Una ripetizione straniante L'idea fissa in un racconto di I.U. Tarchetti

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Anno 36, 2021 / Fascicolo 1 / p. 18-29 - www.rivista-incontri.nl – http://doi.org/10.18352/inc11004
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Una ripetizione straniante
L’idea fissa in un racconto di I.U. Tarchetti

Claudia Murru
Le teorie contemporanee sul fantastico in letteratura si sono spesso servite del
concetto di straniamento formulato da Viktor Šklovskij per cogliere il potenziale
deformante dei racconti fantastici. L’accostamento tra fantastico e straniamento non
stupisce se si considerano i tentativi di definizione che da Castex in poi hanno
caratterizzato la storia critica del fantastico; se cioè si assume la cifra di questi
racconti in una ‘intrusione del mistero nel quadro della vita reale’,1 in una ‘rottura
dell’ordine riconosciuto’,2 o più in generale nella messa in scena di uno ‘scandalo’,
che costringe a una revisione profonda e radicale del quotidiano. Se non si chiamano
in causa le teorie contemporanee sul fantastico, anche seguendo il solco della
ricezione francese di E.T.A. Hoffmann,3 - e quindi le riflessioni che condussero a partire
dagli anni Trenta del diciannovesimo secolo all’accezione di fantastico come
meraviglioso quotidiano, borghese o positivo4 - lo straniamento appare dunque in
questo contesto come tentativo di non ‘dare per scontata la realtà’,5 come processo
di sospensione del giudizio ordinario sui fenomeni e sugli oggetti, ricostruzione del loro
‘aspetto enigmatico’.6 Le riflessioni formulate da critici e scrittori francesi in risposta
all’idea di un fantastic mode of writing elaborata da Walter Scott intorno alla narrativa
hoffmanniana7 restituiscono in maniere diverse il profilo di un modo narrativo che fa

1 P.G. Castex, Le conte fantastique en France de Nodier à Maupassant, Paris, Corti, 1951, p. 8.
2 R. Caillois, Nel cuore del fantastico, Milano, Feltrinelli, 1984, p. 90.
3 Che il concetto di fantastico letterario sia l’esito della circolazione delle traduzioni francesi di Hoffmann

è un dato ampiamente riconosciuto anche dai critici e dagli scrittori dell’epoca. Il legame è già
riscontrabile nei dizionari di qualche decennio successivi agli anni della vogue hoffmaniana, come il
Bescherelle (1856), dove il fantastico è dato come quel ‘genre de littérature, le conte, cultivé avec succès
par l’allemand Hoffmann’, o il Littré (1872), dove si parla di un genere di racconti ‘mis en vogue par
l’allemand Hoffmann, où le surnaturel joue un grand rôle’. La bibliografia sul fantastico è vastissima. Per
una panoramica degli studi sul fantastico italiano dagli anni Ottanta a oggi rimando al bilancio critico a
cura di S. Lazzarin: Il fantastico italiano. Bilancio critico e bibliografia commentata dal 1980 a oggi,
Milano, Mondadori, 2016.
4 Per una indagine sulla prima fase della ricezione di Hoffmann in Francia e un’analisi delle riflessioni sul

concetto di fantastico nelle riviste del periodo immediatamente successivo, rimando allo studio di E.
Teichmann, La fortune de Hoffmann en France, Paris, Minard, 1961.
5 C. Ginzburg, ‘Straniamento’, in: idem, Occhiacci di legno. Nove riflessioni sulla distanza, Milano,

Feltrinelli, 1998, p. 25.
6 V. Šklovskij, Simile e dissimile. Saggi di poetica, Milano, Mursia, 1982, p. 30.
7 W. Scott, ‘On the supernatural in fictitious compositions, and particularly on the works of E.T.A.

Hoffmann’, in: Foreign Quarterly Review, 1 (1927). Sebbene Scott sia il primo, nel 1827, a certificare
l’esistenza di un nuovo modo narrativo, da lui definito fantastic mode of writing, è in Francia che gli
spunti intorno al fantastico vengono accolti: dalle reazioni alla critica di Scott e in difesa del valore
dell’opera di Hoffmann, si sviluppa nei cenacoli francesi un discorso intorno al concetto di fantastico in
letteratura al quale partecipano traduttori, scrittori, critici letterari. Per una introduzione al saggio

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dell’ordinario, del consueto e del banale la scaturigine stessa dell’ignoto e del
sovrannaturale. Da questo punto di vista, si potrebbe perfino suggerire che il concetto
di fantastico in una delle sue prime elaborazioni nel contesto romantico francese,
ovvero in quanto capacità di esercitare un occhio visionario sulle cose - di ‘voir les
choses sous leur aspect fantastique’, per ripetere l’espressione di Nodier a proposito
di colui che è stato a lungo considerato il precursore di un fantastico francese, Jaques
Cazotte8 - possa essere inteso come una delle possibili e molteplici declinazioni di quel
processo del ‘vedere per la prima volta’9 che è alla base della definizione di
straniamento elaborata da Šklovskij ne L’arte come procedimento (o come artificio)
[Iskusstvo kak priëm].10 Del resto, è stata messa in luce la versatilità del concetto di
ostranenie, dovuta in parte allo stesso procedere asistematico del pensiero critico di
Šklovskij, alla generale tendenza della sua Teoria della prosa ‘verso l’annotazione, il
taccuino’, e alla ‘concreta derivazione dei saggi da una elaborazione frammentaria’;11
una versatilità fortunata dal momento in cui ha permesso, come è stato osservato,
un’applicazione di questo strumento critico a ‘contesti e mezzi espressivi differenti’.12
      Si tratterebbe tuttavia, nel caso del fantastico, di uno straniamento portato
all’estremo, la messa in scena di un limite che se da una parte mira a ‘gettare un
dubbio su una qualsiasi realtà familiare’,13 da un’altra parte ricompone questo dubbio
nel cuore stesso del rapporto tra l’osservatore e l’oggetto osservato, con degli effetti
di ‘incertezza intellettuale’ e di spaesamento che avvicinano lo straniamento al
concetto di perturbante formulato da Jentsh e da Freud.14 Senza volersi addentrare
nel problema di una definizione delle poetiche del fantastico, in questo contributo ci
si vuole domandare, attraverso l’analisi di un racconto di Tarchetti, dove risieda il
punto di tale scarto, la piega che rende visibile nei racconti, in ragione delle strategie
narrative che vengono adoperate, il momento in cui lo straniamento cessa di essere
inteso come un ‘mezzo per conoscere’,15 votato anche alla conquista di una postura
critica, e assume invece la forma di un disorientamento radicale; non più un modo
attivo della conoscenza dunque, ma un suo inciampo, entro il quale si crea uno spazio
narrativo per l’emergere dell’ignoto, del mostruoso, del magico.

