"Basse università" e "massime di gover- no". Caratteri dell'intervento statale nella Roma di Pio VI
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
«Basse università» e «massime di gover- no». Caratteri dell’intervento statale nella Roma di Pio VI di Emanuela Parisi Già da tempo è stato sottolineato il fatto che elemento comune alla maggior parte degli scritti economici romani di età moderna è il «carat- tere praticistico» che li contraddistingue: nell’elaborazione di progetti di riforma, nella definizione delle linee di politica economica si dovette tenere conto, nello Stato pontificio forse più che altrove, di situazioni contingenti. Scopo di questo studio è evidenziare, attraverso l’analisi di uno dei provvedimenti innovativi degli ultimi anni del XVIII secolo, il ruolo importante e il peso che nel determinare tali situazioni a Roma, ancora alla fine del Settecento, le corporazioni si attribuivano o si vede- vano attribuito. La questione in particolare oggetto di analisi è l’abolizione della «precettazione» degli agnelli, fortemente voluta dal tesoriere Fabrizio Ruffo, che la decretò nel . Le precettazioni erano requisizioni di bestiame effettuate nelle province sotto il profilo annonario tributarie di Roma dalla Presidenza della Grascia – l’organismo preposto, in primo luogo, all’approvvigionamento di carne della capitale – per garantire sul mercato, ad un prezzo «giusto», la disponibilità di generi considerati di prima necessità. Rientrava tra questi la carne di agnello, particolarmen- te apprezzata dai romani, venduta in città durante la «stagione» detta «dell’agnellatura» che andava da Pasqua fino a non oltre il giugno, festa di san Giovanni. Il provvedimento di abolizione in questa sede analizzato interessava dunque soprattutto due istituzioni: la Presidenza della Grascia e la cor- porazione dei macellai, una di quelle università, che, con la Grascia, di lì a pochi anni sarebbero state abolite. La poliedrica personalità del Ruffo – che, come è noto, pochi anni dopo gli eventi qui trattati fu alla guida della spedizione sanfedista che riconquistò Napoli al re Ferdinando IV – e i diversi indirizzi della politica di riforma da lui attuata hanno fatto sì che le sue «stupende e facili teorie di pubblica economia», come pure alcune delle vicende che portarono Dimensioni e problemi della ricerca storica, n. /
EMANUELA PARISI alle innovazioni in materia di Grascia – in primo luogo l’abolizione della precettazione – fossero trascurate. La questione è tuttavia, a mio parere, di rilevante interesse, perché quello che portò all’abolizione della precet- tazione degli agnelli fu un percorso niente affatto lineare: la questione non trovò concordi né i diversi corpi interessati alla questione e non sempre formalmente coinvolti – macellai, pizzicaroli, norcini dapprima, poi anche affidati e rappresentanti delle province annonarie – né le autorità preposte a decidere in merito. Ricostruire quel percorso può fornire elementi utili non solo a comprendere di che natura fossero le scelte operate ma, soprattutto, come vi si fosse arrivati: per la definizione delle caratteristiche dell’intervento statale può infatti risultare significativo puntualizzare quali circostanze occasionali avessero portato all’attuazione di un sia pur preesistente disegno di riforma. La «sempre querula» università dei macellai L’università dei macellai di Roma aveva antiche origini. Dalla corporazio- ne si erano via via separati, costituendosi in corpo autonomo, i pizzicaroli, i norcini e i casciani, i tripparoli, i caprettari; nel Settecento l’università rappresentava ormai un corpo fortemente legato a solide tradizioni e a propri interessi particolaristici. Nata e consolidatasi sul piano normativo e su quello delle pratiche quando la regolamentazione dell’attività produt- tiva e commerciale dipendeva principalmente dalle autorità municipali, la corporazione dei macellai si trovava, alla fine del Settecento, ad avere come primo interlocutore la Grascia, un organismo statale. Quanto fosse sentito dall’università il maggiore peso del controllo dell’autorità centrale rispetto a quello capitolino sembra emergere chiaramente dalla documen- tazione prodotta nel corso degli anni Ottanta e Novanta del secolo; si leggeva, ad esempio, in un Memoriale dei macellai: «Questi nostri Statuti sono approvati, e confermati dal Senatore di Roma, e dai Conservatori della Camera Capitolina […] se lo Statuto de’ Macellari è approvato dal Senatore di Roma, è lo stesso, che sia approvato specificamente dal Papa […] le facoltà di Monsignor Presidente della Grascia non superano il diritto del Senatore di Roma, e del Campidoglio […] lo Stato nostro è specificamente approvato da una legittima giurisdizione […]». Il testo sopra citato, teso a delegittimare la decisa azione di controllo sull’università posta in essere dalla Grascia, è legato alla situazione di forte conflittualità che negli ultimi decenni del Settecento, quando le «spese per liti» arrivarono a diventare una voce di bilancio, in più di una circostanza vide i macellai in contrasto con altre università e con la stessa Camera Apostolica. A quell’epoca gli «uffiziali» della corporazione – tre
«BASSE UNIVERSITÀ» E «MASSIME DI GOVERNO» consoli, tre guardiani e un Signore che, secondo quanto previsto dagli statuti, avrebbero dovuto essere eletti dai tredici consiglieri dell’Arte – venivano nominati dal presidente della Grascia, il quale era intervenuto nelle questioni interne alla corporazione anche imponendo una modifica statutaria che portava da tre a quattro il numero dei consoli. Il tentativo di controllare l’attività dei macellai si manifestava anche attraverso disposizioni volte a prevenire il fenomeno dei fallimenti. I ma- cellai, prima dell’inizio della stagione, dovevano offrire al presidente della Grascia diverse garanzie formali circa la propria capacità di ben condurre l’attività. La pratica in uso per tutto il Settecento prevedeva infatti che tutti coloro che intendevano aprire un macello si impegnassero, davanti al notaio, a tenerlo in attività e provvisto di carne per tutta la stagione, da Pasqua all’ultimo giorno di carnevale dell’anno successivo. In tale occasione i macellai presentavano anche delle «sigurtà», fidejussioni, che tuttavia spesso non si rivelavano reali garanzie in caso di fallimento degli esercenti; fallendo i macellai non solo rendevano difficoltoso al pubblico approvvigionarsi di un genere di prima necessità, ma finivano anche per non soddisfare l’impegno più importante preso, la corresponsione di tutti i «pesi» dovuti alla Camera Apostolica. Si verificava dunque una forte ingerenza dell’autorità centrale in un settore considerato di cruciale importanza, sia perché legato alla distri- buzione al pubblico di un genere di prima necessità, del quale andava tutelato il livello qualitativo, sia