Associazione Italiana di Psicologia Giuridica
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Associazione Italiana di Psicologia Giuridica Corso di Formazione in Psicologia Giuridica e Psicopatologia Forense Teoria e Tecnica della Perizia e della Consulenza Tecnica in ambito Civile e Penale, adulti e minorile “La donna abusante” Candidato/a Anna Giulia Betti CORSO 2019 1
Sommario 1. INTRODUZIONE ................................................................................................................................... 3 2. DEFINIZIONE DI ABUSO SESSUALE ................................................................................................. 5 3. TIPOLOGIE DI SOGGETTI ABUSANTI ............................................................................................... 8 4. CARATTERISTICHE DELL’AGGRESSORE SESSUALE DI GENERE FEMMINILE ........................11 4.1 Relazione tra la vittima e l’abusatore di sesso femminile ...................................................................11 4.2 Caratteristiche delle vittime e del reato ..............................................................................................14 4.3 Vittimizzazione precedente ...............................................................................................................16 4.4 Storia psichiatrica ..............................................................................................................................17 4.5 Storia sessuale ...................................................................................................................................19 4.6 Storia familiare e personale ...............................................................................................................19 4.7 Le conseguenze psicologiche delle vittime ........................................................................................20 5. LA VITTIMA MINORENNE NEL PROCESSO PENALE .....................................................................22 6 ASCOLTO DEL MINORE PRESUNTA VITTIMA DI ABUSO SESSUALE..........................................23 5.1 Modalità di ascolto del minore ..........................................................................................................25 5.2 Step-wise interview ...........................................................................................................................29 6. CONCLUSIONI .....................................................................................................................................31 7. BIBLIOGRAFIA ....................................................................................................................................33 2
1. INTRODUZIONE A fronte di una vasta letteratura in tema di abusi sessuali su minori ad opera di soggetti di sesso maschile, molto limitata è quella riguardante abusi da parte di soggetti femmine. Nel passato infatti l’abuso sessuale veniva concepito come un reato commesso solo da uomini e ancora oggi vi è la convinzione generale che gli abusatori siano quasi invariabilmente maschi. Tuttavia, i dati durante la fine del XX secolo hanno confutato tale convinzione. L’opinione comune che fossero solo soggetti di sesso maschile a perpetrare l’abuso sessuale di minori è iniziata a cambiare intorno agli anni Ottanta. Questo fatto è associato a un dato importante: nelle ricerche i soggetti di sesso maschile hanno iniziato a fare la loro apparizione anche come vittime. Nello stesso periodo il dato ufficiale relativo alla percentuale di vittime di sesso maschile in Australia, Regno Unito e Stati Uniti d’America è infatti aumentato in larga misura. Nonostante questi nuovi dati e il cambiamento di percezione, tutt’ora consideriamo dal punto di vista morale e sociale improbabile l’idea di una donna che molesti sessualmente un minore. Molti dei crimini sessuali compiuti da donne rimangono all’oscuro: le vittime di abusi sessuali, soprattutto nel caso in cui siano perpetrati da parenti femmine, devono infatti combattere non solo con il dramma del ricordo, ma anche con la consapevolezza che nessuno o pochi saranno disposti a credere a quanto affermano. Nei rari casi in cui la società si trova a gestire il caso di un abuso su un minore perpetrato da una donna, questa sarà giudicata con maggiore clemenza. La società dunque sembra mostrare una sorta di “cecità” rispetto alle donne abusatrici. Già nel 1990, Ramsay- Klawsnik riferì di 83 casi di minori che denunciavano violenza da parte di soggetti di sesso femminile e solo uno di questi presunti casi è finito in tribunale. A supporto di quanto citato, successivamente uno studio condotto in Australia ha dimostrato che l’attenzione degli ufficiali di polizia rispetto alle questioni legate all’abuso sessuale su minore, è influenzata dal sesso dell’aggressore, a favore dell’aggressore donna (Kite & Tyson, 2003). Da un punto di vista sociale si vede il caso di una donna matura che seduce un ragazzo più come un rito di passaggio che come un reato sessuale con gravi e durature conseguenze, ed è luogo comune pensare che un rapporto sessuale con una donna più grande costituisca una delle fantasie di ogni ragazzo. Non a caso le vittime di sesso maschile raramente vengono indicate come “vittime” ma come “soggetti consenzienti”. Appare inconcepibile che una donna, che per un naturale istinto materno dovrebbe proteggere il proprio figlio/a, si trovi invece ad abusare quando non a porre fine ad una vita che, per nove mesi, ha nutrito e protetto nel proprio grembo. Appare impossibile ma purtroppo, in molti casi, la pura e semplice espressione d’amore, di cura o di educazione, assume un significato negativo perché ammantata da sentimenti ostili e aggressivi, da un odio erotizzato che profana la vita di ogni bambino abusato dalla propria madre. Un 3
vero e proprio tabù dovuto anche al fatto che la donna è spesso la primaria fonte di cure per i bambini; sono le madri che si occupano della cura e dell’igiene dei figli e, di conseguenza, sono autorizzate ad avere con loro un contatto maggiore durante attività di routine; per questo un contatto inappropriato può sfuggire a chi osserva (Quattrini & Constantini, 2011). D’altra parte lo stereotipo della figura femminile dipinge la donna come amabile, protettiva, tenera e passiva e quindi praticamente incapace di compiere un atto simile. Forse proprio a causa di questa percezione sbagliata che le donne siano incapaci di commettere crimini sessuali, vi è una povertà di ricerche e di studi in materia. Se il tema della pedofilia è estremamente disturbante, solitamente associato come ogni tipo di parafilia al genere maschile, il tema della pedofilia femminile lo è ancora di più. E il tabù dei tabù poiché la donna viola oltre al tabù dell’incesto, anche quello ancor più grave della maternità. 4