Straniamento e punto di vista eccentrico
Šklovskij concepisce lo straniamento [ostranenie], ancora prima che nell’accezione di
un procedimento narrativo, come il processo che definisce l’essenza stessa della
creazione artistica in quanto ‘manipolazione di priemy [procedimenti]’.16 Šklovskij
parte dall’idea che alla base della percezione vi sia un processo di economia delle
energie che rende gli oggetti riconoscibili solo attraverso uno o pochi tratti, come se

scottiano rimando all’introduzione di C. Bordoni alla traduzione italiana: W. Scott, Del soprannaturale
nel romanzo fantastico, a cura di C. Bordoni, Cosenza, Pellegrini Editore, 2004.
8 C. Nodier, ‘M. Cazotte’, in: idem, Contes, Paris, Garnier, 1979, p. 600.
9 V. Šklovskij, ‘L’arte come procedimento’, in: idem, Teoria della prosa, Torino, Einaudi, 1976, p. 13.
10 Pubblicato nel 1917, il saggio confluisce in seguito nel primo capitolo di Teoria della prosa (1925).
11
   C.G. de Michelis & R. Oliva, ‘Avvertenza dei traduttori’, in: Šklovskij, Teoria della prosa, cit., pp. XXV-
XXVI.
12 M. Morabito, ‘101 anni di straniamento. Appunti per una partita a scacchi’, in: eSamizdat, XII (2019),

p. 12.
13 G. Didi-Huberman, Quando le immagini prendono posizione, Udine, Mimesis, 2018, p. 94.
14 Raissa Raskina ha messo in evidenza le affinità tra il concetto di perturbante freudiano e l’ostranenie

di Šklovskij. Raskina ipotizza che si possa parlare di una teoria del perturbante rigorosamente non
freudiana nella cultura russa del Novecento, che ha le sue radici nelle ricerche sul tema del grottesco
avviate negli anni Dieci da Vsevolod Mejerchol’d (poi riprese da Sergej Ėjzenštejn), e continua con le
riflessioni di Šklovskij sullo straniamento. Cfr. R. Raskina, ‘L’estraneità del familiare: grotesk, ostranenie,
perturbante’, in: Ricerche slavistiche, 12, 58 (2014), pp. 323-340.
15 Šklovskij, ‘Sulla prefazione, in genere’, in: idem, Teoria della prosa, Torino, Einaudi, 1976, p. X.
16 I. Aletto, ‘Sergej ci apriva gli occhi sull’eccezionalità di ciò che sembra normale e sull’eternità del

passato. Viktor Šklovskij e Sergej Ejzenštejn’, in: idem, eSamizdat, XII (2019), p. 21.

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si avesse in mente sempre solo la superficie dell’oggetto, per cui esso ‘passa vicino a
noi come imballato’.17 Questa abitudine alla visione automatizza il processo percettivo
al punto che gli oggetti visti più volte cominciano a essere percepiti attraverso un
riconoscimento, tale per cui ‘la vita scompare trasformandosi in nulla.
L’automatizzazione si mangia gli oggetti, il vestito, il mobile, la moglie, la paura della
guerra’.18 Scopo dell’arte è dunque quello di sottrarre gli oggetti all’automatismo della
percezione, mostrandoli come se venissero visti per la prima volta; si tratta in altre
parole di ‘far sì che la pietra sia di pietra’, di attuare uno spostamento dell’oggetto
dal riconoscimento alla visione, dal ‘sapere’ al ‘vedere’: ‘l’arte è una maniera di
sentire il divenire dell’oggetto, mentre il già compiuto non ha importanza nell’arte’.19
Il procedimento straniante mirerebbe quindi a sottrarre i fenomeni dalla sfera
dell’automatismo, a instaurare una distanza da quel processo di riconoscimento per il
quale ‘l’oggetto si trova dinanzi a noi, noi lo sappiamo ma non lo vediamo’.20

Se ci mettiamo a riflettere sulle leggi generali dell’attenzione, vediamo che, diventando
abituali, le azioni diventano automatiche. Così ‘per esempio’ passano nell’ambito
dell’inconsciamente automatico tutte le nostre esperienze; se uno ricorda la sensazione che ha
provato tenendo in mano per la prima volta una penna, o parlando per la prima volta una lingua
straniera, e confronta quest’azione con quella che prova ora, ripetendo l’azione per la
decimillesima volta, sarà d’accordo con noi. 21

Se lo straniamento si configura da questo punto di vista come il procedimento che
definisce l’arte in quanto tale, in letteratura possono darsi particolari strategie di
manipolazione del materiale verbale e semantico finalizzate a complicare la forma e
a stimolare una riflessione più libera sulle cose rappresentate e sulla rappresentazione
stessa. Nota a tal proposito Fredric Jameson che lo straniamento

permette la creazione di una gerarchia all’interno dell’opera letteraria stessa. Nella misura in
cui lo scopo ultimo dell’opera d’arte è dato in anticipo – ovvero il rinnovamento della
percezione, il vedere il mondo improvvisamente in una nuova luce, in un modo nuovo e inatteso
– gli elementi e le tecniche (o i priemy) dell’opera saranno allora tutti impostati verso questo
fine. Le tecniche secondarie si rivelano, nella terminologia di Šklovskij, come motivazione di
quelle tecniche essenziali che permettono in primo luogo la percezione rinnovata’. 22

Gli esempi di queste ‘tecniche secondarie’ portati da Šklovskij sono tratti in gran parte
dall’opera di Tolstoj. Uno di questi riguarda l’adozione di un punto di vista inedito,
come a esempio nel caso celebre del Cholstomer. Storia di un cavallo, dove lo
straniamento passa attraverso lo sguardo e la prospettiva di un cavallo: l’artificio,
secondo Šklovskij, consente a Tolstoj una serie di riflessioni nuove sul rapporto
dell’uomo con la proprietà, per mostrare la vita umana come ‘un assurdo cimitero, in
cui gli uomini sotterravano con cura cadaveri putrefatti deposti in casse lussuose’;23 o
ancora, in Guerra e pace, la battaglia di Borodino è resa ‘strana’ poiché descritta dal
punto di osservazione di Pierre, di qualcuno, cioè, che non sa nulla d’arte militare.24
       L’adozione di un punto di vista insolito è uno dei modi attraverso i quali, per
Šklovskij, è possibile de-familiarizzare le cose, guardare criticamente le convenzioni e
le istituzioni ‘come fenomeni strani e opachi, svuotandoli di significati che vengono

17   Šklovskij, ‘L’arte come procedimento’, cit., p. 11.
18   Ivi, p. 12.
19   Ibidem.
20   Ivi, p. 13.
21   Ivi, p. 10.
22   F. Jameson, ‘La proiezione formalista’, in: idem, eSamizdat, XII (2019), p. 80.
23   Šklovskij, ‘Simile e dissimile’, cit., p. 31.
24   Šklovskij, ‘L’arte come procedimento’, cit., p. XI.

