Barbero, le donne e quel dogma dei cervelli identici - Fondazione ...

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Barbero, le donne e quel
dogma dei cervelli identici
written by Marco Del Giudice | 26 Ottobre 2021
Rapida e puntuale come un riflesso condizionato, è scoppiata
la polemica sulle differenze di genere, stavolta a seguito di
una domanda “eretica” dello storico Alessandro Barbero: “vale
la pena di chiedersi se non ci siano differenze strutturali
fra uomo e donna che rendono a quest’ultima più difficile
avere successo in certi campi. È possibile che in media, le
donne manchino di quella aggressività, spavalderia e sicurezza
di sé che aiutano ad affermarsi?”

Queste   parole   hanno   scatenato   uno   tsunami   di   commenti
scandalizzati su giornali e media, con toni variabili tra
l’indignazione e il compatimento. Tra le tante risposte, mi è
stata segnalata quella di Antonella Viola, immunologa con un
dottorato in biologia evoluzionistica e quindi dotata di una
voce autorevole con cui dare pareri sulla questione delle
differenze biologiche tra maschi e femmine. In un articolo
uscito sulla Stampa, la prof.ssa Viola liquida come una
“stupidaggine colossale” l’idea che il successo lavorativo nel
mondo contemporaneo possa essere influenzato da differenze
biologiche. Prosegue affermando che “dal punto di vista
strutturale e funzionale, i cervelli di uomini e donne si
somigli[a]no moltissimo”, e che “quando si analizza il
cervello, a meno di non studiare i neonati, è impossibile
distinguere il contributo del sesso da quello del genere”,
attribuendo quest’ultimo agli stereotipi culturali. Anche
ammettendo che esistano differenze nella personalità di maschi
e femmine, queste sono dovute all’azione degli stereotipi a
partire dall’infanzia, non certo a predisposizioni biologiche.
Per finire, le disparità di genere nel mondo del lavoro non
riflettono le differenze psicologiche tra i sessi ma “una
storica gestione del potere da parte degli uomini, che hanno
definito il gioco e le sue regole fino a pochissimo tempo fa”.
La prof.ssa Viola è una scienziata eccellente e una
divulgatrice di primo piano. È un peccato notare che queste
affermazioni, presentate come verità assodate, non
rispecchiano tanto lo stato della ricerca scientifica in
questo campo quanto certi dogmi ideologici di vecchia data,
cristallizzati nel femminismo a partire almeno dagli anni ’70
e in alcuni casi da più di un secolo. Che questi preconcetti
continuino a circolare in modo acritico anche tra scienziati e
intellettuali di livello testimonia quanto la narrazione sulle
questioni di sesso e genere sia diventata semplicistica e
distorta, anche sulla scia delle accuse di “neurosessismo”
lanciate da ricercatrici e divulgatrici femministe come
Cordelia Fine, Gina Rippon, Angela Saini e altre. Questa
visione del mondo, che dipinge il cervello come una tabula
rasa su cui la cultura incide i suoi stereotipi e pregiudizi,
può esercitare un grande fascino su chi ha a cuore valori di
giustizia e uguaglianza. Lo so bene anche perché ci sono
passato nel corso della mia formazione, prima di cominciare a
capire che l’evidenza puntava da un’altra parte e che esisteva
un modello alternativo in grado di integrare la psicologia
delle differenze di genere con i dati dell’antropologia, della
biologia e delle neuroscienze all’interno di una cornice
evoluzionistica. Un modello che non è solo meglio fondato dal
punto di vista scientifico ma che a mio parere si rivela anche
molto più interessante, sofisticato, e rispettoso della realtà
psicologica di uomini e donne.