2. DEFINIZIONE DI ABUSO SESSUALE L’infanzia è stata oggetto negli ultimi anni di particolare tutela ed interesse: diverse infatti sono state le Carte Internazionali dei diritti del fanciullo, che hanno posto come fondamentali il diritto alla vita, all’uguaglianza, all’identità, all’amore e alla libertà, ad essere protetto da qualsiasi influenza e abuso, al gioco, all’educazione e all’istruzione. Tra queste, fondamentale e di assoluto riferimento per la trattazione dei diritti dell’infanzia, è la “Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia” (1989), alla quale oggi aderiscono 193 stati, tra cui l’Italia (che l’ha ratificata il 27 maggio con la legge n. 176/1991), al fine di rendere effettivamente realizzati diritti e libertà proclamati. Ma l’infanzia è anche oggetto di abuso e sicuramente, in ordine di gravità, l’abuso sessuale rappresenta il vertice di una piramide fatta di violenza: esso riguarda, infatti, il coinvolgimento del minore in attività sessuali di cui non è consapevole. A tal proposito un documento fondamentale a cui far riferimento è la convenzione di Lanzarote. Il Senato della Repubblica ha approvato all’unanimità la ratifica della Convenzione per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, siglata a Lanzarote il 25 ottobre 2007. L’Italia ha sottoscritto il testo il 7 Novembre 2007. La Convenzione di Lanzarote nasce come fondamentale espressione dell’attenzione che il Consiglio d’Europa riserva da sempre alle politiche di protezione dei minori e manifesta l’impegno che questo organismo richiede agli Stati membri per la tutela dei diritti dei più piccoli ed il contrasto ai terribili fenomeni di cui possono essere vittime. È un documento con il quale i Paesi contraenti si impegnano a rafforzare la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, adottando criteri e misure comuni sia per la prevenzione del fenomeno, sia per il perseguimento dei colpevoli e la tutela delle vittime. L’obiettivo è quello di contrastare quei reati che, come la pedopornografia, sempre più spesso vengono compiuti con l’ausilio delle moderne tecnologie e sono consumati al di fuori dai confini nazionali del Paese d’origine del colpevole. Costituisce il primo strumento giuridico internazionale ad imporre agli Stati di prevenire e criminalizzare ogni forma di abuso e sfruttamento sessuale sui bambini: è per questo che è stata concepita come uno strumento di natura vincolante per i Paesi firmatari, tale da rappresentare un effettivo valore aggiunto rispetto agli strumenti già esistenti. Gli Stati che l’hanno sottoscritta e ratificata si impegnano quindi a garantire un’azione a 360 gradi contro ogni tipo di crimine sessuale contro i minori. Si richiede infatti l’impegno degli Stati su tre diversi fronti: la prevenzione del crimine, le azioni di contrasto, attraverso il potenziamento delle tecniche investigative, la protezione e il recupero dei minori vittime. Per quanto riguarda le novità introdotte dalla convenzione una delle principali è l’introduzione nel codice penale di due nuovi reati: l’istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia (art. 414 5
bis codice penale) e l’adescamento di minorenni o grooming (art. 609 undecies codice penale). Il primo prevede la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni per chiunque, con qualsiasi mezzo, anche il web, istighi il minore a commettere reati come la prostituzione minorile, la detenzione di materiale pedopornografico, la corruzione di minori o la violenza sui bambini. Il secondo definisce l’adescamento di minore come qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione; per tale reato si prevede la reclusione da uno a tre anni. Altro elemento fondamentale introdotto dalla convenzione è il sottolineare l’importanza di un esperto in psicologia o psichiatria infantile in tutte quelle situazioni processuali in cui viene convolto un minore; ad esempio quando la polizia giudiziaria deve assumere sommarie informazioni da persone minori, deve avvalersi dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, nominato dal pubblico ministero. All’interno del DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), catalogata tra gli abusi sessuali, la “pedofilia” è inserita tra i “disturbi parafilici”, ovvero comportamenti caratterizzati da ricorrenti e intensi impulsi, fantasie o comportamenti sessuali, che implicano oggetti, attività o situazioni inusuali e causano disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, lavorativa o di altre aree importanti del funzionamento. Per quanto riguarda il disturbo di pedofilia, la cosa più rilevante da notare è che non c’è stata revisione rispetto al DSM IV e, nonostante ci sia stata una discussione accesa nel gruppo di lavoro, i criteri diagnostici sono rimasti gli stessi; solo il nome è stato cambiato da “pedofilia” a “disturbo pedofilico” (Sanzovo & Rosso, 2013). In particolare, secondo il DSM-5 si parla di disturbo pedofilico se il soggetto presenta eccitazione sessuale ricorrente e intensa per un periodo di almeno 6 mesi che comporta attività sessuale con un bambino in età prepuberale o con bambini in genere sotto i 13 anni di età (criterio A). Affinché si possa parlare di disturbo pedofilico il criterio B sottolinea come questi comportamenti, fantasie o desideri causano marcato disagio e difficoltà interpersonali al soggetto. Inoltre nel criterio C si specifica come il soggetto dovrebbe avere almeno 16 anni di età ed è almeno di 5 anni maggiore rispetto alla vittima. Da tali criteri diagnostici si evince un tema centrale; un individuo che riferisce l’assenza di senso di colpa, ansia o vergogna per questi impulsi, di non essere funzionalmente limitato nella sua vita quotidiana da questi suoi pensieri e che dall’anamnesi psichiatrica e giudiziaria emerge che non abbia mai agito tali impulsi ha un interesse sessuale pedofilico ma non un disturbo parafilico vero e proprio. Ciò ha creato un acceso dibattito sul tema delle parafilie in quanto nel DSM-5, le parafilie non vengono ipso facto considerate disturbi mentali. Vi è infatti una distinzione tra parafilie e disturbi parafilici. Un disturbo parafilico è una parafilia che attualmente causa disagio o compromissione 6
