IL CATAFALCO STORICO DELLA CHIESA DI SANTA MARIA DEL CERRO IN CASSANO MAGNAGO
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IL CATAFALCO STORICO DELLA CHIESA DI SANTA MARIA DEL CERRO IN CASSANO MAGNAGO SPUNTI DI STORIA SUL CULTO DEI DEFUNTI PRESSO LA CHIESA DI SANTA MARIA DEL CERRO Tra tutti gli argomenti e le tematiche che si incontrano nello studio di una Chiesa, della sua storia, delle sue caratteristiche storico-artistiche, delle sue pratiche religiose ed altro ancora, capita di imbattersi anche sul discorso che riguarda il mondo delle esequie e dei defunti. Tale argomento è certo più probabile incontrarlo se la chiesa in esame custodisce tombe e monumenti funebri storici, che il tempo, le riforme ecclesiali e civili, nonché una cultura che muta e dimentica, non hanno deturpato o smantellato. Perché dunque affrontare la questione in riferimento ad una Chiesa come Santa Maria del Cerro che ad oggi non conserva alcuna sepoltura? Anzitutto va detto che la secolare vicenda storica che accompagna la nostra Parrocchia dalla sua fondazione (XIII secolo) ai giorni nostri ha voluto, tra le altre cose, che si conservasse la memoria di una particolare e specifica devozione per i defunti attraverso i sepolcri che la nostra chiesa un tempo custodiva. Questi, a noi non più visibili, ma di cui conosciamo l’esistenza grazie ai documenti conservati presso l’Archivio Parrocchiale, testimoniano comunque un legame particolare che Santa Maria aveva con il mondo nobile ed ecclesiale, in particolare con le Famiglie dei Visconti, dei Mantegazza, dei Cagnola, dei Bossi ed altri che proprio nella nostra primitiva chiesa fondarono altari, legati di messa e da ultimo posero monumenti funebri e sepolcri per la loro sepoltura. Di queste opere perdute e non ricostruibili per le poche informazioni di cui disponiamo, si vuole però lasciare un breve riscontro. Nel 1566, veniamo a sapere che, oltre al cimitero parrocchiale, non meno di tre sepolcri erano ospitati presso l’interno della chiesa parrocchiale (a beneficio presumibilmente della famiglia Visconti e del clero locale).
Nel 1622, anno della Visita Pastorale di Federico Borromeo, il numero di questi sepolcri cala a due per aumentare oltremodo nel secolo successivo: nel 1750 in chiesa si contavano ben quattordici sepolcri. Di questi sappiamo che quattro erano dedicati alla Comunità, uno ai Sacerdoti e i restanti ai defunti delle famiglie nobili e benestanti come i Visconti, i Crespi, i Cagnola, i Mazzucchelli, i Giani, i Brenta, i Coerezza e i Sanpieri. Lo stato di conservazione era scarso e le condizioni igieniche precarie, così da rendere molte di queste tombe decadenti a tal punto che alcune arrivarono ad emanare cattivo odore. Mappa raffigurante il complesso della Chiesa di S. Maria e del Castello Visconteo nel 1722. Tra l’edificio di Santa Maria (in posizione centrale nell’immagine) e il terreno numerato 426 (sulla destra, oggi porzione del Parco della Magana) si collocava il cimitero parrocchiale, dove oggi sorge l’odierno sagrato.
Dopo il 12 giugno 1804, giorno in cui Napoleone emanò l’editto di Saint- Cloud, nel quale si obbligò a trasferire i cimiteri ed eventuali tombe fuori dai centri abitati, non abbiamo notizie di altre sepolture presso la nostra chiesa parrocchiale. Da allora si svuotarono anche i due cimiteri cassanesi, rispettivamente delle due chiese parrocchiali di San Giulio, collocato a fianco dell’edificio che oggi conosciamo come l’ex Chiesa di San Giulio, e di Santa Maria, che occupava l’odierno sagrato della chiesa. Venne fondato il Cimitero Civico all’altezza dell’odierna via Mazzini, nei pressi delle vie Cinque Giornate e Pia.le Risorgimento, per essere completamente smantellato negli anni 20 del Novecento, ove le tombe riesumate vennero traslate presso il nuovo Cimitero che ancora oggi è il camposanto cassanese. UN ARREDO AUSTERO ED ELOQUENTE: IL NOSTRO CATAFALCO TRA ARTE E FEDE Malgrado gli antichi sepolcri siano andati perduti possiamo ancora oggi ammirare un arredo tipico delle funzioni funebri: il catafalco. Tale struttura è ai nostri giorni comunemente usata semplicemente come supporto del feretro che accoglie il defunto, spesso simile a un carrello, ma un tempo non era così. Presso la nostra Chiesa, in particolare presso alcuni locali della ex casa Canonica, è stato riportato alla luce, dopo tempo di abbandono seguito ad una sua esposizione anni fa, l’imponente ed artistico catafalco usato, in passato, presso la parrocchia. Si tratta infatti di un “monumento” di vari pezzi che comprendono la predella, i pannelli dipinti, le cornici e il feretro simbolico che giace sul culmine di questo palco. Di tale manufatto ligneo non si riscontra molta documentazione scritta e risulta difficile comprenderne la data, l’autore, la commissione, l’abituale uso in parrocchia e così via. Fortunatamente, dietro uno dei quattro grandi pannelli decorativi di questa struttura troviamo una scritta, purtroppo, per la gran parte rovinata; da questa si evince che l’autore è un tale Tucci (forse componente della famiglia di pittori legnanese che operò tra il XIX e il XX secolo) e, sempre rovinata dal tempo e dalle toppe, leggiamo una data: MDCCC(L)XXI – 1871.
