UN CONFIJTTO DI GIURISDIZIONE PENALE FRA IL SENATO E LA CASSAZIONE
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UN CONFIJTTO DI GIURISDIZIONE PENALE FRA IL SENATO E LA CASSAZIONE SOMMARIO 1. n fatto generatore del conflitto. —• 2. La sentenza della Cassazione, estensore Canonico. — 3. Giudizii della stampa giuridica. — 4. I/intorvento del Senato. — 5. La relazione del senatore Tajani. — 6. La discussione del Se- nato in Comitato segreto. — 7. La deliberazione del Senato. — 8. La lettera del senatore Canonico, presidente di sezione alla Cassazione. — 9. Esame giu- ridico della sentenza della Cassazione: la querela ])er complicità contro un senatore. — 10. L' utilità pel Senato deila massima accolta dalla Cassazione. — i l . Lo scopo del privilegio senatorio e la massima della Cassazione. — 12. L' opinione degli scrittori. — 13. Esame politico del voto del Senato: suo valore politico, giuridico e morale. — 14. Sua convenienza di fronte alla ragion d' essere del privilegio senatorio. — 15. Conclusione. 1. Circa due anni or sono, il già delegato di P. S. Alberto CJarnevali chiamò in giudizio avanti la IV sezione del Con- siglio di Stato il Ministro dell' Interno, impugnando per vio- lazione di legge il provvedimento con cui V aveva dispensato dal servizio. Il cav. Carlo Sandrelli^ sostituto avvocato generale era- riale, a difesa dell' operato dal Ministro, in una memoria a stampa, ad uso esclusivo dei componenti il collegio, riportò i fatti e i documenti comunicatigli dal Ministero in appoggio del provvedimento stesso. Il Consiglio di Stato diede ragione al Carnevali annul- lando il decreto Crispi, e il Carnevali allora, reintegrato
"•mif^fs^Ms^^m ^ggs^ggiHap'yf^g'sr^jyaj^gggBig^ UN CONFIrrro DI GIURISDIZIONE PENALE FRA IL SENATO E LA CASSAZIONE SOMMARIO 1. Il fatto generatore del conlUtto. — :l. La sentenza della Cassazione, estensore Canonico. — o. (Uudizii della stampa giuridica. — ^. 1/inlervcnio del Senato. — 5. La relazione del senatore Tajani. — ('). La discussione del Se- nato in Comitato segreto. — 7. La deliberazione del Senato. — 8. La lettera del sonatore Canonico, presidente di sezione alla Cassazione. — 9. Esame giu- ridico della sentenza della Cassazione: la querela per complicità contro un senatore. ^— 10. L' utilità pel Senato della massima accolta dalla Cassazione. — l i . Lo scopo del privilegio senatorio e la massima della Cassazione. — 1'^. 1/ opinione degli scrittori. — 1,^. Ksavne politico del voto del Senato: suo valore politico, giuridico e morale. — 14. Sua convenienza di fronte alla ragion d' essere del privilegio senatorio. — i5. Conclusione. 1. Circa due anni or sono, il già delegato di P. S. Alberto Carnevali chiamò in giudizio avanti la IV sezione del Con- siglio di Stato il Ministro dell'Interno, impugnando per vio- lazione di legge il provvedimento con cui V aveva dispensato dal servizio. Il cav. Carlo Sandrelli, sostituto avvocato generale era- riale, a difesa dell' operato dal Ministro, in una memoria a stampa, ad uso esclusivo dei componenti il collegio, riportò i fcitti e i documenti comunicatigli dal Ministero in appoggio del provvedimento stesso. Il Consiglio di Stato diede ragione al Carnevali annul- lando il decreto Crispi^ e il Carnevali allora, reintegrato
222 C. LESSONA nella carica, querelò per diffamazione e violazione dei segreti d'ufficio il Sandrelli, quale autore, il Crispi, il Galli e il senatore Sensales^ allora direttore generale della P. S., quali complici. Il giudice istruttore, appena si avvide che la querela era anche diretta contro un senatore, corse colla mente all'art. 37 dello Statuto, ma, invece di trasmettere la querela al Senato giusta l'art. 3 del Regolamento giudiziario dell' x41to consesso, si dichiarò incompetente. Il P. M. fece opposizione, ma invece di motivarla sul ri- flesso elle il giudice istruttore non doveva addivenire alla dichiarazione della sua incompetenza, nici bensì doveva ri- mettere gli atti a chi di ragione, osservò che, trattandosi nella specie di reati comuni, occorreva anzitutto vedere se realmente concorressero gli estremi del reato. La sezione d' accusa presso la Corte d' appello di Roma respinse V op- posizione e tenne ferma 1' ordinanza del giudice istruttore. Il P. M. allora ricorse in Cassazione. E si noti che il Pro- curatore Generale presso la Corte d' Appello di Roma è il rappresentante del P. M. presso V Alta Corte di giustizia. Egli sostenne che il vedere se si tratti o no di reato, non vulnera il diritto del Senato di giudicare esso solo dei reati imputati ai suoi membri. E per dimostrare questo principio osservava che, ove non lo si ammettesse, V autorità giudi- ziaria ordinaria non dovrebbe neppure ricevere le querele quando vi fossero, a torto o a ragione, coinvolte persone godenti prerogativa statutaria, massime che, nei casi in cui è ammessa la riihessione della parte lesa, spetta a codesta autorità dichiarare non esser luogo a procedere quando la rimessione è accettata, il che poteva benissimo accadere pre- cisamente nel caso in esame (1). (1) K siiportluo rilevare i due sofismi chiusi in questa dimostrazione: Tob- Ijlig'o di ricovero querele è scritto in modo assoluto nolT art. r^il) G. ])roc. p. 0 il Souato stesso ri(;ono])be noi 1863 che tabi articolo si applicava audio alle ([uerole contro i sonatori— quanto alla remissione, se la querela ò già in mano al Sonato, il Sonato solo può ricevere l'atto relativo, come testò accadde pel Sen. Rignon —..