all'individuo o la cui soddisfazione comporta un danno personale, o il rischio di danno, per gli altri. Una parafilia è una condizione necessaria ma non sufficiente per avere un disturbo parafilico, e di per sé non giustifica o richiede l'intervento clinico automaticamente. Questo approccio lascia intatta la distinzione tra il comportamento sessuale normativo e quello non normativo, ma senza etichettare automaticamente il comportamento sessuale non normativo ce psicopatologico, quasi a determinare un passaggio verso la normalizzazione della pedofilia che, pur essendo un “comportamento sessuale non normativo” non è considerata una psicopatologia, ma piuttosto un orientamento sessuale come gli altri (http://www.dsm5.org/Documents/changes%20from%20dsm-iv-tr%20to%20dsm-5.pdf). L’APA, a fronte delle numerose polemiche e delle autorevoli critiche, non ha mancato di sottolineare come sarebbe intervenuta per modificare tale elemento della definizione della pedofilia, nelle future ristampe. A partire dagli anni ’80 ogni ricercatore ha tentato di provare a definire il concetto di abuso sessuale su minore, fermo restando che tutti fanno riferimento ad azioni di appagamento sessuale su minori non limitate alla classica penetrazione; definizioni che vengono utilizzate e richiamate ancora oggi nei testi che trattano l’argomento. Shecter et al. scrivono che “l’abuso sessuale di minore è definito come il coinvolgimento di adolescenti o bambini immaturi dal punto di vista dello sviluppo e ancora dipendenti dalle figure genitoriali in attività sessuali che essi non comprendono o per le quali non sono nella posizione di poter dare il loro consenso e che violano i tabù sessuali dei ruoli della famiglia” (Shecter & Roberge, 1976, pp.127-142). Krugman ha affermato che “l’abuso sessuale su minori è il coinvolgimento di un bambino in attività sessuali che il bambino non capisce, a cui non può esprimere consenso informato o che violano i tabù sociali” (Krugman,1986). La definizione che offre Koonig è più semplice. Lo studioso suggerisce che “l’abuso sessuale di minori è lo sfruttamento di un bambino per la gratificazione sessuale di un adulto” (Koonig, 1995). Denov invece fa una distinzione tra “abuso sessuale” e “sperimentazione sessuale” introducendo dei limiti d’età nella definizione del primo concetto. Egli ritiene che “le vittime di abuso sessuale infantile sono state definite come soggetti che hanno sperimentato l’abuso all’età di 14 anni o anche prima, e l’aggressore di sesso femminile aveva almeno 5 anni in più”. Per esempio se un adolescente di 14 anni entra in naturale contatto con un undicenne, questo non sarà considerato abuso ma tale azione sarà definita “sperimentazione sessuale” (Denov, 2003). Anche la normativa penale italiana, che punisce la violenza sessuale sui minori, ha maggiormente limitato i casi di rapporti sessuali punibili in ragione dell’età, non qualificando più come reato i rapporti fra minori consenzienti, quando il minorenne compie atti sessuali con altro minorenne che abbia compiuto tredici anni, purché fra i due soggetti non vi sia differenza di età maggiore di tre anni. In precedenza, invece, veniva qualificato come violenza sessuale qualsiasi 7
rapporto con il minore che non avesse superato i 14 anni 1, secondo un principio che stabiliva un dovere assoluto di astensione dal congiungimento carnale con quei soggetti che la legge riteneva implicitamente carnalmente inviolabili anche se consenzienti.2 Anche la legge penale, quindi, si è adeguata ad un criterio di tolleranza rispetto a rapporti sessuali tra adolescenti, definibili come sperimentazione sessuale, in linea con il mutamento dei costumi. 3. TIPOLOGIE DI SOGGETTI ABUSANTI Negli anni passati è comunque emerso un numero di studi che cercano di chiarire le caratteristiche delle donne che compiono tale reato. La prima e molto conosciuta tipologia è stata pubblicata da Matthews, Matthews e Speltz (1989-1991) e si basa su interviste fatte a donne carcerate. In particolare, lo studio da loro effettuato nel 1989 individua cinque tipologie di donne sex offender: - Male-coerced: tali donne si mostrano passive, spaventate e dipendenti, hanno vissuto a loro volta abusi sessuali o relazioni intime problematiche e, spesso spinte dalla paura di essere abbandonate, vengono costrette ad agire abusi sessuali sui propri figli. Temono possibili punizioni fisiche da parte del partner o rimangono nella relazione d’abuso perché sono convinte di non trovare un altro compagno data la loro impotenza a costruire rapporti interpersonali. Sono donne che sono riluttanti a compiere l’abuso, ma vengono forzate dal partner a partecipare all’abuso sessuale iniziato da lui. Matthews (1987) individuò oltre alla male-coerced un’altra tipologia di donna che partecipa a comportamenti abusivi con il proprio partner di sesso maschile ed è la “male-accompanied” che è colei che partecipa attivamente agli abusi sessuali. - Predisposed: tali donne sono accomunate da storie incestuose o di vittimizzazione sessuale, difficoltà psichiche e fantasie sessuali devianti e una tendenza a vittimizzare i propri figli o altri bambini facenti parte della loro rete familiare; - Teacher/lover: queste donne, spesso accomunate da difficoltà nelle relazioni affettive con i propri partner, scelgono come vittime delle loro esperienze sessuali pre-adolescenti con i quali intrattengono relazioni di fiducia nelle sembianze di insegnanti o tutor. Non hanno nessun desiderio di fare del male alla vittima, anzi negano l’abuso e si convincono di avere una storia d’amore con la vittima e sono convinte che anche loro desiderano avere un rapporto sessuale. Le vittime, confuse da tali atteggiamenti di cura e protezione, non considerano tali pratiche sessuali come dannose o devianti; - Experimenter /Exploiter: la donna che compie l’abuso sessuale è spesso giovane ed attratta da 1 Art. 609-quarter codice penale, introdotto dalla legge 15 Febbraio 1996 n.66. 2 V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Torino, V ed., Vol. 7, p. 313, 314. 8
