DECRETI ATTUATIVI DEL JOBS ACT - Contratto a tutele crescenti e ASPI (24/12/14) SCHEDA TECNICA

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DECRETI ATTUATIVI DEL JOBS ACT - Contratto a tutele crescenti e ASPI (24/12/14) SCHEDA TECNICA
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                      DECRETI ATTUATIVI DEL JOBS ACT
                        Contratto a tutele crescenti e ASPI (24/12/14)
                                       SCHEDA TECNICA

Il Consiglio dei Ministri del 24 dicembre ha varato i primi due decreti attuativi del Jobs Act. Sono
due provvedimenti particolarmente sostanziosi e che danno avvio ai due pilastri della riforma del
mercato del lavoro targata Renzi-Poletti: il nuovo contratto a tutele crescenti e la riforma degli
ammortizzatori sociali con l'introduzione della Nuova ASpI.

I due testi saranno adesso sottoposti all'esame delle Commissioni Parlamentari per raccogliere
osservazioni e pareri, ma sulla base alla legge delega approvata da Camera e Senato resta tutto in
capo all'Esecutivo il potere di apportare modifiche nel merito dei decreti. Il Governo, peraltro, è
stato in grado, ponendo più volte la questione di fiducia, di ottenere di fatto una delega in bianco,
fatto che conferisce all'Esevutivo un margine discrezionale ancora maggiore. Appare evidente,
come denunciamo da mesi, come a perderci sia stata innanzitutto la qualità del processo
democratico che ha caratterizzato il Jobs Act, tanto nel suo iter parlamentare quanto e soprattutto
nella sordità rispetto alla contrarietà e alle proposte alternative delle piazze che hanno posto i temi
del welfare universale e della dignità del lavoro al centro dell'autunno.

Sul sito del Governo sono stati pubblicati gli schemi dei decreti legislativi, anche se quello sulla
Nuova AspI è stato approvato “salvo intese”: ciò significa che saranno necessari altri incontri per
definire i dettagli. Proviamo ad entrare maggiormente nel merito dei testi resi pubblici per il
momento, definiti come una “rivoluzione copernicana” e un “passo storico” dallo stesso Renzi. Il
nostro giudizio resta invariato: siamo sì di fronte a un passo storico, ma per il definitivo
smantellamento di diritti fondamentali per milioni di lavoratori e per il loro peso contrattuale nei
confronti della parte datoriale che viene compiuto. E' un passaggio che non possiamo ridurre a un
atto simbolico da sfoggiare in Europa o con imprecisati investitori internazionali: rappresenta
un'ipoteca sulla possibilità di estendere a tutto il mondo del lavoro diritti e tutele e l'incremento
della ricattabilità a cui si viene sottoposti. D'altra parte, la Nuova ASpI risulta molto distante da una
vera rivoluzione copernicana e dalla necessaria universalizzazione del welfare e delle forme di
sostegno al reddito.

NUOVO CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI

Il decreto attuativo disciplina le nuove tutele in caso di licenziamento illegittimo dei nuovi assunti
con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

    • Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale (art. 2):
Per i licenziamenti dichiarati discriminatori da sentenza del giudice e per quelli intimati in forma
orale (licenziamenti inefficaci) è previsto il mantenimento del diritto alla reintegrazione del
lavoratore discriminato nel posto di lavoro.
Il datore di lavoro è tenuto al risarcimento del danno: l'ammontare sarà stabilito dal giudice sulla

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base del periodo intercorso fra il licenziamento discriminatorio e la data della reintegra. Il
lavoratore ha la facoltà di chiedere, in sostituzione della reintegra, un indennizzo pari a 15
mensilità dell'ultima retribuzione percepita: in questo caso, il rapporto di lavoro risulta
legittimamente risolto.