perché garantiva all’erario le cospicue entrate legate alla gabella detta «della scannatura» dovuta dai macellai alla Camera Apostolica. Nel – l’anno in cui, con la nomina di Fa- brizio Ruffo a tesoriere generale, il sistema della Grascia iniziò ad essere riformato – con ., scudi le entrate provenienti da tale gabella costituivano quasi il % del totale del gettito delle «Dogane generali», le dogane di Roma. Detta anche «gabella del quattrino», per via della tariffa originaria che era di un quattrino per ogni libbra di carne macellata, la gabella della scannatura fino agli ultimi decenni del Seicento era stata riscossa dalle autorità comunali; in seguito l’introito della gabella era stato interamente assegnato alla Camera Apostolica, che dapprima ne aveva affidato la gestione ad appaltatori privati e in seguito, dal al , ne aveva diret- tamente curato la riscossione per mezzo della Presidenza della Grascia. A proposito delle modalità di riscossione alla fine del Settecento, quando era stata interrotta ormai da decenni la pratica di cederne l’appalto a privati, il Ruffo parlava di un «sistema intralciato». Le difficoltà nella riscossione avevano portato infatti alla creazione di un complicatissimo iter. Le disposizioni originarie, riconfermate, da ultimo, dal Bando Gene- rale del , prescrivevano ai macellai di non macellare il bestiame senza
EMANUELA PARISI prima aver pagato la gabella. In seguito, date le difficoltà dei macellai di pagare la somma dovuta prima di essere rientrati delle spese sostenute per l’acquisto del bestiame, dapprima si erano accordate loro delle dilazioni, quindi attraverso il metodo dei «sequestri», si era loro permesso di pagare in natura consegnando gli scarti della macellazione. Nonostante questo complicato meccanismo, nel la Camera si trovava ad essere già credi- trice di . scudi arretrati per la gabella della scannatura. Tra le cause dell’accumularsi del debito il Ruffo indicava la «poca puntualità» degli esattori e i fallimenti dei macellai. Operatori poco affidabili, i membri della «sempre querula Università dei Macellaj» sfuggivano facilmente ai meccanismi di controllo posti in essere dal governo. Il numero dei macelli privati attivi in ogni stagione subì delle variazio- ni nel corso degli ultimi decenni del Settecento. Nel in Roma erano attivi macelli privati, gestiti da diversi macellai, macelli annessi a Luoghi Pii, l’Ospizio Apostolico di San Michele e l’Archiospedale di Santo Spirito, e i macelli del ghetto, nei quali veniva macellata soltanto la carne di bufala, che era venduta a un prezzo più basso di un terzo di quella di vitella. Nella stagione -, ad esempio, erano aperti solo macelli privati; in quella -, e nel si faceva riferimento a circa macelli. Il dato non è da mettere in relazione con una maggiore o minore disponibilità di carne sul mercato romano: al contrario, esso era mantenuto sostanzialmente stabile dalle autorità, consapevoli del fatto che la carne era una componente importante della dieta dei romani. La variazione nel numero di macelli attivi in ogni stagione costituisce tuttavia un indicatore importante per quello che riguarda la mancanza di continuità nella gestione degli esercizi. Era infatti frequente, come già osservato, il caso di fallimenti, e continua la cura delle autorità competenti per evitare che si verificassero, non tanto perché la chiusura improvvisa di un macello poteva provocare forti disagi per i consumatori quanto piuttosto perché la chiusura di un esercizio prima del termine della stagione spesso significava che il gestore non avrebbe mai soddisfatto i creditori, e per i macellai il principale creditore era, nella Roma del XVIII secolo, lo Stato. Il discontinuo processo di definizione delle «massime di governo» L’origine del provvedimento del va rintracciata proprio nei grossi problemi legati alla riscossione della gabella della scannatura. L’attuazione delle disposizioni relative all’abolizione della precettazione prese infatti l’avvio da una circostanza occasionale: la richiesta, presentata dai macel- lai nel , di un «bonifico» sulla somma da loro dovuta per la gabella
«BASSE UNIVERSITÀ» E «MASSIME DI GOVERNO» della precedente stagione dell’agnellatura. Simili richieste non erano una novità e spesso ingenti «defalchi» erano stati accordati dalle autorità all’università dei macellai. Anche nei primi due anni del tesorierato di Fabrizio Ruffo ne erano stati concessi diversi, per un importo totale di più di . scudi. Ancora nell’autunno del , con rescritto papale, era stato accordato ai macellai un bonifico di più di ottomila scudi sulla somma da essi dovuta per la stagione dell’agnellatura di quello stesso anno. In tale occasione era stata anche disposta l’effettuazione di uno «scandaglio» – una pubblica verifica effettuata da periti – che desse conto di quali realmente fossero le spese sostenute dai macellai nello svolgimento della propria attività. Le considerazioni espresse dal Ruffo in quella circostanza testimonia- no la situazione di forte tensione cui si era giunti. Infatti, tre giorni dopo la concessione del bonifico, il novembre , era stato presentato dal tesoriere al pontefice un promemoria circa la difficile situazione e l’atteg- giamento da tenersi nei confronti dei macellai: il Ruffo vi sottolineava la difficoltà di trovare un perito imparziale che effettuasse lo scandaglio e le due «formidabbili raggioni» che facevano da supporto alle «capricciose domande» dell’università dei macellai: «la loro visibile decadenza, e po- vertà» e «la minaccia di chiuder le loro Botteghe, e ritirarsi nelle Chiese». Scettico sulla povertà degli operatori del settore, il Ruffo era decisamente contrario alla concessione del bonifico; se poi i macellai avessero attuato la serrata, i mercanti di bestiame, egli osservava, sarebbero stati ben contenti di macellare per conto proprio. Quando, l’anno seguente, venne presentata dai macellai una ulteriore richiesta di bonifico sulla gabella dovuta per la stagione dell’agnellatu- ra, Pio VI decise di istituire una congregazione che non solo stabilisse quali misure fosse opportuno adottare in merito alle istanze dei macellai ma che si occupasse anche, più in generale, di «sistemare le materie di Grascia». Il maggio al tesoriere Ruffo, in quanto competente sulla gabella della scannatura, e al presidente della Grascia fu inviato dal segretario di Stato cardinal Boncompagni un elenco di sei «quesiti»; le loro risposte sarebbero state distribuite agli altri congregati perché fossero adeguatamente informati sui termini della questione. Soltanto il primo dei quesiti era relativo all’opportunità di concedere ai macellai, per la precedente stagione dell’agnellatura, un «abbonamento di Dazio»; altri due quesiti investivano più in generale la questione della gabella, ed erano relativi alla sua equità e al metodo di riscossione; venivano inoltre richiesti chiarimenti circa le «sigurtà» presentate dai macellai per garantire per tutta la stagione continuità nell’esercizio dell’attività. Il quinto quesito era riferito alle «spese e ricavi» dell’attività dei macellai e col sesto si arrivava a chiedere quale fosse «il sistema, e la Misura delle Precettazioni», e se
