UNA POVERTA REALE, NON APPARENTE - Dal sito web dei Frati Minori Rinnovati - Chiesa di Napoli
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
UNA POVERTA REALE, NON APPARENTE Dal sito web dei Frati Minori Rinnovati (1° PARTE) "Il proprium della vita consacrata è quello di riprodurre la forma di vita che Gesù ha abbracciato e ha offerto ai discepoli che lo seguivano: una forma di vita evangelica... Educare alla vita santa di Gesù: questo è il dono e l'impegno di tutti quelli che vogliono diventare discepoli di Gesù, ma specialmente di quelli che sono chiamati alla vita consacrata" Un terribile equivoco ... Una volta lessi una storiella che mi fece pensare molto. Diceva più o meno questo: In una scuola per bambini dell’alta società, l'insegnante chiese agli alunni di trattare questo tema: una famiglia povera. Una delle ragazze lo fece senza difficoltà e scrisse: “C'era una volta una famiglia povera. Il padre era povero, la madre era povera, tutti i bambini erano poveri; anche la baby-sitter, il giardiniere, i cuochi, il maggiordomo erano poveri. La casa per le vacanze, la macchina, l’autista erano poveri. Le donne per le pulizie, quelli sì, erano veramente povere. In fin dei conti erano tutti molto poveri”. Certamente si tratta del racconto di una bambina innocente, ma a volte non c'è modo migliore per mostrare la realtà dei fatti che una favola per bambini. Questa storia semplice illustra molto bene lo stile della povertà che si può incontrare negli ambienti della vita consacrata: le automobili, i beni a disposizione sono poveri, i quartieri dove si vive sono poveri, i computer sono di seconda o terza mano, il patrimonio a disposizione è più o meno quello dei poveri e le persone che chiedono aiuto sono davvero molto povere. È tutto vero, però poi non manca nulla, allora si sente il bisogno di ricorrere alla "povertà apparente". Si dice: “Lo abbiamo, però non è nostro ma proprietà della diocesi; ne facciamo solo uso, quindi non è nostro”. Tutto questo non deve destare meraviglia in noi. Ci basta ricordare quello che accadde a santa Maria degli Angeli: “Il popolo d’Assisi, considerando che i frati per grazia di Dio si erano moltiplicati e crescevano di giorno in giorno, notò che specialmente quando si riunivano tutti per l'assemblea capitolare, non avevano colà che un’angusta misera casetta, coperta di paglia e dalle pareti fatte con vimini e fango. Era la capanna che i frati si erano approntata, quando erano venuti a stabilirsi in quel luogo. Allora gli assisani, per delibera dell'arengo, in pochi giorni, con gran fretta e devozione costruirono ivi una grande casa in pietra e calce, senza però il consenso di Francesco.” (Legper 11). Ma ricordiamo anche quale fu la reazione del Poverello: “Salì sul tetto di quella casa e ordinò ai frati di raggiungerlo poi cominciò insieme con loro a buttare giù le tegole, nell’intento di demolirla”. Quale fu l'argomento che costrinse Francesco a desistere dal suo tentativo? “Fratello, questa casa è proprietà del comune d’Assisi, e noi siamo qui in rappresentanza del comune. Ti ordiniamo quindi di non distruggere la nostra casa” (ibid). Era la voce dell’apparenza… La voce di una povertà apparente che suole spesso parlare con eloquenza. Il suo tono è inconfondibile e molto suggestivo: La cosa importante non è essere, ma apparire. Abbiamo tutto ciò che ci serve e non ci manca nulla, ma niente è nostro. 1