Nel resto di questo articolo rispondo, in estrema sintesi, ai
punti sollevati dalla prof.ssa Viola, che rappresentano bene
il modello a “tabula rasa” delle differenze di genere. Per
ogni punto cerco di offrire una breve panoramica di quello che
è lo stato dell’arte della ricerca, con l’obiettivo di
ampliare lo spazio della discussione e offrire una prospettiva
alternativa. Per non appesantire la lettura, i riferimenti
bibliografici si trovano alla fine dell’articolo. A chi
volesse approfondire questi e altri aspetti delle differenze
di genere, consiglio lo splendido libro di David Geary Male,
Female: The Evolution of Human Sex Differences, che purtroppo
non è stato ancora tradotto in italiano. Ho discusso alcuni di
questi temi in questa intervista per il canale YouTube Il pub
del lunedì sera, e a breve ne uscirà un’altra per il canale
Liberi oltre le illusioni – STEM. Un’intervista più
approfondita (in inglese) si può trovare qui e qui. Come nota
a margine, penso che fare distinzioni tra “sesso” (riferito
alla biologia del corpo) e “genere” (riferito al comportamento
e culturalmente determinato) non sia molto utile a fare
chiarezza; è una distinzione che sembra intuitiva ma,
esaminata da vicino, si rivela fumosa e incoerente (come ho
discusso qui). Per questo motivo uso “sesso” e “genere” come
sinonimi, a seconda del contesto.

Distinguere tra natura e cultura: mission impossible?

Dando per scontato che nelle società umane “natura” e
“cultura” si intrecciano sempre in modo complesso e creativo,
è davvero impossibile identificare i contributi della biologia
alle differenze tra i sessi, come sembra implicare la prof.ssa
Viola nel suo intervento? Sicuramente è un compito difficile e
laborioso, ma (per fortuna) tutt’altro che impossibile. Ci
sono almeno quattro fonti di informazione che permettono, in
modi diversi tra loro, di separare parzialmente natura e
cultura. Ciascuna ha i suoi limiti, ma diventano estremamente
potenti quando vengono integrate tra loro.

Per prima cosa ci sono i modelli della biologia
evoluzionistica, come quelli che riguardano la selezione
sessuale (cioè la selezione naturale che avviene attraverso la
scelta del partner e l’accoppiamento). I modelli teorici, di
solito espressi in forma matematica, permettono di spiegare le
ragioni profonde di alcuni motivi ricorrenti: ad esempio il
fatto che, nella maggior parte delle specie animali, i maschi
tendono ad essere più aggressivi, competitivi e indiscriminati
nella scelta del partner, mentre le femmine tendono ad avere
criteri di scelta più stringenti e ad occuparsi di più (quando
non in modo esclusivo) della cura dei piccoli. Gli stessi
modelli permettono di capire quando e perché queste asimmetrie
comportamentali possono attenuarsi (come accade spesso nelle
specie in cui entrambi i genitori provvedono alla cura dei
piccoli) e di spiegare le eccezioni alla norma (come nei
cavallucci marini, dove la gestazione delle uova è portata a
termine dai maschi).

La seconda fonte di informazione (strettamente legata alla
prima) è il confronto tra specie diverse, più o meno
strettamente imparentate e più o meno simili nelle loro
caratteristiche ecologiche. Per esempio le differenze di
genere negli esseri umani possono essere illuminate dal
confronto con altri primati, ma anche con alcune specie di
uccelli, che hanno sistemi di accoppiamento e riproduzione per
molti versi più vicini a quelli della nostra specie. Per
sfatare un luogo comune molto diffuso, vorrei sottolineare che
gli studi comparativi possono dare informazioni preziose anche
quando evidenziano differenze e unicità; lo scopo è descrivere
i fattori che spiegano la variazione e le somiglianze tra
specie diverse, non dimostrare che gli esseri umani “sono
proprio come” gli scimpanzé, i bonobo o qualche altro animale.

La terza fonte è la comparazione cross-culturale, sia nello
spazio (diverse culture nello stesso periodo storico) che nel
tempo (la stessa cultura in tempi ed epoche diverse). A
dispetto di certi stereotipi, i ricercatori evoluzionisti
hanno una lunga tradizione di studi cross-culturali, non solo
tra diversi Paesi occidentali ma estesi anche all’Asia e
all’Africa. Un ruolo particolare è ricoperto dallo studio dei
cacciatori-raccoglitori, che sono in larga parte isolati
dall’influenza dei mass media e dei modelli culturali
occidentali, oltre a vivere in condizioni molto più simili a
quelle in cui la nostra specie si è evoluta per centinaia di
migliaia di anni. Le notevoli differenze economiche, sociali e
di stile di vita che esistono tra diversi Paesi e regioni del
mondo possono essere usate in modo efficace per mettere alla
prova ipotesi alternative sulle cause delle differenze di
genere.