Stiamo parlando dei casi di licenziamento dovuti a discriminazione in base all'orientamento
sessuale, al genere, alla confessione religiosa, all'attività sindacale o alle idee politiche del
lavoratore. Non è mai stata in campo l'ipotesi di cancellare la tutela ridida del posto di lavoro per
questa fattispecie di licenziamenti, poiché avrebbe significato lasciare carta bianca all'esplicita
violazione della libertà della persona classicamente intesa nel pensiero liberale. Tuttavia, la
casistica è piuttosto limitata, anche perché difficilmente il licenziamento discriminatorio viene
esplicitamente presentato e comunicato come tale.

    • Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Con licenziamento per giustificato motivo oggettivo si intende un licenziamento individuale dovuto
a crisi aziendale, cessazione di attività o al venire meno delle mansion icui era precedentemente
assegnato il lavoratore. Ci riferiamo, quindi, ai cosiddetti licenziamenti economici

Il decreto attuativo stabilisce che nei cai in cui non risultano ricorrere gli estremi del licenziamento
per giustificato motivo oggettivo, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il
datore di lavoro al pagamento di un'indennità esentasse di un importo pari a 2 mensilità per ogni
anno di anzianità di servizio, con un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità.

Viene quindi definitivamente cancellato il diritto alla reintegra per i licenziamenti
economici sancito dall'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Si compie un passo avanti
rispetto alla Legge Fornero del 2012, che aveva stabilito la facoltà del giudice di imporre al datore
di lavoro l'indennizzo o la reintegrazione del posto di lavoro sulla base delle variabili individuate dal
testo di legge.
Nel 2014 sono stati più di 17.000 i lavoratori denunciati per giustificato motivo oggettivo che sono
ricorsi al giudice in base all'articolo 18 (dati Ministero del Lavoro). Palesemente non dobbiamo
limitarci ad osservare questo numero o a sottovalutarlo: in primo luogo, infatti, è opportuno
ricordare come ben 9 milioni di lavoratori perdono con questo decreto il diritto alla reintegra e,
soprattutto, viene completamente compromesso il potere deterrente che ha sempre
esercitato nei confronti del datore di lavoro. L'eliminazione dell'articolo 18, infatti, farà
perdere potere contrattuale alla parte più debole.
Il problema è rilevante e di portata universale, anche per i milioni di lavoratori precari e
atipici che non hanno mai potuto beneficiare né dell'articolo 18 né di tanti altri diritti e forme di
welfare. Il livellamento verso il basso dei diritti e delle tutele pone una gigantesca ipoteca sulla
possibilità di estendere e universalizzare per tutti i lavoratori (partite IVA, free lance, precari,
apprendisti, ecc.) i diritti conquistati con anni di lotta del movimento operaio nel secolo scorso e
nuove tutele all'altezza delle caratteristiche attuali del mercato del lavoro.

    • Licenziamenti disciplinari
Resta in piedi il diritto alla reintegra per i casi di licenziamento disciplinare (sia per giustificato
motivo soggettivo che per giusta causa) nei quali viene dimostrata in giudizio l'insussistenza del
fatto materiale contestato al lavoratore. Il datore di lavoro viene condannato ala reintegrazione del
lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un indennizzo di risarcimento.

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Su questo punto si è giocato il braccio di ferro interno al Governo fra Partito Democratico e Nuovo
Centro Destra. I ministri NcD hanno richiesto con insistenza la previsione dell'opting out per il
datore di lavoro, ovvero la possibilità di scegliere di pagare un maxi-indennizzo al posto di
reintegrare il lavoratore licenziato illegittimamente per falsi motivi disciplinari nel suo posto di
lavoro. La richiesta non è stata accolta per due motivazioni: scongiurare l'eccesso di delega
rispetto a quanto consegnato al Governo dal Parlamento e, soprattutto, rispettare l'accordo
sull'articolo 18 trovato nella Direzione Nazionale del PD.
La minoranza PD e, in particolar modo, l'area che più ha promosso l'accordo facendo da pontiere
fra Renzi e la sinistra interna ha salutato con entusiasmo il rispetto dei patti, ma ci sembra
evidente come la totale resa alle ricette di lungo corso di Ichino e Sacconi sui licenziamenti
economici la dica lunga su quali sono gli interessi tutelati dalla nuova normativa.