In particolare la nostra attenzione si rivolge ai quattro pannelli che formano il perimetro della struttura. Si tratta di quattro moduli lignei, incornicianti altrettanti oli su tela, dove sono stati dipinti alcuni particolari episodi biblici che fanno memoria della tematica funebre. Se li guardiamo alla luce del contesto funebre, queste pitture, compongono una catechesi che legge in modo cristiano la morte ma ancor più la salvezza che viene dalla resurrezione. Vediamoli meglio… Foto d’epoca scattata durante le esequie di Don Luigi Bianchi, Parroco di S.Maria, celebrate nel giugno del 1956. Al centro dell’immagine notiamo il catafalco interamente montato in tutta la sua mole e grandiosità.
“Allora l’angelo del Signore lo prese e con la velocità del vento lo trasportò in Babilonia e lo posò sull’orlo della fossa dei leoni. Gridò Abacuc:’Daniele, Daniele, prendi questo cibo che Dio ti ha mandato”. (Dn 14, 36) La scena raffigurata in questo pannello, parte del lato corto del catafalco, si ispira ad un episodio dell’Antico Testamento. Precisamente siamo alla fine del libro del profeta Daniele, uno dei Profeti detti Maggiori. Daniele è stato gettato in una fossa (o una cisterna ipogea come si intuisce dalle pietre intagliate sullo sfondo), per ordine del re persiano Dario, il quale, a malincuore, si vede costretto a rinchiuderlo in seguito alla volontà del Profeta di non rispettare un decreto regio (Dario infatti, benché persiano, prova molta stima ed ammirazione nei confronti di Daniele che pure è Israelita ma a servizio del re). Daniele, attorniato dai leoni, resta illeso nella fossa e nella sua permanenza presso di essa riceve persino il cibo datogli da Abacuc, il personaggio che reca la cesta in mano, il quale viene portato per i capelli da un angelo al luogo della prigionia del Profeta. Due sono quindi i significati che questa rappresentazione tenta di comunicarci: la fiducia del cristiano verso Dio che è fonte del suo sostentamento e la sua stessa salvezza; Daniele è infatti preservato nella carne, poiché riceve il nutrimento per volontà di Dio e, ancor più, è tratto in salvo dalle grinfie di una morte certa: il “martirio” delle belve. Attraverso la figura di questo profeta, notiamo che Dio opera nella storia di ciascuno di noi, dalla vita che ci ha donato presso la terra e nella promessa di non abbandonarci alle tenebre.
“Io profetizzai come mi era stato ordinato; mentre io profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento tra le ossa, che si accostavano l’uno all’altro, ciascuno al suo corrispondente. Guardai ed ecco sopra di esse i nervi, la carne cresceva e la pelle le ricopriva(…)” (Ez 37, 7-8) Questo pannello è certo tra tutti quello più capace di metterci in soggezione per la rappresentazione cruda e macabra che vi è raffigurata: una vera e propria resurrezione dei morti. L’episodio è tratto dal libro di Ezechiele (Antico Testamento), nel quale il profeta, trovatosi in una valle cosparsa di ossa disperse, sente la voce di Dio che gli comanda di riportare in vita questi corpi. L’artista ha quindi posto al centro della scena la figura imponente ed autorevole del Profeta che è ispirato da Dio (raffigurato appena sopra). Intorno a lui, squarci nella terra si aprono lasciando che i defunti che lì riposavano escano e si ricompongano: assolutamente spettrale ed anatomica è la resa di questi corpi in parte scheletri, in parte uomini e in parte metà. Quattro volti compaiono nel cielo intenti nel soffiare; si tratta di una personificazione dello spirito vitale, dell’anima, che ancora non abita questi uomini e del quale essi vengono riempiti, come si dice nei versetti successivi dello stesso libro: “Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché vivano”. Anche in questo caso l’immagine è di chiara comprensione: Dio crea anche dopo che la morte prende il sopravvento, anzi, dallo stato di morte stessa Dio riporta la carne, riporta lo Spirito, in colui che lo ha amato, in colui che ha creduto nella Sua promessa.
“Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolte in bende, e il volto coperto da un sudario.” (Gv 11, 44) Questo pannello raffigura la scena della resurrezione di Lazzaro. Tra tutti è l’unico tratto direttamente dal Nuovo Testamento. L’episodio è ambientato tradizionalmente nella grotta, che funge da tomba di Lazzaro e dalla quale è stata tolta la pietra d’accesso; il sepolcro è parzialmente avvolto nell’oscurità sullo sfondo mentre la luce illumina la scena da destra. Al centro della scena, Lazzaro, ancora in parte dentro il feretro, si sveglia dalla morte all’ordine di Cristo (Lazzaro, vieni fuori! Gv 11, 43); avvolto dal sudario si desta cadaverico, incrociando i suoi occhi con quelli di colui che lo ha tratto in salvo dagli inferi. La figura di Cristo si erge imponente sulla destra dove, ai suoi piedi e a fianco, si collocano Maria e Marta, sorelle del defunto; dietro di lui si affollano i discepoli stupiti. Attorno a Lazzaro e sulla sinistra della scena sono immortalati gli altri presenti di quest’evento colpiti da stupore e sgomento: un bambino, in basso a sinistra, fugge spaventato, mentre un altro, poco dietro, si aggrappa al collo della madre. Il messaggio di quest’opera è certo chiaro: Cristo mediante la sua morte e la sua resurrezione ha il potere di salvarci, come Egli stesso pronuncia in questo passo: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” Gv 11,25- 26.
Il miracolo della resurrezione di Lazzaro è il segno per eccellenza della missione di Cristo, tanto esemplare che annuncia la grande resurrezione che vedrà il Redentore stesso partecipe, evento promesso a tutti i sui fedeli. “Le genti fremettero,/ ma è giunta l’ora della tua ira,/ il tempo di giudicare i morti,/ di dare la ricompensa ai tuoi servi,/ ai profeti e ai santi/ e a quanti temono il tuo nome,/ piccoli e grandi,/ e di annientare coloro/ che distruggono la terra”. (Ap 11, 18) Un pannello è tratto dal libro dell’Apocalisse. In esso non è rappresenta una scena realmente accaduta quanto la personificazione di una delle visioni e dei segni contenute nello scritto di Giovanni, che è appunto l’uomo seduto al centro, riconoscibile dal suo simbolo – l’aquila – mentre è intento nella stesura dello scritto della Rivelazione, l’Apocalisse appunto. Giovanni, tradizionalmente rappresentato come giovane evangelista, siede presso un paesaggio scarno e vuoto, nel quale si vede solo un lago o un corso d’acqua alle spalle, quasi desertico; un angelo si slancia dal cielo, anch’esso perlopiù senza molte sfumature, se non nel vortice, turbolento e luminoso, che lo avvolge. Nello specifico è qui rappresentata la visione dell’angelo che suona la tromba, per esattezza la settima tromba (scena che si ripete per sette volte nei capitoli 8, 9 e 10 dell’Apocalisse), segno del richiamo divino alla fine dei tempi. Anche qui il riferimento al giudizio e alla resurrezione nell’ultimo giorno traspare, pur nell’essenzialità della scena, rendendo l’Apostolo amato da
Gesù, quasi un profeta che ci ricorda l’avvento del Signore alla fine della nostra esistenza terrena e alla fine dei tempi. CONSIDERAZIONE FINALE Abbiamo avuto modo di vedere e comprendere quanti significati sappia tramandare un’opera di questo tipo. I quattro pannelli principali del catafalco certo costituiscono la manifestazione artistica più completa, circa il tema dei defunti, che si abbia presso la Chiesa di Santa Maria del Cerro (tema che pure è presente negli affreschi del Morgari, come ad esempio nel Purgatorio). Queste tele sono poi correlate ad una vasta simbologia cristologica come il pesce, il pane, la croce, che adornano il basamento del feretro, parte culminante della struttura del catafalco. Colpisce come quattro “semplici” pannelli decorativi di un monumento funebre siano intrisi di riferimenti alla Parola dall’Antico al Nuovo Testamento; essi sono quindi veicolo di un’approfondita e studiata catechesi sulla morte e sulla vita eterna capaci di affascinare per i contenuti, la forma e le sensazioni che tale argomento evoca su ciascun cristiano, su ciascun uomo. Forti di custodire e preservare questi nostri patrimoni che il passato ci trasmette, l’invito rivolto ad ogni parrocchiano, che si accosta a queste quattro opere d’arte, è quello di lasciarsi suggestionare dal tocco artistico, impressionare dal soggetto rappresentato, ma soprattutto ascoltare le
emozioni, le domande e le preghiere che spontaneamente sgorgheranno in lui. Cassano Magnago, Commemorazione dei Defunti Novembre 2020 G.F.
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