Per finire, ci sono gli studi in cui tratti, comportamenti e
differenze cerebrali vengono correlati a variazioni negli
ormoni sessuali, soprattutto estrogeni e androgeni.
Naturalmente le correlazioni, prese da sole, non permettono di
fare affermazioni certe rispetto alle cause del comportamento.
Però i dati correlazionali diventano molto più forti quando
l’esposizione agli ormoni avviene all’inizio dello sviluppo, o
addirittura prima della nascita durante la gestazione. Con le
dovute cautele, i dati raccolti negli esseri umani possono
essere confrontati e integrati con quelli degli studi animali,
dove invece è possibile applicare controlli sperimentali e
manipolare direttamente i meccanismi ormonali. I ricercatori
sfruttano anche quelli che possono essere considerati
“esperimenti naturali”: patologie o condizioni di sviluppo
atipiche in cui vengono modificati i normali processi di
differenziazione sessuale. Un esempio è il trasferimento
ormonale prenatale tra gemelli, per cui (ad esempio) le
gemelle femmine ricevono una dose maggiore di androgeni se
passano la gestazione insieme ad un gemello maschio, rispetto
a quelle che si sviluppano insieme ad un’altra gemella. Un
altro è l’iperplasia surrenale congenita, una patologia che
causa un’iper-produzione di androgeni nelle femmine che ne
sono affette. Si tratta di dati difficili da ottenere, ma
molto utili per isolare in modo preciso gli effetti degli
ormoni sessuali nello sviluppo. Ad esempio, gli studi che
hanno seguito nel corso degli anni dei campioni di bambine con
iperplasia surrenale hanno rivelato effetti importanti degli
androgeni sugli stili di gioco e sull’aggressività, e più
tardi sugli interessi lavorativi, su certe abilità cognitive,
e sull’orientamento sessuale (ma solo in modo marginale
sull’identità di genere, nel senso di identificazione con il
sesso maschile o femminile).

L’ipotesi di Barbero: realtà o fantasia?

Cosa   possiamo   dire   dell’idea   che,   in   media,   le   donne
manifestino meno “aggressività, spavalderia e sicurezza di sé”
degli uomini per ragioni in parte biologiche? Traducendo nel
linguaggio della psicologia della personalità, “spavalderia e
sicurezza di sé” indicano tratti come assertività, dominanza,
autostima e propensione al rischio. Insieme all’aggressività
fisica e verbale (la cosiddetta “aggressività relazionale” fa
eccezione), tutti questi tratti sono più elevati nei maschi,
soprattutto a partire dalla media fanciullezza (il periodo dai
6 agli 11 anni circa, in cui avvengono importanti cambiamenti
ormonali) e proseguendo con la pubertà. Queste differenze di
genere non sono particolarmente grandi, nel senso che, dal
punto di vista statistico, c’è una larga sovrapposizione tra i
punteggi di maschi e femmine. Ma sono molto robuste, e vanno
nella stessa direzione in culture molto diverse tra loro,
comprese le popolazioni di cacciatori-raccoglitori.
Contrariamente a quello che ci si aspetterebbe sulla base dei
modelli di socializzazione (che attribuiscono lo sviluppo
della personalità ad aspettative sociali, stereotipi e
discriminazione), queste differenze non diminuiscono nei Paesi
con livelli più alti di parità di genere (che tendono anche ad
essere più ricchi ed economicamente avanzati). Anzi, nella
maggior parte dei casi i dati mostrano l’effetto opposto: al
diminuire delle disparità di genere a livello socio-culturale,
le differenze di personalità diventano più marcate, come se in
presenza di una società più aperta e individualista (e
probabilmente una maggiore libertà data al benessere
economico) le persone tendessero a esprimere in modo più netto
le loro predisposizioni biologiche. Questo è un dato
importante, anche perché risulta molto difficile da spiegare
con un modello di socializzazione.

