Acqua a rischio petrolio! - Modificare il Piano Tutela delle Acque della Regione Abruzzo per far fronte alla petrolizzazione della Regione.
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Acqua a rischio petrolio! Modificare il Piano Tutela delle Acque della Regione Abruzzo per far fronte alla petrolizzazione della Regione. Acqua e petrolio: 3 milioni di galloni di olio rilasciati nelle acque dolci del lago Charles, Louisiana.(tratto dal sito www.darrp.noaa.gov) Rapporto a cura di: Augusto De Sanctis, referente acque WWF Abruzzo Novembre 2010
Introduzione La Regione Abruzzo ha adottato il Piano di Tutela delle Acque della Regione Abruzzo con Delibera di Giunta Regionale n.614 (BURA 24 settembre 2010). Il Piano di Tutela delle Acque, sulla base di quanto previsto dall’art.121 del Decreto 152/2006 e relativi allegati, “contiene, oltre agli interventi volti a garantire il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di cui alla parte terza del presente decreto, le misure necessarie alla tutela qualitativa e quantitativa del sistema idrico.” Il Piano di Tutela delle Acque è un piano di settore che si occupa delle acque interne, delle acque sotterranee (comprese tutte “le acque sotterranee all'interno della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali”) e delle acque marino-costiere. (così definite dal D.lgs 152/2006 “le acque superficiali situate all'interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali, e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione”). Il Piano deve esaminare analiticamente tutti gli elementi di pressione antropica e definire tutte le misure per la protezione e conservazione delle acque. Attualmente il Piano è nella fase di ricezione delle osservazioni (sei mesi a partire dall’adozione del Piano), di Valutazione Ambientale Strategica e di Valutazione di Incidenza Ambientale sugli effetti del Piano sui Siti di Interesse Comunitario e sulle Zone di Protezione Speciale della Rete Natura2000 (anche nell’ambito di queste procedure è possibile presentare osservazioni). Dopo il passaggio al Comitato Valutazione di Impatto Ambientale della Regione, il Piano passerà all’esame del Consiglio Regionale per la sua approvazione definitiva. Per il Piano il problema petrolio e gas in Abruzzo non esiste! Il Piano di Tutela delle Acque nella versione adottata dalla Giunta incredibilmente non accenna in alcuna parte al tema dello sfruttamento degli idrocarburi. Non cita le concessioni petrolifere che attualmente coprono il 51,07 % del territorio regionale (coinvolgendo il 72% dei 305 comuni abruzzesi) e le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi (sia metano che idrocarburi liquidi) in corso di svolgimento e in progetto sia nell'entroterra sia nelle acque prospicienti la costa della Regione (FIG.1). FIG.1 Concessioni in Abruzzo (fonte WWF e Legambiente 2010)
Tale lacuna appare del tutto inaccettabile in quanto è universalmente riconosciuto il ruolo degli idrocarburi nell’inquinamento delle acque. Il quadro conoscitivo del Piano: cosa dice del petrolio Il quadro conoscitivo del Piano è del tutto carente su questa tematica quando dovrebbe includere almeno le informazioni circa la presenza di pozzi abbandonati, pozzi in funzione, aree di stoccaggio e aree in concessione. A tal proposito, a mero titolo di esempio circa la necessità di reperire e includere queste informazioni, si può ricordare un recente servizio del Tg3 Abruzzo in cui nel territorio della Majella, versante orientale del Morrone, grandi quantità di idrocarburi si riversavano in un torrente affluente del Fiume Pescara (tanto che una briglia era diventata di color nero pece). La presenza di idrocarburi nel Fiume Pescara è stata rilevata più volte (si vedano le analisi per la classificazione delle acque ai fini della potabilizzazione). Ciò testimonia l'impatto potenziale sulla qualità delle acque delle strutture esistenti/abbandonate e l'enorme influenza che la pianificazione dello sfruttamento degli idrocarburi potrebbe avere sulle finalità del Piano di Tutela delle Acque. Ovviamente solo un quadro conoscitivo soddisfacente su questa tematica può permettere di prevedere e prevenire impatti negativi sulle acque superficiali, sotterranee e marino- costiere. Appare incredibile che la Regione non abbia neanche recepito lo studio di WWF e Legambiente presentato ormai un anno fa in cui si riportavano analiticamente tutti i dati georeferenziati relativi ai pozzi presenti nella Regione Abruzzo (compresi quelli a mare) e alle concessioni rilasciate e in esame. Al 31 dicembre 2007 sono state effettuate in Abruzzo 722 perforazioni, concentrate essenzialmente nella fascia pedemontana e collinare costiera. (FIG.2). FIG.2 Localizzazione dei pozzi scavati in Abruzzo dagli inizi del novecento al 2007 (fonte WWF e Legambiente 2009)
