Antartide 2 - Lanterna del Viaggiatore

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Antartide 2 - Lanterna del Viaggiatore
Antartide 2

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Antartide 2 - Lanterna del Viaggiatore
Informazioni generali:

DURATA DEL VIAGGIO:                24 – 25 giorni.

PERIODO DEL VIAGGIO CONSIGLIATO:   Novembre – Marzo.

COME ARRIVARE DALL’ITALIA:         In aereo. Vi consigliamo di adoperare sia per l’andata che per il ritorno l’aeroporto di
                                   Ushuaia. Alternativamente potreste adoperare l’aeroporto di Rio Grande.

FUSO ORARIO:                       -   5 ore rispetto all’Italia nelle isole Falkland.
                                   -   3 ore rispetto all’Italia nella South Georgia Island.
                                   -   4 ore rispetto all’Italia alle South Shetland Islands e nella Penisola Antartica.

DOCUMENTI NECESSARI:               Per accedere alle Isole Falkland è necessario possedere un passaporto con validità residua
                                   di 6 mesi e possedere un biglietto aereo o navale che garantisca l’espatrio e una
                                   prenotazione per una sistemazione per la notte in loco.
                                   Per accedere alla South Georgia Island è necessario possedere un passaporto con validità
                                   residua di 6 mesi e farsi rilasciare un apposito permesso di ingresso a tempo che viene
                                   elaborato da un apposito ufficio a Stanley, nelle Falkland, dietro pagamento (in genere si
                                   occupano i tour operator di queste questioni burocratiche).
                                   Per accedere all’Antartide (Isole South Sandwich, Penisola Antartica e Garlache Strait)
                                   non servono in linea teorica documenti essendo un territorio indipendente da alcuna
                                   appartenenza a stati riconosciuti. Tuttavia sono richiesti alcuni permessi speciali per
                                   accedere all’Antartide (in genere queste ottemperanze burocratiche sono sempre espletate
                                   dai tour operator) soggetti amodifiche legislative costanti, per tenervi aggiornati potrete
                                   consultare l’International Association of Antarctica Tour Operators in the USA
                                   (www.iaato.org) o presso la British Antarctic Suervey inglese (www.antarctica.c.uk).
                                   Per il transito e la permanenza ad Ushuaia, territorio argentino, è necessario possedere un
                                   passaporto con regolare validità e dichiarare somme in contanti o beni che superino il
                                   valore equivalente di 10.000 dollari statunitensi.
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PATENTE RICHIESTA:             Non necessaria.

RISCHI SICUREZZA E SANITARI:   Non esistono problemi di alcun genere sotto il profilo della sicurezza. Sotto il profilo
                               sanitario vi ricordiamo che passerete lunghe giornate navigando tra alcuni degli oceani più
                               impetuosi del mondo, pertanto abbiate sempre una buona scorta di farmaci per il mal di
                               mare, ma anche medicinali ad uso personale in opportune quantità (non esistono farmacie
                               se non alle isole Falkland e ad Ushuaia) per tutta la durata del viaggio. Non esistono
                               possibilità di soccorso ospedaliero (potrete avvalervi solo dell’infermeria della vostra nave)
                               in mare aperto e nella South Georgia Island, mentre ci sono centri di primo soccorso nelle
                               basi antartiche prossime alla Penisola Antartica e un piccolo ma funzionale ospedale alle
                               Falkland. Ricordate che anche se raggiungerete l’Antartide in piena estate australe si tratta
                               sempre di un continente soggetto a repentini mutamenti climatici, tempeste di neve,
                               temperature che possono spingersi fino a decine di gradi sotto lo zero e venti impetuosi che
                               possono far risultare la temperatura percepita rigidissima o addirittura letale (abbiate un
                               abbigliamento consono). In caso doveste chiedere soccorso è indispensabile essere dotati di
                               apparecchi cellulari satellitari e fatevi sempre accompagnare da guide del posto. E’ inoltre
                               sempre buona norma munirsi di un’assicurazione sanitaria che copra le spese mediche
                               eventuali necessarie in loco (Nuova Zelanda) e che preveda qualora servisse un rimpatrio
                               sanitario verso l’Italia.

MONETA:                        PESO ARGENTINO e STERLINE INGLESI, ma accettati anche DOLLARI
                               STATUNITENSI.

TASSO DI CAMBIO:                1 € = 42, 64     Pesos argentini.
                               1 € = 0, 88       Sterline britanniche.
                               1 € = 1, 15       Dollari statunitensi.

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Descrizione del viaggio:

1° - 2° giorno: trasferimento fino ad Ushuaia

Raggiungere Ushuaia, la più meridionale cittadina argentina collocata in vista di Capo Horn sulla punta sud della Terra del Fuoco, è già di
per sé una mini impresa. Starete infatti muovendo verso uno dei luoghi più remoti, quantunque spettacolari, del mondo e pertanto siate pronti
a intraprendere un viaggio aereo di una certa lunghezza e durata. Grazie ai sempre più efficienti collegamenti aerei tra la Patagonia e il
resto del mondo oggi raggiungere Ushuaia e la Terra del Fuoco è molto più agevole che un tempo, basti pensare che se inizierete il vostro
viaggio da Roma vi basterà compiere un singolo scalo intermedio negli aeroporti di Buenos Aires per completare la tratta. In questo caso
sappiate che vi basteranno 24-29 ore complessive per completare il viaggio di andata, ma riservatevi sempre due giorni di calendario per
non dover fare di fretta e smaltire adeguatamente il jet lag. Qualora invece partiste da Milano o sceglieste opzioni diverse imbarcandovi a
Roma dovrete necessariamente mettere in conto un viaggio con almeno due (o tre) scali intermedi. Il percorso più classico e quello che ferma
a Roma o Madrid e poi a Buenos Aires prima di raggiungere Ushuaia ma adoperata di sovente è anche l’opzione Istanbul-San Paolo-Buenos
Aires. In qualsiasi caso inevitabilmente il percorso di andata si dilunga così a 30-40 ore complessive ma risulta sempre terminabile in soli
due giorni di calendario.