bambini di sesso maschile e si trova in un contesto di baby-sitting; - Psychologically Disturbed: la donna presenta una malattia mentale. 3 Petrone, Troiano (2005) hanno individuato le seguenti tipologie: - L’abusante sessuale latente: è colei che nutre una morbosa attrazione nei confronti dei bambini, ha fantasie erotiche ma non arriva all’agito. Ella pur avvertendo sin dall’adolescenza, la propria diversità, inseguito all’introiezione di norme morali molto rigide, si rende conto che le sue pulsioni non sono socialmente accettabili e per questo motivo non riesce ad agirle. Sono presenti storie personali di abuso emotivo e fisico; - L’abusante sessuale occasionale: è soprattutto colei che nei viaggi in Paesi esotici con forte tasso di turismo sessuale, si lascia andare in esperienze sessuali trasgressive, dimenticando le norme morali e giuridiche della comunità a cui appartiene. Non sono presenti storie di abuso; - L’abusante sessuale dalla personalità immatura: è colei che non è riuscita mai a sviluppare normali capacità di rapporto interpersonale con coetanei. Manca di una sufficiente maturità nella sfera affettiva ed emotiva e pertanto rivolge le sue attenzioni e rituali di corteggiamento ai più giovani, dai quali non si sente minacciata. Solitamente non ha comportamenti aggressivi e i propri atteggiamenti sono di tipo seduttivo, ritiene, inoltre, che il suo comportamento con la vittima non sia abusante. Sono presenti storie di abuso emotivo, fisico e sessuale nel proprio vissuto esperienziale, durante il periodo infantile agite da “caregiver”; - L’abusante regressiva: è colei che, anche se è riuscita a instaurare legami affettivi con i propri coetanei, ad un certo punto un evento precipitante, la porta a regredire, iniziando così a rivolgere il proprio interesse sessuale verso i più giovani. E ‘sempre presente una storia di abuso sessuale che riemerge a causa dell’evento stressogeno e la violazione dei minori sembra essere una strategia per allontanare da se l’ansia e l’angoscia; - L’abusante sadico-aggressiva: manifesta piacere nel provocare dolore agli altri. Alla base del suo comportamento distruttivo c’è sempre un background di aggressività, frustrazione e impotenza, un sentimento di svalutazione di se’e degli altri; - L’abusante omosex: è colei che trasferisce le sue attenzioni su una bambina, identificandosi con la bambina rivede se stessa e riversa su di lei tutto l’amore di cui dispone. 4 Ci sono stati molti altri tentativi di categorizzare i trasgressori sessuali femminili. Uno schema 3 Matthews, R., Matthews, J., & Speltz, K, Female Sexual Offenders: A Typology, « Family Sexual Abuse: Frontline Research and Evaluation» pp. 199–219 4 Pedrone, B.L. & Troiano, M. E se l’orco fosse lei? strumenti per l'analisi, la valutazione e la prevenzione dell'abuso al femminile. Con un nuovo Test per la diagnosi, Milano, 2005. 9
tipologico esauriente è stato sviluppato da Vandiver e Kercher (2004) confermato poi da Sandler e Freeman (2007) grazie ad una ricerca condotta con un campione di donne abusanti nella stato di New York. Sei sono state le tipologie individuate: - Heterosexual nurtures: in genere queste donne hanno un età media di 30 anni e hanno vittimizzato maschi di circa 12 anni. Provano una forte mancanza di intimità e cercano compensazione emotiva dalle loro vittime adolescenti; - Non criminal homosexual offender: è improbabile che abbiano precedenti criminali o che siano recidive. Di media hanno 32 anni ed è probabile che vittimizzino femmine nella loro prima adolescenza; - Female sexual predators: in media hanno 29 anni al momento della registrazione del loro reato, mostrano una preferenza per vittime maschili d’età media di 11 anni; - Young adult child exploiters: sono le più giovani delle sei categorie di donne e hanno pochi o nessun arresto al di fuori del loro reato registrato. Le donne che rientrano in tale tipologia è probabile siano arrestate, per un aggressione sessuale di vittime molto giovani, di solito sui 7 anni d’età. In genere questo tipo di aggressore presenta già una relazione con la vittima e non mostra una preferenza per vittime maschili o femminili; - Homosexual criminals: sono donne con un età più avanzata e prendono di mira vittime di età maggiore. Sono state arrestate numerose volte, mostrano tratti di personalità antisociale e hanno una preferenza per vittime femminili. Spesso costringono la vittima a prostituirsi; - Aggressive homosexual offenders: sono trasgressori più grandi d’età che tendono ad aggredire vittime femminili adulte di 30 anni circa. Di solito hanno una relazione già stabilita con la vittima. 5 Lambert e Hammond (2009) hanno individuato in seguito ad uno studio condotto in Irlanda su un campione di 64 “female sex offender”, le seguenti otto tipologie: - insegnante/amante (Teacher/Love), sono donne che intrattengono relazioni con adolescenti o pre- adolescenti e si ritengono un loro pari, è probabile che abbiano avuto una recente storia di abusi; - costretta dal maschio (Male Coerced), il partner ha un ruolo importante nella vita della offender, potrebbe essere anche un fratello maggiore; - incline (Predisposed), in questa categoria rientrano soprattutto le donne che sono state vittime di abusi in età infantile; - psicologicamente compromessa (Psychologically Impaired), in questa categoria rientrano le offender depresse e con disturbi di personalità; 5 Sandler, J.C., Freeman, N.J.Female and male sex offenders: a comparison of recidivism patterns and risk factors. Journal of interpersonal violence. 2008 10
- sperimentatrice (Experimenter), di norma, una ragazza adolescente che vittimizza un bambino al di sotto dei sei anni con cui ha rapporto di babysitting; - madre molestatrice (Maternal Molestation), madre che abusa del proprio figlio; - sessualmente deviante (Sexually Deviant), rientrano in questa categoria le donne con un disturbo parafiliaco; - altre tipologie non specificate. Attraverso i dati ricavati da questo studio, constatarono che le donne che avevano abusato di minori, rientravano con maggiore probabilità nella tipologia “psicologicamente compromessa”. Questa è una categoria difficile da decifrare poiché sarebbe necessario sapere se gli intervistati parlavano di specifici disturbi psicologici (ad esempio, depressione, disturbi di personalità) o se stessero alludendo a qualcosa di più generale come scarse capacità di problem solving. La seconda tipologia maggiormente rappresentata nello studio, è quella “incline”. Molti studiosi ritengono che questa tipologia sia problematica. La maggioranza di coloro che sono vittime di abusi sessuali non diventano abusatori a loro volta. Uno studio su vittime di abusi sessuali femminili, infatti, riporta che meno del 15% di chi commette abusi sessuale li abbia a sua volta subiti da bambino ( Rosencrans, 1997). Una tipologia che considera la vittimizzazione precedente un fattore causale di estrema importanza per il comportamento di abuso, dovrebbe essere considerata con prudenza. La terza categoria che raccoglie più casi, è quella della “madre molestatrice”. 6 4. CARATTERISTICHE DELL’AGGRESSORE SESSUALE DI GENERE FEMMINILE 4.1 Relazione tra la vittima e l’abusatore di sesso femminile Analizzando il fenomeno della pedofilia al femminile, le ricerche hanno riscontrato, che le insidie più comuni per il bambino si trovano all’interno della famiglia. Numerosi casi di violenza che si verificano all’interno delle mura domestiche dimostrano come l’idea di un luogo familiare accogliente, ricco di amore e valori, sia una visione in parte idealizzata. Per quanto riguarda la relazione tra la vittima ed il soggetto femminile, autore dell’abuso, dalla ricerca di Tsopelas, Tsetsou, Ntounas e Duozenis (2012), emerge un dato interessante: le donne che perpetravano l’abuso sessuale su minori avevano con gli stessi una relazione di tipo parentale o “assistenziale. Anche precedenti studi sembrano confermare questo triste fatto. Dalla ricerca di Kercher e Mc Shane emerge che la maggior parte degli aggressori di sesso 6 Lambert, S. & Hammond, S. Prospectives on female sexual offending in Irish contest. Irish Journal of Applied Social Studies, 2009. 11