UN CONFLITTO DI GIlJRISDIi^IONE PENALE ECC. 223 « Il Senato » aggiungeva il P. M. « à, solo il diritto di giu- dicare dei reati imputati ai suoi membri^ ma quando il reato non esiste perchè ne mancano gli estremi, non è più il caso che il Senato giudichi, perchè manca il sostrato al suo giu- dizio,, e questa indiigine preliminare spetta al potere giudizia- rio ordinario: non si lede la prerogativa del Senato quando si adempie un do^^ere del proprio ufficio, e non si esercita un atto arbitrario, quando non s'intralcia il corso della azione penale, ma si constatano solo i fatti ondq riconoscere se vi sia 0 no materia di giudizio, massime poi allorché, come nella specie, il querelato, quale autore del supposto reato è persona che non godo di guarentigie senatoiie, e coloro elio ne godono, solo sono designati quali complici, potendo benis- simo il processo deir uno separarsi da quello degli altri». 2. Su questo ricorso fu chiamata a pronunciarsi la Corte di Cassazione. Presiedeva un illustre giurista, decoro del Se- llato di cui è anche vicepresidente, il senatore Tancredi Ca- nonico. Anzi la sentenza fu estesa da lui. Questa sentenza {2() decembre 1896), emanata sulle con- formi conclusioni del P. M., rappresentato dal Paniglietti, è del tenore seguente: « Attesoché per Fart. ;>7 dello Statuto, il Senato è solo com- petente per giudicare dei reati imputati ai suoi memori. (Mie quindi, pei reati imputati ad un senatore, 1' autorità giudiziaria ordinaria non può fare nessuna indagine e nes- sun atto di giurisdizione, ma deve rimettere ogni indagine ed ogni giudizio al Senato. Che però il Senato, essendo chiamato dallo Statuto a giu- dicare dei reati imputati ai suoi membri, il suo potere giudi- ziario non ha materia su cui esercitarsi allorché i fatti denunciati, per la loro natura, senza bisogno d'indagine, evi- dentemente non configurano gli estremi di alcun reato, e quindi rendono impossibile ogni imputazione. Che quando la querela contro un senatore per taluno di codesti fatti è portata all' autorità giudiziaria ordinaria, e questa, senz'alcun'indagine, si limita a dichiarare che nei
224 0. LESSONA fatti medesimi non vi sono elementi di reato, non viene lesa con ciò la giurisdizione del Senato, perchè nulla s'indaga intorno alla sussistenza o meno dei fatti allegati e nulla s'im- puta alla persona del senatore, ma non si fa se non consta- tare che i fatti quali furono denunciati non costituiscono un reato, e quando il fatto denunziato per sé stesso evidente- mente non costituisce reato, viene a mancare la matrice d'ogni imputazione e d'ogni giudizio, tanto riguardo al Senato, quanto riguardo all' autorità giudiziaria ordinaria. Che queste considerazioni relative all' on. Sensales sena- tore, valgono, a fortiori, riguardo agii onorevoli Crispi e Galli, perchè, essendo essi denunziati quali complici di diffamazione (che è reato comune e non ministeriale) essi dovrebbero, in ogni caso, venir giudicati dai Tribunali ordinari, salva la pre- via autorizzazione della Camera dei deputati, non potendosi affermare che vi sia stata manifestazione di documenti, i quali dovessero restare segreti, dal momento che la loro produzione era indispensabile per la difesa di un atto del Governo. Che tanto più ciò deve dirsi nella specie attuale, in quanto che il principale denunciato, quale autore della diffamazione, il Sandrelli non gode del fòro speciale, e non costituendo reato, il fatto appostogli pel preciso disposto dell' art. 398 Cod. pen., cadono di per sé le imputazioni ai pretesi complici, non potendovi essere atto di complicità (né quindi respon- sabilità penale), in fatto che non costituisce reato. Che per le esposte considerazioni rimane palese come al- lorché il fatto denunciato, di per sé, senza bisogno d'indagini, evidentemente non costituisce reato, torni superfluo far que- stione di competenza, dappoiché manca la materia del giu- dizio per qualsiasi Tribunale. Per questi motivi, la Corte cassa senza rinvio la sentenza della Sezione d' accusa di Roma, 19 novembre 1896. 3. La sentenza passò inosservata nel maggior numero dei giornali giuridici: solo, per quanto ci è noto, la Cassazione Unica (VITI, col, 259) e Aristo Mortara nella Giurisprudenza italiana (XLIX, II, 74) la facevano oggetto di alcune riflessioni.
^y- ,: t,M' UN CONFLITTO DI GIURISDIZIONE PENALE ECO. 225 Nella Cassazione Unica si legge: « Che V autorità giudiziaria comune possa, in tesi gene- rale^ esaminare se il fatto addebitato ad un senatore contenga 0 meno i caratteri di un vero e proprio reato, per addive- nire poi, 0 ad una dichiarazione dì non luogo, ovvero ad una declaratoria di incompetenza nel caso che reato vi sia, ci sembra un po' ardito, per quanto appaiano gravi e serie le obbiezioni che si accampano contro la tesi opposta. A questo proposito ci piace anzi dichiarare che le dotte argomentazioni del P. G. che avemmo occasione di udire, assistendo alUi udienza, ci avevano quasi convinti della giustezza della tesi suddetta: ma poi riflettendoci abbiamo dovuto modificare la nostra opinione. E vero che la denuncia di un fatto inno- cente deve essere senza bisogno di lunghe indagini posta nel nulla, ma a far ciò occorre sempre un giudizio, una consta- tazione formale da parte dell' autorità competente. Ed è pre- cisamente per la imprescindibile necessità di un tale giudizio che a noi sembra non perfettamente esatto il dire, in senso assoluto, che non vi è questione di competenza quando i fatti denunciati non configurano alcun reato. Una prima e fonda- mentale indagine, per quanto rapida e sollecita, da parte dell' autorità competente occorre, e noi fortemente dubitiamo che essa possa essere compiuta, se l'imputato è un senatore, dal giudice istruttore o da altra autorità giudiziaria ordinaria. Trattasi, è vero, di una competenza eccezionale che il nostro diritto pubblico ha stabilito per i reati addebitati ai senatori, ed è giusto che per essa non si pervenga ad interpretazioni estensive; ma, a prescindere che il giudizio dell' in genere del reato, è sempre un vero e proprio giudizio, e che in fatto ed in diritto è bissai difficile il disgiungere il giudizio sull' inge- nere stesso da quello relativo alla responsabilità specifica dell' incolpato, non può neppure dimenticarsi che 1' art. o7 dello Statuto è espresso con una locuzione che non consente siffatto sdoppiamento di giudizio, ivi dicendosi che il Senato è competente a giudicare dei reati imputati ai suoi ìiiembri. Riteniamo però che nella specie dovevasi egualmente cid- divenire alla conclusione attermata dal Supremo Collegio per r altra considerazione alla quale pure si accenna espressa-
226 e. LESSONA mente nella decisione suestesa. Infatti, posto che la querela era stata esposta contro persona non rivestita di prerogativa senatoriale, niun dubbio che T autorità giudiziaria potesse co- noscerne, nonostante che altri, ivi chiamato come complice, dovesse poi essere soggetto al giudizio speciale del Senato del Regno; e niun dubbio che non esistendo il reato e non potendosi contro V autore procedere, non fosse il caso di ec- citare la competenza speciale per il preteso complice del reato medesimo ». Con le parole surriferite pertanto si impugna la massima che r autorità giudiziaria comune possa dichiarare il non luogo perchè il fatto non costituisce reato qualora ne sia im- putato un senatore, ma si ammetto la tesi della Cassazione quando il senatore sia solo imputato come complice di un reato attribuito, come ad autore, a persona sfornita di pri- vilegio senatorio. Quanto alle osservazioni del JMORTAILV, assai più generali ed estese, le riferiremo a suo luogo, esaminandole critica- mente. 4-. Fin qui la tesi si era dibattuta nel campo del puro diritto, e pareva che il dibattito fosse defiaitivainente chiuso, Senonchè il Senato stesso si fece a riaprirlo. Il Presidente del Senato, per delegazione dell' iilto con- sesso in comitato segreto, nominò una commissione collo spe- ciale ufHcio di « prendere in esame la sentenza della Corte di Cassazione di Roma del 21 dicembre 1896 in rapporto air art. o7 dello Statuto, e di vedere se e quali deliberazioni dovessero prendersi a tutela delle prerogative senatorie». Il mandato, conio si scorge, era quasi imperativo, perchè non si può parlare di tatela delle prerogative senatorie, se non quando queste sono o violate o minacciate. La Commissione, presieduta dal Senatore Saracco, aveva quali membri il Sena- tore Gadda che, come vedremo, aveva altra volta espressa la sua opinione sul quesito, il Senatore (jhiglieri, Primo Presi- dente di quella Cassazione di Roma la cui Sezione 1.'^ aveva pronunziato la sentenza; e i Senatori Piero Puccioni e Tajani.
