirettamente, le modalità di iscrizione delle società tra professionisti agli Ordini professionali. La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 19 n.16 del 23 aprile 2012
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