PIANO DELLA PERFORMANCE 2018 2020
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Indice PRESENTAZIONE DEL PIANO 1. IL COMUNE 2. LA STORIA ED IL TERRITORIO 3. LA POPOLAZIONE 4. IL CONTESTO ESTERNO 5. LA STRUTTURA DELL’ENTE 6. L’ORGANIZZAZIONE DELL’ENTE 7. IL BILANCIO 2018 IN SINTESI 8. IL PIANO DELLA PERFORMANCE ALLEGATI: STRUTTURA DEL PIANO DELLA PERFORMANCE 2018-2020 ED OBIETTIVI OPERATIVI 2018 2
Presentazione del Piano In coerenza alle modifiche normative introdotte con il d.lgs. 150/2009 e con la l. 213/2012 in materia di controlli interni degli Enti locali, l’Amministrazione comunale ha approvato il Regolamento sui controlli interni e il Regolamento sul sistema di misurazione, valutazione, trasparenza della performance. In tale contesto viene ad inserirsi il Piano della performance, documento di programmazione previsto dal d.lgs. 150/2009, con orizzonte temporale triennale avente lo scopo di misurare la produttività dell’Amministrazione pubblica sotto il profilo dei risultati ottenuti a livello individuale ed organizzativo, della qualità dei servizi, dell’attribuzione dei compensi di risultato e/o incentivanti. Tale documento si inserisce nel processo di integrazione tra la programmazione finanziaria e quella strategica derivante dalle linee di mandato del Sindaco, con la finalità, in divenire, di realizzare un unico documento di programmazione triennale che contenga e colleghi l’assegnazione di obiettivi, con le relative risorse umane e strumentali. Il monitoraggio dello stato di avanzamento del Piano (in termini di realizzazione degli obiettivi ivi indicati) sarà condotto con una cadenza annuale, sia per quanto riguarda lo stato di avanzamento delle attività strategiche, sia per quanto riguarda le attività organizzative e gestionali ordinarie. Premesso, inoltre, che con deliberazione di G.M. n. 60 del 03/5/2018 è stato approvato il DUP 2018-2020, mentre con la D.C.C. 29 del 24/05/2018 è stato approvato il bilancio finanziario 2018-2020, documenti imprescindibili per il processo di costruzione del PEG 2018. Il documento è dimensionato su di una proiezione triennale, rimanendo però fermo il principio per cui la sua durata è annuale. In altri termini, il primo anno è immediatamente produttivo di effetti, mentre gli altri due hanno carattere programmatico. Contiene, inoltre, tutti gli obiettivi più significativi in materia di prevenzione della corruzione, come delineati nell’apposito Piano triennale di Prevenzione sulla corruzione per il periodo 2018 - 2020, adottato dall’Ente con deliberazione G.M. n. 315 del 12/03/2018, ai sensi dell’art. 1, comma 5, lettera a) della legge n. 190 del 6.11.2012. 1. IL COMUNE L’identità Il Comune di Giovinazzo si ispira ai valori della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza che assicurano il rispetto della dignità della persona umana, tutelandone i diritti. Il Comune di Giovinazzo: riconosce nella promozione, nella tutela e nel rispetto della vita umana in tutte le sue fasi, il fondamento della dignità della persona; 3
custodisce la memoria dei concittadini caduti nell’adempimento del proprio dovere e ne promuove i valori storici e civili che ne hanno ispirato il sacrificio; promuove la pace nella libertà, la solidarietà e lo sviluppo sociale; persegue il benessere sociale dei propri cittadini, interpretandone e risolvendone i bisogni primari, e tutela la sicurezza dei suoi abitanti; riconosce nella famiglia fondata sul matrimonio, ai sensi dell’art. 29 della Costituzione Italiana, il nucleo essenziale per l’accoglienza, la crescita, la formazione della persona nella società; garantisce i diritti dei propri cittadini ed in particolar modo dei più deboli, dei diversamente abili, dell'infanzia, dei minori, degli anziani, della famiglia; assicura condizioni di pari opportunità tra uomo e donna; valorizza il legame con i Giovinazzesi emigrati nel mondo; garantisce la tutela dei diritti dell’uomo a coloro che, di diversa cittadinanza e nazionalità, intendono integrarsi nella comunità; favorisce la partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica, economica e