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228 0. LESSONA giudice non è che la somma delle attribuzioni (l) a lui con- cesse dalle leggi; ma a questa autorità è segnato un limite, come fu già sinteticamente indicato dal giureconsulto Paolo (2), V esercizio di essa, cioè, non può estendersi né fuori il ter- ritorio, né al di sopra delle facoltà concesse, di tal che scon- fina senza dubbio il giudice che mantiene la propria giuri- sdizione di fronte ad un (Urìtfo singolare., quale è quello consacrato nell' art. B7 dello Statuto, che, sia detto per in- cidente, volgtirmente e malamente si ritiene un semplice pri- vilegio personale (3). Or delle due prerogative parlamentari sancite dallo Sta- tuto, quella dell' art. 45 non priva il giudice comune della sua giurisdizione, ma la sospende soltanto fino a che la Ca- mera dei deputati abbia autorizzato il giudizio. Di fronte a questa specie di prerogativa, le teoriche della sentenza in esame non potrebbero non essere accettate. Ma il tema della sentenza non era questo, nò trattavasi punto della interpetrazione dell' art. 45, bensì dell' art. 37 dello Statuto che ò cosi concepito: « Fuori del caso di flagrante delitto, niun senatore può « essere arrestato se non in forza dì un ordine del Senato. « Esso È SOLO COMPETENTE per giudicare dei reati imputati « ai suoi membri ». Or questo articolo costituisce un vero jus sìngitlare, pel quale non si può riconoscere nell' autorità giudiziaria comune, pei reati imputati ai senatori, né giurisdizione, né poteri di (1) Trìbtiere e voce solenne di dii'ìtto, dalla quale deriva la voce attribu- zione,, usata spesso nelle leggi e consuetudini nostre nel senso di poteri giu- risdizionali. (2) Nec extra nec supva ìadìci coDipetore (licàiir. ('.>) Paolo infatti definisce il diritto singolare: qiwd roidra tenureni rationis^ PHUPTER ALiQUAM UTU.iTATEM, aiivlorìldie cunstìttiOiUiulìi introdiiviuiii est. L. 10, l). 1, 3, de leglluis. Se la i'atio leijh è il rapporto tra la legge e P utilità comune, cosi quando manca la ragione del diritto comune sorge il diritto singolare, couie una ec- cezione creata propter (diqnani uAiliUdein. !•] Guiacio osserva courormemente clic noìi oh ili siiifpflareia diclHni qtiod in sittgiilas persoiias coiislitiitinii sit^ SEI) QUO!) PAULUM A15EIIHKT A RKGUEA .lUUIS.
UN CONFLITTO DI GIURISDIZIONE PENALE ECC. 229 sorta, per quanto si vogliano limitare^ e nella specie lo scon- finamento fu tutt' altro che limitato. Un giudice, dichiarando che un fatto non riveste i caratteri di reato, colla pronunzia conseguente di non farsi luogo a procedere, pronunzia una vera e propria sentenza ed esercita il massimo degli atti giurisdizionali. Nò tale esercizio illegale di giurisdizione può essere mascherato dalla after inazione che « se T autorità « giudiziaria ordinaria, senza alcuna indagine si limita a « dichiarare che nel fatto non vi sono elementi di reato, « non viene con ciò lesa la giurisdizione del Senato » e ciò per più considerazioni. 1.''^ Non è esatto V asserire che sentenziando di non ri- scontrarsi i caratteri del reato in un determinato tatto, ciò possa avvenire senza alcuna indagine, poiché una tale dichia- razione non può essere che la conseguenza di indagini, facili e superficiali, se vuoisi, ma necesstiriamente precedute; 2.'*^ Al postutto r esercizio illegale della giurisdizione nel caso in esame deriva principalmente non dalle fatte indagini di qualunque natura, sconfinamento giurisdizionale secondario, ma dall' essersi pronunziata una sentenza; 3.'^ Affermare la legittimità di una sentenza pronunziata, con 0 senza indagini, nel caso d'imputazione sorta contro un senatore, condurrebbe per inesorabilità di logica ad un dop- pio assurdo: o che il giudice che ha potere di assolvere, non possa non avere quello di condannare, col conseguente an- nientamento dell' art. 37 dello Statuto; ovvero che per un senatore imputato vi siano due giurisdizioni e due giudici, uno per assolvere 1' altro per condannare ! ! Resta r altro argomento col quale la sentenza crede giu- stificare la incompetenza del Senato, affermando che questo non avrebbe avuto materia su cui esercitare il suo potere giudi- ziario, allorché l fatti denunciati evidentemente non configuravano gli estreuù di alcun reato e quindi rendevano impossibile ogni imputazione, Questo argomento si risolve in una specie di circolo vi- zioso: ogni volta che sorge una denunzia o querehi, la ma- teria della imputazione può senza dubbio venir meno, ma ciò soltanto dopo e non prima della sentenza che dichiara
230 0. LESSONA la inesistenza nel fatto degli estremi del reato, come soltanto dopo tale sentenza e non prima viene a mancare la materia su cui esercitare ulteriormente la giurisdizione; ma allorché tale stato giuridico si crea, il potere giudiziario già aveva avuta la materia su la quale esplicarsi, pronunziando appunto la sentenza. In altri termini non mancò la materia per la giurisdizione del Senato, ma invece fu la pronunzia del giu- dice ordinario, il quale, sentenziando incompetentemente, sot- trasse la materia alla giurisdizione del giudice singolare. Qui ci fermiamo, signori senatori, sembrando superflua ogni ulteriore considerazione (1) ». 6. Leggendo questa relazione si resta tosto persuasi della esattezza della tesi sostenuta dal relatore: diciamo anzi di più; bastava leggere la sentenza della Cassazione per convincersi che essa aveva torto: affermare che chi assolve non giudica, che r assolutoria per inesistenza di reato in sede istruttoria non è giudicare, sono affermazioni contradittorie sia logica- mente che giuridicamente (2). La Commissione, infine, sembrandole « bene che il Senato dica chiaramente il suo pensiero » sottopone all' Alto con- sesso il seguente ordine del giorno: « Il Senato essendo, per T art. 37 dello Statuto, solo com- petente a giudicare i reati imputati ai suoi membri, dichiara essere in conseguenza di sua esclusiva competenza il racco- gliere le prove, nonché qualsiasi pronunzia di non farsi luogo a procedimento. (1) Anche il MORTARA espresse precedentemente nella sua Nota critica le medesime censure, fatte di poi dal TAJANI nella sua Relazione. (2) Leggiamo infatti nel trattato Bel giudizio penale del CANONICO (To- rino 1871) pag. 20 « il giudizio penale è un atto interno dell' anima affer- mativo 0 negativo intorno alla punibilità o non di quella persona che viene indicata come autore di un reato. ¥. non impropriamente comprcndonsi pure sotto il nome di giudizio tutti gli atti preliminari ed indispensabili al gin dizio in sé stesso, perchè tulli questi alti sono in verità altrettanti giudizi parziali su fatti particolari, dal' concorso dei quali si viene poi a formare neir animo il giudizio finale ». Nello stesso senso si veda GAHKARA, Pro- graniììia^ Parte generale (8.a cdiz.) Il, § 791, 792 p. 254.