Sappiamo come reagiva Francesco dinanzi al fantasma dell’apparenza. Diceva con forza: "Voi volete essere ritenuti dalla gente frati minori ed essere chiamati osservatori del santo Vangelo; mentre in realtà volete avere la borsa piena di denari! " (SpecPerf 3). Se è così che intendiamo la vita religiosa, siamo inevitabilmente condannati all’incoerenza di una povertà che è lontanissima dalla condizione reale degli ultimi, che tante volte non hanno il minimo necessario per vivere o un posto decente in cui abitare, cibo a sufficienza, vestiti sufficienti per coprirsi contro il freddo e presentarsi decentemente agli altri. Nel Sacrum commercium incontriamo quest’affermazione: "Sorsero infine di mezzo a noi alcuni che affermavano di esseri poveri pur non essendolo affatto; uomini che indossando il sacro abito della religione, non hanno rivestito l'uomo nuovo, ma celato quello vecchio. Mi addoloravo grandemente soprattutto di alcuni, i quali, mentre nel secolo erano stati poveri e di poco conto, venuti da me si fecero ricchi. Il loro genere di vita, all'ansiosa ricerca di cose superflue, comincia a dar noia a tutti" (SacCom 38.50). Indubbiamente, questa apparente povertà è in netto contrasto con l’altissima povertà di cui parla Francesco. Mi basta ricordare le parole che troviamo nel Celano: "Una volta, mentre andava predicando, incontrò sulla strada un povero. Osservando la sua nudità, si rivolse addolorato al compagno: «La miseria di quest’uomo ci fa grande vergogna e rimprovera sommamente la nostra povertà ». « Perché, fratello? » chiese il compagno. E il Santo con accento triste: «Ho scelto per mia ricchezza e mia donna la povertà; ma ecco che rifulge maggiormente in costui. Non sai tu che si è sparsa per tutto il mondo la fama che noi siamo i più poveri per amore di Cristo? Ma questo povero ci convince che le cose non stanno così».” (2 Cel 84) Come si vede, l’altissima povertà di Francesco è ben diversa dal semplice, "sì, ce l’ho, ma non vi sono attaccato," o ancora, "ne faccio uso, ma non è mia". Il Poverello ha come punto di riferimento gli ultimi, nelle cui piaghe scorge il volto di Cristo povero. È per questa ragione che Francesco non parla mai nei suoi scritti di una povertà soltanto interiore, la quale potrebbe essere facilmente confusa con la povertà solamente apparente di cui stiamo parlando. Egli parla piuttosto di essere “poveri in spirito” e di vivere la povertà spiritualmente. Il grande povero nello spirito è Gesù, il Verbo fatto carne, che si fece povero per noi. La sua povertà volontaria è il frutto della sua obbedienza al Padre. Ha scelto d’essere povero, "spogliò se stesso... umiliò se stesso". Si tratta di una scelta di vita portata sino alle estreme conseguenze fisiche e spirituali: "Avevo fame... avevo sete... ero forestiero... nudo... malato... in carcere...", e poi, "Mio Dio, mio Dio! Perché mi hai abbandonato ". Gesù è il povero per eccellenza, il povero nello Spirito, colui che si abbassa volontariamente sino ad essere niente. Ed ecco il grido d'amore di Francesco: "O ammirabile altezza e degnazione stupenda! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell'universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di pane! Guardate, fratelli, l'umiltà di Dio" (EpOrd 27-28). Una sola ragione per essere povero: Gesù L’amore appassionato di Francesco per la povertà ha la sua ragione d’essere nella sequela di Gesù. La sua vita è un "seguire la dottrina e le orme di nostro Signore Gesù Cristo" (RegNB 1,1). Questa definizione della vita dei fratelli è bellissima. Seguire Gesù in ciò che egli dice e in quello che egli fa, è 2
l’atteggiamento che dà senso a tutte le decisioni dei frati minori. È questa la ragione del loro comportamento, il motivo della loro speranza: Gesù, solo Lui, perché egli lo dice e perché egli lo fa. Non vi sono altri motivi o altri argomenti. Questo vale anche quando si tratta della povertà: “Le pecore del Signore l'hanno seguito nella tribolazione e persecuzione nell'ignominia e nella fame, nell’infermità e nella tentazione e in altre simili cose; e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna… Tutti i frati s’impegnino a seguire l’umiltà e la povertà del Signore nostro Gesù Cristo” (Adm 6,2 & RegNB 9,1). Non c'è bisogno di fare lunghi commenti. La motivazione e la forza della scelta di Francesco stanno solo in Gesù. Lo sappiamo bene, anche