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loro generalmente attribuiti’.25 Scrive Tomaševskij che ‘tali artifici di straniamento,
che riguardano le cose consuete, solitamente si giustificano da soli con la rifrazione di
questi temi nella psicologia del personaggio che non li conosce’.26 Questa mancata
‘competenza’ del personaggio, per dirla in termini narratologici, offrirebbe dunque la
possibilità di mostrare i fenomeni attraverso una serie di combinazioni linguistiche
deliberatamente inappropriate e inusuali, mirate a stendere su di loro un velo di
stupore, a restituirne il lato enigmatico, strano e a tratti perfino mostruoso.27 Più in
generale, l’adozione di un punto di vista eccentrico rispetto ai codici convenzionali
stabilisce uno scarto dalle leggi e dalle formule fisse del linguaggio; costringe a
indugiare non solo sulla rappresentazione ma anche sui mezzi espressivi, invitando così
a sfuggire alla fascinazione del quotidiano, del naturale, dell’ovvio.28
      A riguardo è stato notato che vi sono figure giudicate marginali rispetto alla
comunità, quali quella del folle, del selvaggio, del barbaro, dello straniero, che,
considerate portatrici di per sé di uno sguardo straniante, sono spesso ‘utilizzate per
dar voce deliberatamente ad elaborati punti di vista dall’effetto straniante’.29 Nel caso
che qui si vuole prendere in considerazione, La lettera U. Manoscritto di un pazzo di
Igino Ugo Tarchetti, terzo racconto della silloge del 1869 Racconti fantastici,30 un folle,
come viene definito sin dal sottotitolo, descrive la ‘parabola fantastica, e magari
(catastroficamente) umoristica’31 che lo induce a ingaggiare una guerra contro la
vocale u, qui concepita come una ‘figura d’incubo’.32 Sin dalle prime pagine il
narratore-protagonista si rivolge ai lettori, in questo che appare a tutti gli effetti come
un invito allo straniamento:

Guardatela, affissatela bene - non tremate, non impallidite - abbiate il coraggio di sostenerne
la vista, di osservarne tutte le parti, di esaminarne tutti i dettagli, di vincere tutto l’orrore che
v’ispira.... Questo U!... questo segno fatale, questa lettera aborrita, questa vocale tremenda!
E l’avete ora veduta?... Ma che dico?... Chi di voi non l’ha veduta, non l’ha scritta, non l’ha
pronunciata le mille volte? - Lo so; ma io vi domanderò bensì: chi di voi l’ha esaminata? chi l’ha
analizzata, chi ne ha studiato la forma, l’espressione, l’influenza? Chi ne ha fatto l’oggetto
delle sue indagini, delle sue occupazioni, delle sue veglie? Chi vi ha posato sopra il suo pensiero
per tutti gli anni della sua vita?
Perché.... voi non vedete in questo segno che una lettera mite, innocua come le altre; perché
l’abitudine vi ci ha resi indifferenti; perché la vostra apatia vi ha distolto dallo studiarne più
accuratamente i caratteri.... ma io.... Se voi sapeste ciò che io ho veduto!... se voi sapeste ciò
che io vedo in questa vocale!
U
E consideratela ora meco.
Guardatela bene, guardatela attentamente, spassionatamente, fissi!
E così, che ne dite?33

25
   Ginzburg, ‘Straniamento’, cit., p. 20.
26 B. Tomaševskij, ‘La motivazione artistica’, in: eSamizdat, p. 77.
27 Šklovskij, ‘L’arte come procedimento’, cit., p. 18.
28 Si veda il saggio di Maurice Blanchot a proposito della Verfremdung in Brecht: M. Blanchot, ‘L’effetto

di straniamento’, in: idem, La conversazione infinita, Torino, Einaudi, 2015, pp. 439-440.
29 C. Gabbani, ‘Epistemologia, straniamento e riduzionismo’, in: Annali del Dipartimento di Filosofia, XVII

(2011), p. 101.
30 Scritti tra il 1865 e il 1869, i Racconti fantastici vengono pubblicati a Milano da Treves nel 1869.
31 T. Pomilio, ‘Scapigliatura spasmodica: presagi di espressionismo’, in: L’illuminista, 37-38-39 (2013), p.

42.
32 B. Stagnitti, ‘Alterità e afasia in Tarchetti: la lettera u’, in: Studi sul Settecento e l’Ottocento: rivista

internazionale di italianistica, I (2006), p. 92.
33 I.U. Tarchetti, ‘La lettera U’, in: idem, Tutte le opere, a cura di E. Ghidetti, II, Bologna, Cappelli, 1967,

pp. 57-58.

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La serie di variazioni stranianti è finalizzata ‘a superare l’indifferenza del narratario’,34
- o meglio dei narratari, data anche la natura politica dell’impresa - di fronte alla
lettera fatale, principio di tutte le calamità: ‘Io nacqui predestinato. Una terribile
condanna pesava sopra di me fino dal primo giorno della mia esistenza: il mio nome
conteneva un U. Da ciò tutte le sventure della mia vita’.35 A partire da questa
convinzione, il narratore instaura un elaborato e tragicomico antagonismo, che lo vede
impegnato a elaborare un programma politico, a stendere un saggio sui rischi a cui è
esposta l’umanità, a intraprendere la ricerca di una consorte che non porti una u nel
nome,36 e a scatenare infine la propria furia contro la moglie Ulrica, colpevole di avere
declinato l’invito a modificare il proprio.
       La u viene esaminata, in una sorta di ‘procedimento psicolinguistico
antelitteram’,37 come suono infernale, lamentoso, in contrasto con l’impressione di
sincerità, gentilezza, gioia e sorpresa evocata dalle altre lettere; appare in sogno a
stritolare ‘con le sue aste immense, flessuose’ il corpo del sognatore;38 viene concepita
come pura forma, riproposta varie volte nella sua veste grafica, e persino osservata
come se si trattasse di un luogo, un edificio composto di archi, cime, discese e salite,
che i lettori sono invitati a percorrere con ‘sguardo indagatore’.