UN CONFLITTO 1)1 GlUlilSDFZlONE PENALE EOO. 231 « Il Senato invita quindi il guardasigilli a far conoscere ai procuratori generali presso le Corti la sopra espressa dì-, cliiarazione ». Nella tornata del 1.° marzo 1898 sotto la presidenza del vice-presidente Cremona, il Senato trattò in Comitato segreto la questione. E qui ci sia lecita di passaggio una osservazione. Certo non si può dubitare della legalità della discussione in Comi- tato segreto, autorizzata dall' art. 52 dello Statuto. Ma è in- vece lecito dubitare della convenienza della cosa. Avremmo compreso il segreto se si fosse trattato di discutere comun- que in merito sui fatti addebitati al senatore Sensales, ina poiché r accusa era non solo temeraria, ma addirittura risi- bile, il segreto ci sembra poco conveniente. Ben diversa- mente si contenne il Svenato nel 1863, sotto la presidenza dello Sclopis, r illustre giurista, V assennato uomo politico. Si trattava allora di pronunziarsi su di una perquisizione com- piuta di notte dal 12 al 13 marzo nel domicilio del principe di Sant' Elia, senatore del regno, come imputato di reato contro la sicurezza interna dello Stato. Il processo era tuttora in corso, quindi conveniente Fazione del Senato. Ma sebbene r essere in corso il processo, sebbene la qualità delFaccusa po- tessero consigliare una seduta segreta, la discussione del caso fu fatta pubblicamente nelle tornate 17 aprile 1863, 12, 13, 16, 18 maggio 1863, e solo ultimata in seduta segreta per considerazioni personali sopraggiunte, conseguendosi cosi mag- giore riparazione al senatore le cui prerogative si erano vio- late, maggiore autorità al voto che. fu pubblicamente, larga- mente, coraggiosamente motivato. Di fronte alla discussione pubblica seguita in Cassazione, di fronte alla pubblica e ino- tivata sentenza di essa, il risponderle in Comitato segreto non sembra conforme alla giustizia. E la ingiustizia ci sem- bi'a maggiore ove si avverta che il Senato in Comitato segreto, deliberò di addivenire in pubblica seduta ad una votazione sulla questione trattata. 11 voto palese, dettato da motivi esposti in segreto, è cosa non conveniente per rispondere a una sentenza die fu bensì votata in Camera di Consiglio,
232 e. LESSONA ma che fu pubblicamente motivata. E vero che la relazione fu pubblicata, ma nessuno può tissicurare che i motivi della deliberazione Senatoria siano stati gii stessi che ispirarono la Commissione: anzi la diversità fra V ordine del giorno vo- tato e quello propostò, può bene far credere che il Senato non abbia condivisi tutti gli apprezzamenti della Commissione. Comunque ripigliamo il filo della storia. 1. Nella seduta del 1.° marzo 1898 il presidente della Com- missione dichiara « che la Commissione mantiene la prima parte della sua mozione; e siccome il Senato ha deliberato di prendere la sua decisione in seduta pubblica, la Commis- sione crede che torni superflua la proposta contenuta nella seconda parte della mozione, e perciò la ritira ». Aggiunge sperare che i colleghi che avevano presentate proposte che in fondo non diversificano da quella della Com- missione, vorranno ritirarle. E infatti il senatore Rattazzi, dopo le dichiarazioni fatte dall' on. Saracco, d'accordo col senatore Fusco, dichiara di ritirare la proposta sua (l), as- sociandosi a quella della Commissione che fu approvata dal Senato nel tenore seguente: « Il Senato essendo, per V art. ol dello Statuto, solo com- petente a giudicare i reati imputati ai suoi membri, dichiara essere in conseguenza di sua esclusiva competenza il racco- gliere le prove nonché qualsiasi pronunzia di non farsi luogo a procedimento ». 8. Come si vede alla discussione dichiarativa che prece- dette il voto, non parteciparono affatto i membri della Cas- sazione appartenenti al Senato. La cosa, a quanto ne scrisse La Giustizia (Anno X, n.° 10) destò un certo malcontento fra i consiglieri. Ma non è a negare che la cosa era abbastanza ovvia. Fu cioè consiglio prudente che i senatori consiglieri di Cassazione tacessero trovtlndosi di fronte a una censura (1) Di questa proposta del sen. Rattazzi, veroshiiilmeiite contraria alla se- conda parte dell' ordine del giorno della Commissione, ignoriamo il testo, essendo stata enunciata nel Gomitato segreto.