sociale; promuove la cittadinanza Europea. (Statuto Comunale, Titolo I, Art. 3) 2. LA STORIA ED IL TERRITORIO La Storia I primi insediamenti nella zona risalgono a tempi remoti, come testimoniano i reperti rinvenuti nei dintorni della cittadina, tra cui un dolmen (monumento preistorico sepolcrale o comunque legato al culto dei morti) dell’età del bronzo e una tomba databile al XIX- XVIII secolo a.C. Secondo la tradizione, avrebbe avuto origine dalla peucetica IUVENIS NETIUM, citata negli itinerari di epoca tardoantica e altomedievale come Natiolium e distrutta durante le guerre puniche. Il toponimo, che dal X secolo è attestato nelle forme di Jubenacie e Juvenacio, deriva dal personale latino JOHANNACIUS, corrispondente all’italiano “Giovannazzo”. Fortificata già in età romana e diocesi fin dal secolo XI, ha condiviso le sorti dei territori circostanti, assoggettati a più dominazioni. Al centro di intensi traffici marittimi con Venezia, nella prima metà del Cinquecento entrò a far parte dei possedimenti dei Gonzaga, passando poi in quelli dei nobili Giudice. Affrancatasi dai vincoli feudali, nella seconda metà del Settecento, partecipò alle successive vicende del resto della regione. Tra le testimonianze storico-architettoniche figurano: la cattedrale, del 1100, ampiamente rimaneggiata nel XVIII secolo; le seicentesche chiese di Santa Maria degli Angeli e della Madonna di Costantinopoli; la chiesa dello Spirito Santo, risalente alla fine del Trecento; il palazzo ducale, della metà del XVII secolo; il palazzo Saraceno; i resti delle mura romane; l’arco Traiano; maestosi bastioni, tra cui la torre aragonese Sagarriga, e, fuori dall’abitato, la chiesetta del Padre Eterno, uno dei numerosi edifici di culto rupestri sorti nella zona tra i secoli XI e XII. Il Territorio Il territorio è prevalentemente pianeggiante sulla fascia costiera ma con continua pendenza in ascesa dal mare verso le zone interne, mentre spostandosi verso l'interno si incontrano i primi pendii dell'entroterra murgiano. L'altimetria del comune varia da 1 a 160 m s.l.m. La casa comunale si trova a 7 metri di altitudine. 4
Il territorio amministrativo comprende le frazioni San Matteo, Le Macchie e Sette Torri; le prime due si trovano rispettivamente a 5.2 km e 6.8 km dal centro abitato, sulla litoranea sud verso Bari e sono principalmente località balneari ricche di lidi; Sette Torri, invece, è un borgo medioevale che sorge su una collina, a 142 m s.l.m. a 6.5 km dal centro cittadino; frequentato solitamente nella stagione estiva, è conosciuto dagli abitanti del luogo per la splendida vista dall'alto sul paese di Giovinazzo ed in parte anche quello di Molfetta e Bitonto. (da Italiapedia - Wikipedia 2018) 3. LA POPOLAZIONE POPOLAZIONE E SOCIETA’ Uno sguardo d'insieme sull’Italia delle Regioni. Anche nel 2016, oltre un terzo della popolazione italiana è concentrata in tre regioni: Lombardia, Lazio e Campania. Con riferimento alle ripartizioni geografiche il Mezzogiorno è l'area più popolata del Paese, anche se è quella cresciuta meno nel periodo considerato (2006-2016). Il bilancio naturale della popolazione evidenzia valori negativi in tutte le ripartizioni: il tasso di crescita naturale continua a essere negativo nel Mezzogiorno, sebbene su valori meno elevati rispetto al Centro-Nord. A livello regionale, nel 2016 la Liguria presenta il valore più alto dell'indice di vecchiaia e di quello di dipendenza, mentre all'estremo opposto si colloca la Campania. A livello di ripartizione territoriale, le aree dove si vive più a lungo sono le regioni del Centro-Nord, mentre nel Mezzogiorno i valori della speranza di vita si confermano al di sotto della media nazionale. Il primato regionale sia tra gli uomini sia tra le donne compete al Trentino-Alto Adige, mentre il decremento più significativo si registra in Valle d'Aosta. Per le separazioni si sta verificando una convergenza tra le varie aree del Paese, mentre il divario Nord-Sud per i divorzi rimane ancora ben più evidente. Nel 2015, la popolazione italiana è composta da oltre 60 milioni di residenti, registrando un incremento minimo rispetto all'anno precedente. Al 1° gennaio 2016, l'indice di vecchiaia assume proporzioni notevoli, salendo a quota 157,9%, mentre l'indice di dipendenza raggiunge un valore pari a 55,2%. Il tasso di fecondità totale continua a diminuire, attestandosi su 1,37 figli in media per donna, mentre occorrerebbero circa 2,1 figli in media per donna per garantire il 5