femminile, nel momento dell’abuso, avevano una qualche relazione con le loro vittime e quasi la metà erano madri o matrigne delle vittime (Kercher & Mc Shane, 1984. Denov ha presentato dati riferiti a 14 bambini abusati sessualmente da soggetti di sesso femminile. A conferma di quanto detto precedentemente, egli ha riportato che il 73% delle vittime fosse stato abusato sessualmente da un parente donna e il 47% di queste dalla propria madre. I restanti soggetti del campione hanno trovato il loro aggressore nella figura della baby-sitter (Denov 2004). Roe-Sepowitz et al. (2007) hanno presentato dei dati interessanti provenienti da una loro ricerca effettuata su 118 soggetti di sesso femminile accusate di abuso sessuale su minore e residenti in Florida. Dalla ricerca emerge che la relazione più comune tra l’aggressore e la vittima era quella di tipo fratello-sorella o sorella-sorella. Tra le vittime che non avevano con i loro aggressori questo tipo di legame, la maggior parte era composta comunque da parenti. Le altre vittime erano state sessualmente abusate da donne che non avevano alcun tipo di legame parentale con le medesime e che esercitavano la funzione di baby-sitter, o erano vicine di casa. Questi risultati furono poi confermati più tardi, dalla ricerca di Sharon Lambert e Sean Hammond; agli intervistati fu chiesto di indicare, tra le varie alternative possibili, quella che meglio di altre rappresentava la tipologia di relazione tra vittima e abusatore. I dati illustrano che la maggior parte erano genitori della vittima, seguiti da fratelli/sorelle, baby-sitter, vicini di casa (Sharon Lambert & Sean Hammond, 2009). Ciò che emerge dalla letteratura, conferma che gli aggressori-donna sono soprattutto parenti (madri o sorelle) seguite poi da vicine di casa e baby-sitter. Dunque nella maggior parte delle donne esaminate che abusano sessualmente di minori, è risultato che le stesse hanno avuto una relazione con la loro vittima della quale avrebbero dovuto prendersi cura in funzione del ruolo sociale o familiare che rivestivano. Proprio questa sembra essere una delle differenze fondamentali tra aggressori-donna e aggressori-uomini: molto rari sono casi di donne completamente estranee alle loro vittime. Esistono invece casi, anche se non molto frequenti, di aggressori uomini completamente estranei alle loro vittime. L’avere un forte legame con l’aggressore è uno dei motivi che spinge molte vittime di abuso a non parlare della loro traumatica esperienza; nella maggior parte dei casi le vittime non menzionano l’aggressore-donna. La letteratura suggerisce che le motivazioni che spingono al silenzio la vittima sono: - per le vittime di sesso maschile in età adolescenziale, il sentirsi troppo umiliate per quanto accaduto e questo le porta a negare l’evento; - per i bambini la difficoltà nel riconoscere la madre come aggressore, in quanto vi riconoscono un soggetto puramente assistenziale; 12
- forte senso di paura legato al timore che nessuno crederà loro.7 Tutto ciò fa pensare che, i casi numericamente limitati di abuso sessuale perpetrato da soggetti di sesso femminile, potrebbero essere spiegati anche dalla paura e difficoltà delle vittime di rilevare quanto accaduto. Vi è quindi una pedofilia femminile intra-familiare perpetrata all’interno della famiglia, prevalentemente incestuosa che è difficile da individuare perché celata dietro al ruolo della madre onnipresente nella vita dei suoi figli. L’azione deviante in questo contesto non appare violenta, ma connotata da pratiche perlopiù affettuose.8 Le madri sono coloro che si occupano dei molteplici bisogni del bambino, della loro cura, della loro pulizia e alimentazione; ed è proprio dietro questi gesti quotidiani che la pedofilia può trovare molteplici mascheramenti (Quattrini e Constantini, 2011). Proprio per questo i casi di abuso materno difficilmente escono allo scoperto e quando questo accade godono di un diverso metodo di valutazione basata sulla credenza che una madre, stia semplicemente prolungando, in maniera non colpevole, il suo ruolo protettivo. Tuttavia nonostante la maggior parte di abusi sessuali femminili avviene tra le mura domestiche si può parlare anche di una pedofilia femminile extra familiare, con connotazioni diverse. Questa forma fa riferimento alla piaga sociale del turismo sessuale minorile dove, nella maggior parte dei casi, la motivazione che spinge a procacciare la vittima è uno sfrenato senso di potere e piacere esercitato sul bambino. È una forma di turismo sessuale che prende di mira i minorenni, specialmente in certe zone povere del mondo dell'Asia, dell'Africa e del Sud America, da parte di turisti stranieri con lo scopo di coinvolgerli commercialmente nella prostituzione minorile: tutto ciò fa parte, secondo le disposizioni internazionali, dell'ampia categoria riguardante gli abusi sessuali sui minori. Rientrano in questa tipologia anche i tanti casi, ormai sempre più frequenti, di maestre che seviziano o maltrattano i bambini all’interno delle aule di scuola o che insegnano giochi che prevedono la 9 penetrazione dei genitali con i pennarelli. 7 Tsopelas, C., Tsetsou, S., Ntounas, p., & Douzenis, A. Female perpetrators of sexual abuse of minors: What are the consequences for the victims?, International journal of law and psychiatry, 2012. 8 Grattagliano, I., Mele, A., Leva, F. & Caraballese, F. Sexual offenders al femminile. Rassegna italiana criminologia,2008. 9 Cannito, A. Quando la pedofilia è donna: caratteristiche di un fenomeno silenzioso ma oggi più che esistente. La repubblica 24 agosto 2000 13