UN CONFLITTO DI GTUEISDIZIONE PENALE ECC. 2S3 inflitta da una Commissione di cui faceva parte il Primo Pre- sidente della Cassazione ad una sentenza emessa dalla Cas- sazione ed elaborata da un vice-presidente del Senato. Ma il senatore Canonico, colla subalpina lealtà che costituisce uno dei pregi maggiori dello illustre uomo, diresse il 15 marzo 1898 alla QhiMizia la lettera seguente, pubblicata nel n.'' 11. « Illmo. Signore^ Ho visto nella GniMlzia essersi mosso lamento perchè i membri della Corte di Cassazione appartenenti al Senato non abbiano preso parte alla discussione avvenuta riguardo alla interpretazione dell' art. .37 dello Statuto. Avvezzo a dire francamente quello che penso, dirò il per- chè io mi sono astenuto, non pure dal prender parte alla discussione, ma dall' intervenire quel giorno in Senato. Se la cosa si fosse trattata in seduta pubblica, non avrei mancato d'intervenirvi e di esporre 1 motivi pei quali avrei votato contro V ordine del giorno proposto dalla Commissione senatoria; perchè, anche restando in minoranza, le mie ra- gioni sarebbero state conosciute dal pubblico per mezzo del rendiconto della seduta. Ma siccome (motivo per cui non so neppure chi abbia o non abbia parlato) la discussione doveva farsi in Comitato segreto, in cui non vi sono né stenografi, né resoconti, — e quindi la discussione sarebbe rimasta ignota al pubblico, —• credetti dovermi astenere, onde evitare che le mie parole sembrassero ai miei colleghi dettate da spirito personale, es- sendo stato io 1' estensore della sentenza che die luogo alla questione sorta in Senato. E mi dolse non essere stato .avvertito (come io aveva chiesto) quando finì il Comitato segreto e cominciò la seduta pubblica: altrimenti non avrei tralasciato di parlare. Non avendo quindi potuto dire in Senato le ragioni per cui avrei votato contro queir ordine del giorno, poiché il la- mento segnalato nel suo giornale me ne porge occasione e me ne fa quasi un dovere, le dirò succintamente adesso. Malgrado il profondo mio rispetto pel Senato, a cui mi onoro di appartenere, secondo il mio sentimento non parmi
234 0. LESROKA che, come corpo politico, sia nelle sue facoltà il dare (almeno da. solo) una interpretazione autentica ad un articolo dello Statuto, per quanto questa interpretazione riguardi soltanto i limiti della sua giurisdizione. Quando poi il Senato è corpo giudiziario, esso ha senza dubbio il diritto di interpretare lo Statuto: ma solo caso per caso, nella specie sottoposta al suo giudizio, — senza che ciò possa vincolare i giudizi futuri. Per modo che 1' ordine del giorno votato, per quanto possa avere un valore morale, stante l'autorità deiralto Con- sesso da cui emanò, — non avrebbe, secondo me, nessun va- lore giuridico —. Ecco perchè il mio voto sarebbe stato contrario. Mi rallegro ad ogni modo che, quanto meno, si sia ab- bandonata la seconda parte dell' ordine del giorno dapprima proposta: poiché questa non avrebbe fatto se non accrescere la già soverchia ingerenza del potere esecutivo nell' ordine giudiziario ed esautorare sempre più la magistratura. » In questa lettera sono espressi concetti che noi, pure con- vinti che la sentenza della Cassazione non fosse corretta, dobbiamo incondizionatamente approvare. È degna di lode l'intonazione della lettera che si astiene da qualunque giudizio sulla questione di merito. È degna di lode la trasparente e meritata censura contro la discussione segreta avverso una decisione pubblica nei suoi motivi e nel suo dispositivo. E degna di lode T asserzione non potere il Senato, come corpo politico, da solo, dare un' interpretazione autentica ad un articolo dello Statuto, sia pure relativo ai limiti della sua giurisdizione. Infine esattissima la osserva- zione che il Senato può, quale corpo giudiziario, interpretare lo Statuto, ma solo caso per caso, cosi esigendo 1' art. 73 dello Statuto stesso (1). 1). Colla lettera del Senatore Canonico si è chiuso il di- battito dal punto di vista ufficiale. Senonchè, sotto il punto (1) X, nello stesso senso lo olovale dicliiara^iioni del senatore GADOHKA nella tornala [2 maggio 1803.
UN CONFLITTO DI GIURISDIZIONE PENALE ECC. 2B5 dì vista seieiitifico e politico, ci sembra che la questione me- riti ancora uno sviluppo ulteriore. E anzitutto ripigliamo in esame la questione dal punto di vista giurìdico. A difesa della sentenza della Cassazione di Roma si in- voca nella sentenza stessa, nelle requisitorie del P. M. oppo- nente, e nella Nota della Cassazmie unica un argomento logi- camente indiretto, ma praticamente rilevante e cioè clie siccome la querela fu data contro persona non rivestita di prerogativa senatoria, 1' A. G. comune poteva conoscerne no- nostante che altri, querelato come complice, potesse poi es- sere soggetto al giudìzio speciale del Senato: ora non esistendo il reato a parere dell' A. G. competente per istruire contro r autore, era inutile eccitare la competenza speciale per il preteso complice del reato medesimo. Di questo argomento la relazione Tajani non si occupa, premendole esclusivamente di preparare una decisione di massima e non di specie. Ma neppure in tale forma la tesi della Cassazione è esatta. Infatti se la competenza dell' Alta Corte si estende ai com- piici dei Senatori (1), bisogna pure ammettere la ipotesi analoga ossia che la imputazione di un reato ad un Senatore, quale complice, rende il Senato giudice esclusivo anche del- l' autore principale (2). E ciò era tanto più vero in quanto che non è esatto il qualificare nella specie il Sensales come complice. (1) Dottrina pacifica. V. Norrro, op. cit. n.° 175 p. 350. Recentemente poi la Gass. di Roma accolse questa dottrina colla sentenza 16 febbraio 1898 vì[i^in,{Giu.^tiùa penale 1898 col. 257). . (2) Questa tesi ci sembra espressamente accolta dalla citata sentenza 16 febbraio 98 in cui la Cassazione non parla di correi, complici, coautori e simili, ma dice, con locuzione generale: « quando si tratta di fatti, nei quali con un Senatore sianvi altre persone coùwolte, nella necessità che una sola autorità conosca dei fatti stessi, queste persone devono seguire il foro pri- vilegiato del Senatore » e dall' ordinanza 21 aprile 1898 della Camera di Con- sìglio del Tribunale di Vigevano che ritenne esservi la connessione fra la bancarotta semplice imputata a un senatore e la bancarotta fraudolenta im- putata ad altri amministratori (Vedi « / Tribunali » di Milano del 24 aprile 1898;.