EMANUELA PARISI fosse necessario e possibile apportarvi delle modifiche. Il foglio contenente i sei quesiti non avrebbe dovuto essere distribuito ad altri che ai congregati, né era previsto che lo fossero i pareri espressi dal presidente della Grascia e dal tesoriere. Le riflessioni stese da Ruffo in risposta ai sei quesiti proposti dal segretario di Stato arrivarono invece nelle mani dei macellai, ed essi si prepararono ad esporre, a loro volta, le proprie opinioni. Per quanto riguarda il primo quesito venne messa in atto un’articolata manovra per provare le perdite subite nella stagio- ne dell’agnellatura. Già nell’agosto i macellai fecero eseguire degli scandagli – o, più esattamente, delle perizie di parte – che la Camera Apostolica si trovò in seguito a definire «ben vaghi», sulla macellazione. Alle perizie dei macellai venne rifiutata validità dal Ruffo, e nel settem- bre fu effettuato uno scandaglio, questa volta con periti scelti dal tesoriere, in un macello in disuso presso Fontana di Trevi. I macellai, a loro volta, criticarono lo scandaglio: il loro computista, Filippo Cameli, tentò di inficiarlo dando conto, con dettagliate argomentazioni, di una perdita di . scudi per la stagione dell’agnellatura del . All’insaputa delle autorità governative, o perlomeno del Ruffo, i macellai – che, a voce, minacciavano una serrata per la Pasqua – si preparavano a dare conto della propria posizione anche in merito agli altri quesiti presentati. Nei dieci mesi che separarono la decisione papale di istituire una congregazione dalla prima seduta della stessa – che, come vedremo, si sarebbe tenuta il aprile del – i macellai ebbero il tempo di affidare le proprie ragioni ad uno dei migliori avvocati romani. In un Memoriale, quindi in un documento ufficiale, prodotto pochi mesi dopo dalla stessa Camera Apostolica si leggeva che invece in tale circostanza gli esponenti dell’autorità statale non avevano ritenuto opportuno «chiamare i Difen- sori del Pontificio Erario» dal momento che, almeno nelle intenzioni del tesoriere, la questione «trattar si doveva fuori di ogni forma giudiziale, e contenziosa». I congregati avrebbero dovuto semplicemente discutere dell’opportunità di concedere ai macellai il bonifico e delle misure da adottarsi per migliorare i meccanismi di approvvigionamento della capi- tale. Il loro ruolo si trasformò invece in quello di collegio giudicante. Nel Memoriale governativo si leggeva infatti che, in tale circostanza, erano state proprio le università dei macellai, dei pizzicaroli e dei norcini, tutte arti dipendenti dal tribunale della Grascia, a voler «trattar tutta la materia in aria litigiosa, e nelle forme più solenni». Pochi giorni prima della data fissata per la seduta dalla congregazio- ne un corposo Memoriale, con relativo Sommario, venne presentato ai congregati a nome dei macellai e degli affittuari dei macelli del ghetto. Vi erano presentate le risposte ai primi cinque quesiti. I macellai vi so-
«BASSE UNIVERSITÀ» E «MASSIME DI GOVERNO» stenevano, naturalmente, la necessità di ottenere il bonifico richiesto, e di abbassare la tariffa della gabella; avanzavano inoltre alcune proposte che avrebbero, a loro parere, portato ad una più semplice esazione della stessa. Il memoriale era stato redatto dall’avvocato Vincenzo Bartoluc- ci, e veniva anche firmato dagli avvocati Roberto Hondedei e Lazzaro Ceccopieri. Ai componenti della congregazione venne sottoposta dall’università dei macellai anche una Perizia che, presentando e commentando i dati relativi allo scandaglio effettuato nell’aprile del , intendeva dimostrare l’entità della «remissione» dei macellai per la stagione precedente. Un altro memoriale venne presentato, sempre dai macellai e dalle università dei pizzicaroli e norcini, e sottoponeva le ragioni delle tre corporazioni in merito al sesto quesito. Al corposo memoriale venne allegato un Ristretto di fatto e di Raggione. La documentazione rintracciata lascia invece intuire una certa fret- tolosità, da parte governativa, nella preparazione dell’incontro: fu solo il marzo , infatti, che la Presidenza della Grascia fece pervenire al tesoriere alcuni fogli circa un possibile metodo da adottare per rendere più facile l’esazione della gabella della scannatura. Il Memoriale dei ma- cellai, inoltre, venne consegnato al Ruffo solo il marzo, e soltanto il dello stesso mese, con un biglietto della segreteria di Stato, egli ricevette la convocazione per la seduta della congregazione, fissata, come già ricordato, per il aprile. Sorpreso perché non credeva che la seduta si sarebbe tenuta in aprile, indignato per il tono con cui nella «ben condita di veleno» scrittura dei macellai si facevano riferimenti a lui e alla sua politica – «non puol essere più indecente la maniera di scrivere del Sig. r Av.to Bartolucci che non so donde sia autorizzato a prendere un tono irrisorio e decisivo in questa materia […] sforzandosi almeno di farmi passare p[er] un imbecille se non per protettore di falsari e calunniatori» – il Ruffo si trovava evidentemente impreparato a controbattere a un tanto articolato apparato. Si rivolse al pontefice perché questi rimandasse l’incontro – «la S. V. conosce il mio impiego e se abbia agio bastante per radunare in pochi momenti ciò che è opportuno per dilucidare gli equivoci del contrario scrittore» – spiegando che il lavoro preparatorio che egli da tempo portava avanti – «ho fatto venire da tutta Italia le diverse maniere di amministrazione di Grascia di tutte le pr.[inci]pali città» – non si sarebbe potuto portare a termine in maniera adeguata in pochi giorni. Egli confessava apertamente che, senza un differimento della seduta, non avrebbe saputo «a qual partito appigliarmi». Il marzo , con una lettera indirizzata al Ruffo, Pio VI di fatto escluse ogni possibilità di posticipare l’incontro. «Se Lei – osservava il pontefice – non ha tempo di rispondere alla Scrittura dei Macellari, cre-