Aggressività, dominanza, assertività, autostima e propensione
al rischio non sono un assortimento casuale: sono tutti tratti
che contribuiscono alla competizione diretta per lo status,
cioè la forma di competizione tipica dei maschi, non solo
negli esseri umani ma in molti altri primati e mammiferi.
Questo è assolutamente in accordo con i modelli di selezione
sessuale, che (sulla base delle caratteristiche fisiche
riproduttive della nostra specie) predicono una maggiore
tendenza maschile alla competizione. Un altro aspetto da
considerare è che, in tutte le culture studiate finora, le
donne tendono a trovare più attraenti i partner che hanno un
alto status sociale; questo implica che, attraverso la nostra
storia evolutiva, la selezione per tratti e comportamenti
rivolti alla competizione diretta per lo status è stata
particolarmente forte nei maschi. Non a caso, la ricerca di
dominanza è probabilmente il tratto comportamentale che si
associa in modo più robusto agli effetti del testosterone
negli adulti. Naturalmente, tutti questi tratti si esprimono e
manifestano in modi diversi a seconda del contesto culturale e
di sviluppo; lo fanno con luci e ombre, costi e benefici, sia
per l’individuo che per la società. La stessa competizione per
lo status può avvenire con modalità molto differenti,
dall’aggressività fisica alla conquista di ricchezza e ruoli
prestigiosi, dall’esibizione di abilità fisiche o
intellettuali a quella di qualità morali e di leadership. La
cultura incanala, dirige e dà forma alle nostre
predisposizioni biologiche, ma non le elimina e soprattutto
non le crea dal nulla.

Prima di chiudere questa sezione, c’è un punto fondamentale da
chiarire rispetto alle dimensioni delle differenze di genere.
Come ho notato prima, le differenze nei tratti di personalità
aggressivi e competitivi sono abbastanza contenute, con una
larga sovrapposizione tra i punteggi di maschi e femmine. Ma
anche quando la differenza media è relativamente piccola, le
disparità si amplificano via via che ci si muove verso gli
estremi. L’ “uomo medio” non è molto più fisicamente
aggressivo della “donna media”, ma se andiamo a vedere chi
sono le persone estremamente aggressive, troveremo molti
uomini e poche donne. Bisogna anche considerare che, nella
maggior parte dei tratti di personalità (così come in molte
caratteristiche fisiche come l’altezza), i maschi sono più
variabili delle femmine, e quindi hanno una maggiore
probabilità di trovarsi sia all’estremo più alto che a quello
più basso della distribuzione. Questo vuol dire, per esempio,
che ci sono più uomini che donne tra le persone con alta
propensione al rischio, ma anche (in misura minore) tra quelle
con livelli particolarmente bassi di propensione al rischio.
La maggiore variabilità del sesso maschile non è una
particolarità degli esseri umani; è una caratteristica comune
che si ritrova nella maggior parte delle specie animali e
sembra legata, almeno in parte, all’asimmetria della selezione
sessuale (che di solito è più intensa nei maschi).

Le stesse considerazioni si applicano anche agli altri tratti
discussi qui sopra, e l’effetto si amplifica quando si
prendono in considerazione più tratti contemporaneamente. Se
so che una persona è piuttosto aggressiva, estremamente
dominante e assertiva nelle situazioni sociali, ha l’autostima
alle stelle, e non vede l’ora di provare il brivido del
rischio e trovarsi in situazioni in cui “o la va o la spacca”,
la probabilità che quella persona sia un uomo è davvero molto
alta. Da un altro punto di vista: esistono donne con
personalità fortemente dominanti, assertive, aggressive,
eccetera? Certo che sì, ma sono molte meno degli uomini con le
stesse caratteristiche. Anche senza arrivare agli estremi,
avere livelli più alti o più bassi della media in questi
tratti può influire in modo notevole nei più svariati ambiti
di vita. Pensare che queste tendenze a livello della
popolazione non abbiano alcun impatto sulle differenze nel
successo lavorativo, soprattutto in campi con una forte
componente di competizione e/o rischio, è semplicemente
assurdo. C’è anche un altro lato della medaglia, che di solito
non viene considerato: per i motivi discussi fin qui, possiamo
aspettarci che, rispetto alle donne, gli uomini (considerati
come gruppo) corrano un rischio più alto di fallimento, spesso
proprio negli stessi campi in cui hanno più probabilità di
successo. Come ha potuto constatare Barbero, anche solo
sfiorare questi temi scatena dei fortissimi tabù
intellettuali; ma sono tabù che non hanno motivo di esistere e
che non aiutano nessuno a capire le dinamiche sociali, né
tantomeno a trovare modi realistici e costruttivi per
cambiarle in meglio.

I cervelli di uomini e donne: uguali o diversi?