^m ^ e. LESBONA Errò il querelante nel defluirlo per tale, ma V errore è palese perchè il Sandrelli non avrebbe potuto commettere il preteso e chimerico reato, se il Sensales non glie ne avesse fornito i mezzij cosicché identica è la condizione giuridica dei due querelati che sono veri correi o coautori (art. 63-64 cod. pen.) (1). IO, Un' altra difesa del sistema accolto dalla Cassazione avrebbe potuto desumersi dal fìne^ dallo effetto pratico della decisione. La massima accolta cioè avrebbe avuto un risultato assai utile per i Senatori e pel Senato evitando la costituzione in Alta Corte per ogni querela, anche pazzesca. È in questo senso che il MORTAEA scrive che la sentenza « risolve la que- stione praticamente in modo assai utile, essendo evidente che la giurisdizione speciale del Senato non avrebbe dovuto neir ipotesi provocarsi se non per ripetere un giudizio di non luogo intorno ad un fatto che non costituisce reato ». Ma il Senato aveva già altra volta dichiarato nel modo più chiaro di non voler consentire, neppure per evitare inconvenienti, la ingerenza dell' A. G. comune, anche solo per dichiarare il non luogo per inesistenza di reato contro un Senatore. Un tale Giovanni Barbieri p.veva querelato nel 1881 il Senatore Gadda, allora Prefetto di Verona, per arresto arbi- trario. U Alta Corte, riconoscendo essersi trattato di un equi- voco, con ordinanza 11 aprile 1881 sulle conformi conclusioni del P. M. dichiarava non esser luogo a procedere per inesi- stenza di reato. (1) Il MoiiTAKA nella sua Nota crilica scrivo a questo proposito molto acutamente: « Se non può negarsi infatti che autore materiale della pubbli- cazione protesa diffamatoria fosse nella specie V avvocato erariale che rap- presentava e difendeva il ministero, non è men vero che i fatti e i documenti g'ii erano stati forniti dal ministero medesimo appunto allo scopo che li pro- ducesse in giudizio, fondando su di essi la difesa, e che perciò gli autori morali della protesa diffamazione erano precisamente quegli individui ap])ar- lenenti al governo soggetti alla giurisdizione del Senato. Sorgeva per essi in tal modo una forma di vera o propria cooperazione nel reato a sensi dell' ar- ticolo iVA del C. P., che poneva la loro responsabilità in prima linea e a pari di (Quella dell' avvocato erariale, e non già nella creduta forma secondaria dtólla complicità come fu ritenuto dai magistrati »,
UN CONB^LITTO BT OIURISDIZIONE PENALE ECC. 237 Lo stesso Senatore Gadda allora nella tornata 8 luglio 1881, propose che V art. 3 del regolamento 7 maggio 1870 del- l' Alta Corto di giustizia, fosse emendato in questi termini: « Le querele o denunzie dei privati contro un Senatore incoli3ato di reato comune, dovranno presentarsi air Autorità giudiziaria che, in Camera di Consiglio, delibererà se non ab- bia luogo a procedersi, o se debba trasmettere gli atti alla Presidenza del Senato. Pervenendo tale comunicazione al pre- sidente, questi con ordinanza dichiara che il Senato è costi- tuito in Alta Corte di giustizia ecc. ». Il Senato nominò, a mezzo del suo Presidente, una Com- missione composta dei Senatori Borgatti, Gadda^ Giannuzzi- Savelli, Ghiglieri e Canonico. Il Senatore Gadda, a quanto si legge nella relazione al Presidente del 15 luglio 1881 esten- sore il Senatore Ghiglieri (1) « essenzialmente si preoccupava dei ritardi, delle indiscrezioni, e degli altri inconvenienti che si verificano ogni qualvolta per una querela, sia pure la meno fondata, la meno seria, contro un Senatore, si deve costi ture il Senato in Alta Corfce di giustizia ». « Ritenendo egli conveniente per l'onore dei Senatori e per il decoro del Senato, che a simili ritardi ed abusi sia posto riparo, e che si facciano cessare quei commenti poco bene- voli, e quasi sempre infondati che nella stampa sogliono farsi ad ogni annunzio della convocazione del Senato in Alta Corte di giustizia, proponeva fosse disposto che le querele e denun- zie contro un Senatore dovessero presentarsi all' autorità giu- diziaria competente, la quale in Camera di Consiglio dovesse deliberare se fosse o non il caso di farsi luogo a procedimento, e solo nella prima ipotesi dovesse trasmettere gii atti alla Presidenza del Senato per l'ulteriore loro corso. « Osservava il Senatore Gadda come alla sua proposta non gli sembrasse far ostacolo la disposizione contenuta nell' ar- ticolo 37 dello Statuto fondamentale del Regno, inquantoche V autorità giudiziaria dovesse rimettere le querele al Senato ogni- qualvolta non si trovasse di dichiararle immediatamente insussistenti. « Ma a questo tosto replicarono gii altri membri della (1) Atti ParUuu, Senato, Sess, '80-81, Docuiacutì (n, XIV).
938 ^ e. LESIONA Commissione che, essondo nel su citato art. 37 dello Statuto, stabilito che il Semito è solo competente per giudicare dei reati ^imputati ai suoi memhri, manca aftatto negli altri tribuuali ogni giurisdizione per emettere, riguardo ad un reato impu- tato ad un Senatore, una declaratoria qualsiasi, fosse pure di non farsi luogo a procedimento. « Per questa considerazione, e ritenuto che tanto il propo- nente Senatore Gadda quanto gli altri membri della Commis- sione unanimi riconobbero come non fosse nò potesse essere il caso di rinunziare, neanche in parte, alla speciale giuri- sdizione stabilita dallo Statuto, la quale dagli scrittori di diritto pubblico è giustamente riguardata meno come un privilegio personale, che come una garanzia politica intro- dotta neir interesse di tutti^ si finiva per cadere pienamente d'accordo che non fosse il caso di fare nella sostanza veruna modificazione al sistema stabilito nel regolamento giudiziario del Senato pei casi di processo contro qualche Senatore. « La Commissione quindi unanime deliberava che altro non fosse da farsi tranne che pregare la E. V. e per di Lei mezzo r intiero ufficio di Presidenza a voler fare le opportune pra- tiche presso il Governo acciò la nomina del rappresentante il P. M. presso 1' Alta Corte di giustizia, anziché volta per volta all' occorrenza di ciascun caso, sia d' ora iimanzi fatta al principio di ciascun anno, o di ciascuna Sessione ». Ed è importante a notarsi che della Commissione foceva parte il Senatore Canonico, estensore delia sentenza di cui ci occupiamo, il quale come risulta dal verbale della Com- missione « osserva essere conveniente di evitare tutto ciò che possa aprir V adito a menomare le prerogative del Se- nato, ancorché alcune di esse, aventi un carattere meramente storico, non trovino più propriamente una ragione di essere nelle presenti condizioni delle istituzioni giuridiche e sociali ». Né è a tacere che lo spirito dello Statuto, non meno del suo testo, dimostra che neppure praticamente la tesi della Cassazione può essere utile. Dato V art. 37 è chiaro che il solo Senato à diritto di assolvere perchè il fatto non costi- tituisca reato: la assolutoria della A. G. comune non con- viene al Senato che non può vedere giudicato incolpevole