Raddoppiate la vostra potenza d’intuizione; gettatevi uno sguardo più indagatore.
Partite da una delle due punte, seguite la curva esterna, discendete, avvicinatevi all’arco,
passatevi sotto, risalite, raggiungete la punta opposta....
Che cosa avete veduto?
Attendete!
Compite adesso un viaggio a rovescio. Discendete lungo la linea interna - discendetevi con
coraggio, con energia - raggiungete il fondo, arrestatevi, fermatevi un istante, esaminatelo
attentamente; poi risalite fino alla punta d’onde eravate partito dapprima...39

Il sottotitolo del racconto, Manoscritto di un pazzo, fornisce chiare indicazioni circa lo
statuto precario di cui è investita la voce narrante, statuto che trova conferma nel
finale del racconto tramite l’intervento, breve ma significativo, di un anonimo che
informa circa l’internamento e la successiva morte del compilatore in manicomio a
Milano.40
       L’indicazione dell’anonimo, sancendo una distanza dalla voce narrante,
attribuisce al manoscritto un valore documentario e lo identifica come resoconto di
una anomalia, rendendo così esplicito il ‘rapporto-contrasto’ tra follia e ragione
positiva che, come è stato notato, è un nucleo tematico-ideologico che attraversa in
forma più o meno sotterranea l’intera opera di Tarchetti, da Una nobile follia a
Fosca.41 In questo contesto, in cui la follia si dà come ‘uno spazio autonomo, che
scardina e allarga il reale istituzionalizzato e sclerotizzato’, emerge l’urgenza da parte

34 Stagnitti, ‘Alterità e afasia in Tarchetti’, cit., p. 90.
35 Tarchetti, ‘La lettera U’, cit., p. 50.
36
    ‘Si chiamava Annetta. Finalmente! Apparecchiammo per le nozze, tutto era combinato, stabilito,
allorchè, nell’esaminare il suo certificato di nascita, scopersi con orrore che il suo nome di Annetta, non
era che un vezzeggiativo, un abbreviativo di Susanna, Susannetta, e oltre ciò - inorridite! aveva cinque
altri nomi di battesimo: Postumia, Uria, Umberta, Giuditta e Lucia’ (Tarchetti, ‘La lettera U’, cit., p.
62).
37 G. Viazzi, ‘Lettura della Lettera U’, in: M. Guglielminetti et al. (a cura di), Igino Ugo Tarchetti e la

Scapigliatura. Atti del Convegno S. Salvatore Monferrato, 1/3 ottobre 1976, Comune S. Salvatore
Monferrato - Cassa di Risparmio di Alessandria, 1977, p. 77.
38 Tarchetti, ‘La lettera U’, cit., p. 63.
39 Ivi, p. 58.
40 ‘L’infelice che vergò queste righe morì nel manicomio di Milano l’11 settembre 1865’ (Tarchetti, ‘La

lettera U’, cit. p. 64).
41 M.C. Camerino, ‘Ragione e follia, scienza e arte nella narrativa di Tarchetti’, in: Guglielminetti et al.

(a cura di), Igino Ugo Tarchetti e la Scapigliat, cit., p. 65.

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del narratore di un accordo con i lettori, da conquistare tramite un esercizio di
straniamento condiviso, mirato a validare l’assurdo. Siamo nel quadro dell’operazione
tipicamente fantastica di rendere familiare lo straordinario tramite una messa in crisi
dello statuto certo del quotidiano; operazione che in questo caso appare ancora più
significativa dal momento in cui coinvolge un elemento minimo del linguaggio, qui
ridotto a puro significante e poi lasciato deflagrare, incontrollato, verso la sua
dimensione di ordigno magico, con esiti che dal punto di vista della sperimentazione
espressiva sono stati spesso associati alle avanguardie futuriste e surrealiste.42 Ma
l’itinerario eccentrico che conduce alla deformazione della lettera, dagli esercizi, alle
memorie, alla propaganda, è solo un primo, più immediato, livello di de-
familiarizzazione delle cose; se da un lato, in sintonia con le intenzioni del narratore,
l’accumulo di procedimenti stranianti aspira a restituire una visione nuova del
grafema, caricaturizzata e iperbolica, da un altro lato tali procedimenti sembrano
minare, nel loro insieme, il cuore stesso del discorso del narratore: il segno,
interponendosi ostinatamente nella continuità del discorso, lascia infatti risuonare nel
racconto un ritmo frenetico, impedito, profondamente alternativo a quello di una
supposta logica raziocinante.

Monomania, idea fissa, straniamento
Il racconto non fornisce elementi precisi a proposito di questa alterazione
fondamentale, e fa rientrare la malattia nell’ambito generico della follia. Si può
tuttavia ipotizzare che essa sia da ricondurre al dominio di un’ossessione, un’idea fissa
legata a uno stato patologico particolare, nello specifico a quelle forme cosiddette di
‘delirio parziale’, riunite sotto la categoria di ‘monomanie’ a partire da Jean
Étienne Dominique Esquirol (1772-1840).43 Sebbene non vi sia una diretta correlazione
tra la letteratura scientifica intorno alla monomania e il racconto tarchettiano, il
decorso psicologico del protagonista sembra infatti fare riferimento a questa precisa
tipologia di delirio; tanto più che esiste una certa ‘aria di famiglia’ tra La lettera U e
Berenice di Edgar Allan Poe, 44 racconto che probabilmente Tarchetti conosceva, come
è stato rilevato dalla critica,45 e nel quale il riferimento alla monomania è esplicito.46

42 A tal proposito Stagnitti scrive: ‘il testo può annoverarsi, sul piano ideologico e stilistico, tra i precedenti
ottocenteschi dell’avanguardia futurista’ (Stagnitti, p. 89). Ancora prima Glauco Viazzi affermava che ‘se
come ebbe a dire il Magris, è accertato che Hoffmann anticipava le tecniche del futurismo e del
surrealismo, a maggior ragione la cosa andrebbe segnalata per Tarchetti, per questo suo La lettera U,
tanto impeccabilmente costruito come teorema della logica dell’assurdo’. Viazzi, ‘Lettura della Lettera
U’, cit., p. 80.
43 Esquirol è il primo a proporre di parlare di follia parziale con il nome di monomania e a distinguerla, a

seconda dell’oggetto principale di tale delirio, in monomania ipocondriaca, religiosa, erotica, suicida,
omicida. Sul concetto di monomania in Esquirol si veda J.M. d’Estienne, ‘La folie selon Esquirol.
Observations médicales et conceptions de l’aliénisme à Charenton entre 1825 et 1840’, in: Revue
d'histoire du XIXe siècle, 40 (2010), pp. 95-112.
44 Intorno alla ricezione di Edgar Poe in Italia e in particolare in ambito scapigliato si veda lo studio di C.