3° - 4° giorno: giorni in mare

Il terzo e quarto giorno di questo itinerario completano il trasferimento per raggiungere la prima vera meta del vostro tour antartico, ossia le
remote e leggendarie Isole Falkland, situate circa 500 km ad est rispetto alle coste argentine della Patagonia ed Ushuaia. Queste due
giornate vi saranno molto utili, oltre che per familiarizzare con la vostra imbarcazione che vi condurrà nel vostro tour antartico, anche per
conoscere meglio le condizioni dell’oceano meridionale, spesso insidiose e adatte a veri lupi di mare. Vi rammentiamo che i miglior tour
operator del settore dedicati ai viaggi antartici che potrete contattare e con cui potrete prenotare il vostro viaggio sono ad oggi i seguenti
operatori: Poseidon Expeditions, Intrepidtravel, Swoop Antarctica, Oceanwide Expeditions, Polarcruises, Adventure Smith Explorations e
Oneocean Expeditions.
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5° - 6° giorno: ISOLE FALKLAND

Conosciute in tutto il mondo per i tristi eventi legate alla guerra britannico – argentina del 1982 le isole Falkland (o Malvinas per gli
argentini) sono un vasto arcipelago dell’Atlantico meridionale composto da oltre 200 affioramenti complessivi (pari a una superficie di
12.173 kmq, comparabile con l’estensione dell’Irlanda del Nord) ma principalmente caratterizzato dalla presenza di tre grandi isole
principali: a ovest del Canale delle Falkland si colloca Grand Malvina, mentre a est dello stesso braccio di mare sorgono quasi in
comunicazione tra loro l’Isola dei Leoni Marini e Soledad, quest’ultima ospitante il capoluogo della regione, l’abitato di Stanley. Il clima
delle Falkland è squisitamente atlantico con precipitazioni costanti nell’arco dell’anno (a più riprese nevose) e temperature che non fanno
registrare una marcata escursione annuale (le medie passano dai +11° gennaio ai +2° di agosto). Tuttavia i forti venti che spazzano
quotidianamente le Falkland uniti a uno scarso irraggiamento solare a causa dei numerosissimi giorni in cui il cielo appare plumbeo per il
passare incessante di nubi impediscono una crescita arborea alle Falkland che sono ricoperte unicamente da distese erbose apparentemente
senza fine e macchie di arbusti (si registrano ben 13 specie endemiche di erbe alle Falkland). Come abbia fatto questo remoto arcipelago
atlantico a finire sotto il controllo della Corona Britannica è facilmente comprensibile se si traccia per sommi capi la storia delle Falkland.
Raggiunte già in tempi arcaici da popolazioni indigene della Patagonia (che però non continuarono ad abitarle stabilmente) le Malvinas
vennero a più riprese avvistate nel corso del ‘500 da navigatori europei ma solo nel 1690 l’inglese John Strong decise di attraccarvi
denominando la zona Falkland in onore del paese di origine, scozzese, dell’ufficiale di bordo della sua imbarcazione. I britannici di primo
acchito non parvero interessati però più di tanto alle Falkland tanto che nel 1763 le isole vennero colonizzate per la prima volta in maniera
stabile da francesi provenienti da Saint Malò (da cui il nome latino Malvinas, traslitterazione spagnola dell’appellativo francese Malouines).
Già nel 1766 però i transalpini cedettero le Falkland agli spagnoli ai quali succedettero gli argentini che le occuparono militarmente nel
1820 rivendicandole come territori propri della nazione. Il 1833 fu l’anno chiave delle sorti delle Falkland che vennero conquistate
militarmente dagli inglesi che le fecero territorio britannico unitamente alle disabitate South Georgia e Isole Sandwich poste più a meridione
nell’Oceano Atlantico. La situazione politica locale rimase stabile fino a subire un improvviso tracollo nel 1982 quando inaspettatamente la
dittatura militare argentina inviò navi da guerra e l’esercito a riconquistare questi territori considerati come parte integrante del territorio
argentino. Dopo un primo momento di sbandamento (gli inglesi di certo non si aspettavano un’azione militare verso questi obiettivi)
l’Inghilterra, guidata dalla Lady di Ferro Margaret Thatcher, lanciarono una veemente azione militare di risposta all’insulto argentino,
nonostante i molteplici inviti della comunità internazionale a cercare una soluzione politica alla crisi (invero già l’ONU aveva dichiarato
fuorilegge l’azione argentina e invitato il governo di Buenos Aires a lasciare immediatamente le Falkland). L’arcipelago fu così teatro di una
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vera e propria guerra tra il 2 aprile e il 14 giugno del 1982 che costò la vita a 255 inglesi, 649 argentini e 3 civili delle Falkland e che fece
registrare l’unico caso in cui un sommergibile nucleare (inglese) lanciò un missile verso una nave nemica (affondandola) dai tempi della
seconda guerra mondiale, fatto che non si è mai più ripetuto da allora sino ai giorni nostri. In realtà oltre alla rapida riconquista delle
Falkland da parte britannica la guerra del 1982 ebbe profonde ripercussioni interne specialmente in Argentina giacché le ondate di proteste
popolare seguenti questa azione diedero il colpo di grazia per la caduta del governo militare dei colonnelli (1983). Fortunatamente dal 1982
in poi la situazione politica e sociale alle Falkland è rimasta pressoché sempre stabile e sicura, nonostante l’Argentina abbia a più riprese
fatto pressioni internazionali per rivendicare le proprie pretese territoriali sull’arcipelago (supportata da molti paesi latinoamericani). Ad
ogni modo, forse, con il referendum del 2013 che vide un clamoroso 99,8% di risultati a favore del mantenimento dello status quo di
dominazione inglese sulle isole da parte dei suoi abitanti si può auspicare che l’annosa diatriba tra le due potenze dell’Atlantico meridionale
possa dirsi terminata (in effetti dei 3000 abitanti recensiti delle Falkland quasi tutti sono di ascendenza inglese o scozzese e professano una
religione cristiano anglicana). Una caratteristica singolare delle Falkland è poi legata alla sua fauna: nonostante l’incredibile isolamento
geografico che le contraddistingue le Falkland non presentano alcun animale endemico ma sono popolate da una quantità incredibile di
pecore, importate nel corso dei secoli dagli europei e divenute uno dei cardini dell’economia locale (che si basa sulla pastorizia e sulla
pesca). Altri animali tipicamente australi che le popolano sono i pinguini (circa 500.000), specie ornitologiche come albatros, procellarie,
cormorani, alzavole, aironi, garzette e una folta rappresentanza di animali marini (delfini, balene, elefanti e leoni marini). Destabilizzanti
invece per l’ecosistema della Falkland sono risultati l’introduzione umana, quantunque involontaria, di gatti e roditori.
Sotto un profilo di visita turistica i luoghi più interessanti delle Falkland si possono considerare l’oasi naturalistica di New Island e la
baricentrica East Island, dove sorge il capoluogo Stanley. Giacché raggiungerete le Falkland da ovest il primo affioramento contro cui vi
imbatterete sarà sicuramente quello di New Island che è stata nel XX secolo convertita a parco naturalistico dopo essere stata per anni un
base per le battute di caccia alle balene e alle foche dell’Atlantico meridionale (ci sono sparse per l’isola alcune rovine di tali attività).
Nonostante le sue minute dimensioni New Island (10 x 5 km) presenta una esorbitante quantità di fauna, specialmente foche, pinguini,
albatros e procellarie con cui potrete avere il vostro primo approccio diretto in terre antartiche.