im CONFLITTO DI GUTRTSDIZIONE P E K A L E ECC. 2S9 un Senatore die, pel decoro del Senato, egli solo à diritto di assolvere; non conviene al Senatore che solo il giudizio dei pari, consuetamente severo, purga da un' accusa che po- trebbe credersi eliminata dalla A. G. comune per influenza politica, o per cieco ossequio allenita carica dell'imputato. 11. Lo scopo del privilegio senatorio potrebbe anche invocarsi a sostegno della massima del supremo collegio. Potrebbe cioè dirsi: scopo dell'art. :]7 dello Statuto fu quello di impedire che un Senatore possa essere condannato da, giu- dici comuni, non abbastanza indipendenti, se magistrati, troppo invidiosi, se giurati, come pensava il MONTESQIEU (1): Ora quando il giudice comune assolve, cessa la ratio legis e quindi essa può disapplicarsi. Ma, a tacere del pericolo contenuto nella massima che autorizza la violazione della legge quando manchi quello scopo che, a parere mutevole dello interprete^ la fece creare, non crediamo che lo scopo dell' art. 37 sia quello enunciato. Il Senatore Ghiglieri, nella relazione del 1881, dichiara che il privilegio del foro dagli scrittori di diritto pubblico è giustamente riguardato meno come un privilegio personale che come una garanzia politica introdotta nell' interesse di tutti: il Senatore Borgatti in seno alla Commissione del 1881 diceva analogamente che « il giudizio dei Senatori riserbato ai loro pari, più ancora che un privilegio pei Senatori indi- vidualmente, è una guarentigia di giustizia pei privati; stan- techè il Senato, appunto per serbare la propria dignità, sa- rebbe portato ad essere ligoroso anziché troppo mite nei suoi giudizi ». Analogamente il Vigliani (tornata- 17 aprile 1863) dichia- rava essere la prerogativa concessa alla dignità, alla indi- pendenza ed alla funzione del Senatore; il Cadorna (tornata 12 maggio 1863) la giudicava diretta a tutelare e assicurare (1) « Los grands sont toujoui's oxposés à 1'envie, et, s'ils ietaient jugoH par le peuple, ils pourraient cti*e en clanger, et ne jouiraient pas du privilégd fiu'a le muindre des citoyons dans un Etat libro d'étre jugó par ses pairs». {V esprit (Ics lois^ Livr, XI, cliap. VI),
240 e. LESRONA l'iùdipendenza e la libertà dei Senatori e con esse F indipen- denza del Senato medesimo e giustificava la maggior tutela accordata al Senato che non alla Camera elettiva, colla ori- gine stessa del Senato che, emanando dal potere esecutivo, esigeva maggiori garanzie, e colla perpetuità e permanenza del Corpo stesso; e lo stesso concetto è espresso nella rela- zione Castelli sull'arresto personale per debiti dei Senatori (Sessione 18714872, n. 7). Non diciamo ora se queste ragioni siano valide per gin- stifìcare il privilegio: ci basta addarle come le più verosimili per ispiegarne la conservazione nel nostro Statato. Che anzi ci sembra che il Senatore, appunto perchè nominato a vita, abbia a subire un certo controllo morale dei suoi colleghi, controllo che si esagerò rendendolo anche giudiziario. Co- munque non è esatto il dire che l'art. 37 fu dettato solo per impedire condanne emesse dai giudici non abbastanza indi- pendenti: no, fu dettato perchè si credette necessario, nel pub- blico interesse, che le assolutorie e le condanne dei Senatori fossero opera del Senato. Sì sarà errato nell' affermare una tale necessità, ma lo scopo dell' art. 37 non può essere che quello da noi indicato. E che questa ragione d'ordine pubblico abbia dettato 1' art. 37 dello Statuto, lo dimostra ancora il ri- flesso che il privilegio di fòro da esso consacrato è irrenun- ziabile. Su questo punto i nostri scrittori più autorevoli sono concordi (1) ed è pacifica la pratica inglese (2). Ciò che na- turalmente non impedisce — e la pratica del Senato è co- stante in questo senso in base all' art. 95 del Regolamento del Senato —• al Senatore comunque imputato, di dimettersi dalla dignità senatoria, assoggettandosi eosì alla giurisdizione ordinaria. (1) NociTO, op. cu. n.o 150 p. 280-281; PALMA, Corso dì dir. costk. (Fi- renze 1884, 3.a ediz.) II, P. II, pag. 483. (2) Alla Camera alta (31 gennaio 1887) il Lord Cancelliere dichiarò che la legge non permette alla Camera di procedere contro un pari altrimenti che traducendolo avanti ai suoi pari e, così essondo, nessun pari può rinun- S5iare a questo diritto che non è un privilegio, ma V esecuzione della legge. (DB FEANQUETILLE, Le systéme Judic, de la Gr, Bret. (Paris 1893) I, p. 123.
UN CONFLITTO DI GIURISDIZIONE PENALE ECC. 241 12. Infine la confutazione della teorica del Supremo Collegio à per sé V autorità di tutti gli scrittori. Nessuno in realtà, trattò il caso nostro, ma tutti consentono che anche lo istruire è di competenza del Senato (1). Ora se istruire spetta al Se- nato, spetta anche ad esso il dire se un fatto costituisce o no un reatO; poiché ciò non può farsi senza una istruzione, un' indagine, per quanto superficiale, sommaria; brevissima. IB. Adunque secondo noi la sentenza della Cassazione non è conforme allo Statuto. Ma se questo, giuridicamente, ci pare sicuro, ci sembra ancor più sicuro che il voto del Senato è censurabile. Poli- ticaniente il Senato col rilevare la illegalità di quella sentenza, à fatto cosa non conveniente. Non vi è convenienza politica, nel prendere una deliberazione inutile, per un ramo del Par- lamento, la cui vitalità già troppo spesso è attaccata, ed a cui troppo spesso si rimprovera, non sempre a torto, il ca- rattere accademico. Giundkamente — e bene lo rileva il Se- natore Canonico nella sua lettera — il voto del Senato non à valore. Costititzionalmente il voto non é corretto. Il Senato, quale corpo politico, poteva, so chiamato da un' interrogazione di- retta sul caso al Guardasigilli, manifestare V animo suo; ma r iniziativa della Presidenza non bastava a provocare un voto politico. Quale Corpo giudiziario il Senato giudica di reati, ma non può convertirsi, solo per sua volontà, in un corpo giurisdi- zionale censurante la Cassazione. Moralmente quel voto è inefficace, perchè una lezione di di- ritto costituzionale inflitta dal Senato alla Cassazione, in forma solenne, può forse indisporre i consiglieri, ma non mutarne r opinione, tanto più che i motivi del voto senatorio, in forma meno togata, erano scritti nelF ordinanza della Camera di Consiglio e nella sentenza della Sezione d'accusa, e non con- vinsero il supremo Collegio. E una prova della perfetta inu- tilità — anche in linea morale — di quel voto, risulta da (l) V. per tiULi: Nocrro, ojp. cit, n.° 146 p. 260,