La cosa appare ancora più grave perché il tema è stato sollevato dalle associazioni durante un’assemblea pubblica di presentazione del piano ancora in bozza avvenuta il 29 aprile 2010 (punto 8 del relativo verbale), ricevendo in quella sede una semplicistica risposta (il Piano di Tutela delle Acque in base al D.lgs 152/2006 non si occuperebbe di idrocarburi!). La cosa non corrisponde alla realtà dei fatti. I poteri assegnati alle regioni dal D.lgs 152/2006 al fine di stabilire misure specifiche per le acque sono molto ampi. Ad esempio, l’Art. 94. Disciplina delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano prevede che siano le Regioni ad individuare limitazioni e prescrizioni anche per le attività produttive nelle zone di protezione individuate. Spetta alla Regione stessa l’individuazione delle zone di protezione (l’Art.94 comma 1 del D. lgs 152/2006 così recita “Su proposta delle Autorità d'ambito, le regioni, per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, erogate a terzi mediante impianto di acquedotto che riveste carattere di pubblico interesse, nonché per la tutela dello stato delle risorse, individuano le aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto, nonché, all'interno dei bacini imbriferi e delle aree di ricarica della falda”). Il D.lgs 152/2006 dispone altresì per le zone di protezione che: “Le zone di protezione devono essere delimitate secondo le indicazioni delle regioni o delle province autonome per assicurare la protezione del patrimonio idrico. In esse si possono adottare misure relative alla destinazione del territorio interessato, limitazioni e prescrizioni per gli insediamenti civili, produttivi, turistici, agro- forestali e zootecnici da inserirsi negli strumenti urbanistici comunali, provinciali, regionali, sia generali sia di settore.” Addirittura il successivo Decreto Legislativo 16 marzo 2009, n. 30 "Attuazione della direttiva 2006/118/CE, relativa alla protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento” all’Art. 7. Misure per prevenire o limitare le immissioni di inquinanti nelle acque sotterranee prevede che “…al fine di prevenire o di limitare le immissioni di inquinanti nelle acque sotterranee e di perseguire gli obiettivi di cui agli articoli 76 e 77 del decreto legislativo n.152 del 2006, le regioni assicurano che il programma di misure stabilito conformemente all'articolo 116 del medesimo decreto legislativo comprenda: a) tutte le misure necessarie a prevenire scarichi ed immissioni indirette nelle acque sotterranee di sostanze pericolose di cui articolo 74, comma 2, lettera ee), del decreto legislativo n. 152 del 2006. Le regioni individuano le sostanze pericolose tenendo conto, in particolare, di quelle appartenenti alle famiglie o ai gruppi di inquinanti tra quelle dell'Allegato 8, alla Parte Terza, punti da 1 a 9, del decreto legislativo n. 152 del 2006; b) tutte le misure necessarie per limitare gli scarichi e le immissioni indirette nelle acque sotterranee di sostanze non considerate pericolose di cui al citato Allegato 8 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e di altri inquinanti non pericolosi, al fine di evitare un deterioramento ed una significativa e duratura tendenza all'aumento della concentrazione di inquinanti nelle acque sotterranee. Nell'individuazione delle misure si tiene conto delle migliori pratiche ambientali e delle migliori tecniche disponibili. In realtà il D.lgs 152/2006 demanda allo Stato solamente le autorizzazioni agli scarichi negli strati profondi di acque derivanti da coltivazione di pozzi per l’estrazione di idrocarburi. Le Regioni hanno pieni poteri nel prevedere norme, anche più restrittive, per le localizzazioni di attività produttive, fasce di rispetto ecc. qualora possano influenzare il raggiungimento degli obiettivi di qualità obbligatori; ciò, ovviamente, attraverso un’adeguata motivazione tecnica. Di seguito offriamo una breve disamina degli impatti sulla qualità delle acque che rende inoppugnabile questo approccio, che, peraltro, renderebbe tali norme non impugnabili da parte del Governo nazionale davanti alla Corte Costituzionale in quanto derivanti da specifici poteri assegnati alle regioni dalle norme nazionali.