Melani, Effetto Poe. Influssi dello scrittore americano sulla letteratura italiana, Firenze, Firenze
University Press, 2006. Sull’influenza di Poe nella narrativa di Tarchetti rimando a N. Pireddu, ‘Poe
spoetizzato, l’esotismo tarchettiano’, in: R. Cagliero (a cura di), Fantastico Poe, Verona, Ombre Corte,
2004, pp. 157-156; C. Apollonio, ‘La presenza di Edgar Poe in alcuni Scapigliati lombardi’, in:
Otto/Novecento, 1 (1981), pp. 107-140; S. Rossi, ‘E.A. Poe e la scapigliatura lombarda’, in: Studi
americani, 5 (1959), pp. 119-139.
45 Mariani ha segnalato nello specifico una chiara influenza di Berenice nel racconto Le leggende del

castello nero (Racconti fantastici, 1869). Cfr. G. Mariani, Storia della Scapigliatura, Caltanissetta-Roma,
Sciascia, 1971, p. 412.
46 Uno studio di Van Zuylen sulla monomania in letteratura segnala la comparsa del termine in letteratura

a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento e attribuisce a Charles Nodier il ruolo di essere stato uno dei
primi scrittori a servirsene. Cfr. M. Van Zuylen, Monomania: The Flight from Everyday Life in Literature
and Art, Ithaca and London, Cornell University Press, 2005, p.62-63. A tal proposito è utile citare a titolo
d’esempio la feticistica passione per i libri di Théodore nel racconto del 1831 Le Bibliomane, e il saggio

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La descrizione del disturbo nel racconto di Poe è piuttosto precisa, come si evince dal
frammento che segue:47

Contemporaneamente, il mio proprio male (era stato assicurato, essere della stessa origine)
cresceva rapido rapido, sino a che - aggravandosi per un immoderato uso di oppio - prese in
fine il carattere d’una monomania tutta straordinaria e nuova. D’ora in ora, di minuto in minuto
la sua energia cresceva, e col volger dei dì giunse a tale che nella più singolare ed
incomprensibile maniera dominava tutto il povero mio individuo. Questa monomania - giacchè
è necessario la chiami con tali parole, - consisteva in una morbida irritabilità delle facoltà dello
spirito, stato che in linguaggio filosofico si chiama facoltà d’attenzione. Probabilmente io non
sarò qui compreso, o ben poco; ma temo davvero di trovarmi nell’assoluta impossibilità di dare
alla comune dei lettori un’idea esatta di questa nervosa intensità d’interesse con cui nel mio
caso (per evitare termini tecnici) la facoltà meditativa si fissava e si approfondava nella
contemplazione degli oggetti i più volgari della vita.48

Il racconto di Poe, come è noto, tratta della fissazione del narratore per i denti della
cugina morta prematuramente: ‘ed ecco in un sorriso singolarmente significativo lenti
lenti apparire al mio sguardo i denti della nuova Berenice. Mio Dio, mio Dio,
quei denti! Oh, non li avessi mai veduti quei denti, o - visti appena - fossi morto!’.49
L’immagine dei denti perseguita il protagonista che studia ogni loro dettaglio: ‘Io me
li vedeva presenti le intiere giornate, io li considerava, li passava persistentemente ad
esame per tutti i versi; ne studiava tutti i caratteri - ne osservava le particolari loro
linee - ne meditava la conformazione - rifletteva all’alterazione di loro natura’.50 Infine
i denti vengono sottoposti a un classico procedimento straniante, uno straniamento
condotto cioè tramite un espediente simile a quello indicato da Šklovskij con il celebre
esempio della parola ‘fustigazione’ in Vergogna di Tolstoj, per il quale si adoperano
nella descrizione dell’oggetto ‘non le denominazioni abituali delle sue parti bensì
quelle delle parti corrispondenti ad altri oggetti’,51 come se la parola, in definitiva,
non esistesse. Il racconto si conclude con un cofanetto andato in frantumi:

Ma non ebbi la forza di aprirlo e, in quel mio tremito nervoso sguizzatomi di mano,
pesantemente cadde e andò in minuzzoli. E rotolando sul pavimento con enorme fracasso, quasi
suono di vecchie ferramenta, vidi uscirne alcun’istrumenti di chirurgia dentaria, e tra
essi trentadue coselline bianche bianche, come l’avorio, che scricchiolando si sparpagliarono
sul nudo pavimento... .52

In Berenice, come ne La lettera U, l’oggetto viene straniato attraverso l’adozione di
un punto di vista eccentrico, quello di un osservatore la cui percezione e le cui azioni

su Piranesi del 1836: Piranèse. Contes psychologiques à propos de la monomanie réflective. Sulla
monomania in letteratura si veda anche N. Barberger, Penser pour rien. Littérature et monomanie, Lille,
Presses Universitaires du Septentrion, 2007.
47 Riporto il testo nella traduzione di Baccio Emanuele Maineri (Le storie incredibili, 1869). Prima della

versione di Maineri i racconti di Poe circolavano (oltre che nella versione francese di Baudelaire del 1856,
Les Histoires Extraordinaires) nel ‘Gabinetto di lettura’, che propone nel corso del 1857 quattro racconti
tra cui Berenice, pubblicato nel numero del 12 settembre. Nel 1858, un racconto di Poe compare nel
volume Storie orribili, approntato da Savinio Savini per la collana ‘Biblioteca delle stravaganze’
dell’editore Botta di Torino, e infine nel 1863 nelle Storie incredibili a cura di Guido Cinelli, pseudonimo
con il quale si firmava Eugenio Camerini. Come segnalato da Melani, Maineri prende come modello proprio
la traduzione di Camerini. Sull’argomento si veda Melani, ‘Effetto Poe’, cit., pp. 29-34. Cfr.
sull’argomento anche F. Foni, C. Gallo, Ottocento nero italiano: narrativa fantastica e crudele, Torino,
Aragno, 2009, p. 46.
48 E.A. Poe, Storie incredibili, Milano, Pirola, 1869, p. 87.
49 Ivi, p. 93.
50 Ivi, p. 94.
51 Šklovskij, ‘L’arte come procedimento’, cit., p. 12.
52 Poe, ‘Storie incredibili’, cit., p. 99.

