Sovrintendente Bruno Malusardi -Polizia Locale di Milano - Ufficio Centrale Arresti e Fermi - Foxpol

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Sovrintendente Bruno Malusardi –Polizia Locale di Milano – Ufficio Centrale Arresti e Fermi

          L'ARRESTO IN (QUASI)FLAGRANZA
La sentenza della Suprema Corte di Cassazione, sezioni unite penali,
n. 39131 del 24 novembre 2015 depositata il 21 settembre 2016.
La questione di diritto sottoposta alle Sezioni Unite è la seguente:
"Se può procedersi all'arresto in flagranza sulla base di informazioni della vittima o di
terzi fornite nella immediatezza del fatto".

La Suprema Corte, in risposta al quesito proposto dalla Sezione rimettente, ha enunciato
il seguente principio di diritto: "Non può procedersi all'arresto in flagranza sulla base
di informazioni della vittima o di terzi fornite nella immediatezza del fatto".

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IL FATTO PROCESSUALE
Su disposizione della centrale operativa, in seguito alla telefonata con la quale una
donna denunciava che il proprio marito era stato accoltellato, il 21 giugno 2014 una
pattuglia dei Carabinieri della stazione di Caulonia Marina si recava in una tabaccheria
del paese ove era presente B.R. che dichiarava di essere stato accoltellato da un tale
soprannominato lo Zingaro. La vittima aveva ferite superficiali al cuoio capelluto, al lobo
dell'orecchio sinistro e al braccio sinistro e riferiva che in precedenza, mentre si dirigeva
in bicicletta alla volta del proprio terreno, era stato raggiunto dallo Zingaro e da questi
dapprima preso a calci nelle gambe e poi ferito più volte con un coltello, per la mancata
restituzione di una bilancia. La vittima riusciva a fuggire riparando in cerca di aiuto
presso il campo di un suo vicino.
Il maresciallo comandante della stazione, sulla base delle indicazioni onomastiche
trasmessegli dai componenti della pattuglia individuava lo Zingaro e lo arrestava nella
ritenuta "quasi flagranza" del delitto di lesione personale aggravata dall'uso di un
coltello. In concomitanza dell'arresto i Carabinieri procedevano a perquisizione
personale, veicolare e domiciliare a carico dell'arrestato allo scopo di sequestrare il
coltello e cose pertinenti al reato ma tutte e tre le perquisizioni davano esito negativo.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Locri, all'esito dell'interrogatorio
dell'arrestato, pur riconoscendo il concorso di gravi indizi di reità, in ordine al delitto di
lesione personale pluriaggravata, deliberava di non convalidare l'arresto reputando che
difettasse "il requisito della flagranza o della quasi flagranza" del reato. In proposito, il
Giudice motivava che alla individuazione dell'autore della condotta delittuosa i
Carabinieri erano pervenuti solo in ragione delle dichiarazioni della persona offesa,
mentre l'arrestato non aveva indosso alcuna traccia del reato, atteso che il coltello
utilizzato per il ferimento non era stato rinvenuto e atteso che gli indumenti, indossati
dall'arrestato, non recavano macchie di sangue o altre tracce del reato; sicché era da
escludere anche lo stato di quasi flagranza in quanto la polizia giudiziaria aveva appreso
il fatto non direttamente, bensì - ed esclusivamente - dalla denunzia della persona
offesa e solo successivamente aveva proceduto all'inseguimento del colpevole.
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri proponeva ricorso per
cassazione denunciando inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e
inosservanza delle norme processuali.

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LA NORMA
codice di procedura penale
                             Art. 382 - Stato di flagranza
1. È in stato di flagranza chi viene colto nell’atto di commettere il reato ovvero chi,
   subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da
   altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia
   commesso il reato immediatamente prima.
2. Nel reato permanente lo stato di flagranza dura fino a quando non è cessata la
   permanenza.
Il comma 1 dell'articolo 382 del codice di rito descrive tre situazioni in base alle quali è in
stato di flagranza chi:
     viene colto nell’atto di commettere il reato (OSSERVAZIONE DIRETTA : flagranza in
     senso stretto);
     subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla vittima o da altre
     persone (INSEGUIMENTO DEL REO : prima ipotesi dello stato c.d. di quasi flagranza);
     è sorpreso con cose o tracce da cui appaia che abbia commesso il reato
     immediatamente prima (SORPRESA PROBATORIA : seconda ipotesi dello stato c.d. di
     quasi flagranza).