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Alcune immagini rappresentative dei paesaggi selvaggi delle Falkland, un’autentica enclave dove natura e uomo hanno trovato un equilibrio
   invidiabile. Nelle prime due immagini alcuni degli abitanti più classici delle Falkland, ossia pecore e pinguini, che spesso dimorano su
     spiagge sabbiose davvero magnifiche. A destra invece uno scorcio della rude rete viaria interna delle Falkland, davvero una sfida.

Tutte la navi da crociera, dopo una doverosa sosta a New Island, convergono quindi verso il porto di Stanley che offre dimora a 2.000 dei
3.000 residenti complessivi delle Falkland. Stanley trova ubicazione sulla massima propaggine orientale di East Island e rappresenta una
sorta di avamposto della civiltà: le sue case sono state costruite con pietre del posto e materiale di recupero da parte di antiche navi
affondate e quasi tutte le abitazioni presentano deliziosi giardini ricolmi di fiori curati con amore dagli autoctoni. La fondazione di Stanley
risale al 1844 come tentativo di sostituirsi al settecentesco insediamento francese vicino di Port Louis alla guida dell’arcipelago.
Immediatamente Stanley si rivelò un porto felice nel quale attraccare e visse in pieno l’epoca d’oro del commercio della lana delle Falkland
che tra l’800 e il ‘900 furono colonizzate da milioni di pecore e da un numero sempre più abbondante di pastori. Stanley si affermò
rapidamente come la nuova guida delle Falkland e, clamorosamente, uscì praticamente indenne dalla guerra del 1982, nonostante qui si
registrarono gli unici tre morti civili del conflitto. Punto focale di Stanley è il suo porto su cui si affacciano sia la Christ Church Cathedral,
del 1892, di fattezze tipiche dell’Inghilterra rurale, sia il Whalebone Arch che commemora sin dal 1933 il centenario della dominazione
inglese sull’arcipelago. Spostandovi verso l’estremità occidentale di Stanley non potrete fare a meno di notare l’edificio tipicamente british

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del Government House e poco oltre il sito commemorativo 1982 War Memorial. Altrettanto interessanti e degni della vostra attenzione sono
il Falkland Islands Museum che traccia la storia delle isole con dovizia di particolari e il Battle of the Falklands Memorial che ricorda come
qui si svolse durante la prima guerra mondiale una battaglia navale tra inglesi e tedeschi che bloccò l’avanzata dei teutonici nei mari
atlantici meridionali. Il nostro consiglio, giacché quasi tutte le crociere fermano per almeno due giorni alle Falkland, è quello di dedicare il
primo giorno a New Island e a un primo rapido approccio con Stanley, la cui visita potrete completarla in seconda giornata in mattinata
riservandovi il pomeriggio per giro automobilistico o in moto dei paesaggi rurali che caratterizzano East Island. Ricordate che potrete
muovervi liberamente sulla rete stradale locale ma che le distanze sono molto elevate e che ci vogliono diverse ore per raggiungere i propri
obiettivi, siate coscienziosi e guardate l’orologio per fare in modo di tornare a Stanley per tempo per la cena.