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sono condizionate dal predominio di un’idea fissa. Se tuttavia, nel racconto di Poe, lo
straniamento è l’esito ultimo del processo psichico, e l’attenzione morbosa si traduce
in una decostruzione dell’oggetto, al punto che se ne perde perfino il nome, nel
racconto di Tarchetti, l’artificio straniante sembra riflettere invece la logica stessa
che presiede all’interiorità del personaggio monomaniaco. In questo senso, se è vero,
come è stato notato, che le strategie attraverso le quali un punto di vista può diventare
straniante sono più che altro relative al vedere come che al vedere che,53 si può tentare
di riflettere sull’idea fissa come meccanismo che definisce il particolare punto di vista
straniante del narratore.
       Con il termine ‘monomania’ Esquirol intendeva designare ‘cette espèce de folie
dans laquelle l’aliéné, conservant l’usage de presque toute sa raison, ne délire que sur
un objet ou sur un petit nombre d’objets’,54 indicando così la possibilità di un delirio
riguardante un solo frammento della personalità, ‘che non comunicherebbe in nulla
con il resto dell’edificio psicologico dell’individuo’.55 Intorno alla metà del secolo, il
dibattito sulla monomania era diffuso anche in Italia, in particolare in relazione alla
monomania omicida, date le implicazioni che questo tipo specifico di delirio assumeva
nell’ambito della psichiatria legale; rispetto cioè a una concezione della follia del tutto
coincidente con il crimine, per cui ‘almeno agli ultimi limiti della follia, vi è il
crimine’.56 Eugenio Quintavalle, medico all’università di Pavia, riprende a esempio il
discorso nel saggio del 1859 Della monomania, dove si parla appunto, sulla scorta di
Esquirol e degli alienisti, di un ‘delirio parziale, limitato ad un’idea sola, fissa e
predominante’.57 Qui il monomaniaco è descritto come colui

nelle cui azioni emergerà sempre l’oggetto da cui sono costantemente e unicamente
determinate; esse dunque tutte vengono subordinate alle esigenze di un’idea fissa,
predominante, al cui soddisfacimento un impulso interno, irresistibile sospinge il monomaniaco
a avvalersi di qualsiasi mezzo, di quegli fors’anco da cui aborre egli stesso, ma pure più non gli
giova la forza morale per potersene astenere.58

In Francia, il discorso sulla monomania viene ripreso da un allievo di Esquirol, Jules
Baillarger (1809-1890), nell’articolo del 1847 Quelques considerations sur la
monomanie, poi raccolto nel volume Recherches sur les maladies mentales.59
Baillarger si inserisce all’interno del dibattito sulla reale esistenza della ‘follia
parziale’, e quindi della monomania, rispetto all’insieme più vasto del delirio
comunemente detto. Il problema posto da Baillarger è il seguente: ‘Comment une idée
fixe souvent absurde se maintient elle ainsi isolée au milieu d'une intelligence saine
en apparence ? Voilà ce qu’on ne s’explique pas aussi bien que la perversion complète
des facultés’.60 Baillarger si propone anzitutto di confutare la tesi esposta da Achille-
Louis François Foville (1799-1878) nel Dictionnaire de medicine pratique, secondo la
quale la monomania nella sua conformazione più semplice, come cioè relativa ai casi
nei quali il delirio è limitato a una sola idea o a una serie d’idee invariate, sia da
considerare uno stato eccessivamente raro. A differenza di Esquirol che considera la
monomania una tipologia piuttosto comune di patologia mentale, Foville ritiene che in

53 Gabbani, ‘Epistemologia, straniamento e riduzionismo’, cit., p. 100.
54 J.E. Esquirol, Note sur la monomanie-homicide, Paris, J.B. Baillière, 1827, p. 4.
55 M. Foucault, Gli anormali, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 142.
56 Sul concetto di monomania omicida cfr. M. Foucault, ‘L’evoluzione della nozione di “individuo

pericoloso” nella psichiatria legale del XIX secolo’, in: idem, Archivio Foucault 3. Interventi, colloqui,
interviste. 1978-1985. Estetica dell’esistenza, etica, politica, Milano, Feltrinelli, 1998, pp. 43-63; p. 50.
57 E. Quintavalle, Della monomania. Dissertazione inaugurale, Pavia, Fusi, 1959, p. 12.
58 Ivi, p. 19.
59 J. Baillarger, Recherches sur les maladies mentales, Paris, Masson, 1890.
60 Ivi, p. 244.

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essa si possano riconoscere tratti molto più vasti di delirio e che dunque sia più corretto
parlare di polimania, intendendo con questo termine cogliere appunto la natura non
circoscritta del delirio. Baillarger sostiene al contrario che vi sono molte forme di
delirio limitate a un’idea o a una serie di idee persistenti che pure non conducono
verso un delirio più generale, e di cui non si ha cognizione per la sola ragione che il
malato, generalmente sano, intraprende contro di esse una lotta isolata e nascosta
agli sguardi esteriori.61
       Se in uno stato di normalità le idee tendono a rinnovarsi senza bisogno di alcuno
sforzo, Baillarger spiega come nella monomania questa disposizione al rinnovamento
delle idee venga sostituita da una tensione opposta, per la quale la volontà non può
impedire in nessun modo ch’esse si ripresentino costantemente.62 Nella visione di
Baillarger, secondo cui tutti i fenomeni della follia, compresa la monomania, si
dispiegherebbero a partire da un disordine che si crea sull’asse del
volontario/involontario,63 il folle sarebbe colui ‘chez qui la délimitation, le jeu, la
hiérarchie du volontaire et de l’involontaire se trouve perturbée’, e le manifestazioni
dell’alienazione mentale quindi, ‘les hallucinations, les délires aigus, la manie, l’idée
fixe, le désir maniaque, tout cela est le résultat de l’exercice involontaire des facultés,
prédominant sur l’exercice volontaire par suite d’un accident morbide du cerveau’.64
Sostiene dunque Baillarger, in disaccordo con Esquirol su questo punto, che all’origine
della monomania non vi sarebbe una lesione dell’attenzione, che altro non sarebbe
che una ‘volonté appliquée’,65 ma un esercizio involontario della memoria e
dell’immaginazione; la monomania si caratterizzerebbe in particolare per l’insorgere
di un’idea fissa o di un sistema di idee indipendente dalla volontà dell’individuo, e che
anzi la volontà non è in nessun modo in grado di reprimere:

Loin que le monomane ait besoin d’efforts d’attention pour garder ses idées fixes, toute la
puissance de sa volonté ne peut au contraire les empêcher de se représenter à son esprit. C’est
ce fait que tous les malades expriment en disant que telle idée les porsuit, les domine, qu’il
ne dépend pas d’eux de n’y plus penser, que c’est plus fort qu’eux, etc. 66

La descrizione del delirio nel racconto tarchettiano sembra corrispondere nelle sue
linee generali al delirio monomaniaco così come appare dalle parole di Baillarger, in
particolare per ciò che concerne l’elemento persecutorio, sul quale si avrà modo di
tornare. Ciò che mi pare interessante sul profilo narrativo è il forte potenziale
straniante dello sguardo del monomaniaco. Il circuito dell’idea fissa sembra infatti
dotare il punto di vista del narratore della peculiare capacità di mantenere intatto lo
stupore nei confronti di uno stesso oggetto, il quale conserva, a ogni nuova

