GLI OSCAR 2019: NUOVI SEGNALI E CONTRADDIZIONI - Malacoda
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PER LA CRITICA GLI OSCAR 2019: NUOVI SEGNALI E CONTRADDIZIONI di Desirée Massaroni Se il cinema è forse la forma d’arte più sociale, più sensibile alla realtà – la 91° edizione degli Oscar 2019 – è indubbiamente lo specchio di un momento storico di grandi movimenti e sommovimenti, segnato da una rinnovata attenzione alle diversità (razziali, di genere, di persone diversamente abili) che vengono affrontate rispetto al secolo scorso in una maniera più radicale, se vogliamo rivoluzionaria anche per certe forme inedite che assume. Si può inoltre dire che questa edizione degli Oscar è stata senz’altro segnata da un discorso di impronta ‘liberal’ contro il clima neoreazionario e xenofobo creato da Donald Trump. E dunque proprio gli USA - terra memore della schiavitù nera e di figure come Martin Luther King e in cui la questione dell’integrazione razziale e della lotta fra i bianchi e i neri è ancora viva – hanno eletto come film vincitore degli Oscar 2019, Green Book di Peter Farrelly che fino a prima di questa pellicola era considerato ad Hollywood un regista di serie B avendo girato filmetti come Scemo più scemo. Ispirato ad una vicenda reale, il film tratta di un’amicizia fra un pianista afroamericano, Don Shirley (interpretato da Mahershala Ali a cui è stato assegnato il premio come Miglior attore non protagonista) e un rozzo autista italoamericano di nome Tony Lip (Viggo Mortensen). Esattamente 30 anni fa il medesimo Oscar era stato assegnato a un film simile, A spasso con Daisy, incentrato anch’esso sulla nascita di un’amicizia e sul viaggio come topos privilegiato, ma in cui si assisteva – già a partire dal titolo - a un rapporto di forze ben più convenzionale in cui l’autista era ‘naturalmente’ un uomo di colore (Morgan Freeman) alle dipendenze di un’abbiente e anziana donna bianca.
Val la pena di notare che si tratta di due opere ambientate negli anni Sessanta e che tuttavia propongono storie, dinamiche, approcci differenti; in Green Book l’amicizia fra un uomo bianco italo-americano e un uomo nero nasce anche dal fatto che gli italiani erano considerati dei ‘mezzi neri’, sebbene il personaggio di Tony Lip sia lui pure all’inizio razzista per poi ricredersi di fronte al genio e ai modi raffinati e colti di Don Shirley. Il titolo Green Book rimanda precisamente ad una pubblicazione in cui erano indicati tutti i luoghi dove i neri potevano pernottare; e il film racconta con grande chiarezza la schizofrenia della società degli americani bianchi ricchi che accoglieva nelle sue lussuose magioni un grande pianista nero e al contempo applicata una plateale discriminazione razziale fino al punto da negargli l’uso dei servizi igienici riservati ai bianchi. E stiamo parlando degli Usa del 1962 non dell’America di metà Ottocento di Via col vento. Non si può comunque sottacere che Spike Lee, uno dei registi afroamericani più significativi a livello mondiale, ha levato la sua voce contraria e polemica circa la vittoria di Green Book. Lee si è presentato alla candidatura degli Oscar con BlacKkklansman che, come avvenne con Fa’ la cosa giusta del 1989, non ha raggiunto il premio più ambito, ricevendo solo un Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. BlacKkklansman è uno dei film migliori di Lee, ambientato negli anni Settanta ed è incentrato sulla storia, autentica e bizzarra insieme, di un poliziotto nero che riesce ad infiltrarsi nel Ku Klux Klan affrontando a sua volta le differenze con il capo bianco, con il collega ebreo, con la fidanzata e attivista nera estremista, ma soprattutto dimostrando come le distinzioni razziali siano camuffabili e superabili mettendosi in sintonia con la stupidità dei bianchi. Indubbiamente Lee è un regista che ha sempre incarnato una visione più radicale della negritudine, del conflitto fra bianchi e neri, vòlto a sottolineare il passato ancora irrisolto con gli ‘antenati schiavi’ piuttosto forse che l’apertura di uno nuovo scenario e con le altre diversità come propone Green Book.