se questo c’incute un po’ di paura: bisogna essere radicali nell’amore. Non un amore qualsiasi, ma un amore totalitario, cioè un consegnarsi che sia una resa totale. Se il “sì” è radicale, allora "nulla, dunque, di voi trattenete per voi, affinché totalmente vi accolga colui che totalmente a voi si offre" (EpOrd 29). È in questi termini che si è espresso il Congresso per gli animatori della Pastorale vocazionale, tenutosi ad Assisi (precisamente a Santa Maria degli Angeli… nello stesso luogo dove accadde l’episodio delle tegole!). Di tutto il documento del Congresso voglio ricordare solo una frase: "La forma di vita francescana – la quale mira prima di tutto a seguire gli insegnamenti e le orme di nostro Signore Gesù Cristo – è incomprensibile al di fuori del radicalismo". Abbracciare il radicalismo evangelico, seguire Gesù con tutte le forze, in amore espropriato, senza trattenere nulla per se stessi: è questa la grande sfida del francescanesimo di tutti i tempi! Una radicalità appassionata: chiamati a "seguire le orme" "Le piante dei piedi" è la traduzione letterale dal latino "vestigia" utilizzato da Francesco per definire in una sola frase la vita dei fratelli sulle orme di Gesù: "Domini Nostri Jesu Christi doctrinam et vestigia sequi". Che bella definizione! Il sostantivo "vestigia", riferito ad un essere umano, significa "il segno lasciato dal piede da chi cammina sul terreno". Nel Medioevo, questa parola è legata alle vessazioni che un uomo aveva il diritto di infliggere a coloro che erano al suo servizio. Nel caso di Gesù, troviamo uno straordinario programma di vita: la vita dei fratelli è dunque un perseguire Gesù, con uno sguardo attento e contemplativo rivolto alle orme che i suoi piedi hanno lasciato sulla terra. Francesco vede il riflesso delle "impronte" del Maestro soprattutto in un testo della seconda Lettera ai Corinzi, in cui Paolo parla della generosità del Figlio di Dio che "da ricco, per amore vostro si fece povero, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Cor 8,9). Questo è uno dei testi fondamentali per la vita della fraternità primitiva. È continuamente citato in tutte le Biografie e negli scritti di Francesco e Chiara. Si tratta della kenosi del Figlio così com’è presentata nella lettera ai Filippesi: "Egli spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e diventando simile agli uomini, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte sulla croce" (Fil 2,7-8). È alla luce di questo spogliamento volontario che Francesco comprende la povertà. Non si tratta di uno spogliamento qualsiasi. È uno spogliamento completo, così come lo esprime il verbo κενόω, che significa svuotare, rimuovere ogni valore, rendere inutile. Il Poverello contempla Gesù nell’atto di svuotarsi completamente, senza trattenere più nulla per sé; o meglio nell’atto di annientarsi, farsi nulla, 3
senza nessun valore. È questo "svuotamento" del Figlio di Dio che lo appassiona e che vorrebbe riprodurre in se stesso e nei fratelli: "Guardate, fratelli, l'umiltà di Dio, ed aprite davanti a lui i vostri cuori ( ); umiliatevi anche voi, perché siate da lui esaltati. Nulla, dunque, di voi trattenete per voi, affinché totalmente vi accolga colui che totalmente a voi si offre" (EpOrd 28-28). Quando Francesco parla di seguire le "orme" di Gesù si riferisce a questo svuotamento volontario. Allora a chi vuole entrare nella fraternità, è detto prima di tutto: “Va ', vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri” (RegB 2,1). È il modo più concreto di riprodurre in sé l'annientamento di Gesù. Chi vuole abbracciare questa vita – prima di ogni altra cosa – deve essere completamente vuoto, deve vivere la propria kenosis. Sappiamo che nessuno poteva essere accolto tra i frati minori se prima non aveva fatto questo passo importante. Celano ce lo dice con queste parole: "A chi voleva entrare nell'Ordine il Santo