61 ‘Nous pensons donc que la monomanie dans son état le plus simple est plus fréquente qu’on ne le
prétend, par cette seule considération que cette variété de délire persiste souvent pendant plusieurs
années sans entrainer d’actes déraisonnables, ce qui permet souvent aux malades de continuer à rester
dans le monde, où beaucoup échappent à l’observation du médecin’ (ivi, pp. 244-245).
62
   ‘Les idées ont dans l’état normal une tendance à se renouveler, et nous avons besoin de faire des efforts
d’attention pour les conserver plus ou moins longtemps. Il en est autrement dans la monomanie. Cette
tendance au renouvellement des Idées n’existe plus; elle est remplacée par une disposition opposée. Loin
que le monomane ait besoin d’efforts d’attention pour garder ses idées fixes, toute la puissance de sa
volonté ne peut au contraire les empêcher de se représenter à son esprit’ (ivi, p. 267).
63 Foucault, Gli anormali, cit., p. 143. Nel capitolo intitolato Theorie de l’automatisme, Baillarger spiega

meglio quello che verrà in seguito definito ‘il principio Baillarger’. L’autore distingue due stati differenti
tra loro, in grado di alternarsi in modo equilibrato negli individui sani: un esercizio intellettuale volontario,
nel quale il soggetto ha un controllo delle proprie facoltà e delle proprie idee, e uno stato di automatismo
dell’intelligenza, caratterizzato al contrario dall’esercizio involontario della memoria e
dell’immaginazione.
64 Baillarger, ‘Recherches sur les maladies mentales’, cit., p. 267.
65 Ivi, p. 498.
66 Ivi, p. 267.

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apparizione, il suo aspetto enigmatico. Al ritorno di un identico oggetto (in questo caso
la u) non corrisponde mai un punto di saturazione, un punto limite oltre il quale si
entra nella dimensione del noto, del già visto, del familiare: rinnovando
continuamente l’ossessione, la monomania nega in qualche modo a queste continue
apparizioni la possibilità di avanzare verso una dimensione di familiarità e di
riconoscimento. In tal senso, lo sguardo del monomaniaco, così come messo in scena
nel racconto, può essere considerato uno sguardo che per definizione si sottrae
all’abitudine, che vede sempre gli stessi oggetti come se li vedesse per la prima volta;
uno sguardo straniante, quindi, che rompe con l’abitudine negando la possibilità stessa
dell’abitudine.

Modi di ‘vedere altrimenti’: fantastico e straniamento
Come nel Cholstomer ‘le cose vengono straniate non dalla nostra, ma dalla percezione
che ne ha il cavallo’,67 così nel caso de La lettera U lo straniamento non si dà come
una deformazione episodica dei materiali compositivi, ma investe l’intero orizzonte
discorsivo del narratore. Eppure possiamo osservare in filigrana il delinearsi di alcune
differenze fondamentali. Nel caso di Tolstoj, lo sguardo del cavallo è straniante perché
corrisponde allo sguardo vergine dell’ingenuo, del naïf: le leggi, i rituali, le
consuetudini, tutto ciò che per noi è familiare, compresi gli affetti e i valori di cui sono
investiti gli oggetti, diventa qui assurdo. In un passo del suo saggio sullo straniamento,
Ginzburg legge in questa chiave lo sguardo inedito sulla Francia di alcuni indigeni
brasiliani, a cui fa riferimento Montaigne nel saggio Des cannibales:

‘Naif’, nativus: l’amore di Montaigne per questa parola, e il suo correlativo disgusto per
l’artificialità. Ci portano al cuore della nozione di straniamento. Capire meno, essere ingenui,
restare stupefatti sono reazioni che ci possono portare a vedere di più, ad afferrare qualcosa
di più profondo, di più vicino alla natura.68

Nel caso del racconto di Tarchetti, lo straniamento non dipende da questa ‘ingenuità
originaria’, dalla capacità di ‘capire meno’; anche se si tratta sempre di riconoscere
ciò che è occultato e reso invisibile dalle convenzioni, lo straniamento sembra qui
provenire, all’opposto, da un abuso dello sguardo: ciò che si chiede ai lettori è infatti
di ‘raddoppiare’ la loro ‘potenza di intuizione’, di osservare la lettera con uno ‘sguardo
più indagatore’.69 Il procedimento straniante richiederebbe in questo caso, perché si
possa ‘vedere altrimenti’,70 di assumere l’eccesso e la dismisura come modi
dell’osservazione. Questa frenesia (o indisciplina) dello sguardo è esibita sin dalle
prime righe del racconto:

U! U!
Ho io scritto questa lettera terribile, questa vocale spaventosa? L’ho io delineata esattamente?
L’ho io tracciata in tutta la sua esattezza tremenda, co’ suoi profili fatali, colle sue due punte
detestate, colla sua curva abborrita? Ho io ben vergata questa lettera, il cui suono mi fa
rabbrividire, la cui vista mi riempie di terrore?
Sì, io l’ho scritta.
Ed eccovela ancora:
U
Eccola un’altra volta:
U71

67 Šklovskij, ‘L’arte come procedimento’, cit., p. 83.
68 Ginzburg, ‘Occhiacci di legno’, cit., p. 25.
69 Tarchetti, ‘La lettera U’, cit., p. 59.
70 M. Blanchot, L’effetto di straniamento, in: idem: La conversazione infinita, La conversazione infinita,

Torino, Einaudi, 2015, p. 440.
71 Ivi, p. 64.