      Stanley è ormai dal 1844 la cittadina chiave delle sorti e dell’economia delle Falkland. Qui si trova il principale attracco portuale
dell’arcipelago e vi vivono due terzi della popolazione locale. In prima immagine potete apprezzare la sua conformazione tipicamente british
dell’abitato, al centro invece il 1982 War Memorial che ricorda le vicissitudini della guerra combattuta tra inglesi e argentini, infine a destra
                              l’edificio che ospita il Falkland Islands Museum, ottima introduzione all’arcipelago.

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7° - 8° giorno: giorni in mare

Concluso il vostro tour alle Falkland con la settima e ottava giornata di viaggio vi attendono ancora due intere tappe del vostro viaggio
dedicate esclusivamente alla navigazione che vi porteranno dalle erbose isole britanniche della Falkland sino alla decisamente più antartica
South Georgia Island, collocata già oltre l’ideale linea climatica segnata dalla Convergenza Antartica. Questa sorta di divisione invisibile tra
l’Oceano Atlantico e l’Oceano Antartico sarà forse difficilmente identificabile per i non avvezzi a questi climi ma vi basterà guardarvi
attorno, scorgere il numero di iceberg sempre più frequente nei dintorni, fare caso a come molte specie di pesci non nuotino più vicino alla
vostra barca e di come la temperatura si faccia repentinamente più rigida e i venti più sostenuti per comprendere che avrete oltrepassato un
vero limite naturale. Nel volgere di pochi (30-50 km) infatti le acque si fanno più fredde e con una salinità diversa formando una vera
barriera faunistica e paesaggistica tra i continenti americano e antartico: insomma potrete dire di essere quasi giunti al vostro obiettivo.

9° - 10° - 11° giorno: SOUTH GEORGIA ISLAND

La South Georgia Island è la più grande rappresentante della dipendenza diretta del Regno Unito di cui fanno parte anche l’arcipelago che si
estende ad arco per svariate centinaia di chilometri verso sud delle Isole Sandwich Australi (furono date in amministrazione alle Falkland
sino al 1985). Colpita marginalmente dall’invasione militare argentina del 1982 la South Georgia Island è da sempre stata un paradiso
naturale pressoché incontaminato, peraltro di vastissime proporzioni essendo lunga ben 160 km e con una larghezza variabile tra i 2 e i 40
km. Essendo situata a sud della linea della Convergenza Antartica l’isola presenta un paesaggio spiccatamente antartico con ampie calotte
glaciali che ricoprono sia la dorsale montuosa principale (culminante nel Monte Paget, 2915 m) sia buona parte dell’entroterra (55%
dell’intero ammontare di estensione dell’isola). La sua latitudine non estrema (tra 54° e 55° parallelo sud) permette però comunque il
proliferare di sezione erbose ricoperte di muschi e licheni alle quote più basse e nelle aree limitrofe all’oceano, fattore determinante per la
sua biodiversità. Sempre grazie a queste sue condizioni borderline South Georgia Island vanta anche uno dei villaggi più reconditi di tutto il
mondo: l’abitato di Grytviken, un conglomerato di poche abitazioni che offrono ospitalità a una popolazione stanziale variabile tra le 20 e le
30 unità, per lo più ricercatori del centro meteorologico locale o custodi del piccolo museo sui cetacei presente in loco. Grytviken venne
infatti fondata da cacciatori di balene norvegesi nel 1904 ma l’avvenimento storico che più è legato alla memoria di Grytviken fu la morte del
famosissimo esploratore antartico Ernest Henry Schackleton che quivi spirò il 5 gennaio 1922 in seguito a una trombosi coronarica.

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Alcuni scatti del remotissimo villaggio permanente di Grytviken, l’unico ardito avamposto della civiltà nella remotissima isola australe
   britannica della South Georgia Island. Qui potrete evocare la lugubre mattanza delle balene del XX secolo, ripercorrere i gesti eroici di
    Schackleton e della sua ciurma del 1916 e fermarvi a riflettere su cosa voglia davvero dire vivere ai margini del mondo antropizzato.

Storicamente ad ogni modo la South Georgia Island è nota ai navigatori sin dal 1675 quando un navigante inglese, Anthony de la Roché,
spersosi nei mari meridionali in seguito al maltempo la avvistò senza però attraccarvi. Il primo uomo a sbarcare a South Georgia Island fu il
famigerato capitano britannico James Cook nel 1775 che però visse l’esperienza con estrema delusione poiché pensava, rendendosi poi conto
di essersi sbagliato, di essere finalmente approdato in Antartide. Un altro avvenimento leggendario legato alla South Georgia Meridionale fu
il viaggio di auto salvataggio della spedizione antartica Endurance che sempre Schackleton fu costretto a compiere su una minuta scialuppa
di salvataggio dall’isola peri antartica di Elephant Island fino a South Georgia Island nell’aprile del 1916. Navigando a remi su una
scialuppa zavorrata Schackleton con cinque membri residui dell’equipaggio riusciranno ad aver ragione del furioso clima dell’Oceano
Antartico che in quell’occasione per una fase registrò anche mare forza 10 della scala Beaufort. Rimane ad oggi quella di quegli impavidi
che sfidarono le ire dei mari per 1400 km una delle imprese navali più rischiose e mitiche di tutta la storia della navigazione umana. Dopo
quei primi leggendari avvenimenti South Georgia Island mutò considerevolmente il suo appeal nel panorama dei mari meridionali divenendo
in breve nel XX secolo il cardine dell’industria baleniera britannica. I profondi fiordi riparati dai costanti venti occidentali che si allungano