Acquiferi, falde e fiumi a rischio petrolio Le attività di ricerca e coltivazione degli idrocarburi dovrebbero essere tra quelle vietate: -nelle aree di Rispetto, di Tutela e di Protezione di cui agli art.21, 22, 23 e 24 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano di Tutela delle Acque della Regione Abruzzo (e delle relative Linee Guida allegate al Piano per la definizione di tali aree) che si riferiscono alla salvaguardia delle aree importanti per la qualità delle acque destinate al consumo umano; -in tutte quelle aree in cui siano presenti acquiferi rilevanti (FIG.3), ancorché già degradati (come prevede il già richiamato Art.7 del Decreto Legislativo 16 marzo 2009, n. 30 "Attuazione della direttiva 2006/118/CE, relativa alla protezione elle acque sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento."); -nelle aree limitrofe al reticolo idrografico superficiale (FIG.4). Ciò in considerazione dei danni agli acquiferi che normalmente si riscontrano sia durante le normali attività di sfruttamento dei giacimenti sia per incidenti di più vasta portata ed eccezionali. FIG.3 Corpi idrici sotterranei significativi e d’interesse della Regione Abruzzo (Piano di Tutela delle Acque della Regione Abruzzo, carta 1.5)
FIG.4 Corpi idrici superficiali significativi e d’interesse della Regione Abruzzo (Piano di Tutela delle Acque della Regione Abruzzo, carta 1.3)
Contaminazione della falda e attività produttiva dell’industria petrolifera L'impatto dello sfruttamento degli idrocarburi sulla qualità dell'acqua è incontrovertibile. A tal proposito è illuminante citare i dati riguardanti i casi di contaminazione dell'acqua di falda avvenuti nel solo New Mexico negli Stati Uniti (elaborazione O.G.A.P. su 705 eventi di contaminazione delle falde dal 1990 ad oggi, registrati dall'ente che si occupa dello sfruttamento petrolifero!). FIG.5 Eventi di contaminazione in New Mexico - fonti di perdita di olio e contaminanti. La FIG.5 mostra che larga parte degli eventi di contaminazione è connessa a oleodotti e a punti di stoccaggio dei fluidi che costituiscono le maggiori cause di rilasci di inquinanti nel terreno e nelle acque. La FIG.6 evidenzia come la gran parte di questi eventi avvenga nei pressi dei pozzi. FIG.6 New Mexico - Localizzazione dei punti di stoccaggio causa di eventi di contaminazione
I rilasci accidentali e/o gli incidenti che portano al rilascio di olio o sostanze contaminanti nel suolo interessano in larga misura le acque superficiali ma possono causare contaminazione delle falde fino a decine di metri di profondità (FIG.7). FIG.7 Questo grafico dimostra come gli incidenti possono coinvolgere anche la falda profonda. Un caso di contaminazione della falda molto studiato negli Stati Uniti è quello avvenuto a Bemidji in Minnesota. Le due Figure seguenti, la 8 e la 9, tratte da Delin (1998) mostrano chiaramente il percorso di contaminazione della falda a seguito dello sversamento superficiale di olio. FIG.8 Processo di contaminazione della falda.