4.2 Caratteristiche delle vittime e del reato Mentre aggressori di sesso maschile tendono più frequentemente a vittimizzare le donne, diverse ricerche mostrano che curiosamente le donne aggrediscono vittime di entrambi i sessi. Roe-Sepowitz e Krysik nel loro studio hanno raccolto dati che evidenziano come la maggior parti delle giovani donne che hanno commesso abuso sessuale, hanno avuto una sola vittima. Di questi, il 56% delle vittime era di sesso maschile ed il 43% di sesso femminile (Roe-Sepowitz & Krysik, 2008). Nel complesso, tuttavia, si stima che anche nel passato, siano le ragazze a costituire la maggioranza delle vittime di abuso sessuale messo in atto da soggetti di entrambi i sessi (Faller, 1987; Finkelhor & Russelle, 1984; Kercher & Mc Shane, 1984). Le vittime dell’ abusatore femminile, sono nella maggior parte dei casi i bambini degli stessi aggressori, i figliastri, i figli di amici, studenti o adolescenti che la donna incontra online.10 Vi è quindi un rapporto di conoscenza preesistente l’abuso. Negli ultimi anni, sono inoltre aumentati i casi di pedofili di sesso femminile che utilizzano la rete per adescare le loro vittime11 Questo ha portato, a partire dall’Ottobre 2012, in Italia all’introduzione di una nuova fattispecie di reato che riconosce il carattere di pericolosità dei contatti sessuali on-line tra minori e adulti: l’adescamento (art. 609undecies c.p., inserito dalla legge n. 172/2012). Nel caso di abuso da parte di un maschio, frequenti sono i casi di vittime con cui non vi è alcun tipo di relazione contrariamente all’aggressore donna che compie l’abuso su minori che fanno parte del suo ambiente sociale. L’aggressore donna non assume un comportamento “predatorio” anche se sembra che comunque scelgano luoghi di lavoro che permettano di entrare in contatto con le loro giovani vittime. I bambini vittime dell’aggressione hanno un età che varia fra gli 8 e i 15 anni, indipendentemente dal sesso dell’aggressore.12 Un dato altrettanto interessante testimonia come, nella maggior parte dei casi, le donne pedofile hanno complici maschili, a differenza degli abusatori maschi che non hanno alcun complice. Secondo Vandiver, se le donne hanno un complice, nella maggior parte dei casi, è un uomo che è il loro “altro” significativo. La loro relazione è quasi sempre abusiva. Inoltre le donne che agiscono con un partner hanno più probabilità di avere più di una vittima, di aggredire vittime di entrambi i sessi e commettere anche reati di natura non sessuale (Vandiver, 2006). Ciò spinge a pensare che, nel caso delle donne, vi siano altre cause che spingono a compiere 10 Idem 11 Mason, C. L’abuso sessuale femminile sui minori. I profili dell’abuso Profiling, 2010 12 West,S., Hatters Friedman S., Dan Kim k.Women accused of sex offenses: a gender-based comparison. Behavioral Sciences and the law,2011. 14
tale atto, quali ad esempio il desiderio di sentirsi amate ed accettate dal partner. Infatti, la dinamica dell’atto pedofilo nelle donne ha a volte anche un’altra particolare connotazione “passiva”, definita pre-pedofilia, che si caratterizza in una posizione marginale e passiva nell'atto pedofilo da parte della donna, che lascia all'uomo la parte attiva. E' pre-pedofilia quando, all'interno delle mura domestiche, il padre abusa dei figli minori e lei (moglie, madre, convivente) vedendo, percependo e intuendo l'abuso, decide di tacere. Il suo silenzio-assenso è una ulteriore violenza ai danni delle piccole vittime, abusate e non protette da coloro che invece dovrebbero amarle ed educarle (Quattrini & Costantini, 2011). Il fenomeno della pre-pedofilia da parte della figura materna, si può verificare perché il compagno è un pedofilo e l’amore e la dipendenza patologica nei confronti del partner, la porta a seguire le inclinazioni di quest’ultimo. 13 Secondo Welldon, la grande differenza tra la perversione maschile e femminile risiede nel differente obiettivo insito nei due generi sessuali: all’uomo l’atto perverso, quello pedofilo, permette di soddisfare il suo bisogno inconscio di aggredire l’altro, una forma di aggressione eterodiretta. Per la donna invece l’obiettivo primario del suo comportamento è esattamente il contrario, cioè danneggiare sé stessa attraverso l’altro. Nella pedofilia, in particolare, il suo aggredire un bambino ha per lei lo stesso significato di aggredire sé stessa, un’aggressione autodiretta (Welldon, 1995). In più Lawson, descrivendo 20 autori di reati femminili, concluse che queste idealizzano i loro figli, demonizzano l’uomo, diffidano di altre donne e hanno un atteggiamento ambivalente verso loro stesse (Lawson, 2008). Le donne nell’abuso di un bambino, raramente usano la violenza, usano la persuasione e la coercizione psicologica a differenza dei sex offender maschi, che nella gran parte dei casi usano violenza con le loro vittime. 14L’uomo pedofilo, mette in atto modi di fare o uno stile infantile per entrare in contatto con la vittima, mentre la donna utilizza un contatto materno. La pedofilia femminile passa attraverso la maternità, utilizzando pervasive strategie di manipolazione del figlio. La madre può agire atti sessuali nei confronti del bambino attraverso bidet, bagnetti prolungati, dormire insieme. Ed è proprio dietro questi gesti quotidiani, che ogni madre ha il compito di eseguire quotidianamente, che si maschera l’abuso. Plufgard e Allen (2010), hanno esaminato il funzionamento esecutivo di 35 donne accusate di crimini sessuali, le quali sono state categorizzate secondo le tipologie di Sandler e Freeman. I ricercatori constatarono che a differenza di altri reati sessuali compiuti da uomini, quelli compiuti da 13 Fruet, S., Pedofilia al femminile: analisi del fenomeno. (s.d.) 14 Tsopelas, C., Tsetsou, S., Ntounas, p., Douzenis, A. Review on female sexual offenders: findings about profile and personality, International journal of law and psychiatry,2011. 15
donne non erano dovuti a impulsività, a scarsa inibizione o rigidità cognitiva. Piuttosto questi crimini erano ben pianificati, intenzionali e con uno scopo preciso (Plufgard & Allen, 2010). 4.3 Vittimizzazione precedente Una storia di abusi sessuali nell’infanzia e nell’adolescenza, è un potenziale fattore di rischio per i perpetratori di abusi sessuali sui minori ampiamente analizzato. Nel caso in cui non sono presenti forti disfunzionalità psichiatriche, il comportamento di una donna che abusa sessualmente di minori può essere ricondotto, nella maggior parte dei casi, al ciclo dell’abusante-abusato. In tal caso l’aggressore-donna sfoga la propria rabbia, accumulata a causa degli abusi subiti a sua volta, attraverso comportamenti di tipo offender sui propri figli. Una vendetta per l’abuso che loro stesse hanno ricevuto, spinte dalle fantasie di vendicare quegli umilianti traumi. Il metodo di vendetta è quello di disumanizzare e umiliare la loro vittima durante la fantasia o l'atto perverso. A conferma di ciò, diversi studi confermano che molti trasgressori sessuali femmine, sono state a loro volta sottoposte a qualche tipo di vittimizzazione durante l’infanzia o l’adolescenza. La ricerca condotta da Sara G. West, Susan Hatters Friedman e Ki Dan Kim (2011) mostra che una storia di vittimizzazione precedente è molto frequente tra le donne che abusano sessualmente di minori. La metà delle donne che compongono il campione, accusate di crimini sessuali su minori, riporta di aver subito abusi fisici, un terzo abusi sessuali e un terzo abusi emozionali. Infine un terzo delle donne sono state vittime di violenza intima da parte del partner. Da quanto emerge dalla stessa ricerca, meno comune è per gli aggressori-maschi una storia di abusi emozionali e fisici, e non vi sono casi di vittimizzazione in età adulta per abuso da parte del partner e da stupro. 