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nella sua costa orientale erano infatti perfetti e furono adoperati come basi dalle navi baleniere che fondarono una decina di approdi sicuri
per le loro mattanze ittiche. Si stima che dal 1904 al 1966, anno in cui si conclusero queste spedizioni, nelle acque circostanti South Georgia
Island siano state uccise qualcosa come 175.000 balene e 500.000 foche sia per motivi alimentari sia per rifornire l’industria dell’olio di
balena. Moltissimi di quei pescatori senza scrupoli (che praticamente ridussero quasi all’estinzione sia i cetacei che i mammiferi marini
dell’isola e delle Sandwich Australi) non furono però inglesi, bensì originari della Scandinavia proseguendo la tradizione ittica imbastita con
la fondazione da parte dei norvegesi di Grytviken nel 1904. Fortunatamente il blocco a questa pratica selvaggia di abbattimento di animali
ha permesso nel corso di 50 anni il ripopolamento massiccio della fauna animale a South Georgia Island che oggi è uno dei santuari migliori
al mondo per il whale watching, per gli amanti dell’ornitologia (si stimano dimorino qui più di 100 milioni di uccelli marini tra cui albatros,
sterne, procellarie e pinguini) e per chi vuole avere incontri ravvicinati con leoni marini (100.000 capi circa) e foche (oltre 3 milioni di
esemplari). Generalmente i tour antartici più accorti che si spingono sino alla South Georgia Island riservano almeno tre-quattro giorni per
scoprire le meraviglie naturali della zona, con la dovuta calma e anche per garantirvi più opportunità di muovervi in zona non con condizioni
di vento impetuoso, precipitazioni costanti o subdole nebbie che spesso fanno da contorno al microclima locale. Una giornata può essere
spesa tranquillamente nella veloce esplorazione del remoto borgo di Grytviken e a far conoscenza con gli arditi abitanti del luogo. Tra i punti
da non perdere del villaggio vi è il South Georgia Musuem, piccolo museo che ripercorre i tratti salienti della storia e delle fortune come
base baleniera del luogo (con dovizia di particolari e numeroso materiale fotografico), la Whalers’ Church, edificio di culto in chiaro stile
scandinavo del 1913 con all’interno memoriali in onore di Schackleton e Carl Anton Larsen (fondatore di Grytviken) e lo Schackleton’s
Grave, il piccolo ma toccante cimitero locale con una tomba che ricorda anche un soldato argentino perito nel 1982 durante la Guerra delle
Falkland. Nelle restanti tre giornate in loco potrete quindi farvi condurre su imbarcazioni dei locali verso gli anfratti più ricolmi di vita della
costa di South Georgia Island o improvvisarvi avventurieri raggiungendo a piedi le baie di St Andrews, Cumberland e Stromness situate nelle
vicinanze di Grytviken. In qualsiasi caso dovrete essere del tutto autosufficienti ma avrete l’opportunità sicuramente di muovervi in paesaggi
dal fascino selvaggio e rude e immersi in una quantità di fauna davvero sconcertante.

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Da quando nel 1966 la caccia a foche e balene è stata bandita in zona South Georgia Island è tornata negli anni ad essere l’autentico
  santuario faunistico incontaminato australe che da sempre è stato. Qui si registrano alcune delle concentrazioni di vita marina, uccelli e
     mammiferi australi più strabilianti del mondo che fanno dell’isola inglese un autentico Eden terrestre per gli amanti della natura.

12° - 13° giorno: giorni in mare

Vi potrà sembrare incredibile ma ci vorranno ancora 1600 km di navigazione e almeno altri due interi giorni in barca per raggiungere le
agognate coste della Penisola Antartica dalla South Georgia Island. Questo tratto di mare è uno dei più tempestosi, ventosi, soggetti a moto
ondoso costante e violento e iceberg insidiosi del mondo pertanto siate preparati a una traversata non sempre confortevole. Anche se di getto
questa ipotesi potrebbe scoraggiarvi o pensare di fare desistere dalle vostre intenzioni ricordate che questi sono stati anche i percorsi
pionieristici compiuti dai primi esploratori diretti verso il Polo Sud e che questa sezione del viaggio è parte integrante del percorso che vi
porterà a capire per davvero l’estensione e la rudezza del clima e del paesaggio antartico.