EMANUELA PARISI do, che Noi ne abbiamo egualmente meno di rispondere al suo, recatoci nel momento, che andavamo per dir Messa». Pio VI si rifiutò, dunque, di intervenire personalmente per rimandare la seduta: al Ruffo fu consi- gliato di rivolgersi a un avvocato, di fargli stendere un memoriale in cui si desse conto della necessità di una dilazione, di procedere, insomma, seguendo il normale iter. Il pontefice concludeva la breve lettera, quasi a voler giustificare la premura con cui la congregazione era stata convocata, osservando: «ciò che spaventa si è, che si minaccia di non aprire i Macelli, e quando non fosse d’interesse dei Macellari il farlo, lo farebbero a bella posta con loro discapito». La seduta della congregazione non venne quindi rimandata. Tutto quello che la dogana della Grascia fu in grado di opporre in tale circo- stanza a quanto esposto dai macellai fu un Memoriale per la Dilazione firmato da Nicola Maria Nicolai. Il Ruffo, dal canto suo, aveva stilato delle Osservazioni – di sole pagine – relative a tutti i sei quesiti. Almeno un paio di pagine delle Osservazioni del Ruffo erano dedicate a motivare la necessità di un rinvio delle decisioni in merito alle più impor- tanti questioni in discussione, quelle cioè relative alla precettazione. Alla seduta della congregazione partecipavano l’uditore di Camera monsignor Rusconi – in sostituzione del camerlengo, cardinale Rezzonico – il segretario di Stato, cardinal Buoncompagni, e il cardinale Carandi- ni, prefetto del Buon Governo, monsignor Riganti – in sostituzione di Albani, uditore della Camera, assente da Roma – il tesoriere Ruffo, il prefetto dell’Annona monsignor Della Porta, il presidente della Grascia monsignor Rinuccini e monsignor Campanelli, che ricopriva la carica di uditore papale. La congregazione concesse ai macellai un bonifico di diecimila scudi, una riduzione sulla gabella per le «bestie» e le «assecca- ticcie» e rimandò a una successiva seduta ogni decisione in merito agli altri quattro quesiti. Le autorità ebbero modo di meglio organizzarsi durante l’estate; tra l’altro il cardinale Carandini e il tesoriere Ruffo si incontrarono in luglio per discutere le questioni rimaste in sospeso. La successiva seduta della congregazione, composta, questa volta, dai cardinali Borromei, Carandini e Campanelli, dall’uditore di Camera monsignor Rusconi, e dai monsignori Albani, Ruffo, Della Porta e Gavotti, si tenne il settembre. La Camera Apostolica era stata in grado di presentare il più volte citato Memoriale – redatto da Giuseppe Benetti «Avvocato del Sagro Concistoro, del Fisco, e della RCA» e da Giacomo Borsari «primo sostituto Commissario» della Camera Apostolica – nonché una Risposta ad alcune opposizioni presentate dalla controparte. Il Ruffo per l’occasione aveva stilato una seconda Memoria, questa volta più corposa della precedente,
«BASSE UNIVERSITÀ» E «MASSIME DI GOVERNO» interamente dedicata alla questione della precettazione. Interessate alla questione della precettazione – e, naturalmente, favorevoli alla sua abolizione – intervennero le comunità delle province dell’Umbria, Patri- monio, Sabina, Lazio, Marittima, e Campagna, pure con un Memoriale; gli affidati e gli agricoltori, a loro volta, sottoposero alla congregazione un Memoriale, un Sommario, ed una Risposta con Sommario addizionale. La presidenza della Grascia, di fatto contraria all’abolizione della pre- cettazione, ritenne, di nuovo, opportuno presentare un Memoriale per la Dilazione; favorevoli a una dilazione della decisione si dicevano, in un Memoriale di sole due pagine, anche i macellai, i quali, raggiunto ormai l’obiettivo del bonifico avevano tutto l’interesse ad evitare – o almeno a posticipare – l’abolizione della precettazione. Esula dai limiti di questo lavoro analizzare i termini del dibattito. Ci si limiterà tuttavia a ricordare una delle principali argomentazioni utilizzate dai macellai in difesa della precettazione. Togliere agli affidati l’obbligo di portare in campo gli agnelli nelle prime settimane dopo la Pasqua avrebbe significato introdurre «una innovazione più grande», cioè liberare i macellai dall’obbligo di tenere nelle proprie botteghe, nello stesso periodo dell’anno, carne di agnello a disposizione dei consumatori. Una «alterazione così grande» avrebbe certamente costituito «un grande urto alla Opinione Popolare, la quale – si osservava – merita una gran considerazione». La congregazione espresse, come è noto, parere favorevole all’aboli- zione della precettazione. Il voto non fu unanime: la proposta di abolizione della precettazione degli agnelli, dei maiali e dell’olio e dell’introduzione del metodo di approvvigionamento promossa dal cardinale Borromei venne appoggiata soltanto da cinque degli otto votanti; favorevoli a un’ulteriore dilazione della questione si dissero invece Campanella e i presidenti dell’Annona e della Grascia Della Porta e Gavotti. Quest’ul- timo, anzi, recatosi personalmente dal pontefice il giorno successivo, gli rivolse la richiesta di una nuova seduta; il papa «denegavit». Il settembre veniva promulgato l’Editto concernente alcuni nuovi Regolamenti in ordine alla Grascia di Roma. Poco tempo dopo, il ottobre di quello stesso anno, il segretario di Stato, Buoncompagni, diede le dimissioni dalla carica che ricopriva dal . La sua decisione, è stato ipotizzato, aveva con tutta probabilità avuto origine dal suo disaccordo con le posizioni del Ruffo. Fili spezzati: i «nuovi» inefficaci «regolamenti»
EMANUELA PARISI e il ritorno a un «antico odiato uso» L’editto, firmato dal camerlengo Rezzonico, aboliva la precettazione degli agnelli, dei maiali, dell’olio, “liberalizzando” quindi il commercio di tali generi; l’unico vincolo imposto ai produttori era la proibizione di esportare dallo Stato «senza le dovute licenze». Per garantire nell’anno successivo una sufficiente disponibilità sul mercato romano di carne agnellina, tuttavia, i mercanti di campagna e gli affidati si sarebbero dovuti formalmente obbligare a condurre al mercato agnelli «con abbondanza» nelle prime tre settimane della stagione dell’agnellatura. A macellai e pizzicaroli veniva fatto obbligo di presentare una fidejussione «reale, ed idonea» che permettesse loro di rifornire adeguatamente i propri spacci; inoltre era prescritta ai primi una «obbligazione particolare» con la quale si impegnassero a tenere nelle botteghe «conveniente provvista» di carne d’agnello nelle prime tre settimane dopo la Pasqua. Il prezzo massimo di vendita al pubblico dei generi di Grascia interes- sati dal provvedimento avrebbe continuato ad essere fissato dalle autorità; ci si preoccupò di predisporre strumenti che le avrebbero messe in grado di farlo a ragion veduta. L’editto, infatti, prevedeva l’apertura di quattro macelli e di altrettante pizzicherie «normali», gestite direttamente dalla Camera Apostolica. Sarebbe così stato possibile «tenere ben regolati li macelli, e le pizzicherie già esistenti» perché le autorità avrebbero avuto a disposizione strutture pubbliche dalle quali trarre «una notizia esatta delle spese, e dei ricavi» per poter poi procedere alla «fissazione della tariffa dei prezzi». Al Ruffo veniva espressamente affidato il compito di «formare […] un piano per semplificare il complicato metodo della esigenza delle gabelle relative alla grascia». Da ultimo, pochi giorni dopo la promulgazione dell’editto, il set- tembre , una congregazione particolare metteva a punto precisazioni relative al prezzo degli abbacchi, alla diminuzione del prezzo dell’olio e circa le carni fresche degli «animali neri», i maiali. L’abolizione della precettazione non aumentò la disponibilità di carne in città: negli anni immediatamente successivi, infatti, si riscontrarono difficoltà nel reperire sul mercato romano carni ovine e suine. Tali difficoltà erano dovute, si leggeva in un bando del , al fatto che i produttori erano disincentivati a condurre bestiame in città per via dell’opera di «monopolij» posti in essere dai membri delle corporazioni dei macellai e dei norcini che offri- vano troppo poco per l’acquisto del bestiame. Costringere i mercanti a cedere gli animali a prezzi eccezionalmente bassi o a riportarli fuori dalle mura cittadine era una tecnica adottata per realizzare «il disegno, che da alcuno si hà, di volere ad ogni costo, e col pretesto d’inconvenienti affatto estranei dalla nuova Legislazione, che si rimetta in vigore l’enunciato
«BASSE UNIVERSITÀ» E «MASSIME DI GOVERNO» antico pregiudicievole sistema della Precettazione». Il provvedimento del non sembra aver ottenuto gli effetti sperati, né, d’altra parte, allentò la situazione di forte conflittualità che aveva accompagnato – se non provocato – la sua adozione. Nei primi anni Novanta ebbe luogo una decisa ripresa dell’attività dell’università dei macellai che, nel , sarebbe sfociata in uno scontro con la Presidenza della Grascia. La lite, che, sul piano formale, coinvol- geva oltre alla Presidenza della Grascia la sola università dei tripparoli, investiva, però, più in generale, l’intero sistema dei sequestri, alla base del meccanismo di riscossione della gabella della scannatura. Già nel i macellai avevano presentato una supplica al pontefice in cui reclamavano perché, contrariamente a quanto prescritto dagli sta- tuti della loro corporazione, i consoli dell’arte venivano scelti, ormai da diversi decenni, dalla Presidenza della Grascia. Nella supplica i macellai chiedevano anche di visionare «il rendimento de’ conti del Magazzino de’ Grassi» – dal punto di raccolta e di vendita dei grassi animali gestito della Grascia – che, si ricordava, era stato eretto «a tutte spese dell’Arte de’ Macellari». Un rescritto papale del ottobre aveva rimesso le due questioni alla congregazione particolare deputata sulla Grascia. La congregazione, radunatasi il novembre dello stesso anno, rimise a sua volta ogni decisione in merito al presidente della Grascia. Egli si rifiutò di permettere ai macellai di tornare ad eleggere i consoli dell’arte, e negò loro anche la possibilità di visionare il rendimento dei conti. Una nuova supplica dei macellai al pontefice, una nuova seduta della congregazione (il marzo ), non fecero altro che riconfermare quanto disposto in precedenza: i congregati ribadirono il fatto che ogni decisione in merito alla questione avrebbe dovuto essere presa dal presidente della Grascia. Convinti invece del fatto che quest’ultimo, in quanto «parte principale di questo Giudizio», non poteva essere «legitimo Giudice in causa propria» i macellai decisero di istruire una causa. Vi furono, in tale circostanza, altre istanze presentate alla congrega- zione da parte dell’università dei macellai. Esse sono indicative di come la corporazione fosse indebolita: si chiedeva l’«esibizione dei libri della Università», ai quali avevano accesso i soli consoli di nomina governativa; si chiedeva, inoltre, il «permesso di adunarsi nella Chiesa, e nel luogo solito dell’Università» dal momento che ormai la prassi prevedeva «che senza il permesso della Presidenza, non possa l’Università adunarsi nella sua propria Chiesa». Se la corporazione dei macellai era, all’epoca, indebolita, anche il Ruffo, che tanto l’aveva combattuta, si trovò a dover fronteggiare, negli anni Novanta del secolo, gravi difficoltà. Il febbraio egli venne sostituito nella carica di tesoriere. Discusso e odiato – in un promemo-
EMANUELA PARISI ria si ricordava che egli era stato «in Roma insultato pubblicamente» – egli dovette assistere al fallimento di molte delle iniziative che aveva sostenuto e promosso. L’esperienza della gestione camerale dei macelli e delle pizzicherie normali, la cui istituzione era stata sancita con l’editto del settembre , non aveva sortito gli effetti sperati. Il loro definitivo smantellamento venne messo in atto solo nel quando la gabella della scannatura fu concessa in appalto a privati. La grave situazione di crisi in cui versavano i macelli e le pizzicherie normali era stata già in precedenza evidenziata. In alcuni «fogli di riflessione» la situazione di tali strutture veniva emble- maticamente commentata dal nuovo tesoriere Della Porta richiamando la «massima purtroppo comprovata dalla prattica, che le Amministrazioni per conto dell’Erario riescono per lo più dannose». I macelli normali, gestiti dalla Camera Apostolica avevano prodotto, in cinque anni di attività, un «discapito» di più di . scudi. Anche un’altra tra le indicazioni programmatiche che comparivano nell’editto del settembre non ebbe esito positivo, proprio quella con cui si assegnava al tesoriere Ruffo l’incarico di «formare […] un piano per semplificare il complicato metodo della esigenza delle gabelle relative alla grascia». Nessun provvedimento innovativo venne infatti adottato in merito alla gabella della scannatura. Dopo una dibattuta fase di elaborazione nel si decise di ritornare – dopo più di cinquanta anni di gestione camerale della gabella – alla sua concessione, sia pure parziale, in appalto a privati, stipulando un contratto con la Società dei mercanti. Negli anni immediatamente successivi la disponibilità di bestiame sul mercato romano era drasticamente diminuita. Dopo ventidue mesi la Società, constatata una avvenuta «mutazione nello stato delle cose» si trovava a chiedere la rescissione del contratto. La grave situazione degli approvvigionamenti, d’altro canto, aveva già portato nel , proprio su sollecitazione della Società dei mercanti, a una parziale reintroduzione della precettazione, messa in atto con un chiro- grafo papale in cui si richiamavano le «molte cause permanenti combinate colle imprevedibili sopravvenute vicende, e colle straordinarie circostanze dei tempi presenti» che avevano portato alla scarsezza di bestiame sul mercato romano. La situazione veniva considerata di estrema gravità non solo per le perdite che dovevano subire gli appaltatori, ma anche perché si temeva il «pericolo del Disgusto del Popolo per la mancanza del Genere». Venne introdotto nell’Agro e nel distretto di Roma – le stesse zone in precedenza interessate alla precettazione – un sistema che obbligava gli allevatori a mettere a disposizione per l’approvvigionamento della città delle «giuste quote» del loro bestiame fissate d’autorità.