FIG.9 Processi chimico-fisici che avvengono a seguito di sversamento su terreno di olio.. Le fonti di rilascio di olio e sostanze contaminanti nelle aree interne Negli Stati Uniti vengono monitorati da alcuni decenni gli sversamenti di olio nell’ambiente. Nella banca dati dell’Environmental Protection Agency dal 1980 al 2003 sono stati registrati 51.829 casi di perdite di olio nelle aree interne del paese con una media di quasi 40 milioni di litri di olio sversati nell’ambiente ogni anno (FIG.10). Gli sversamenti derivano in larga parte dalle strutture fisse che stoccano in qualche modo oli (strutture sottoposte a SPCC, TAB.1) quali raffinerie, strutture nei pressi di pozzi, aziende che stoccano prodotti petroliferi ecc. E’ interessante notare come, nonostante il varo di regole più restrittive di sicurezza, le strutture di stoccaggio continuino ad essere comunque i punti a maggior rischio di sversamento (FIG.11) FIG.10 Andamento degli sversamenti sul territorio degli Stati Uniti (comprese acque superficiali). Tratta da Etkin 2001)
TAB.2 Numero di sversamenti nelle aree interne degli Stati Uniti per fonte (Etkin 2006). FIG.11 Trend della probabilità di sversamenti per ogni fonte (Etkin 2006). Incidenti di larga scala e acque interne: tre casi-studio Per quanto riguarda gli incidenti di grande rilevanza che possono accadere negli impianti per lo sfruttamento, trasporto e lavorazione degli idrocarburi illustriamo tre esempi molto significativi, uno per ciascuna di queste tre fasi della produzione e lavorazione degli idrocarburi. Incidenti nelle fasi di produzione - Trecate Nel 1994 a Trecate un pozzo è esploso causando la dispersione di circa 12.600 mc di petrolio, 1 milione di mc di gas naturale e 1.000 mc di acqua di pozzo su un'area vasta 5.000 ettari e densamente coltivata e abitata. L'incidente ha comportato l'inquinamento del suolo e della falda, determinando la necessità di un'azione di bonifica su circa 1200 ettari e l’asportazione di 27.000 mc di terreno superficiale scarificato nelle aree maggiormente impattate. Qui di seguito alcune immagini dell'incidente di Trecate (FIG.12-15, 12,14 e 15 tratte da Arlotti D. et al. 1998).
FIG.12 Il pozzo AGIP di Trecate (MI) durante l’incidente. Si noti la ricaduta a destra sui terreni circostanti. FIG.13 Auto coperta da olio a Trecate (da www.notriv.it/public/macchina%20petrolio_p.jpg)
FIG.14 Aree di ricaduta dell’olio attorno al pozzo AGIP (cerchio bianco) di Trecate (MI). FIG.12 L’olio copre i campi attorno al pozzo AGIP di Trecate (MI)
Incidenti nella fase di trasporto – Il fiume Kalamazoo Nel luglio 2010 nel fiume Kalamazoo negli Stati Uniti sono stati rilasciati 1.000.000 di galloni di petrolio a causa della rottura di un oleodotto che ha portato alla dichiarazione di emergenza nell'intero stato (il fiume Kalamazoo s’immette nel lago Michigan). Alcune decine di persone sono state evacuate e i lavori di pulizia sono tuttora in corso ad oltre 4 mesi dallo sversamento (FIG.16 e FIG.17). FIG.16 Il Fiume Kalamazoo inquinato FIG.17 Cartello di divieto per l’uso delle acque del fiume, insicure a causa dello sversamento.