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14° - 15° - 16° giorno: PENISOLA ANTARTICA

Benvenuti in Antartide, benvenuti nella terra dei ghiacci. Forse potrebbe essere un cliché ma davvero approcciandovi al Mare di Weddell e
alle leggendarie coste antartiche il primo denominatore comune che ritroverete saranno i ghiacci e un colore del panorama che si fa man
mano di un candido abbagliante. Raggiungendo l’Antartide dalla South Georgia Island dovrete quasi inevitabilmente navigare nell’ultimo
tratto di attraversamento dell’oceano meridionale nelle acque freddissime del Mare di Weddell, considerato da molti l’estrema propaggine
meridionale dell’Atlantico e che invece appare morfologicamente davvero come un invaso a sé stante. Delimitato a ovest dalla Penisola
Antartica e a est dalle Terre della Regina Maud il Mare di Weddell è navigabile (ma solo in estate e dovendo fare numerosi dribbling tra
decine di migliaia di iceberg, sempre più numerosi per l’aumento delle temperature polari australi dovute all’esito del buco dell’ozono
creatosi nel XX secolo per cause antropiche) unicamente nella sua porzione settentrionale mentre a sud dell’Elephant Island appare
perennemente congelato e composto da un’impenetrabile banchisa nota come Ronnie Ice Shelf e Filchner Ice Shelf. Il Mare di Weddell
presenta poi alcune particolari peculiarità come quella di essere popolato da crostacei e oloturie (cetrioli marini) ancora sconosciuti alla
scienza, di possedere la limpidezza delle acque più elevata del mondo (si vedono oggetti a 80 metri di profondità con le opportune condizioni)
e di essere la patria di migliaia di foche di Weddell, abili predatori notturni che possono inabissarsi per un’ora sino a 600 metri di
profondità. Non mancano poi nelle sue acque alcuni tradizionali abitanti della fauna antartica come balene e megattere di vari tipi, leoni
marini e milioni di pinguini (Adelie, sottogola, imperatore, gentoo, reali solo per citarne i sottotipi principali). Non va infine dimenticato che
il Mare di Weddell e le coste della Penisola Antartica furono il teatro dei primi pionieristici avvicinamenti umani al continente meridionale:
se si vuol prendere per vero il suo racconto fu il cacciatore di foche John Davis, nel 1821, il primo uomo a mettere piede in Antartide nella
Baia di Hughes (costa ovest della Penisola Antartica). Ad esso seguirono le importanti spedizioni navali di James Weddell (1823-1824) che
scoprì l’omonimo mare, John Briscoe (1831-1832) che perlustrò la Terra di Graham (massima propaggine settentrionale della Penisola
Antartica) e la leggendaria e sfortunata spedizione Endurance presieduta dal mitico esploratore antartico Schackleton che partì con l’idea di
compiere il primo attraversamento antartico ma che rimase invischiata nei ghiacci del Mare di Weddell nel 1914-1916 e che rischiò la vita
dei suoi stessi partecipanti.

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Alcune istantanee che immortalano aspetti chiave di una navigazione nel Mare di Weddell: questo bacino antartico composto da acque
 freddissime e trasparenti è perennemente solcato da giganteschi iceberg che si staccano dalla sua banchisa meridionale ma è anche dimora
                        di numerosissime specie indigene come balene e foche di Weddell che si avvistano con facilità.

Sotto un profilo di visita turistica moderna i luoghi di maggiore interesse del Mare di Weddell e della Penisola Antartica si concentrano
intorno alla Hope Bay una meravigliosa baia invasa costantemente dagli iceberg e da 125.000 pinguini di Adelie e che offre residenza alla
famosa base antartica argentina Esperanza. Costruita da militari argentini nel 1951 è ormai da decenni l’unico abitato del Polo Sud che
possa obiettivamente considerarsi un villaggio a tutti gli effetti con famiglie che vi dimorano stabilmente e che ha persino fatto registrare
delle nascite di bambini. Se vivere qui vi sembra una sorta di masochismo (in effetti un po' lo è) ci teniamo a dirvi che qui le temperature sono
molto meno rigide che nel resto del continente (si va dagli 0° estivi ai -10° invernali) e che Esperanza si ancora saldamente a una piattaforma
rocciosa sgombra dai ghiacci ma in vicinanza di un plateau glaciale dove gli aerei possono comodamente atterrare. La popolazione
dell’abitato (in realtà gestito dall’esercito argentino con numerose basi scientifiche per lo studio del clima) varia tra le 90 unità in estate e le
55 in inverno. Un’estrusione giornaliera molto gettonata che si può compiere dalla Base Esperanza è quella che vi condurrà tra le acque
della Hope Bay sino a Paulet Island, uno straordinario scrigno naturalistico che ospita colonie di centinaia di migliaia di pinguini e
numerosissime procellarie giganti. L’isola fu anche teatro nel 1903 del fortunoso riparo dei membri dell’equipaggio della spedizione
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norvegese capitanata da Nordenskjold che la raggiunsero dopo l’incagliamento della loro barca a 40km dalla stessa nel Mare di Weddell e
dove costruirono un grande riparo di fortuna i cui resti sono facilmente identificabili ancora oggi. Lungo i 70 km di mare che separano
Paulet Island dalla Base Esperanza non potrete fare a meno di notare anche l’inconfondibile profilo del Brown Bluff, uno scenografico
vulcano estinto ricoperto da una calotta glaciale che si specchia nel mare dall’alto dei suoi 745 m. Se volete un consiglio, anche per aver più
tempo a disposizione per familiarizzare con gli abitanti della Base Esperanza e per massimizzare le opportunità di avere a disposizione
giornate di buon tempo per l’avvistamento della fauna selvatica della Penisola Antartica, scegliete crociere che prevedano almeno tre giorni
interi da spendersi in questa particolare regione dell’Antartide.

 A sinistra gli insediamenti che compongono la mitica Base Esperanza argentina, dal 1951 attiva e considerabile come l’unico vero villaggio
umano permanente nel continente antartico con famiglie che vivono perennemente in loco. Al centro quindi alcuni dei numerosissimi pinguini
                Adelie che vivono a Paulet Island ed infine a destra l’arcigna mola del Brown Bluff, antico vulcano ormai estinto.