Anche se Barbero non lo ha nominato, il cervello ha un ruolo
di primo piano nell’intervento della prof.ssa Viola, che
sottolinea come quest’organo sia “plastico: ciò significa che
i circuiti neuronali non sono statici ma si modificano e si
creano nel tempo in base agli stimoli ricevuti”. Sicuramente
la plasticità è una caratteristica basilare del cervello, dal
momento che rende possibili l’apprendimento e la memoria. Però
è anche importante non interpretare questo concetto in modo
troppo “libero”. La ricerca genetica ha mostrato chiaramente
che le caratteristiche anatomiche e funzionali del cervello a
livello macroscopico (come il volume e lo spessore di diverse
aree, le connessioni tra aree, e i profili di attività sia a
riposo che durante compiti cognitivi) sono influenzate in modo
sostanziale dalle differenze genetiche tra le persone, e che
gli effetti genetici sono spesso più forti di quelli
ambientali. Questi dati suggeriscono un certo scetticismo
rispetto all’idea che le differenze cerebrali tra maschi e
femmine possano essere spiegate facilmente come prodotti
dell’esperienza e dell’apprendimento.

Dal punto di vista anatomico, la principale differenza di
genere sta nel volume del cervello, che è maggiore del 10-15%
negli uomini rispetto alle donne (uno scarto piuttosto ampio
dal punto di vista statistico). Questa differenza è solo in
parte spiegata dal fatto che gli uomini in media hanno un
corpo più grande, e al momento non è per nulla chiaro cosa
significhi dal punto di vista funzionale; per esempio, il
volume del cervello è correlato al quoziente intellettivo
(QI), ma non ci sono differenze marcate nel QI medio tra
maschi e femmine. Poi ci sono molte altre differenze, sia
nelle dimensioni delle varie regioni cerebrali che nelle
connessioni tra regioni. Grazie a queste differenze, è
possibile creare algoritmi che, partire dall’anatomia di un
cervello, riescono a “indovinare” correttamente il sesso della
persona in più del 90% dei casi. Ma una porzione importante di
queste differenze è una conseguenza (diretta o indiretta) del
maggior volume del cervello dei maschi; quando lo scarto nel
volume totale viene corretta con metodi statistici, le
differenze diventano nettamente più piccole e l’accuratezza
nella classificazione scende al 60-70%.

Che conclusioni si possono trarre da questi dati? Non molte, a
dire la verità. Alcuni ricercatori hanno messo in evidenza le
piccole dimensioni delle differenze (una volta corrette per il
volume totale) e i risultati contrastanti degli studi in
questo campo; su questa base hanno sostenuto che le differenze
di genere nella struttura e funzione cerebrale sono
sostanzialmente trascurabili, come sostiene anche la prof.ssa
Viola. Ma proprio perché le differenze sono statisticamente
deboli mentre le misurazioni sono imprecise e piene di
difficoltà tecniche, è probabile che anche gli studi più
grandi eseguiti finora siano in realtà troppo piccoli per dare
risultati affidabili. Proprio adesso stanno iniziando a uscire
i primi studi con decine di migliaia di soggetti, e i
risultati sono molto più precisi e robusti di quanto si sia
visto finora. Il problema più profondo è che, dal momento che
sappiamo molto poco di come la struttura fisica del cervello
influisce sul funzionamento cognitivo, risulta molto difficile
decidere se differenze che ci sembrano “piccole” possano
invece avere effetti rilevanti sul comportamento.

Ancora più importante è il fatto che, se non si correggono
statisticamente le misure per eliminare le differenze di
genere nel volume cerebrale totale, i cervelli di uomini e
donne risultano piuttosto diversi in tutta una serie di
caratteristiche anatomiche. Rimuovere queste differenze
equivale ad assumere che non abbiano nessuna importanza dal
punto di vista funzionale, ma non abbiamo idea se sia davvero
così. Per esempio, uno studio recente sulle associazioni tra
tratti di personalità e anatomia cerebrale ha trovato le
correlazioni più forti proprio con il volume totale e altre
misure globali. Anche queste correlazioni però tendono ad
essere piuttosto piccole in senso assoluto, in linea con
l’idea che la personalità sia determinata soprattutto da
meccanismi neurochimici (neurotrasmettitori, ormoni, ecc.)
piuttosto che da differenze anatomiche. È probabile che il
funzionamento cerebrale sia ancora più differenziato dal punto
di vista neurochimico di quanto non lo sia dal punto di vista
puramente anatomico.