L'art. 382, del vigente codice di rito, sotto la rubrica "Stato di flagranza", condensa nel
comma 1 le corrispondenti previsioni racchiuse nel secondo e nel terzo comma dell'art.
237 c.p.p. 1930 (eccettuata la disposizione relativa alla flagranza del reato permanente -
già contenuta nel secondo inciso del comma 1, del previgente articolo - che attualmente
trova collocazione nel ridetto art. 382, comma 2).

In senso stretto, la "flagranza" è lo stato del reo "colto nell'atto di commettere il reato",
cioè colto sul fatto, o come si suol dire "in flagrante reato"; tuttavia, il comma 1
dell'articolo 382 c.p.p. ha disciplinato nel medesimo contesto normativo tre condizioni
concettualmente distinte, ascrivendo a quella che in dottrina si suole indicare come
quasi flagranza le stesse potenzialità applicative della flagranza (propriamente detta).

L'articolo 237 del c.p.p. abrogato recitava «è flagrante il reato che si commette
attualmente». L'aggettivo "flagrante", deriva dal latino "flagrans", participio presente
del verbo "flagrare" che significa «ardere». L'etimologia indica l'uso figurato del verbo, il
bruciare, qualcosa che è caldo, quindi ancora evidente e attuale, significando pertanto
un'azione (illecita) che si svolge davanti a qualcuno, un'azione percepita mentre accade.
L'espressione utilizzata dall'art. 382 c.p.p. "viene colto nell'atto di commettere il reato"
sottolinea il carattere percettivo del rapporto esistente tra l'autore del reato e colui che
ne ha cognizione.
La flagranza propriamente detta indica l'attualità della commissione del reato rispetto a
un soggetto che ne ha la percezione diretta.
Si parla di quasi flagranza per le altre due situazioni rappresentate nel primo comma
dell'articolo 382 (reo inseguito subito dopo il reato ovvero sorpreso con cose o tracce
dalle quali appaia che lo abbia commesso immediatamente prima) poiché nel codice di
rito del 1930, all'articolo 237, l'incipit del comma terzo recitava: "si considera pure in
stato di flagranza chi immediatamente dopo il reato è inseguito dalla forza pubblica,

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dall'offeso del reato o da altre persone, ovvero è sorpreso con cose o tracce le quali
facciano presumere che egli abbia commesso poco prima il reato".
Le differenze letterali tra la disposizione del codice abrogato e di quella del codice
vigente sono modeste. Le parole "si considera pure" significavano appunto situazioni
non di flagranza bensì situazioni per legge a essa assimilate, da qui la tradizionale
indicazione dottrinaria di "quasi flagranza". La norma attuale invece recita "È in stato di
flagranza …", quindi formalmente non sarebbe (più) corretto distinguere tra "flagranza"
e "quasi flagranza" essendo ora equiparate le tre ipotesi, benché tra esse vi siano
sostanziali differenze. Consegue che il sintagma "quasi flagranza" resta ormai privo di
ogni valore giuridico-concettuale e assume nella accezione corrente la funzione di
espressione puramente indicativa dei due casi di flagranza per inseguimento del reo o
per sorpresa probatoria.

LO STATO DI (QUASI) FLAGRANZA DI CHI, SUBITO DOPO IL REATO, È INSEGUITO DALLA
POLIZIA GIUDIZIARIA, DALLA PERSONA OFFESA O DA ALTRE PERSONE.
La quaestio iuris esaminata dalla suprema Corte è pertinente allo specifico stato di
flagranza costituito dall' "inseguimento" dell'autore del reato. Orbene, i temi di indagine
attengono:
a) alla nozione di inseguimento del reo;
b) alla relazione, temporale e logica, che lega l'inseguimento al reato.

L'inseguimento ha inizio "subito dopo" la commissione del delitto, giacché il reo si
allontana dal luogo del fatto. Qui bisogna precisare che nel caso in cui è la vittima a
inseguire l'autore del reato e a procedere all'arresto, siamo sempre nella prima ipotesi
di flagranza, quella tipica dell'osservazione diretta. Il che vale anche quando a inseguire
il reo siano altre persone o appartenenti alle forze dell'ordine che hanno avuto la
percezione diretta del fatto in quanto presenti nel luogo e nel momento in cui il reato è
stato commesso.
L'ipotesi di quasi flagranza per inseguimento è quindi quella del reo inseguito da chi, pur
non avendo percepito de visu il fatto di reato, è "subito dopo" venuto a conoscenza di
una condotta potenzialmente delittuosa. Si pensi per esempio al privato cittadino o alla
pattuglia di polizia che passa nel luogo del commesso delitto e vede una persona che si
sta dando alla fuga, indicata dalla vittima o da altri come soggetto attivo del reato.
L'art. 382 impone che l'inseguimento abbia inizio "subito dopo il reato" (nel vecchio
codice si diceva "immediatamente dopo il reato"). Nella sentenza che si sta
commentando è detto che "subito" è sinonimo di "immediatamente" . Inoltre è stato
ritenuto che sia assai dubbio che con la sostituzione dell'avverbio sia stato conseguito
l'intento del Governo, espresso nella Relazione al Progetto preliminare del vigente
codice di rito, di restringere la possibilità di interpretazioni estensive alle quali poteva
dar luogo la precedente formulazione "immediatamente dopo il reato".