    • Piccole imprese
Per le imprese con un numero di dipendenti pari o inferiore a 15 non è prevista la reintegrazione
nel posto di lavoro per i licenziamenti disciplinari e l'ammontare dell'indennità è dimezzato e non
può superare in ogni caso il limite di sei mensilità.

    • Licenziamenti collettivi
La disciplina viene parificata a quella dei licenziamenti individuali. In caso di licenziamento
collettivo intimato senza l'osservanza della forma scritta, si procede con la reintegra; in caso,
invece, di insussistenza delle esigenze tecnico-produtive ed organizzative del complesso aziendale
alla base del licenziamento collettivo, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere l'indennità con le
stesse caratteristiche dei licenziamenti economici individuali.

     • Contratto di ricollocazione
Il lavoratore licenziato riceve dal Centro per l’impiego del proprio territorio un voucher per la
ricollocazione occupazionale a condizione che effettui la procedura per definire il profilo personale
di occupabilità. Il voucher deve essere presentato a un’agenzia per il lavoro pubblica o privata
accreditata secondo quanto sarà previsto dal decreto legislativo sulle politiche attive del lavoro e
garantisce assisistenza nella ricerca di una nuova occupazione, attività di formazione e
riqualificazione professionale.

NUOVA ASPI

Il secondo decreto legislativo varato dal Consiglio dei Ministri di Natale disciplina la Nuova
Assicurazione Sociale per l'Impiego, assegno di disoccupazione che sostituisce ASpI e Mini ASpI
introdotte dalla Legge Fornero nel 2012 e ha la funzione di integrare i redditi per gli stati di
disoccupazione involontaria a partire dal 1° maggio 2015.

Destinatari: lavoratori dipendenti ad eccezione degli operatori agricoli e degli impiegati a tempo
indeterminato della Pubblica Amministrazione;

Requisiti: stato di disoccupazione involontaria con almeno 13 settimane di contributi versati nei
quattro anni precedenti alla disoccupazione e almeno 18 giorni di lavoro (effettivo o equivalente)
negli ultimi 12 mesi;

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Calcolo e importi massimi: l'assegno di disoccupazione sarà rapportato alla retribuzione degli ultimi
quattro anni. Per il 2015 non potrà in ogni caso essere superiore al massimo mensile di 1.300€,
mentre l'indennità è ridotta progressivamente del 3% ogni mese dal quinto mese di fruizione;

Durata: viene erogata mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di
contriuzione degli ultimi 4 anni. Ciò significa che il periodo massimo di percezione della
NASpI è ora di due anni; dal primo gennaio 2017 la durata massima viene ridotta a un anno e
mezzo (78 settimane)

Condizionalità: la fruizione della NASpI è condizionata allo stato di disoccupazione, alla ricerca
attiva di una nuova occupazione e alla regolare partecipazione ai programmi per la formazione e il
reinserimento professionale
Sarà un ulteriore decreto attuativo della legge delega a disciplinare le politiche attive del lavoro del
Jobs Act e a definire più precisamente le catatteristiche della condizionalità della fruizione della
Nuova ASpI per quanto riguarda l’accettazione delle offerte del lavoro .

Assegno di disoccupazione (ASDI): a partire dal 1° maggio 2015 è istituito in via sperimentale
un’ulteriore forma di sostegno al reddito per i disoccupati di lungo periodo che hanno
esaurito il periodo di percezione della Nuova ASpI senza aver trovato occupazione. L’ASDI viene
erogato per una durata massima di 6 mesi ed è pari al 75% dell’ultimo importo mensile della
NASpI.
Con successivo decreto del Ministero del Lavoro vengono specificati l’ISEE familiare che determina
la condizione di bisogno per l’accesso all’ASDI e i criteri di priorità in caso di insufficienza di risorse
per soddisfare tutti gli idonei. Per il 2015 l’ASDI viene fiananziato con un apposito fondo di 300
milioni di euro.