insegnava a ripudiare anzitutto il mondo, offrendo a Dio prima i beni esterni, poi a fare il dono interiore di se stessi. Non ammetteva all'Ordine se non chi si era spogliato di ogni avere, senza ritenere nulla assolutamente, sia per la parola del santo Vangelo, sia perché non fosse di scandalo il peculio personale" (2 Cel 80). Vediamo che non si tratta solo di distaccarsi dei beni materiali, ma di una vera espropriazione, di uno svuotamento radicale, un dare tutto ai poveri, vale a dire a coloro che non avrebbero mai potuto restituire il dono loro fatto. Ricordiamo che questo spogliamento non si riferisce solo ai beni materiali. Francesco esigeva dai letterati che desideravano far parte della vostra famiglia una rinuncia peculiare: "Una volta disse che un uomo di grande cultura, se vuole entrare nell'Ordine, deve rinunciare in qualche modo anche alla scienza, per offrirsi nudo alle braccia del Crocifisso, dopo essersi espropriato di questa forma di possesso" (2 Cel 194) . Allo stesso modo Francesco esigeva lo spogliamento totale da parte di coloro che volevano abbracciare la povertà di Gesù, ma che rimanevano attaccati alla loro volontà: " E affermava che non ha lasciato tutto per il Signore, chi mantiene il gruzzolo del proprio modo di pensare" (2 Cel 140). Si tratta, quindi, di un’espropriazione totale, interiore ed esteriore, per rivivere in se stessi la kenosis di Cristo. Tutti i frati devono partecipare dell’annientamento di Cristo. È l'intera Fraternità che deve annientarsi, svuotarsi. Deve essere una fraternità la cui unica preoccupazione sia quella di seguire le orme della povertà e dell'umiltà di Gesù, in altre parole riprodurre il suo svuotamento. Tutta la vita di Gesù è come un correre verso l'annientamento più totale, una discesa sulla strada della povertà. Così dice san Gregorio Magno: "Vuoi sapere, o fratello, che salto fece? Dal cielo venne nel grembo della Vergine; e da questo grembo immacolato giunse sino alla mangiatoia e dalla mangiatoia alla croce, e dalla croce sino alla tomba ... ". Al santo Dottore della Chiesa manca solo l'ultimo salto verso la povertà totale: l'Eucaristia. San Tommaso completerà il quadro di questo meraviglioso abbassamento: "Sulla croce era nascosta solo la divinità, ma qui anche l'umanità è nascosta". Francesco riassume questo desiderio irrefrenabile del Figlio di Dio con una sola frase: "Egli da ricco che era scelse, per sé e la Beata Vergine, sua Madre, la povertà in questo mondo" (EpFid II,5). È una citazione diretta della seconda lettera ai Corinzi: "Il Signore nostro Gesù Cristo da ricco si è fatto povero per voi perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Cor 8,9). 4
Se il limite ultimo è l'annientamento di Gesù, allora non vi sono limiti per la povertà dei frati. Dinanzi all’annientamento di Gesù cadono tutti i limiti. La sfida ci sta sempre davanti, più in alto. Ci si può sempre svuotare maggiormente, scendere più in basso. C’è sempre qualcosa da lasciare. 5
UNA POVERTA REALE, NON APPARENTE (2° PARTE) I frati minori: una famiglia in stato d’abbassamento Le parole di san Paolo riguardanti l'annientamento di Gesù contengono alcune sfumature molto interessanti per capire la scelta di povertà in cui visse la primitiva fraternità francescana: "Il Signore nostro Gesù Cristo da ricco che era si fece povero perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Cor 8,9). Mentre nella traduzione delle lingue moderne si usa due volte lo stesso termine per descrivere l’annientamento di Gesù (si è fatto povero… arricchirci con la sua povertà), il testo della Volgata adopera due termini diversi (egenus e inopia). Si tratta di due termini significativi e forti. Il primo (egenus) significa miserabile, infelice; il secondo (inopia) si riferisce all’indigenza, alla assenza quasi totale di risorse e di mezzi economici. Così intesa l'espressione paolina assume un particolare