«BASSE UNIVERSITÀ» E «MASSIME DI GOVERNO» Lo stesso giorno in cui si firmava la pace di Tolentino, il febbraio , si sanciva, anche sul piano formale, la cancellazione del più innova- tivo tra i provvedimenti che con le tormentate sedute della congregazione sulla Grascia del si erano introdotti. Con un editto promulgato in quella data, si ricordava in un documento di pochi anni successivo, Pio VI dovette «tacitamente derogare allo stesso suo moto proprio, e permet- tere che il Presidente della Grascia ritornasse all’antico odiato uso della precettazione». Un anno dopo le truppe francesi entravano a Roma. La situazione di emergenza, il convulso procedere degli eventi non resero di fatto possibile – nella «breve e tormentata esistenza della Repubblica Romana» – una applicazione della politica economica liberista che, in linea di principio, i governanti romani – e gli occupanti francesi – avrebbero voluto avvia- re. Solo a partire dal nuovi e più drastici provvedimenti avrebbero promosso una radicale riforma della Grascia. Il processo faticosamente avviato con l’editto del è quindi solo uno dei tanti fili spezzati della storia del riformismo pontificio settecen- tesco, e l’abolizione della precettazione degli agnelli può essere con tutta probabilità considerata un provvedimento tardivo e inefficace. L’analisi della tormentata fase di elaborazione di quel provvedimento, tuttavia, offre non pochi spunti di riflessione utili, in particolare, ad una valuta- zione del ruolo politico delle corporazioni nello Stato pontificio ancora a pochi anni dai provvedimenti che ne avrebbero parzialmente sancito l’abolizione e in un’epoca di ridefinizione della dialettica politica. Si leggeva, sempre nel Memoriale presentato dalla Camera Apostolica per la congregazione del settembre , che le università dei macellai dei pizzicaroli e dei norcini, anziché limitarsi a intervenire in merito al «proprio Interesse borsale» si erano arrogate la facoltà, «non si sà con qual veste, e da chi autorizzati, di parlare decisivamente delle Massime di Governo, del Diritto delle Gabelle, del Sistema della Magistratura della Grascia, della necessità delle Precettazioni, e di cento altre cose, che non già a quelle basse università, ed ai loro Individui, ma bensì ai Presidi del Sovrano destinati ai rispettivi ripartimenti delle Gabelle e della Grascia soltanto appartenevano». Una delle importanti questioni sul tappeto in occasione delle sedute della congregazione del fu proprio quella relativa alla capacità delle «basse università» di tutelare sia gli interessi di coloro che rappresentavano sia quelli generali, di intervenire in meri- to ai principi di governo, di presentarsi alle autorità come interlocutori autorevoli. Che quella fosse una questione di tutt’altro che basso rilievo è testimoniato dalla ripresa che venne fatta delle espressioni che compa- rivano nel memoriale governativo nell’ultimo Memoriale presentato in quell’anno dai macellai. Essi asserivano: «non rechi ad alcuno meraviglia
EMANUELA PARISI se le università de Macellari, Norcini e Pizzicaroli ed insieme gl’Affittuari delli Macelli del Ghetto ardiscono anche loro di presentare à questo Augusto Consesso il presente Memoriale», ma al contempo precisavano di non avere mai «preteso, […] di voler […] parlare decisivamente delle Massime di Governo, del diritto della Gabella, del Sistema della Magistra- tura della Grascia, della necessità della Precettazione». I macellai dimostrarono dunque una decisa capacità di approfittare degli spazi di manovra loro offerti se non di provocare essi stessi una opportunità per esprimere le proprie istanze. Il loro intervento aveva portato il Ruffo a elaborare le proprie proposte in condizioni di urgenza: di fatto la Presidenza della Grascia e, soprattutto, il tesoriere si erano trovati a dover rincorrere l’agguerrita azione portata avanti proprio da una delle «basse università». È però anche ipotizzabile il consapevole tentativo, da parte degli uomini di governo, di proporre e sostenere la propria linea politica uti- lizzando in maniera strumentale proprio le istanze dei corpi di mestiere; il segretario di Stato Boncompagni aveva coinvolto i macellai, offrendo loro la possibilità di scagliarsi contro la «folla di novatori» che si accin- geva a smantellare il sistema della Grascia; il Ruffo, dal canto suo, si era appoggiato agli allevatori. Un altro elemento che, da ultimo, conviene sottolineare è il fatto che, dalla documentazione esaminata, emerge una particolare attenzione a valori che avevano una consolidata tradizione e che facevano parte del patrimonio culturale degli oppositori delle riforme ma anche dei loro interlocutori, cardini di quella politica annonaria che era, a Roma come altrove, anche uno strumento di controllo sociale. Tra i principi animatori della politica di riforma, tra gli elementi che venivano reputati fondamentali nella definizione delle «massime di governo» formulate dai «novatori» continuavano ad esservi antiche considerazioni: non bisogna, ad esempio, dimenticare quanto pesò nel la preoccupazione di soddisfare nella incipiente stagione dell’agnel- latura il bisogno popolare di carne di agnello. Quella carne di fatto era da annoverarsi, come si leggeva ancora nell’editto del settembre, tra le «carni di lusso». Purtuttavia, preoccupazione dei legislatori fu quella di garantirne la disponibilità nella capitale a prezzo contenuto. Non sbaglia- vano, dunque, gli avvocati dei macellai ad utilizzare come fondamentale argomento la possibilità di un grande «urto alla Opinione Popolare». Note . E. Piscitelli, La riforma di Pio VI e gli scrittori economici romani, Feltrinelli, Milano , p. . Oltre al volume citato restano fondamentali per un inquadramento problemati- co della questione del riformismo settecentesco nello Stato pontificio L. Dal Pane, Lo Stato