Indennità di disoccupazione per co.co.co e co.co.pro (DIS-COL): nuovo assegno di disoccupazione
attivo dal 1° gennaio 2015 per collaboratori senza partita IVA che possono far valere almeno 3
mesi di contributi nell’anno solare precedente a quello dell’inizio dello stato di disoccupazione. E’
una misura temporanea in attesa che venga effettuata la semplificazione delle forme contrattuali
prevista dalla legge delega del Jobs Act.
L’importo massimo mensile è di 1.300€ per il 2015, mentre la durata massima dell’erogazione è di
6 mesi.

Il decreto sulla Nuova ASpI prevede lievi miglioramenti rispetto alla situazione precedentemente
normata dalla Legge Fornero che sono da registrare. I requisiti per accedere all’assegno di
disoccupazione sono stati rivisti in termini più inclusivi e la sua durata massima è stata allungata.
Inoltre, è decisamente innovativa l’estensione dell’assegno di disoccupazione a chi ha lavorato
tramite rapporto di collaborazione e ha perso il lavoro.

Tuttavia, restano presenti tutte le criticità che caratterizzavano il sistema di ammortizzatori sociali
predisposto dal Governo Monti. La NASpI non è un ammortizzatore sociale universale poiché
prevede requisiti per poterne beneficiare e continua ad escludere intere categorie di lavoratori (a
partire da free lance e partite IVA). Non può rappresentare uno strumento all’altezza delle
caratteristiche del mercato del lavoro attuale e delle percentuali di disoccupazione e inoccupazione
che colpiscono l’intera società e le giovani generazioni con particolare violenza: siamo molto

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distanti dall’introduzione di una forma di reddito di inserimento, dato che non può beneficiare della
NASpI chi è in cerca del primo lavoro, e tanto più da un reddito di base che da tempo chiedono a
gran voce i movimenti sociali per eliminare la povertà e fornire a tutte e tutti autonomia e
inclusione sociale.

La condizionalità della Nuova ASpI all’accettazione di un’adeguata offerta di lavoro è un aspetto
cruciale da monitorare attentamente quando saranno pronti i testi dei prossimi decreti attuativi del
Jobs Act. L’assegno di disoccupazione rischia di tramutarsi in un ulteriore strumento del ricatto che
subisce chi è in cerca di lavoro, nel momento in cui dovesse essere costretto ad accettare - pena la
decandenza dal beneficio - qualsiasi offerta di lavoro gli si presenta davanti indipendentemente
dalla corrispondenza con le proprie competenza professionali, dalla retribuzione prevista e dalle
condizioni di lavoro. Si tratterebbe dell’istituzionalizzazione di un sistema di workfare povero
incapace (o non intenzionato) a incidere positivamente sui salari, sulle condizioni di lavoro e
sull’autonomia sociale degli individui.

Infine, il decreto in questione si rivela un fragilissimo castello di carte quando si passa ad
analizzare le coperture previste. Con la Legge di Stabilità 2015 sono stati stanziati 2,2 miliardi di
euro per il nuovo sistema di ammortizzatori sociali: una cifra assolutamente insufficiente per
garantire ai milioni di lavoratori precari esclusi dalla vecchia ASpI un’efficace integrazione al
reddito nei periodi di disoccupazione. A pochi giorni dal Consiglio dei Ministri del 24 dicembre è
stato lo stesso Tito Boeri, nominato presidente di INPS in quell’occasione, a denunciare la carenza
dei fondi messi a disposizione, stiamando la necessità di almeno altri due miliardi per il sussidio di
disoccupazione previsto dal Governo, senza contare le risorse necessarie per i disoccupati di lunga
durata.

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