15 Anche uno studio precedente, condotto su trasgressori sessuali femmine che hanno ricevuto cure in un programma di terapia residenziale, ha sottolineato, in linea con quanto detto, che tutte erano state abusate sessualmente da bambine e che l’80% aveva vissuto una qualche forma di abusi sessuali nell’infanzia o nell’adolescenza (Hunter, Lexier, Goodwin, Browne, e Denis, 1993). In una ricerca più recente (Christopher, Lutz-zois & Reinhardt, 2007) è risultato che, tra le 142 partecipanti provenienti da una prigione femminile del Midwest, il gruppo dei trasgressori sessuali ha riferito casi più frequenti di abuso sessuale da bambine rispetto ai partecipanti del gruppo dei trasgressori non sessuali. Questo studio ha messo inoltre in risalto che le partecipanti appartenenti al gruppo dei trasgressori sessuali hanno vissuto abusi sessuali da bambine per una durata maggiore rispetto all’altro gruppo. 15 Ibidem, pg 16. 16
Nella ricerca condotta da Roe-Sepowitz and Krysik (2008) sono stati recensiti dati relativi a trasgressori sessuali femminili minorenni. Nonostante la maggioranza di queste, provenisse da famiglie caotiche con scarsa supervisione genitoriale, soltanto la metà di esse aveva riferito storie di maltrattamenti o abusi sessuali da bambina. Era evidente che i trasgressori femmine con una storia di maltrattamenti da bambine avevano più probabilità, di abusare fratelli/sorelle o parenti, mentre i trasgressori sessuali non maltrattati da bambini, avevano più probabilità di abusare sessualmente di compagni di classe, amici, bambini a cui facevano le baby-sitter. Vi sono quindi anche altre variabili importanti da considerare con cautela nel caso della vittimizzazione precedente, come la durata dell’abuso sessuale, il numero di perpetratori e il concomitante abuso fisico. Ciò che emerge dai vari studi, è un alta incidenza di abusi sessuali, fisici ed emotivi nelle storie passate di donne accusate di crimini sessuali; ciò spinge a ritenere la vittimizzazione precedente un fattore causale d’importanza fondamentale. Le donne che abusano sessualmente di un minore sperimentano, alti tassi di maltrattamento sia nell’infanzia che nell’età adulta. 4.4 Storia psichiatrica Di fronte ad un reato come l’abuso sessuale è luogo comune che venga associato con la follia: l’autore di tale mostruosità viene per forza ritenuto un malato mentale, altrimenti non avrebbe mai commesso una cosa simile. Si tratta come di un meccanismo difensivo, nel pensiero diffuso, per spiegare qualcosa che se non fosse spiegata con la follia sarebbe troppo inquietante: pensare che una madre qualsiasi possa abusare del suo bambino è inaccettabile, perché induce a credere che allora ciascuno di noi, in certe condizioni, sottoposto a particolari condizioni di stress, potrebbe esplodere. Analizzando nel dettaglio la storia psichiatrica dei soggetti abusanti femminili presi in esame da diverse ricerche, emerge che questi potrebbero vivere una varietà di problemi che comprendono depressione, immaginazione suicida, dipendenza da droga e/o alcool e bassa autostima. Alcuni autori hanno anche potuto verificare che, comunemente, non sono presenti droga e alcool nei soggetti abusatori nel momento in cui commettono il crimine (Faller,1995; Johannson-Love, 2006; Lewis & Stanley, 2009). Questo dato suggerisce che le donne sono spinte ad abusare sessualmente su un minore anche per altre motivazioni, oltre a disinibizione e impulsività. Dalla ricerca di Sara G. West, Susan Hatters Friedman, e Ki Dan Kim, è emerso, per quanto riguarda la storia di abuso di sostanze, che una minoranza di trasgressori femminili ha una storia di abuso di sostanze a differenza degli uomini del campione, che soddisfano tutti tale requisito. L’abuso di sostanze da parte di donne, include una varietà di sostanze tra cui, più frequentemente, marijuana, alcool, cocaina e oppiacei. In tutti gli uomini del campione che abusano di sostanze, quella più comune è l’alcool. Dai dati emerge 17
inoltre che le donne con disturbo da uso di sostanze, hanno ricevuto un trattamento, frequentando programmi specifici per tale disturbo, a differenza degli uomini. Dalla medesima ricerca emerge che, mentre a molteplici aggressori di entrambi i sessi sono stati diagnosticati disordini psichiatrici, soltanto a due donne dell’intero campione è stata diagnosticata una grave malattia mentale, quale la schizofrenia e la depressione (p.735). Ancora questa assenza di grave malattia mentale negli aggressori di sesso femminile è supportata da altri dati presenti in letteratura e suggerisce altre motivazioni per l’esecuzione dei crimini. Green e Kaplan (1994) hanno trovato che è molto probabile riscontrare nei female sexual offenders una diagnosi di disturbo di personalità associato a difficoltà di controllo degli impulsi, come il disturbo borderline e il disturbo antisociale di personalità. Tardif et al. hanno presentato uno studio i cui dati constatavano che il campione di donne adulte accusate di crimini sessuali, soffriva di disturbo borderline (30,8%), disturbo distimico (15%), depressione e personalità dipendente (30,8%) e di personalità dipendente (15,4%) (Tardif, 2008). Cristopher et al. (2007), hanno ipotizzato che i tratti di personalità “Borderline” e Antisociale, potrebbero mediare la relazione tra l’esperienza di abusi nell’infanzia e la più tarda perpetrazione di abusi sessuali in fase adulta. Secondo i risultati del loro studio, la storia di abusi sessuali da bambini era correlata positivamente a tendenze di personalità “Borderline”16. Per quanto riguarda le parafilie, s'intendono pulsioni erotiche connotate da fantasie o impulsi intensi e ricorrenti, che implicano attività o situazioni specifiche che riguardino oggetti, che comportino sofferenza e/o umiliazione, o che siano rivolte verso minori e/o persone non consenzienti.17 La sessualità del parafiliaco è ristretta a specifici stimoli o azioni devianti. Matthews et al. (1991) hanno trovato che 11 soggetti su 16 abusatori sessuali hanno riferito una certa eccitazione sessuale e/o fantasie collegate alla vittima durante il loro abuso. Gli stessi abusatori hanno riferito che tale eccitazione derivava nella maggior parte dei casi da sensazioni di potere e dalla fantasia che le loro vittime fossero uomini adulti. Nella ricerca condotta da Christos Tsopelas, Tsetsou Spyridoula , Douzenis Athanasios (2011) il 60% del campione ha ammesso di aver provato eccitazione sessuale e avuto fantasie sessuali devianti riguardanti la vittima prima dell’abuso. È dunque improbabile che soffra di psicosi, ma nella maggior parte degli studi, emerge che questa vive una varietà di altri problemi, che comprendono depressione, immaginazione suicida, bassa autostima, dipendenza da droga e/o alcol. La mancanza di una grave malattia mentale per le donne che abusano sessualmente 16 Christopher, K., Lutz-Zois, J. C., Female sexual-offenders: Personality pathology as a mediator of the relationship between childhood sexual abuse history and sexual abuse perpetration against others. Child Abuse & Neglect,2007. 17 v. DSM IV & DSM V, Paraphilias. 18