Sempre nell’ottica di un discorso razziale, ma anche di genere è stato bocciato il film- kolossal Black Panther, incentrato sul personaggio di un immaginario supereroe nero che costituisce comunque una novità e un cambio di paradigma; la pellicola ha in ogni caso vinto diversi premi per la miglior colonna sonora, per il mix sonoro e per i migliori costumi. I Premi alla Miglior Regia, al Miglior Film Straniero, alla Migliore Fotografia, sono stati conferiti a Roma di Alfonso Cuaròn vincitore dell’ultima edizione del Festival del Cinema di Venezia e in cui viene invece tanto sollevato quanto risolto il problema della differenza di classe sociale fra donne, quasi sempre prevalente sull’identità di genere. Riguardo alle interpretazioni attoriali invece sono stati premiati Rami Malek e Olivia Coleman rispettivamente per l’interpretazione del leader dei Queen in Bohemian Rapsody di Bryan Singer e per Anna Stuart ne La Favorita di Yorgos Lanthimos. Rami Malek, figlio di immigrati egiziani, è il volto e la persona di Freddy Mercury cantante e band leader autore di Bohemian Rapsody, il celebre brano lungo più del doppio della durata ammessa nelle radio degli anni ’70 e con una struttura musicale completamente nuova rispetto a quella vigente all’epoca. Un film che ricostruisce la figura e la personalità per più versi eccentrica, sregolata e geniale di Freddy Mercury le cui origini in parte iraniane avevano forse contribuito a stimolare nel giovane Freddy vari interessi culturali – convogliati poi nella genesi di brani memorabili – estranei agli altri membri inglesi della band più circoscritti al rock. In questo film viene narrata l’amicizia con l’ex fidanzata anche in seguito alla scoperta della sua omosessualità mentre con incredibile fedeltà filologica è riprodotto il concerto Live Aid nel 1985. La vittoria di Malek è anche, in tal senso, una sorta
di Oscar postumo al mito di Freddy Mercury - molto più affascinante dell’attore che lo interpreta – e che in quest’ottica giustifica in parte la sconfitta di Christian Bale per la strepitosa interpretazione di Dick Cheney in Vice di Adam McKay. Bohemian Rapsody ha ricevuto altresì l’Oscar per Miglior Montaggio, Miglior Montaggio sonoro, miglior sonoro. La vittoria di Olivia Coleman che era stata già premiata con la Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia denota un cambio dei nostri tempi insieme a profonde contraddizioni se consideriamo la sconfitta di Glenn Close candidata al medesimo premio con The Wife- Vivere nell’ombra di Bjorn Runge La mirabile interpretazione della Coleman è in fondo il ritratto dell’abbassamento e dell’auto-spettacolarizzazione del potere ai giorni nostri; al posto di figure divistiche di potenti e regine che hanno contraddistinto la storia del cinema (soprattutto hollywoodiana), si è imposto un ritratto più fedele alla realtà odierna segnata dalla schizofrenia collettiva (dei sovrani e del popolo) della postmodernità e da un decadimento di qualsiasi forma di autorità e di spirito rivoluzionario contro la dimensione cortigiana in cui si muovono le due giovani favorite. La vittoria mancata di Glenn Close è forse data quindi anche da una preferenza e da una tradizione d degli Oscar che privilegia le performance disturbate, iperboliche, e una recitazione sopra le righe come quella della Coleman. Di contro la Close interpreta il personaggio di Joan Castleman in una maniera molto calibrata, sottile, misurata, proponendo una figura femminile su cui forse si manifestano ancora delle resistenze. In The Wife la Close è la moglie di uno scrittore che vince il Nobel per la letteratura e che si scopre poi essere l’autrice dei libri del marito. Un film di intonazione neo-femminista in cui Joan perviene a una riappropriazione di sé, dei propri meriti come moglie e scrittrice in un’accezione ampia e anticonformista. Attraverso il volto della Close vediamo il volto di una fine autrice, ancorché non riconosciuta, che osserva l’ipocrisia, la falsità anche dell’ambiente borghese e letterario, restando al gioco della finzione e della formalità per poi esplodere. Tra le interpreti femminili candidate all’Oscar è da segnalare poi Lady Gaga che in A star is born, remake di Bradley Cooper ha dato prova di un vero talento attoriale e alla quale è stato assegnato il Premio per la migliore Canzone per il brano Shallow. Come ha scritto Paolo Mereghetti sul Corriere della sera la premiazione degli Oscar 2019 ha decretato altresì la vittoria di Netflix con quattro statuette: tre per Roma ed una per il cortometraggio documentario Period. End of Sentence). La vittoria della piattaforma Netflix che produce film destinati agli smartphone, tablet, pc - sebbene alcuni registi riescano a contrattare il fatto che per alcuni giorni il film sia visionabile in sala - segna un cambiamento epocale che tiene conto della mutazione socio-antropologica delle giovani generazioni e delle nuove forme di ricezione tecnologico-culturale. È oramai un fatto acquisito di cui gli Oscar hanno semplicemente preso atto.
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