Anche se capiamo ancora poco del funzionamento del cervello
nei due sessi, ne sappiamo molto di più sulle loro abilità
cognitive. Come accennavo prima, il QI è una misura
dell’intelligenza generale (indipendente dal tipo specifico di
compito). Anche se alcuni studi hanno trovato una media
leggermente più alta dei maschi, si tratta di differenze
abbastanza piccole e statisticamente difficili da misurare con
precisione. Le differenze tra maschi e femmine non stanno
tanto nel livello generale di intelligenza quanto nella
distribuzione delle abilità cognitive specifiche. Soprattutto
a partire dall’adolescenza, le femmine sono in media più brave
nei compiti basati sul ragionamento verbale, mentre i maschi
hanno prestazioni più alte nei compiti che richiedono abilità
visivo-spaziali   (per  esempio   visualizzare oggetti
tridimensionali complessi), quantitative, e meccaniche.
Inoltre le femmine hanno un vantaggio nei compiti che
richiedono di dividere l’attenzione tra molti elementi
diversi, mentre i maschi sono avvantaggiati nel prestare
attenzione in modo focalizzato. Questi “profili cognitivi”
tipici dei due sessi sono robusti dal punto di vista
statistico, hanno dei paralleli funzionali in molti altri
mammiferi, si ritrovano in culture differenti tra loro, e
influenzano in modo sostanziale le scelte accademiche e
professionali (per esempio, le persone che hanno abilità
visivo-spaziali e quantitative relativamente più sviluppate di
quelle verbali tendono a scegliere più spesso di iscriversi a
facoltà scientifico-matematiche, le cosiddette STEM).

Come nei tratti di personalità, anche nelle abilità cognitive
si osserva il fenomeno della maggiore variabilità maschile. I
maschi sono più variabili delle femmine nelle misure generali
di QI, nelle abilità cognitive specifiche (verbali, visivo-
spaziali, matematiche…) e nei punteggi ai test di creatività,
oltre che in molti aspetti dell’anatomia cerebrale. Il
risultato è che ci sono più maschi che femmine agli estremi
più bassi delle abilità cognitive (e molti più maschi che
soffrono di ritardo mentale), ma anche agli estremi più alti
delle stesse abilità. Se andiamo a vedere chi sono le persone
con capacità quantitative e visivo-spaziali fuori dal comune,
troveremo una netta preponderanza maschile, perché il
vantaggio medio dei maschi in questo tipo di abilità viene
amplificato dalla loro maggiore variabilità. Ovviamente ci
sono donne a tutti i livelli della distribuzione, fino ai
profili di abilità più estremi; ma, come nel caso della
personalità, sono meno degli uomini con le stesse
caratteristiche. Come si può immaginare, i tabù sulle
differenze di genere nella cognizione sono ancora più
incandescenti di quelli sulla personalità. Per questo motivo,
i dati che ho presentato in questa sezione rimangono spesso
confinati   nell’ambito    specialistico   della   ricerca
sull’intelligenza, nonostante siano robusti, replicabili e
importanti dal punto divista sociale.

C’è un altro aspetto delle differenze di genere che si
interseca con quello delle abilità, ma probabilmente risulta
ancora più importante nel determinare le scelte lavorative di
uomini e donne. Si tratta delle preferenze rispetto alla
cosiddetta dimensione cose-persone: mentre gli uomini tendono
a preferire lavori centrati su oggetti inanimati o concetti
astratti, le donne (in media) hanno una preferenza per lavori
centrati sulle persone o con una forte componente relazionale.
Si tratta di una delle differenze di genere più marcate tra
quelle studiate in psicologia; gli interessi per cose e
persone emergono molto presto nello sviluppo (forse
addirittura alla nascita), e sono influenzati dall’esposizione
agli androgeni durante lo sviluppo. La socializzazione sembra
avere poco a che fare con l’origine di queste differenze,
anche perché lo scarto tra maschi e femmine sulla dimensione
cose-persone è rimasto praticamente invariato per più di 50
anni, nonostante i cambiamenti massicci che sono avvenuti nel
mondo del lavoro e della formazione. L’origine evoluzionistica
di queste predisposizioni si trova, molto probabilmente, nella
divisione del lavoro in base al sesso che ha caratterizzato la
nostra storia per centinaia di migliaia (se non milioni) di
anni. Non c’è alcun dubbio sul fatto che, nel passato degli
esseri umani, alcuni compiti (come la caccia e la produzione
di utensili) siano stati appannaggio maschile, mentre altri
(come la cura dei piccoli) siano stati delle occupazioni
prevalentemente femminili. Dal punto di vista evoluzionistico,
è davvero difficile pensare che aver ricoperto ruoli
specializzati per decine o centinaia di migliaia di
generazioni non abbia plasmato anche i nostri interessi e i
nostri profili cognitivi.