significato. Non si parla solo di povertà interiore, e molto meno di una povertà solo apparente. Si tratta di qualcosa di molto concreto e reale: uno stato di scarsezza assoluta, di indigenza, di necessità. Potremmo ricostruire la frase in questo modo: "Nostro Signore Gesù Cristo da ricco che era, si fece un miserabile (egenus) per voi perché diventaste ricchi per mezzo della sua indigenza (inopia)". È in questi medesimi termini che san Paolo descrive la condizione degli autentici ministri di Dio: “In ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio con molta fermezza: […] considerati come impostori, eppure siamo veritieri; come sconosciuti, eppure notissimi; come moribondi, e invece viviamo; come puniti, ma non uccisi; come afflitti, ma sempre lieti; come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!” (2 Co 6,3-10). In questa descrizione splendida degli autentici ministri di Dio, costoro sono presentati come "poveri, ma capaci di arricchire molti". Nella Vulgata, troviamo "egentes", vale a dire “miserabili”, la cui caratteristica è l’assolutta mancanza di risorse, la necessità in cui vive la "gente che non ha nulla". Il vero ministro di Dio è colui che rivive in sé l'annientamento del Signore: Gesù si fece miserabile (egenus) e i suoi ministri sono ritenuti miserabili (egentes). È in questi medesimi termini che le Fonti Francescane ci presentano la povertà francescana. Guardiamo per esempio ciò che scrive santa Chiara nella sua prima lettera ad Agnese di Boemia. Anche lei cita il testo di san Paolo: “Dunque, tale e così grande Signore, scendendo nel seno della Vergine, volle apparire nel mondo come uomo spregevole, bisognoso e povero, affinché gli uomini – che erano poverissimi e indigenti, affamati per l’eccessiva penuria del nutrimento celeste –, divenissero in Lui ricchi col possesso dei reami celesti” (EpAg I,19-20). Chiara vede Gesù come un uomo che ha scelto di apparire spregevole, bisognoso e povero in questo mondo (despectus, egenus et pauper). Adopera lo stesso termine della Vulgata: egenus (miserabile, 1
bisognoso, senza casa). Anche per la "pianticella" di Francesco, le caratteristiche della povertà di Gesù sono la necessità e il disprezzo. Un altro esempio tratto dagli scritti di santa Chiara si trova pochi versetti prima nella stessa lettera, allorquando descrive la scelta di vita fatta da Agnese di Boemia: “Rigettando tutto ciò, avete scelto, con tutta l'anima e con tutto lo slancio del cuore, piuttosto la santissima povertà e la penuria del corpo ” (EpAg I,6). Vediamo una volta ancora che la povertà di cui si parla è molto reale, concreta e anche sofferta. Chiara ha imparato da Francesco a scegliere “la santissima povertà e la penuria del corpo”. Ed ora intende confermare Agnese nella stessa scelta di vita. Il sostantivo “penuria” ha lo stesso significato di “inopia” della Vulgata e fa riferimento alla povertà di Gesù. Implica carenza, mancanza delle cose essenziali, mancanza di generi di prima necessità che consentono di vivere con dignità. Chiara vuol dire che bisogna scegliere volontariamente uno stato di reale necessità. Anche san Bonaventura descrive la vita dei frati minori come una vita di penuria. Nella Legenda Maior ci racconta che per i frati "la penuria stessa era per loro dovizia e sovrabbondanza" (LegM IV,7). E poi più avanti ci narra di un frate che volle creare un fondo per porre rimedio alla penuria in cui si trovava la fraternità. Egli "si presentò all'uomo di Dio e gli espose l'indigenza dei frati, chiedendo il permesso di metter da parte un po' di beni dei novizi, che venivano all'Ordine, per servirsene a tempo opportuno”. Conosciamo la risposta che gli diede Francesco: "Non sia mai, fratello carissimo, che noi agiamo empiamente contro la Regola, a favore di chicchessia " (LegM VII,4). Allo stesso modo, quando i frati andarono nella terra dei Saraceni, uno di questi rimase