IL CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE ANTERIORE ALLA SENTENZA IN COMMENTO.
Secondo il prevalente e più rigoroso orientamento della giurisprudenza di legittimità
non sussiste la condizione di cosiddetta quasi flagranza qualora l'inseguimento
dell'indagato da parte della polizia giudiziaria sia stato iniziato non già a seguito e a

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causa della diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria, bensì per effetto
e solo dopo l'acquisizione di informazioni da parte di terzi (per tutte, Cassazione, sez. III
pen. sentenza n. 34899 del 24 giugno 2015)
Secondo le sezioni unite, la principale ragione che ha sorretto tale indirizzo può essere
così compendiata: la dilatazione della nozione di quasi flagranza sino a prescindere dalla
coessenziale correlazione tra la percezione diretta del fatto delittuoso (quantomeno
attraverso le tracce rivelatrici della immediata consumazione, recate dal reo) e il
successivo intervento di privazione della libertà dell'autore del reato, deborda
dall'ambito della interpretazione estensiva dell'articolo 382, comma 1,c.p.p.. Attraverso
progressivi slittamenti e assimilazioni tra l'ipotesi specifica dell'inseguimento
(contemplata nella disposizione) e quelle (più generiche e, pertanto, differenti) delle
ricerche ovvero delle investigazioni tempestive si finisce col contravvenire al tenore
testuale della norma.
Il verbo "inseguire", denotante l'azione del "correre dietro chi fugge", e l'ulteriore
requisito cronologico di immediatezza, "subito dopo il reato", richiesto dalla legge,
postulano la necessità della correlazione funzionale tra la diretta percezione della azione
delittuosa e la privazione della libertà del reo fuggitivo.
L'eccezionale attribuzione alla polizia giudiziaria (o al privato) del potere di privare della
libertà una persona trova concorrente giustificazione nell'altissima probabilità (e,
praticamente, nella certezza) della colpevolezza dell'arrestato.
L'orientamento contrario ravvisa invece l'ipotesi della (quasi) flagranza anche qualora la
polizia giudiziaria si attivi immediatamente post delictum, assuma le informazioni del
caso dalla vittima e/o da terzi presenti al fatto, e inneschi una sequela ininterrotta di atti
di natura investigativa e di materiale ricerca, pervenendo celermente all'arresto del reo
senza soluzione di continuità fra il fatto criminoso e l'attività di investigazione e di
ricerca tempestivamente intrapresa (per tutte, Cassazione, sez. III pen. sentenza n.
22136 del 6 maggio 2015)
Alla base dell'indirizzo minoritario risiede la convinzione che la giuridica essenza del
"concetto di flagranza o quasi flagranza" consista nella relazione di "continuità" tra la
commissione del delitto e "la reazione diretta ad arrestarne" l'autore.
il concetto di inseguimento del reo da parte della polizia giudiziaria, utile per definire e
delimitare il concetto di (quasi) flagranza, deve intendersi non soltanto in senso fisico
(cioè inseguitore e inseguito in movimento a una certa distanza); ma va inteso in senso
più ampio, ricomprendendo anche l'azione di ricerca investigativa avviata dalla polizia
giudiziaria subito dopo il reato per raggiungere e arrestare colui che lo ha commesso;
attività che può anche non concludersi immediatamente e protrarsi per alcuni giorni o
comunque per più tempo, purché si protragga senza soluzione di continuità. In questo
caso si parla di "inseguimento investigativo".

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto di dover ribadire il prevalente
indirizzo che negli anni più recenti si è andato progressivamente affermando nella
giurisprudenza di legittimità. In proposito hanno ricordato che già alla stregua
dell'articolo 237 c.p.p. 1930, comma 1, era venuta meno la base normativa che
attribuiva alla polizia giudiziaria la potestà di procedere all'arresto dell'autore del reato
che era "stato poco prima commesso" in virtù soltanto delle informazioni
tempestivamente assunte dalla persona offesa o da terzi.