«BASSE UNIVERSITÀ» E «MASSIME DI GOVERNO» Pontificio e il movimento riformatore del ’, Giuffrè, Milano ; E. Piscitelli, Fabrizio Ruffo e la riforma economica dello Stato Pontificio, in “Archivio della Società Romana di Storia Patria”, LXXIV, , pp. -; F. Venturi, Elementi e tentativi di riforme nello Stato Pontificio del Settecento, in “Rivista storica italiana”, LXXV, , , pp. -. . Sono poche le notizie disponibili sulla nascita della Grascia, istituzione che aveva progressivamente sottratto all’autorità municipale il compito di garantire l’approvvi- gionamento di carne della città, nel XVI secolo di competenza dei «militi grascieri» di Campidoglio. Le funzioni della Grascia sono meglio definite per i secoli successivi, pro- prio grazie all’esistenza del consistente corpo documentario prodotto in occasione delle riforme degli anni Ottanta del Settecento. Tra le fonti coeve utili alla definizione delle sue competenze nel XVIII secolo cfr. il «Trattato sopra il Presidentato della Grascia di Demetrio Andretti», voll. (Archivio di Stato di Roma – d’ora in poi ASR –, Biblioteca, mss. -); il manoscritto, non datato, fu con tutta probabilità redatto alla fine degli anni Cinquanta del secolo; alcune pagine presentano comunque delle annotazioni a margine in cui si dà conto di provvedimenti risalenti alla prima metà del decennio successivo. Le notizie fornite dal «Trattato» dell’Andretti sono state utilizzate e opportunamente integrate da M. D’Ame- lia, La crisi di un mercato protetto: approvvigionamento e consumo della carne a Roma nel XVIII secolo, in “Mélanges de l’Ecole Française de Rome. Moyen Age, Temps Modernes”, , , pp. -; al Trattato si rifà esplicitamente anche M. G. Pastura Ruggiero, La Reverenda Camera Apostolica e i suoi Archivi (secoli XV-XVIII), Archivio di Stato di Roma, Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica, Roma , in particolare alle pp. -. Per un quadro riassuntivo dei processi attraverso i quali Roma veniva rifornita di generi alimentari cfr. J. Revel, Les privilèges d’une capitale: l’approvisionnement de Rome à l’époque moderne, in “Mélanges de l’Ecole Française de Rome. Moyen Age, Temps Modernes”, , , pp. -; una più dettagliata presentazione dei meccanismi di funzionamento del sistema annonario romano, ricca di riferimenti anche alla Presidenza della Grascia, in D. Strangio, Crisi alimentari e politica annonaria a Roma nel Settecento, Istituto nazionale di Studi Romani, Roma , in particolare pp. -. . Tale data costituiva il limite massimo per la stagione dell’agnellatura, ma in anni di Pasqua bassa la stagione poteva terminare anche più di dieci giorni prima. La carne vaccina veniva invece venduta dall’ultimo venerdì prima di San Giovanni fino alla Quare- sima dell’anno successivo e la carne suina fresca da novembre fino a giovedì grasso. Sulla “stagione” nel mercato della carne romano cfr. D’Amelia, La crisi di un mercato protetto, cit.; per un confronto con altre città dello Stato ecclesiastico, cfr. l’esempio dell’«anno macellaresco» bolognese, sul quale si regolavano la macellazione e la vendita della carne bovina, e che andava dalla Pasqua al giovedì grasso dell’anno seguente (A. Guenzi, La carne bovina: consumi, prezzi e controllo sociale nella città di Bologna (secc. XVII e XVIII), in Popolazione ed economia dei territori bolognesi durante il Settecento, Istituto per la storia di Bologna, Bologna , pp. -). . Il Nuovo regolamento di libero commercio sulla Grascia fu pubblicato col Motu proprio “Le più colte Nazioni d’Europa” dell’ marzo (ASR, Camerale II, Grascia, b. ). Come è noto il processo di soppressione delle corporazioni a Roma era stato avviato col Motu proprio del settembre , con cui fu stabilita la libertà di commercio dei grani, che sanciva l’abolizione dell’università dei fornai; l’editto del dicembre del pro-camerlengo, cardinale Giuseppe Doria Pamphili, avrebbe poi esteso anche ad altre arti le disposizioni già praticate per quelle dipendenti dall’Annona e dalla Grascia. La legislazione abolizionista negli Stati preunitari è stata trattata da Luigi Dal Pane nel volume su Il tramonto delle Corporazioni in Italia, Istituto per gli studi di politica in- ternazionale, Milano (riferimenti all’abolizione delle corporazioni romane alle pp. -); e, successivamente, in Id., Storia del Lavoro in Italia dagli inizi del secolo XVIII al , Giuffrè, Milano , in particolare pp. -. Il tema è stato approfondito e seguito nei suoi sviluppi ottocenteschi in E. Lodolini, Le ultime corporazioni di Arti e Mestieri, in Problemi economici dall’antichità ad oggi, Giuffrè, Milano , pp. -, e in Id., Il
EMANUELA PARISI tentativo di Pio IX per la ricostituzione delle corporazioni (), in “Rassegna storica del Risorgimento”, , pp. -. . D. Sacchinelli, Memorie storiche della vita del Cardinale Ruffo, Tipografia Carlo Cataneo, Napoli , p. . . Sul ruolo di Ruffo nel movimento di riforma economica di Pio VI il riferimento fon- damentale è ancora Piscitelli, Fabrizio Ruffo, cit., pp. -. Il saggio, che analizza diversi aspetti dell’attività del tesoriere – la riforma tributaria, le misure attuate per fronteggiare la crisi monetaria, e i provvedimenti adottati per favorire l’industria e l’agricoltura – non pone, naturalmente, in particolare rilievo le tappe dell’azione da questi operata nei con- fronti della Grascia. La fase preparatoria dell’abolizione della precettazione è comunque rapidamente – e con alcune imprecisioni – accennata a p. . Spunti e osservazioni già presenti nello studio sopra citato furono ripresi e parzialmente approfonditi dall’autore in La riforma di Pio VI, cit. Per alcune notizie biografiche sul Ruffo cfr. anche G. Moroni, Dizionario di erudizione Storico-Ecclesiastica da S. Pietro fino ai nostri giorni, voll., Tipografia emiliana, Venezia -, vol. LIX, , pp. -, che si rifà esplicitamente a Sacchinelli, Memorie storiche, cit.; per la spedizione di Ruffo A. M. Rao, La Repubblica napoletana del , in G. Galasso (a cura di), Storia del mezzogiorno, vol. IV, Edizioni del sole, Roma , pp. -; sull’importante ruolo svolto dal Ruffo nella prima Restaura- zione pontificia cfr. quanto osservato da M. Caffiero, Perdono per i giacobini, severità per gli insorgenti, in A. M. Rao (a cura di), Folle controrivoluzionarie. Le insorgenze popolari nell’Italia giacobina e napoleonica, Carocci, Roma , pp. -, p. . . Gli «affidati» erano i proprietari delle greggi che pascolavano nell’Agro romano. Erano organizzati anch’essi in corporazione, l’università degli Affidati della Dogana del Patrimonio (cfr. A. Martini, Arti, mestieri e fede nella Roma dei Papi, Cappelli, Bologna , p. e passim). . Mancano studi approfonditi sulla corporazione romana dei macellai; di scarsa utilità è R. Zezzos, Storia dei macellari romani, La stampa zootecnica, Roma . I primi statuti di cui si abbia notizia risalgono al ; si ha inoltre notizia degli Statuti del , di tre revisioni tra il e il . Al risale la nascita della confraternita di Santa Maria della Quercia, che