Fase dello stoccaggio -Il caso del Lambro A febbraio 2010 lo sversamento nel Lambro di 2600 tonnellate di materiale oleoso dalle cisterne dell’ex raffineria di Villasanta può essere stato il colpo di grazia per un fiume da decenni in un vergognoso stato di degrado, simile per alcuni versi a quello di alcuni fiumi abruzzesi. La marea nera ha bloccato il depuratore di Monza che serve 700.000 persone. E' stato dichiarato lo Stato di Emergenza Nazionale per far fronte a questa minaccia. Qui sotto due immagini dell’incidente e delle conseguenze sulla fauna (FIG.18 e FIG.19) FIG.18 Germano reale soccorso sul Lambro FIG. 19 Olio in acqua nel Lambro Acque marino-costiere e rischio petrolio Dopo l'incidente nel Golfo del Messico è divenuta più chiara a tutti la rilevanza del rischio di incidenti del genere per l'Adriatico (basti pensare che la macchia principale sversata nel Golfo avrebbe coperto un'area pari a 2/3 dell'Adriatico). Alcuni hanno sostenuto che un incidente del genere sarebbe impossibile in Adriatico a causa dei bassi fondali rispetto all'incidente nel Golfo del Messico. In realtà: a)diverse concessioni riguardano il basso adriatico dove le profondità sono importanti (oltre 1000 metri di profondità); b)pochi ricordano che nel 1979 un altro incidente coinvolse la piattaforma Ixtoc I nel Golfo del Messico riversando circa 3 milioni di barili di petrolio in mare. Il pozzo rimase aperto per circa un anno nonostante fosse a 50 metri di profondità (FIG.20). E’ interessante notare come ormai la maggior parte dei 9.522 sversamenti registrati in mare sia collegata alle fasi di normale operatività e non ad incidenti. Inoltre le fasi di carico e scarico sono quelle a maggiore rischio. L’ITOPF (FIG.21) ha dimostrato come gli sversamenti in mare siano sempre meno connessi alla fase di trasporto con petroliere e sempre più legati alle altre attività petrolifere (estrazione; carico e scarico; oleodotti ecc.). FIG.20 L’incidente della piattaforma Ixtoc I (immagine tratta da Wikipedia)
FIG.21 Trend degli sversamenti in mare – in blu gli interventi su sversamenti da nave (interventi ITOPF, tratto dalla presentazione di Johnson 2010) Se si esaminano i 9.522 sversamenti in mare da nave censiti tra il 1970 e il 2009 per quantità di olio (700 tonnellate), si vede chiaramente come le cause cambino radicalmente tra le diverse categorie (FIG.22-24, tratte dal sito dell’ITOPF). I maggiori sversamenti sono causati da incidenti (collisioni o incidenti durante l’attracco) oppure avvengono durante le fasi di scarico a terra (loading/discharging). Quest’ultima causa è invece progressivamente più frequente se si prendono in considerazione gli sversamenti più piccoli. Questo aspetto è molto importante per la qualità delle acque marino-costiere abruzzesi visto che nei porti di Pescara, Ortona e Vasto avvengono operazioni di scarico di idrocarburi. FIG.22 Cause degli sversamenti in mare di maggiori dimensioni >700 tonnellate (interventi ITOPF) FIG.23 Cause degli sversamenti in mare di medie dimensioni 7-700 tonnellate (interventi ITOPF)
FIG.24 Cause degli sversamenti in mare di minori dimensioni
ha evidenziato come nell’Adriatico passano navi con carichi pericolosi anche di medie e grandi dimensioni (da 1000 a 88000 ton). Le navi che circolano in Adriatico sono risultate abbastanza vecchie in quanto per le “chemical tanker” sono stati registrati ben 3 transiti di navi degli anni ‘70, 16 degli anni ’80, 44 degli anni ’90, 41 degli anni ’00. Per le “oil tanker” 3 sono i passaggi di navi costruite negli anni ’70, 14 negli anni ’80, 36 negli anni ’90 infine 89 negli anni 2000. Si stima che ogni giorno nell’Adriatico centrale passano 5-6 navi che trasportano sostanze pericolose, escludendo i traghetti. FIG.26 Principali sversamenti di petrolio in mare in Europa. (EEA 2010) Le nuove tecnologie per localizzare gli sversamenti in mare Gran parte degli sversamenti in mare coinvolge quantità di olio piccole ed è spesso collegata a comportamenti scorretti quali lo scarico illegale delle acque di sentina. Altra fonte importante di inquinamento è quella connessa alle normali attività gestionali, come abbiamo già visto per gli sversamenti su terraferma. Infatti, molte perdite avvengono durante le varie fasi di trasporto e stoccaggio degli idrocarburi, come il carico e scarico dalle navi, il trasferimento degli idrocarburi dalle piattaforme ai battelli cisterna e alle bettoline. Esistono diversi sistemi per cercare di monitorare questi fenomeni e negli ultimi anni si stanno sviluppando le tecniche di remote sensing quale l’esame delle immagini satellitari e aeree (FIG27). Questa tecnica può essere utilizzata per studiare la variazione degli sversamenti nei diversi periodi dell’anno, anche mensilmente (FIG.28) Il Joint Research Center dell’Unione Europea (Tarchi 2006) ha pubblicato una mappa di 9299 possibili sversamenti in mare localizzati attraverso lo studio di oltre 18000 immagini satellitari raccolte tra il 1999 e il 2004 (FIG.29).