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Questo ritorno continuo e automatico della lettera, evocata più volte, osservata sotto
luci diverse, letta, disegnata, riprodotta, sognata, espone la u a una ‘complicazione
della forma’,72 dalla quale la lettera esce ingigantita e deformata; non più ordinata
all’interno di un sistema di senso, esposta a una nudità, la vocale perde la sua
innocenza strumentale e si ridefinisce come un oggetto nuovo, che ambisce a essere
riconosciuto dai lettori. Ma a lato di questo straniamento convenzionale, sembra
emergere il rischio che l’oggetto nudo, privato della sua forma abituale, possa
rivoltarsi contro colui che guarda, assurgere a essere autonomo che ‘divenuto
indipendente, agisce da solo’.73 Questa indisciplina dell’oggetto, il suo riscattarsi dallo
sguardo del narratore, sembra progressivamente inserire l’intera situazione narrativa
in una cornice agonistica; alla passività dell’osservatore dinanzi alle mutazioni della
lettera si contrappone infatti un avanzare della u in quanto soggetto principale della
narrazione. Nel racconto di Tarchetti, l’antagonismo si riduce in ultima istanza al solo
dispotico dominio della lettera sull’esperienza del narratore, sino al punto limite per
cui sfumano i confini tra il soggetto che guarda e l’oggetto che viene guardato. In
questo caso, anzi, è l’oggetto stesso a essere dotato a sua volta di uno sguardo. Nel
frammento che segue emerge apertamente la confusione tra i due piani:

Quella vocale era lì, e pareva guardarmi, pareva affissarmi e sfidarmi. Non so qual coraggio mi
nascesse improvvisamente nel cuore: certo il tempo della rivelazione era giunto! Quella lettera
ed io eravamo nemici; accettai la sfida, mi posi il capo tra le mani e incominciai a guardarla... 74

Nel racconto, il rapporto si confonde al punto limite per cui è l’oggetto stesso a farsi
soggetto, a dotarsi in qualche modo di una sua, per quanto spettrale, corporeità: ‘Un
U gigantesco postosi sul mio petto mi abbracciava colle sue aste immense, flessuose...
mi stringeva... mi opprimeva…’.75 Ancora, in un passo successivo, il narratore mette in
guardia i lettori da ‘quelle due punte che vi guardano immobili, che si guardano
immobili’.76
      È in questa occasione di ribaltamento che si crea una fessura per l’ingresso
dell’ignoto, del magico, del soprannaturale: sottratto alla consuetudine del linguaggio,
esposto alla vertigine della polisemia, l’oggetto fantastico congiura contro il suo
osservatore, rivendica una propria sovrannaturale autonomia, e aspirando a farsi
soggetto muta quindi in fantasma.

E a questo modo su di me si chiuse la sera - e poi vennero le tenebre, e indugiarono, e se ne
andarono - e di nuovo fu l’alba, e le nebbie di una nuova notte presero a raccogliersi - e sempre
sedevo, solitario, in quella stanza solitaria; sedevo sepolto nella meditazione, e sempre i
phasmata dei denti conservavano il loro terribile potere, e vividi, orribilmente nitidi,
oscillavano frammezzo le luci e le ombre mutevoli della stanza.77

72 Šklovskij, ‘L’arte come procedimento’, cit., p. 83.
73 Viazzi, ‘Lettura della Lettera U’, cit., p. 77
74 Tarchetti, La lettera U, cit., p. 60.
75 Ivi, p. 63.
76 Ivi, p. 55.
77 Cito in questo caso dalla traduzione di Giorgio Manganelli: Poe, Racconti, Torino, Einaudi, 1983, p. 129.

Riporto anche l’edizione del ’69 di Maineri citata in precedenza: ‘E la notte scese su di me, - e vennero
le tenebre, e dominarono - e poi lente lente a dileguarsi: - e venne un nuovo giorno, - e le ombre di una
seconda notte si addensarono su me, - e sempre io rimaneva immobile in quella camera solitaria, - sempre
seduto, sempre sepolto nella mia meditazione fittissima; - e sempre in fantasma quei denti lì lì a librarmisi
intorno, a mantenere quegl’influssi, così che la larva vivissima e ributtantissima volteggiava qua e là a
traverso la luce e le ombre cangianti della camera’ (Poe, Storie incredibili, cit. p. 95).

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Il racconto di Tarchetti mostra, in un certo senso, il dritto e il rovescio di un unico
gesto, una divaricazione che lo stesso Šklovskij non aveva mancato di sottolineare: una
idea di ostranenie come ‘stupore per il mondo, sottile percezione di esso’,78 in
opposizione allo straniamento inteso come distacco, allontanamento, alienazione.79 I
procedimenti stranianti del racconto sembrano esibire proprio il confine tra queste
due concezioni tramite l’esplorazione delle condizioni di reversibilità dello sguardo;
una oscillazione che fa vacillare il rapporto tipicamente unilaterale tra il soggetto
osservatore e l’oggetto osservato, per cui più l’oggetto si dota di una sua fantastica
autonomia, più lo straniamento si abbatte sul soggetto che guarda. L’ambigua trama
di rimandi tra il punto di vista dell’uno e dell’altro lascia vibrare allora un altro tipo
di tensione, il lato cieco dello straniamento: un punto limite oltre il quale lo
straniamento smette di essere un mezzo per conoscere, una disposizione più acuta
verso le cose, e instaura il dubbio nel cuore della percezione e delle sue possibilità di
presa sul mondo.

Parole chiave
straniamento, fantastico, Tarchetti, idea fissa, monomania

Claudia Murru è docente a contratto di Letterature Comparate e assegnista di ricerca
presso l’Università di Udine. Il progetto di ricerca, parte del progetto PRIN ‘Nievo e la
cultura letteraria del Risorgimento. Contesti, paradigmi, riscritture (1850-1870)’, si
propone di indagare i rapporti di Ippolito Nievo con la fase germinale
della Scapigliatura compresa tra il 1857 e il 1862, con particolare attenzione agli
scambi letterari, diretti o indiretti, con i futuri autori scapigliati.

Università degli Studi di Udine
Dipartimento di Studi Umanistici e del Patrimonio Culturale
Vicolo Florio, 2/b - 33100 Udine
Udine (Italia)
claudia.murru@uniud.it

SUMMARY
Repetition and estrangement
The fixed idea in a tale of I. U. Tarchetti
The article aims to investigate the process of estrangement through the tale La lettera
U, by Iginio Ugo Tarchetti. By adopting the point of view of a madman, Tarchetti stages
an estrangement that affects the entire discourse of the character. The fixed idea, a
symptom of monomania (the psychiatric definition of this type of delirium at the time)
gives rise to a narrative device with a strong alienating potential, able to highlight the
differences between the notion of Šklovskij's ostranenie and estrangement as
presented in fantastic literature.

78 ‘C’è un vecchio termine ‘ostranenie’ [straniamento] che spesso scrivono con una sola enne anche se
deriva dalla parola ‘stranny’ [strano], ma il termine è entrato in uso nel 1916 con questa grafia. Oltre a
ciò è spesso inteso male e chiamato ‘otstranenie’ [distacco, allontanamento], che significa rifiuto del
mondo. Ostranenie è invece stupore per il mondo, sottile percezione di esso. Questo termine può essere
rafforzato solo includendovi il concetto di “mondo”. Presuppone l’esistenza anche del cosiddetto
contenuto, intendendo per contenuto l’attenta e meditata osservazione del mondo’ (Šklovskij, Simile e
dissimile, cit., p. 97).
79 Ivi, p. 112.

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