molto stupito nel costatare che i frati avevano rifiutato di ricevere le offerte in denaro, malgrado l’assenza totale di mezzi e la loro estrema condizione di povertà (cernens quod inopes essent). Sono gli stessi termini usati da Francesco prima di andare a mendicare mentre era ospite in casa del vescovo di Ostia. Dopo aver udito le lamentele del prelato, il Poverello disse: "O Signore mio, io ho fatto grande onore a voi coll'onorare un Signore più grande. Difatti il Signore si compiace della povertà e soprattutto di quella che consiste nel farsi mendicanti volontari per Cristo. E io, questa dignità regale che il Signore Gesù ha assunto per noi, facendosi povero per arricchirci della sua miseria e costituire eredi e re del regno dei cieli i veri poveri di spirito, non voglio scambiarla col feudo delle false ricchezze, a voi concesse per un momento" (LegM VII, 7). Guardiamo per ultimo un testo dell’Anonimo perugino in cui la povertà della fraternità è descritta nei medesimi termini usati da Paolo (nella versione della Vulgata) per descrivere l'abbassamento del Figlio di Dio. È un testo bellissimo che vale la pena leggere tutto intero: "Due frati, giunti a Firenze, giravano la città in cerca di qualcuno che li ospitasse, e non riuscivano a trovarlo. Arrivati a una casa, che aveva davanti un portico con il forno, si dissero l'un l'altro: >. Pregarono dunque la padrona di riceverli; ma avendo quella immediatamente ricusato, le chiesero il permesso di fermarsi almeno presso il forno. E la donna acconsentì. Ma venuto suo marito e scoperti i due che stavano accanto al forno, brontolò: «Perché hai dato ospitalità a questi ribaldi?». Lei rispose: «Non li ho voluti alloggiare in casa, ma ho permesso loro di starsene sotto il portico: tutt'al più potranno rubare un po' di legna». Per la diffidenza non diedero loro nulla da coprirsi, sebbene facesse un gran freddo. Durante la notte i due si levarono per il mattutino, dirigendosi alla chiesa più vicina. Spuntato il giorno, quella donna andò in chiesa a sentir Messa, e li vide immersi nella preghiera devoti e umili. Disse allora fra sé: «Se questi uomini fossero malviventi, come pensava mio marito, non pregherebbero con tanta devozione>>. Ed ecco un certo Guido camminare per la chiesa, offrendo l'elemosina a li poveri lì presenti. Accostatosi ai frati, voleva 2
dare un denaro ciascuno, ma quelli non lo vollero ricevere. Allora disse:
Finora abbiamo visto come la decisione della fraternità di rivivere l'annientamento di Gesù ha dato vita ad una condizione di bisogno e di insicurezza. Questa condizione di vita è anche volontaria, cioè ricercata, amata e difesa. Facciamo ora un passo in avanti. Dobbiamo ancora mettere in risalto un altro punto fondamentale: i frati, una volta che hanno dato tutti i loro beni ai poveri e sono stati annoverati tra i bisognosi, in una situazione di precarietà, continuano a dare tutto pur nella loro estrema povertà. In questo sono simili alle Chiese della Macedonia, di cui san Paolo dice che "pur provate da molte tribolazioni, la loro gioia e la loro estrema povertà si sono tramutate nella ricchezza della loro generosità" (2 Co 8,2). È da questo versetto della lettera ai Corinzi che Francesco ha preso l’appellativo di “altissima” riferito alla povertà. Nella Vulgata, in effetti, non si dice " estrema povertà ", bensì (come nella traduzione spagnola) "altissima paupertas". Tutto ciò è molto significativo perché ci fa comprendere ciò che il Poverello intende con “altissima povertà”. Essa implica non solo il fatto di essere in una condizione di povertà e di insicurezza, ma anche un atteggiamento di continua condivisione pur rimanendo in questa situazione di estrema ristrettezza. Così, l’altissima povertà non ci appare come una scelta narcisistica o un rinchiudersi nell’intimismo, ma il frutto di una sequela radicale che si esprime nell’anelito di ricalcare