di minori è testimoniata anche dalla letteratura e suggerisce altre motivazioni per i crimini ( Plufgardt & Allen, 2010). 4.5 Storia sessuale Uomini e donne sex offenders hanno, in riferimento alla loro storia sessuale, età simili per quanto riguarda le loro prime esperienze sessuali e anche un numero simile di partner sessuali avuti nel corso della loro vita. La maggior parte presenta un orientamento sessuale eterosessuale. Le donne sembrano utilizzare molto meno degli uomini materiale pornografico, o frequentare strip club. Dallo studio di Sara G. West, Susan Hatters Friedman, e Ki Dan Kim, che confronta un campione di donne accusate di crimini sessuali e la loro controparte maschile anche per quanto riguarda la storia sessuale (orientamento sessuale, età della prima esperienza sessuale, numero di partner sessuali ecc.), emerge che, per quanto riguarda l’orientamento sessuale, 5 donne e 5 uomini si sono identificati come eterosessuali, e 2 donne come bisessuali. L’età in cui le donne dichiarano di aver avuto la loro prima esperienza sessuale varia dai 13 ai 18 anni per le donne, con una media di 16. Allo stesso modo gli uomini hanno indicato la loro età al momento del primo rapporto sessuale e questa varia tra 11 e i 18 anni, con una media di 15 anni. Le donne indicano di aver avuto in media 13 partner nel corso della loro vita, mentre gli uomini riportano una media di 10 partner sessuali. Per quanto riguarda l’utilizzo di materiali pornografici, 3 donne e 7 uomini ne fanno uso. Solo una donna del campione (e nessun uomo) ha partecipato ad un programma di trattamento per aggressori sessuali in passato (p.734). Facendo riferimento alla storia sessuale, uomini e donne hanno, mediamente, età simili per quanto riguarda le loro prime esperienze sessuali e un numero simile di partner sessuali, nel corso della loro vita. 4.6 Storia familiare e personale La maggior parte delle donne che abusano sessualmente su minori, proviene da famiglie caotiche e violente in cui gli abusi verbali, fisici emotivi e sessuali sono comuni. Gli studi presenti in letteratura, individuano tra i fattori di rischio di reato sessuale per la donna, un passato caratterizzato da abusi e violenze intra-familiari. 18 Molto frequente, nelle famiglie da cui provengono le donne abusanti, sono i disordini psichiatrici e disordini dovuti a uso di sostanze. La disciplina all’interno di queste famiglie, nella maggior parte dei casi, era ferrea ed imposta con la violenza. Nello studio di Sara G. West, Susan Hatters Friedman, e Ki Dan Kim, il campione di donne ricorda 18 Caso,L., Da Ros, T., Matano, C. (2011). Donne autrici di abusi sessuali: una rassegna della letteratura. Rassegna italiana di criminologia,n1. 19
che la disciplina durante la loro infanzia era imposta attraverso le restrizioni di privilegi; più della metà degli aggressori di ciascun genere riporta frequenti punizioni fisiche durante l’infanzia. La primaria fonte di cure per la maggior parte delle donne durante la loro infanzia era la madre, i genitori biologici, il padre e i genitori adottivi. Al contrario, gli uomini nel campione indicano come figura principale nella loro infanzia la madre, la madre e il patrigno, genitori adottivi (p.732). Già in precedenza, furono condotte ricerche che testimoniano la disfunzionalità delle famiglie dalle quali le donne che commettono reati sessuali provengono. Johnson nel 1989, trovò dei deficit della personalità in tutti i genitori delle abusatrici minorenni. La maggior parte delle madri di queste ragazze, avevano un personalità dipendente e più della metà avevano vissuto abusi fisici da parte di uno o più uomini nella loro vita e l’85% era stato vittima di abusi sessuali. Molte madri erano depresse e avevano un senso estremamente basso della loro capacità di gestire le proprie vite e quelle delle loro figlie. Quasi tutte le abusatrici minorenni non sapevano dove fossero i loro padri. Le ricerche testimoniano una continuità di violenza domestica nelle storie delle abusatrici, con famiglie nella maggior parte dei casi con problemi di diversa natura, tra cui molto frequenti disordini psichiatrici. Le realtà familiari da cui provengono donne abusatrici, sono caratterizzate da violenza, abusi, maltrattamenti. Dall’esame della loro storia personale, emerge che tendono ad essere membri marginali nei gruppi di coetanei, sono spesso senza amici e hanno difficoltà nelle relazioni interpersonali e ricercano l’accettazione in modi anormali (Mathews, 1993). Donne e uomini accusati di crimini sessuali, presentano dati demografici simili; la maggior degli aggressori di entrambi i sessi, ha un lavoro, sono genitori, ma pochi hanno la custodia dei loro figli simili (Sara G. West, Susan Hatters Friedman, Ki Dan Kim, 2011). Il dato che sottolinea che la maggior parte di queste non ha l’affido dei propri figli è indicativo dei problemi precedenti come anche, le storie di precedenti arresti, frequenti nei trasgressori di entrambi i generi. 4.7 Le conseguenze psicologiche delle vittime I bambini vittime di abuso sessuale da parte di soggetti di sesso femminile, sono sopraffatti da sentimenti conflittuali e contrastanti diretti alla figura dell’aggressore. Sono tipici, ad esempio, sentimenti di auto-accusa: credono di aver fatto qualcosa di talmente sbagliato al punto di aver portato la madre a commettere tale atto. Per la vittima, è molto più facile credere che l’abuso sessuale sia la risposta ad un proprio errore, che ammettere che la persona che si prende cura di lui/lei possa farle del male in maniera intenzionale (Munro, 2000). In linea generale, i ricercatori concordano nell’affermare che le vittime di abuso sessuale da parte di soggetti di sesso femminile siano connotati, in base all’età, dai seguenti atteggiamenti. Nei 20
Puoi anche leggere