FIG.27 Esempio di sversamento da piattaforma in Adriatico individuato grazie a foto aeree e satellitari (R.E.M.P.E.C 2007) FIG.28 Possibili sversamenti di petrolio in mare in Adriatico in un mese estivo ((R.E.M.P.E.C 2007))
FIG.29 Possibili sversamenti di petrolio in mare in mediterraneo 1999-2004 (Tarchi 2006) Partendo da questi dati reali, questo prestigioso istituto scientifico ha elaborato una mappa del rischio per l’intermo Mediterraneo da cui si evince come l’Adriatico centrale sia una delle aree a maggior densità di perdite di petrolio (FIG.30). FIG.30 Mappa del rischio di sversamenti di petrolio in mare in mediterraneo 1999-2004 (Tarchi 2006)
La tecnologia a servizio della prevenzione In Adriatico sono in corso diversi progetti per elaborare modelli statistici in cui una grande mole di dati relativi al clima, alle correnti marine, al moto ondoso, al traffico marittimo ecc viene utilizzata contemporaneamente per elaborare mappe della vulnerabilità, del rischio, di impatto e per implementare strategie di mitigazione in caso di effettivo sversamento. Le FIG. 31 e 32 sono riprese da uno di questi progetti (Mosetti 2005) e mostra lo schema di lavoro e i risultati che si ottengono. FIG.31 Modalità di studio per la prevenzione del rischio inquinamento sulle coste e in mare FIG.32 Modello previsionale che mostra il percorso probabile di una macchia d’olio sulla base di dati ambientali quali l’andamento delle correnti, le condizioni climatiche ecc.
Questi modelli sono stati elaborati anche per i vari settori dell’Adriatico (Coppini et al. 2009, FIG.33). Questi studi dimostrano l’esistenza di un rischio elevato di sversamenti nell’Adriatico centrale e, quindi, una grande vulnerabilità per le acque marino-costiere abruzzesi (FIG.34). FIG.33 Mappe relative al rischio standardizzato per i vari settori dell’Adriatico (da Coppini et al 2009) FIG.34 Residui oleosi spiaggiati in Abruzzo nel chietino
CAMBIARE IL PIANO DI TUTELA DELLE ACQUE: LE RICHIESTE DI WWF E LEGAMBIENTE SUGLI IDROCARBURI Gli studi citati dimostrano la totale incompatibilità tra sfruttamento degli idrocarburi e tutela degli acquiferi, sia, ovviamente, nelle aree destinate alla salvaguardia delle acque destinate al consumo umano sia nelle aree in cui siano presenti corpi idrici sotterranei significativi e d'interesse, peraltro già fortemente pregiudicati dal punto di vista della contaminazione. Ciò senza neanche dover richiamare l'enorme dibattito aperto negli Stati Uniti circa l'uso di particolari tecniche come l'”hydraulic fracturing” nello sfruttamento del metano che ha portato recentemente l'EPA ad avviare un'apposita ricerca in considerazione dei fortissimi sospetti circa l’impatto di queste modalità estrattive sulle falde. Oltre agli aspetti collegati allo sfruttamento in terraferma, è necessario affrontare proattivamente il rischio di sversamento in mare. Per questo riteniamo che il Piano di Tutela debba prevedere specifici divieti alle attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi, sia per quanto riguarda la tutela dei corpi idrici sotterranei sia per quanto riguarda la tutela dei corsi d'acqua (prevedendo consistenti buffer area attorno al reticolo idrografico superficiale) e, infine, per le acque marino costiere. WWF e Legambiente chiedono che nel Piano di Tutela delle Acque: a) sia aggiornato il quadro conoscitivo usando i dati relativi a concessioni e pozzi (FIG.1 e 2); b) sia realizzato e inserito nel Piano di Tutela delle Acque uno studio sui rischi connessi allo sversamento di petrolio in mare individuando le aree a maggior rischio utilizzando le ricerche citate nel presente