le orme di Colui che si è fatto povero per arricchire tutti. È l’altissima povertà che libera i frati dal ripiegamento su se stessi e li apre alle necessità degli altri. In tal modo la fraternità minoritica riproduce in sé la kenosis di Gesù che spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo, si immerse nell’umiliazione e giunto a questo punto diede tutto sino alla morte di croce. I frati, seguendo le sue orme, sono chiamati a svuotare se stessi vendendo tutto e donandolo ai poveri. Così essi si mettono all’ultimo posto, in una condizione di povertà, senza sicurezza alcuna, per configurarsi totalmente al Crocifisso. È questo stesso atteggiamento che ritroviamo nella povera vedova presentata da Gesù quale modello per i suoi discepoli: "In verità vi dico, questa povera vedova ha dato più di tutti. Tutti, infatti, hanno dato del loro superfluo, mentre questa povera vedova ha dato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere". Una volta ancora il testo latino è molto più espressivo. La Vulgata dice: "Dalla sua miseria ha dato tutto quello che aveva" (de penuria sua omnia quæ habuit misit totum victum suum). La povera vedova diventa il modello perfetto del discepolato per i frati minori: nella sua miseria ha dato tutto, anche quello che aveva per vivere, senza trattenere nulla per sé. Francesco ci dice: “Nihil ergo de vobis retineatis vobis, ut totos vos recipiat, qui se vobis exhibet totum”. In breve, la povera vedova è il nostro modello, la personificazione dell’altissima povertà. Cinque conclusioni... Possiamo fare un riassunto di quanto è stato detto in cinque punti: 1. Guido vede che i frati minori vivono nella stessa condizione di disagio e di umiliazione degli altri poveri. 2. La condizione di vita della fraternità e quella di una povertà volontaria che fa vivere i frati nell'insicurezza economica. 3. I frati minori, rifiutando ciò che vogliono gli altri i poveri (la sicurezza economica), sono identificati quali autentici cristiani e servi di Dio. 4
4. La povertà dei frati non è di mera facciata. 5. La povertà dei frati ha quale unica ragione d'essere il seguire le orme di Gesù. Il Beato Giovanni Paolo II ha detto: "La povertà evangelica schiude davanti agli occhi dell'anima umana la prospettiva dell'intero mistero, «nascosto da secoli nella mente di Dio». Solamente coloro che sono in questo modo «poveri» sono anche interiormente capaci di comprendere la povertà di colui che è infinitamente ricco. La povertà di Cristo nasconde in sé questa infinita ricchezza di Dio; essa ne è anzi un'espressione infallibile. Una ricchezza, infatti, qual è la divinità stessa, non si sarebbe potuta esprimere adeguatamente in nessun bene creato. Essa può esprimersi solamente nella povertà. Perciò, può essere compresa in modo giusto solamente dai poveri, dai poveri in spirito" (RD, 12). La nostra eredità è talmente bella e avvincente... che sarebbe triste accontentarsi di mezze misure. Possiamo camminare ancora e riscoprire sempre di più i lineamenti del nostro volto e continuare a gettare le reti senza stancarci mai. Prendere il largo! Qual è la nostra eredità, il luogo che Dio ha riservato per noi? Francesco ce lo dice con la bellezza incomparabile di un cuore che ama: “Questa è la sublimità dell'altissima povertà (Cfr. 2Cor 8,9) quella che ha costituito voi, fratelli miei carissimi, eredi e re del regno dei cieli (Cfr. Gc 2,5), vi ha fatto poveri di cose e ricchi di virtù. Questa sia la vostra parte di eredità, quella che conduce fino alla terra dei viventi (Cfr. Sal 141,6). E, aderendo totalmente a questa povertà, fratelli carissimi, non vogliate possedere niente altro in perpetuo sotto il cielo, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo” (RegB VI). Per una prima conoscenza della vita dei Frati Minori Rinnovati si può vedere il loro sito web: https://www.fratiminoririnnovati.org/ 5
Puoi anche leggere