Il dibattito natura-cultura in quest’ambito si è concentrato
soprattutto sulle abilità visivo-spaziali, vista la loro
rilevanza per le carriere nell’ambito STEM. I dati indicano
chiaramente che queste abilità mostrano un certo livello di
plasticità possono essere migliorate con l’esercizio, almeno
nel breve periodo. Insieme al fatto che lo scarto tra maschi e
femmine aumenta progressivamente durante lo sviluppo, questo
risultato è spesso visto come una dimostrazione che le
differenze di genere nelle abilità visivo-spaziali sono
prodotte dalla socializzazione. Ma si tratta di
un’argomentazione debolissima: anche i muscoli sono plastici,
e la massa muscolare si può aumentare con l’esercizio, ma
questo non toglie che la differenza nella forza fisica di
uomini e donne abbia una chiara base biologica. Così come
nelle abilità cognitive, anche le differenze nella forza
fisica e nella massa muscolare emergono gradualmente nello
sviluppo, aumentando nella media fanciullezza e poi con la
pubertà. Il fatto che una certa differenza non sia presente
alla nascita dice molto poco sulla sua natura biologica o
culturale, come si può capire immediatamente pensando a tratti
sessualmente differenziati come la voce, la barba, e così via.
Sicuramente esiste uno “stereotipo” sul fatto che gli uomini
abbiano la voce più profonda delle donne, ma sarebbe surreale
argomentare che questo stereotipo è la causa dell’abbassamento
della voce nei ragazzi. Lo stesso discorso si può fare
rispetto alle differenze nella personalità, nelle preferenze e
nelle abilità cognitive: la semplice esistenza di stereotipi
di genere (che, messi alla prova empirica, di solito si
rivelano sorprendentemente accurati) non dimostra che siano
gli stereotipi a causare le differenze e non viceversa. Alcuni
lettori avranno sentito parlare della ricerca sullo stereotype
threat, secondo cui “attivare” gli stereotipi di genere (per
esempio leggendo un brano sul fatto che i maschi sono più
bravi in matematica) è sufficiente per far calare la
prestazione di donne e ragazze in certi compiti cognitivi.
Questo filone di ricerca ha ricevuto una grandissima
pubblicità, perché sembrava dimostrare in modo inequivocabile
il potere degli stereotipi di plasmare cognizione e
comportamento. Quello che pochi sanno è che i risultati
iniziali non sono stati replicati negli studi più grandi e
meglio controllati, e che una volta corretti i dati per la
tendenza a pubblicare più facilmente i risultati positivi,
l’effetto si riduce di molto o addirittura scompare.

Le differenze nelle abilità cognitive e quelle nelle
preferenze cose-persone si rinforzano tra loro, e insieme
contribuiscono a spiegare la minore rappresentazione delle
donne nelle professioni STEM (anche se molto probabilmente non
la spiegano del tutto). Se c’è un fattore che sicuramente non
spiega le differenze nelle discipline STEM, si tratta della
disparità di genere a livello socio-culturale. Infatti, nei
paesi con più alta parità di genere i profili delle
prestazioni cognitive di maschi e femmine tendono a diventare
ancora più sbilanciati, e la proporzione di ragazze che si
iscrivono a facoltà STEM tende a diminuire invece che
aumentare. È probabile che, anche in quest’ambito,
l’allentamento delle pressioni sociali ed economiche porti le
persone ad esprimere più liberamente le proprie inclinazioni,
con il risultato che le differenze di genere vengono
amplificate piuttosto che eliminate.