dossier; c) siano immediatamente perimetrate le zone di tutela, salvaguardia e protezione delle acque destinate al consumo umano in cui vietare tutte le attività produttive connesse agli idrocarburi; d) sia vietata la realizzazione di pozzi, sia per la ricerca che per l’estrazione, e di strutture collegate all’estrazione di idrocarburi (oleodotti; punti di stoccaggio; centri per la raffinazione e la lavorazione ecc.) nelle aree interessate da corpi idrici sotterranei significativi e di interesse (FIG.3) e) sia vietata la realizzazione di pozzi, sia per la ricerca che per l’estrazione, e di strutture collegate all’estrazione di idrocarburi (oleodotti; punti di stoccaggio; centri per la raffinazione e la lavorazione ecc.) nelle aree attorno ai corpi idrici superficiali d’interesse, individuando una fascia di rispetto di almeno 3 km attorno ad essi (FIG.4) f) siano prescritte nel Piano di Tutela specifiche norme di comportamento e di monitoraggio (analisi in continuo, telecamere ecc) presso i punti di attracco delle navi che trasportano idrocarburi liquidi; g) siano previste nel PTA forme di prevenzione e previsione connesse al rischio di sversamento di idrocarburi liquidi in mare.
BIBLIOGRAFIA Arlotti D. et al. (1998) Blow out of trecate 24 crude oilwell: how bioremediation techniques are solving a major environmental emergency in a valuable agricultural area (Trecate, Italy). http://www.fosterwheeler.it/pub/en/CSOILPR2.pdf Coppini et a. (2009) Risk Assessment of operational oil releases in the Adriatic Sea, in the Tyrrhenian Sea, Ligurian Sea and in the Sicily Strait Interspill, 4th IMO R & D Forum, Marsiglia. Delin G.N. et al (1998) Ground water contamination by crude oil near Bemidji, Minnesota: U.S. Geological Survey Fact Sheet FS-084-98, 4 p. European Environmental Agency (2010). Accidental oil spills from marine shipping. http://www.eea.europa.eu/data-and-maps/indicators/accidental-oil-spills-from-marine-shipping- 1/whs11_oilspillsaccidental_250504.pdf Etkin D.S. (2001) Analysis of oil spill trends in the United States and worldwide. Proceedings of 2001 International Oil Spill Conference: 1,291-1,300. Etkin, D.S. 2006. Risk assessment of oil spills to US inland waterways. Proceedings of 2006 Freshwater Spills Symposium Johnson R.H. (2010) The work of ITOPF. Itopf seminars, London, 13-14 October. Mosetti (2005) Il sistema integrato di monitoraggio ambientale marino nell’Alto Adriatico. Presentazione PPT, Archimede Workshop, Roma 29-30 Novembre 2005. Moretti E. (2008). Oil Spill: difendere l’Adriatico utilizzando il GIS. ESRI Conference 2008. Oil and Gas Accountability Project (2010). Groundwater contamination. http://www.earthworksaction.org/NM_GW_Contamination.cfm R.E.M.P.E.C. (2007) Aerial and satellite survellaince of operational pollutio within the Adriatic Sea: a comparative analysis (AESOP). Report, 1-14. Savini C e C. Corso (2008) Traffico navale in Adriatico centrale: il database dei transiti 2003 - 2007. ESRI Conference 2008. Tarchi D. (2006) Oil spills statistics in the Mediterranean. Specialised Training Course on oil pollution monitoring. 8-10 November 2006, Cannes I.T.O.P.F. (2010) Statistics. http://www.itopf.com/information-services/data-and- statistics/statistics/index.html WWF e Legambiente (2009) Dati e numeri sulla ricerca e coltivazione degli idrocarburi in Abruzzo. http://www.wwf.it/UserFiles/File/AltriSitiWWF/Abruzzo/Dossier%20idrocarburi- WWF%20%20LEGAMBIENTE%20Febbraio%202009.pdf WWF e Legambiente (2010) Aggiornamento dati e numeri sulla ricerca e coltivazione degli idrocarburi in Abruzzo.
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