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17° - 18° - 19° - 20° giorno: GERLACHE STRAIT

Se giunti nell’estrema propaggine settentrionale della Penisola Antartica e dopo aver esplorato i suoi segreti e le sue gemme incantate
pensavate di aver raggiunto il massimo che il continente polare australe avesse da donarvi potreste davvero rimanere interdetti
raggiungendo i luoghi caratterizzati da una bellezza quasi ultraterrena del Gerlache Strait (uno stretto marino situato tra la Penisola
Antartica e le vaste isole costiere di Anvers e di Brabant). Questo tormentato braccio di oceano punteggiato da migliaia di iceberg, acque blu
cobalto e fiordi che si insinuano semi coperti da ghiacci verso l’entroterra antartico è una vera meraviglia. Qui isole montuose e catene
interne antartiche giungono alla costa con altezze ancora vertiginose e completano un quadro che solo la sapientissima mano di Madre
Natura avrebbe potuto disegnare. Questa area polare fu la prima a diventare oggetto di metodiche esplorazioni da parte dell’uomo giacché
fu il primo lembo antartico a venire raggiunto da una nave, nel 1897. Capitano della spedizione fu il belga Adrien de Gerlache che formò una
ciurma ambiziosa e composta da elementi validissimi per questa sfida all’Oceano Antartico e alle sue insidie, vi fece parte anche il futuro
primo pioniere del Polo Sud, il norvegese Roald Amundsen. Ammantata di leggenda la spedizione della Belgica rischiò seriamente di
tramutarsi in tragedia quando nel febbraio del 1898 gli inesperti navigatori fiamminghi rimasero pericolosamente invischiati e bloccati dai
ghiacci antartici autunnali nel Mare di Bellinghausen (nei pressi dell’attuale Peter I Island). Per tutto l’inverno antartico i malcapitati
dovettero resistere tra il pack e in primavera (febbraio – marzo 1899) dovettero persino scavare un canale a mano di 7 miglia per riuscire a
liberarsi dalla morsa dei ghiacci e fare infine ritorno sani e salvi ad Anversa nel novembre del 1899. Oggi fortunatamente i mezzi navali a
disposizione e le conoscenze dell’ambiente polare locale scongiurano fatti simili ma siate pur certi che i 330 km di navigazione tra l’apice
della Penisola Antartica e l’imbocco del Gerlache Strait li percorrerete estasiati da un lato dai panorami e in trepidazione nella speranza di
evitare collisioni con iceberg o con la vertiginosa linea di costa. Prima meta di quasi tutte le crociere antartiche che muovono nel Gerlache
Strait sono in prima istanza dirette verso le isolette di Cuverville, Rongé e Danco Island. Questi tre affioramenti rocciosi si collocano a
brevissima distanza tra loro (5 km di braccio di mare) e i tour operator più efficienti e attenti a fornire un servizio di qualità ai loro ospiti
predispongono una giornata di kayak di mare in questo contesto davvero superbo. Inutile dire che non vi dimenticherete mai di aver pagaiato
in un luogo così estremo ed emozionante e di esservi interfacciati faccia a faccia con colonie di migliaia e migliaia di pinguini di diverse
specie che risiedono stabilmente in queste isole.

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Tre eccezionali scatti che ritraggono alcuni degli scorci più spettacolari del Gerlache Strait: nel dettaglio una delle numerose imbarcazioni
  che si muovono tra gli iceberg dello stretto, la conformazione tutta ghiacci e rupi rocciose di Rongé Island e le numerosissime colonie di
                            pinguini che vivono sui pack di Cuverville Island, autentico santuario faunistico polare.