242 e. LESSONA questo. Nel 1881 la Commissione che ebbe a relatore il Ghì- glieri dichiara solennemente non accettabile la proposta Gadda e la Cassazione nel 1898 la fa propria. Ora non e' è dubbio che r illustre estensore della sentenza conoscesse il delibe- rato di quella Commissione, non solo perchè Senatore, ma anche perchè era membro di quella Commissione, e anzi ne accettò le idee che poi, riflessioni più mature^ lo indussero ad abbandonare, cosa non rara nelle dispute giuridiche. Orbene se il voto del 1881 non fu suffìcieiite, a che gioverà quello del 1898? A nulla. E la stessa relazione del Tajani, scorge che essa constata un conflitto irresolubile poiché dice: « La vostra Commissione riaffermando, con grande parsi- monia di parole, i diritti e i poteri del Senato, non ha afl'atto avuto in animo di sollevare un conflitto di giurisdizione, sia per deferenza verso un altro potere supremo, sia perchè ci troviamo di fronte ad un giudicato irretrattabile e che con- dusse ad una giusta assoluzione di un nostro collega, sia per- chè, allo stato attuale delle leggi, di uu simile conflitto sa- rebbe quasi impossibile indicare la soluzione ». Senonchè, in luogo di pronunziare il non llqmt del pretore romano, propone poi F ordine del giorno che il Senato approva il 1." marzo. 14. In secondo luogo non ci sembra conveniente lo insistere, senza effetti pratici, nella difesa platonica ed inutile di un privilegio unanimemente condannato. Meno male se il Senato fosse insorto a tempo. Certo, durante il periodo istruttorio, il Senato potè aver conoscenza, non fosse altro dai giornali, del dibattito. E allora, esercitando.il diritto di avocazione dei processi relativi ai Senatori, diritto che indubbiamente gli compete (1), avrebbe potuto sentenziare, assolvendo il Sena- tore querelato. Ma attendere la sentenza della Cassazione, per lamentare sterilmente prerogative violate che tutti condan- nano, è atto impolitico. Ora nessuno dubita che la prerogativa dell' art. o7, nella parte relativa al privilegio del foro, sia (1) MoriTo, oji. vit. u.
UN CONFLITTO DI GIURISDIZIONE PENALE ECC. 243 condannevole. Già lo diceva nel 1881 il Senatore Canonico reputandola priva di ragion d'.essere nelle presenti condizioni delle istituzioni giuridiche e sociali. E i pubblicisti moderni sono unanimi nel giudizio. Non ricorreremo a scrittori radi- cali 0 di poca fama: ci basta riferire ciò che scrivono due Se- natori. Mentre il Tnjani non esita nella sua relazione a scri- vere che il diritto singolare consacrato nell' art. 37 dello Statuto volgarmente e malamente si ritiene un semplice privilegio personale, il SAUEDO pronunzia questo severo, autorevolissimo giudizio: « Ql\x(ò^\ì privilegii iX), che ebbero la loro origine e la ra- gion d' essere in altri tempi e in altri paesi, non possono ora essere più mantenuti senza una negazione manifesta, dei prin- cipii fondamentali del nostro diritto pubblico e privato: giova quindi sperare che in una opportuna riforma dello Statuto non tarderanno ad essere aboliti » (2). E il Senatore ARABIA (3) così si pronunzia: « Per verità questo privilegio esteso a qualunque reato^ anche a quelli che non anno la più lontana connessione con la politica, è una tradizione conservata dagli antichi parla- menti e che può a buon diritte non trovarsi giustificata, per parere una misura più volta alla sicurezza di ciascun Sena- tore che al prestigio del Senato ». Ma il privilegio senatorio è ancora condannato dalla sto- ria e dalla legislazione comparata. È notissimo che deve la sua origine al giudizio dei pari in materia penale. Augusto, nel discorso che gli attribuisce Dione Cassio, aveva dichiarato che i Senatori non dovevano essere giudi- cati che dai loro pari per qualunque specie di delitti (4), ([) 1/illustro A. allmìc ai [U'ivilcgii deii;li art. 37, 'io, »' (> dello Statiilo. (2) TraUalo delle leggi (Firenze 1
244 e. LESSONA Questo privilegio fu conservato dagli imperatori successivi, Adriano, Antonino il filosofo, Antonino Pio, Settimio Severo, che però lo violò in pratica, Pertinace, Alessandro Severo (1). Sotto gi' imperatori Graziano e Teodosio il privilegio si mo- dificò. Una costituzione cioè dispose che quando si doveva giudicare un Senatore reo di crimine, non giudicasse tutto il Senato, bensì solo cinque senatori tratti a sorte (2). Tale co- stituzione fu applicata, a sfmilitudine del Senato romano, alle curie delle differenti città dell' impero, pei reati commessi dai curiali. E, sì in Koma che nelle città, la giurisdizione privi- legiata si estendeva alla moglie ed ai figli dei Senatori e dei curiali (3). L'istituzione, conservatasi nel regno degli Ostro- goti, si applicò dalla chiesa pei reati commessi dagli eccle- siastici, dal diritto feudale pei giudizi intorno al feudo (4). La giustizia dei pari cosi domina neir Europa continentale lino alla rivoluzione francese. Che questa sia V origine della prerogativa del foro Sena- torio, lo diceva il Balbo scrivendo: « In Inghilterra è resto deir antico diritto feudale di farsi giudicare ognuno dai pro- prii pari (5). Sul continente e resto di quel resto (6). Ora una istituzione fondata sui cittadini pari e non pari, è condan- nata da sé. È poi facile vedere come la maggior parte delle costitu- zioni negano il privilegio del fòro senatorio. Lo ammisero in Francia le carte costituzionali del 1814 (art. 34) e del 1830 (art. 29), ma nel 1848 fu abolito e mai più ripristinato: per la costituzione vigente senatori e deputati anno la stessa ga- ranzia, analoga a quella dell' art. 45 dello Statuto italiano. Ih Inghilterra esiste tuttora il privilegio, ma limitato ai casi di tradimento o di grave crimine, ed à carattere così feudale (i) NociTO, op. cit. n.o 56 p. 88-00. {2} L. 12 Cud. Tlieod. De iunsd. (II, 1). {'ój ¥v, 8 I). Do seiiat. (I, 8 ; L. 7 Cod. Tlieud, De iurìsd. U, 1. (4) FERTILE, SI. pronul. VI, p. 100, 2:](-Ì. (5) Il giudizio do! HALHO è conl'eruiato dal DE FRAXQUEVILLE, Le si/slème judicùvire de la Grande Bretagna (Paris, 1893) 1, 122, e dalF ORLANDO, Piiu- cipi di dir. co.stit. (Firenze 1889) n.» 236 p. 153. i6. In UGO, il Senato (Torino 1881) n.o :i2'i p. 2Ò3.
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