Per concludere

Nel suo intervento, Barbero ha espresso in modo colloquiale
un’idea di senso comune ma tutt’altro che ridicola, che di
fatto (e con le dovute precisazioni) collima con i risultati
della ricerca sulle differenze di genere. Ma le differenze nei
tratti competitivi come assertività e propensione al rischio
sono solo una tessera di un puzzle molto più ampio, che spazia
dalla personalità fino alle abilità cognitive, agli interessi
e alle preferenze. Lo studio di queste differenze rivela un
panorama complesso e affascinante, collega tra loro diverse
discipline scientifiche, e permette di spiegare in modo
coerente moltissimi fenomeni del mondo reale. Tra le altre
cose, mostra chiaramente che la discriminazione non è l’unica
spiegazione possibile delle differenze di genere, e in molti
casi neanche la più rilevante. Il tema della discriminazione
in campo formativo e lavorativo è troppo ampio per poterlo
aprire qui, ma è importante sottolineare che i dati a riguardo
non sono né facili da interpretare né tantomeno “a senso
unico”; in bibliografia ho messo degli articoli utili da cui
partire per esplorare questo tema, soprattutto rispetto
all’ambito accademico e alle discipline STEM.

Purtroppo la nostra cultura intellettuale ha un’enorme
difficoltà a fare i conti con le differenze, e le risposte a
Barbero ne sono una dimostrazione tra le tante. La cosa più
grave è che, a forza di ignorare ostinatamente i dati
“scomodi” e reagire attaccando chiunque esca dal recinto
stretto del politicamente corretto, la narrazione su questi
temi diventa sempre più autoreferenziale, povera di contenuti
e sganciata dalla realtà. Con questo articolo ho cercato di
dare il mio contributo ad una conversazione più aperta e
bilanciata. Che il dibattito continui!

Riferimenti bibliografici

   1.   Riferimenti generali

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similarities. In D. P. VanderLaan & W. I. Wong (Eds.), Gender
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Geary, D. C. (2021). Male, female: The evolution of human sex
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Link

Low, B. S. (2015). Why sex matters (revised ed.). Princeton
University Press. Link

Uno scambio tra un gruppo di psicologi evoluzionisti e uno di
“neurofemministe”, che tocca molti dei temi discussi in questo
articolo:

https://sfonline.barnard.edu/neurogenderings/eight-things-you-
need-to-know-about-sex-gender-brains-and-behavior-a-guide-for-
academics-journalists-parents-gender-diversity-advocates-
social-justice-warriors-tweeters-facebookers-and-ever/

https://www.psychologytoday.com/us/blog/sexual-personalities/2
01904/sex-differences-in-brain-and-behavior-eight-
counterpoints

https://www.psychologytoday.com/us/blog/sexual-personalities/2
01907/responding-ideas-sex-differences-in-brain-and-behavior

   2.   Distinguere tra natura e cultura: mission
        impossible?

Selezione sessuale:

Clutton-Brock, T. (2007). Sexual selection in males and
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Esempi di studi che hanno usato “esperimenti naturali”:

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   3.   L’ipotesi di Barbero: realtà o fantasia?

Differenze di personalità e studi cross-culturali:

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Media fanciullezza e cambiamenti ormonali:

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Testosterone, dominanza, competizione per lo status:

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Distribuzioni e variabilità:

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Una sintesi molto leggibile di alcuni risultati importanti
riguardo alle differenze di personalità:

https://blogs.scientificamerican.com/beautiful-minds/taking-se
x-differences-in-personality-seriously/

   4.   I cervelli di uomini e donne: uguali o
        diversi?

Influenze genetiche sull’anatomia e funzionamento cerebrale:

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Differenze anatomiche generali:

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Correlazione tra volume cerebrale e QI:

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Predizione del sesso a partire dall’anatomia cerebrale,
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Un articolo recente di Lise Eliot e colleghi sulla natura
(secondo loro trascurabile) delle differenze cerebrali, e
alcune risposte critiche:

Eliot, L., Ahmed, A., Khan, H., & Patel, J. (2021). Dump the
“dimorphism”: Comprehensive synthesis of human brain studies
reveals few male-female differences beyond size. Neuroscience
& Biobehavioral Reviews. Link

Goldman, D. (2021). On Dump the “dimorphism”: Comprehensive
synthesis of human brain studies reveals few male-female
differences beyond size. Link

Hirnstein, M., & Hausmann, M. (2021). Sex/gender differences
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Correlazioni tra personalità e anatomia cerebrale:

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Dibattito sulle abilità spaziali:

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   5.   Per concludere

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Stewart-Williams, S., & Halsey, L. G. (2021). Men, women and
STEM: Why the differences and what should be done? European
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Sito di Marco Del Giudice: https://marcodg.net
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