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Il punto controverso risiede nella accezione della voce verbale. Il lemma inseguire (nella
norma coniugato in forma passiva) designa l'azione del "correre dietro a chi fugge, o
anche a chi corre, cercando di raggiungerlo, di solito con intenzione ostile, o anche per
afferrarlo, arrestarlo, e talvolta solo per superarlo".
Non è stata ritenuta condivisibile la tesi che l'art. 382 c.p.p., comma 1, sia comprensivo
di un'ulteriore diversa previsione fondata sull'accezione del verbo in senso figurato o
puramente metaforico, così da includere l'ipotesi dell'autore del reato che venga fatto
oggetto di incalzante attività investigativa, in seguito alla ricezione della notitia criminis,
e, pertanto, sotto tale profilo risulti "perseguito" dalla polizia giudiziaria. La suprema
Corte ha statuito che l'assimilazione all'inseguimento materiale dell'inseguimento"
figurato, c.d. investigativo, risulta palesemente incoerente rispetto al contesto
semantico del linguaggio normativo.

La successone sul piano temporale, stabilita dalla legge in termini di immediatezza, tra il
reato e l'inseguimento del suo autore rivela il nesso che avvince, sul piano logico, la
condotta delittuosa alla previsione normativa dello stato di flagranza.
Se l'inseguimento origina «subito dopo il reato», necessariamente l'inseguitore deve
aver personale percezione, in tutto o in parte, del comportamento criminale del reo
nell'attualità della sua concreta esplicazione: è proprio tale contezza che –
eziologicamente – dà adito all'inseguimento orientato – teleologicamente – alla cattura
del fuggitivo, autore del reato.
Inseguire e fuggire designano azioni differenti: la prima è transitiva e richiede le attività
concomitanti e antagoniste di due persone (cioè, dell'inseguitore e dell'inseguito);
mentre la seconda, là dove prescinde dalla attualità dell'inseguimento, è affatto
intransitiva.
Secondo la previsione della legge l'inseguimento in continenti e non la fuga avvince il reo
allo stato di flagranza, in quanto assicura il pregnante collegamento tra il reato e il suo
autore.
La disposizione dell'art. 382 c.p.p., comma 1, esige che l'indagato sia inseguito "subito
dopo il reato" sicché l'inseguimento non immediato operato sulla scorta delle
dichiarazioni acquisite dai testimoni non corrisponde alla citata previsione normativa. La
ratio della previsione dell'inseguimento risiede, infatti, nell'estensione della possibilità
dell'esecuzione dell'arresto del reo in luogo diverso da quello di commissione del delitto
e dopo apprezzabile intervallo di tempo dalla relativa consumazione, nell'ipotesi che
egli, pur essendo stato scorto nell'atto della perpetrazione, sia riuscito a darsi alla fuga.
La sentenza in commento inoltre ricorda che in dottrina sono diffusamente avvertiti il
"rischio di pericolose estensioni giurisprudenziali" e di prassi poliziesche, che attraverso
la dilatazione del concetto di inseguimento, conducano, "lontano dal concetto stesso di
flagranza", a inammissibili interpretazioni "oltre i limiti della norma" la quale, invece, si
correla alla previsione costituzionale che connota in termini di eccezionalità i
provvedimenti provvisori di restrizione della libertà personale adottati dall'autorità di
polizia. In modo pressoché concorde gli Autori escludono la possibilità dell'
assimilazione all'inseguimento "vero e proprio" di quello "ideale", ovvero del c.d.
"inseguimento investigativo", dispiegato dalla polizia giudiziaria sulla base di
informazioni prontamente assunte. Ricorrente è il rilievo che il legislatore, imprimendo
con l'art. 382 c.p.p., comma 1, una sistemazione unitaria ai casi della flagranza in senso
proprio e della quasi flagranza (in precedenza contemplati in distinte disposizioni), ha
inteso porre a fondamento dell'unificata previsione dello stato di flagranza il "rapporto

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di contestualità tra la condotta del reo e la percezione della stessa" o del "nesso tra il
reato e il suo autore".

In conclusione, una volta definiti i confini della misura precautelare dell'arresto in stato
di flagranza, risulta evidente che nel relativo ambito non deve essere compresa la
privazione della libertà dell'indagato allorché sia operata, seppure in tempo prossimo
alla commissione del reato, sulla base delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria dai
testimoni del fatto.

La sentenza n. 39131 della Corte di cassazione, sezioni unite penali, ha quindi risolto il
contrasto giurisprudenziale affermando il seguente principio di diritto:
«Non può procedersi all'arresto in flagranza sulla base di informazioni della vittima o
di terzi fornite nella immediatezza del fatto».

Resta ferma la sussistenza dello stato di (quasi) flagranza, se l'arresto è eseguito nei
confronti di chi è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che abbia commesso il
reato immediatamente prima.

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Il presente scritto non impegna in alcun modo l'Amministrazione a cui appartiene
l'autore.
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