Proseguendo quindi brevemente la navigazione verso sud-ovest con la vostra nave principale vi imbatterete rapidamente (10-20km) nelle due
successive straordinarie baie antartiche di Neko e Paradise Harbour. La prima è una vera fucina di iceberg che si distaccano senza soluzione
di continuità dalle lingue glaciali continentali che si riversano a capofitto nell’oceano (qui si possono scattare veramente fotografie
memorabili). Paradise Harbour se possibile è ancora più spettacolare incorniciata com’è anche da turrite isole che si innalzano di poco al
largo dalla costa antartica e che si riflettono nelle acque gelide e lisce come una macchia d’olio del posto. Se ne avrete modo fatevi condurre
sulla terraferma ed esplorate brevemente a piedi questa gemma naturalistica di fama mondiale che merita davvero il suo appellativo
altisonante. Se dopo tante meraviglie selvagge naturali sentiste irrefrenabilmente il bisogno di tornare un poco alla civiltà non disperate: a
soli 35km ad ovest del Paradise Harbour pressoché tutte le navi da crociera antartiche fanno rotta verso le basi permanenti di Port Lockroy,
un caposaldo umano in Antartide sin dal 1904 quando l’esploratore francese Charcot toccò qui terra nel corso delle sue esplorazioni. Il
luogo, particolarmente adatto all’attracco di navi, fu adoperato come base per le baleniere fino al 1931 e in seguito fu oggetto di dispute
territoriali tra argentini ed inglesi per il suo controllo. Con un colpo di mano (Operazione Tabarin) i britannici fecero loro Port Lockroy e vi
fondarono la famosa Base A nel 1943 in piena seconda guerra mondiale e ancora oggi l’evoluzione di tale base è costantemente presidiata
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dagli inglesi che accolgono con gioia i visitatori (centinaia al giorno in estate) fornendo loro aree dedicate alla memoria delle gesta
antartiche, uffici postali speciali da cui spedire cartoline e negozi di souvenir. Tutto questo sempre immersi in un contesto squisitamente
polare dominato dalla presenza di circa un migliaio di pinguini. In terza giornata in zona dedicate quindi una tappa del vostro viaggio (molte
agenzie si spingono sino a qui) per l’esplorazione del Lemaire Channel (40km a sud-ovest di Port Lockroy), un strettissimo e profondissimo
(fino a 1600 m) braccio di mare che separa la Penisola Antartica dalla Booth Island. Anche questo braccio di mare fu navigato per la prima
volta da de Gerlache nel 1898 ma ancora oggi occasionalmente l’accesso è impedito da uno strato di pack che tende a non sciogliersi
nemmeno in piena estate antartica. Nella speranza che non siate così sfortunati avrete tutto per voi uno dei canali navigabili più spettacolari
del mondo, contornato da vere e proprie severe rupi rocciose a picco sul mare. Le imbarcazioni turistiche infine spesso si spingono sino alle
vicine Pléneau e Petermann Island che sono dimora di alcune delle colonie di pinguini più meridionali dell’Antartide e di alcuni rifugi
pionieristici dell’epopea antartica di inizi ‘900. A sera infine quasi tutte le uscite verso il Lemaire Channel convergono in direzione della
Palmer Station (50km da Petermann Island), ubicata sulla gigantesca Anvers Island. Palmer Station rappresenta una delle basi scientifiche
stabili più grandi (ospita circa 50 persone) dell’intero Antartide (è statunitense) ed è presidiata continuativamente sin dal 1968, anno della
sua apertura. Invero qui si trovano basi umane sin dal lontano 1955 quando i britannici vi aprirono la Base N andata poi in fumo a causa di
un incendio nel 1971. La funzione di Palmer Station è e rimane però strettamente scientifica: a differenza di Port Lockroy che si è aperta
moltissimo al turismo Palmer Station rimane un centro di ricerche biologiche e climatologiche molto attivo e i turisti non sono visti con
grande felicità poiché spesso ostacolano il lavoro dei ricercatori. Dal canto suo invece Anvers Island (che ricorda la città fiamminga per
volere del suo scopritore, sempre de Gerlache nel 1898) rappresenta una delle più grandi isole antartiche del continente: con i suoi 2432 kmq
di estensione e 61 km di lunghezza è una vera roccaforte polare, culminante nel Mount Français che svetta sull’oceano per 2760m. Se non
riusciste a trovare ospitalità alla Palmer Station per la nottata potrete sempre trasbordare a Port Lockroy, distante solo 20 km di
navigazione.

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Che sia il golfo incantato di Paradise Harbour alle luci dell’alba, la base di Port Lockroy che si staglia con i suoi colori sgargianti su di uno
sfondo di montagne arcigne o l’angusto ma meraviglioso Lemaire Channel tutto in questo angolo di Antartide sa di paradisiaco e magico, un
     luogo che non potrà sicuramente fare a meno di finire dritto dritto nei vostri cuori e stampigliato per sempre nella vostra memoria.

21° - 22° giorno: giorni in mare

Il ventunesimo e ventiduesimo giorno di questa epopea antartica corrispondono all’ultima sezione di navigazione nel vasto oceano
meridionale. Un lasso di tempo necessario per colmare i 1200 km circa che dividono le acque glaciali del Garlache Strait con il porto di
Ushuaia affacciato sul noto e minuto Stretto di Magellano. Questa sezione dell’Oceano Antartico, la più stretta dell’intero suo percorso (645
km dalle Isole Shetland Meridionali a Capo Horn), è detta Stretto di Drake ed è caratterizzata dal fluire alla massima velocità della Corrente
Circumpolare Antartica, l’unica al mondo che compiere il periplo della Terra ininterrottamente. Il suo flusso muove costantemente in
direzione est alimentata da impetuosi venti provenienti sempre dai quadranti occidentali, a causa del moto di rotazione terrestre e le
temperature delle acque qui sono insolitamente fredde in maniera costante (2-6°), tanto che persino il fenomeno della Convergenza Antartica
appare qui più sfumato, probabilmente conseguenza della minore estensione territoriale dello Stretto di Drake rispetto al resto dell’oceano
meridionale.
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23° - 24° - 25° giorno: trasferimento fino in Italia

Come per il viaggio di andata anche per la tratta di ritorno adopererete sempre l’aeroporto internazionale argentino di Ushuaia per muovere
dall’estremità meridionale dell’America Latina verso il Bel Paese. In questo caso ricordate che muoverete verso est sulla carta geografica,
quindi a sfavore di cambio di fuso orario (in avanzamento) e che quindi almeno tre giorni di calendario effettivi vi saranno necessari per
rientrare in Italia. Se muoverete in direzione della capitale Roma rammentate che esiste sempre la comoda possibilità di fare un singolo scalo
intermedio negli aeroporti di Buenos Aires in modo da poter completare la tratta in 30-35 ore complessive. Qualora invece sceglieste opzioni
diverse (per risparmiare un po') o doveste muovere in direzione di Milano sappiate che le vie predilette per spostarvi dalla Terra del Fuoco
alla vostra meta italica son quelle che prevedono due scali intermedi (Buenos Aires + Roma, Barcellona o Madrid) oppure la più elaborata
via Buenos Aires-San Paolo-Istanbul. Inevitabilmente la tratta si dilungherà però a 40-45 ore complessive ma sarà sempre completabile
nell’arco di tre giorni di calendario.

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