godeva del privilegio di liberare ogni anno, in occasione della festa dell’Assunta, un condannato a qualsiasi pena; oltre che nelle consuete pratiche devozio- nali, la confraternita si impegnava nello svolgimento di attività caritative e assistenziali che prevedevano anche l’assegnazione di doti alle zitelle: nel , ad esempio, ne vennero distribuite sei, del valore di , scudi ciascuna (le quietanze sono reperibili in ASR, Trenta Notai Capitolini, uff. , notaio De Sanctis, c. , febbraio; c. , marzo; c. , giugno; c. , luglio; c. , settembre; c. , ottobre). . Rispettivamente nel , nel , nel , nel ; Zezzos, Storia, cit., pp. ss. . Alla Sagra Congreg. Particolare Deputata Dalla Santità di Nostro Signore Pio PP. Sesto Ad Referendum... Romana per L’Università dei Macellari di Roma, Memoriale Addiz. con Somm., Lazzarini, Roma (ASR, Camerale II, Arti e Mestieri, b. ); corsivo nel testo. La questione dell’effettivo trasferimento delle competenze su alcune delle corporazioni di arti e mestieri dalle autorità capitoline al governo centrale nel Settecento potrebbe costituire un elemento non irrilevante per l’interpretazione della dialettica politica a Roma in età moderna; tale questione sembra essere stata tuttavia trascurata dai pur numerosi studi che negli ultimi anni sono stati dedicati alle corporazioni romane. Per alcuni recenti contributi in tal senso cfr. il fascicolo di “Roma moderna e contemporanea” dedicato a Corporazioni e gruppi professionali a Roma tra XVI e XIX secolo (, VI, ) e gli aggiornati riferimenti bibliografici ivi presenti; un accenno alla trasformazione delle forme di con- trollo esercitate dalle autorità capitoline sulle corporazioni in G. Mentonelli, Gli statuti delle università romane di arti e mestieri conservati nell’Archivio Storico Capitolino, ivi, pp. -, p. n. . In una Nota delle spese, che occorrono per la sussistenza, e manutenzione di un
«BASSE UNIVERSITÀ» E «MASSIME DI GOVERNO» Macello mediocre, e delle Tasse solite pagarsi annualmente ogni settimana da ciascun Ma- cellaro di Roma del vi era la voce: «onorario al curiale dell’Arte, e spese de liti»; la spesa settimanale per ciascun macellaio era calcolata in bajocchi, mezzo bajocco in più di quanto era dovuto settimanalmente per la tassa della chiesa. Cfr. Alla Sagra Congreg. Particolare Deputata Dalla Santità di Nostro Signore Pio PP. Sesto Ad Referendum... per L’Università dei Macellari di Roma, Sommario della Perizia del Signor Filippo Cameli Com- putista, Lazzarini, Roma , n. (ASR, Camerale II, Arti e Mestieri, b. ). . L’università aveva comunque alle spalle una plurisecolare tradizione che la carat- terizzava come corpo particolarmente bellicoso e indisciplinato; fin dal Cinquecento si ha notizia di accuse di riottosità o di «arroganza» rivolte ai macellai, di punizioni esemplari loro inflitte oltre che per aver venduto carne avariata anche per comportamenti violenti. Nel , ad esempio, le intemperanze dei macellai nel corso della processione del agosto portarono alla «occisione di diversi cittadini»; il testo del decreto del agosto emanato dalle autorità cittadine per punire l’università in Archivio Storico Capitolino (d’ora in poi ASC), Camera Capitolina, cred. I, t. : «Decreti di Consigli, Magistrati e Cittadini Romani dal al », cc. r-v. Per altri esempi cfr. A. Martini, Arti, cit., p. , pp. ss. . Per le norme che regolavano l’attività della corporazione cfr. «Statuta artis ma- cellariorum de Urbe et Societatis Sancta Maria super Quercu» (ASC, Camera Capitolina, cred. XI, t. ). L’elenco degli ufficiali dei Macellai nominati dalla Presidenza della Grascia negli ultimi decenni del Settecento è reperibile in ASR, Segretari e Cancellieri della RCA, vol. , cc. ss. . Notava il Ruffo che «in caso di decadenza del macellaro, durante la stagione del suo obbligo, non vi è chi antisti al mantenimento del macello medesimo, ed al pagamento della gabella, e questi casi di decadenza sono sempre stati assai frequenti, come si rileva dalla nota delle vistose somme, che la camera ha dovuto perdere per un lungo elenco di macellari falliti» (Osservazioni di Monsignor Fabrizio Ruffo Tesorier Generale della Santità di Nostro Signore Pio Papa Sesto alla Sagra Congregazione particolarmente deputata Dalla stessa Santità Sua a riferire sopra alcuni interessanti oggetti relativi alla Grascia, Stamperia della Rev. Camera Apostolica, Roma , ristampate come Memoria prima in Memorie economiche di Monsignor Fabrizio Ruffo Tesoriere generale della R.C.A. su varj articoli concernenti l’approvvigionamento delle grascie per Roma, Cesena, Eredi Biasini, , p. XXI). Il tesoriere raccomandava anche di verificare con attenzione le fidejussioni presentate dai macellai. . Per le Notificazioni annuali che invitavano i macellai a contrarre obbligazioni cfr., per tutto il XVIII secolo, ASR, Biblioteca, Bandi, bb. -. Le obbligazioni dei singoli macellai nell’arco di tempo preso in considerazione dalla ricerca venivano registrate negli atti del notaio Selli, uno dei quattro segretari di Camera all’epoca attivi a Roma (i protocolli sono reperibili nel fondo Segretari e Cancellieri della RCA dell’Archivio di Stato di Roma). Dalla Nota delle spese, che occorrono per la sussistenza, e manutenzione di un Macello mediocre, e delle Tasse solite pagarsi annualmente ogni settimana da ciascun Macellaro di Roma, cit., risulta che nel ogni macellaio spendeva bajocchi per «obbligarsi» davanti al notaio. . Con un biglietto del marzo inviato ai Capi d’Arte della corporazione dei macellai alla vigilia di un’adunanza il presidente della Grascia Gavotti si dichiarava «stanco di più sentire le doglianze del pubblico di Roma sopra la mala fede dei macellari» in merito al peso e alla qualità della carne; informava inoltre i Capi d’Arte circa i suoi «risoluti e fermi sentimenti»: i macelli avrebbero dovuto essere aperti «unicamente da quei, che si ritrovano nella possibilità di esercitare l’arte» e nel caso in cui «da qualcuno non si conti- nuasse, e che dopo questo dovesse abbandonare il Macello stesso e chiuderlo» si sarebbe provveduto contro di lui comminando «pene personali»; dal momento che, osservava il presidente «il pregiudizio si risente dal Pubblico, così pubblico, e personale dovrà essere il castigo». Cfr. ASR, Segretari e Cancellieri della RCA, vol. , cc. ss. . Sull’origine della gabella e sul suo contributo alle entrate della città di Roma fino
Puoi anche leggere