ricambio generazionale. L'età media al parto, pari a 31,5 anni, rimane stabile rispetto all'anno precedente. Gli aspetti demografici nella città di Giovinazzo Andamento demografico della popolazione residente nel comune di Giovinazzo dal 2001 al 2017. Grafici e statistiche su dati ISTAT al 31 dicembre di ogni anno. Variazione percentuale della popolazione Le variazioni annuali della popolazione di Giovinazzo espresse in percentuale a confronto con le variazioni della popolazione della città metropolitana di Bari e della regione Puglia. Flusso migratorio della popolazione Il grafico in basso visualizza il numero dei trasferimenti di residenza da e verso il comune di Giovinazzo negli ultimi anni. I trasferimenti di residenza sono riportati come iscritti e cancellati dall'Anagrafe del comune. Fra gli iscritti, sono evidenziati con colore diverso i trasferimenti di residenza da altri comuni, quelli dall'estero e quelli dovuti per altri motivi (ad esempio per rettifiche amministrative). 6
Movimento naturale della popolazione Il movimento naturale di una popolazione in un anno è determinato dalla differenza fra le nascite ed i decessi ed è detto anche saldo naturale. Le due linee del grafico in basso riportano l'andamento delle nascite e dei decessi negli ultimi anni. L'andamento del saldo naturale è visualizzato dall'area compresa fra le due linee. Popolazione per età, sesso e stato civile 2017 7
Popolazione per classi di età scolastica 2017 Distribuzione della popolazione di Giovinazzo per classi di età da 0 a 18 anni al 1° gennaio 2017. Elaborazioni su dati ISTAT. Il grafico in basso riporta la potenziale utenza per l'anno scolastico 2017/2018 le scuole di Giovinazzo, evidenziando con colori diversi i differenti cicli scolastici (asilo nido, scuola dell'infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di I e II grado). Indici demografici e Struttura di Giovinazzo 8
L'analisi della struttura per età di una popolazione considera tre fasce di età: giovani 0-14 anni, adulti 15-64 anni e anziani 65 anni ed oltre. In base alle diverse proporzioni fra tali fasce di età, la struttura di una popolazione viene definita di tipo progressiva, stazionaria o regressiva a seconda che la popolazione giovane sia maggiore, equivalente o minore di quella anziana. Lo studio di tali rapporti è importante per valutare alcuni impatti sul sistema sociale, ad esempio sul sistema lavorativo o su quello sanitario. 4. IL CONTESTO ESTERNO L’economia, la Finanza Pubblica e l’occupazione - Uno sguardo d’insieme sull’Italia Prodotto Interno Lordo Tasso di crescita del PIL reale Elaborazione DIPE su dati Eurostat, Istat, Commissione europea e sui dati tendenziali del DEF di aprile 2018. Nota esplicativa: Il dato è riferito al tasso di crescita del Prodotto interno lordo (PIL) dell’Italia e a quello medio dell’Unione europea. Per il 2018-2021 è indicato il tendenziale previsto dal DEF di aprile 2018. Livello del PIL italiano 9
Elaborazione DIPE su dati Istat. Nota esplicativa: Il grafico illustra l’andamento del Prodotto interno lordo italiano reale, cioè espresso in milioni di euro a prezzi costanti del 2010. I dati trimestrali sono stati destagionalizzati per il ciclo economico e aggiustati per il numero di giorni lavorativi. Produzione industriale Elaborazione DIPE su dati OCSE. Nota esplicativa: L’indice della produzione industriale misura la variazione nel tempo del volume fisico della produzione effettuata dall’industria in senso stretto (ovvero con esclusione delle costruzioni). Le serie sono state calcolate prendendo come base il primo mese del 2000, posto uguale a 100, con dati mensili OCSE. Debito pubblico 10
Elaborazione DIPE su dati Banca d’Italia, Istat e del DEF di aprile 2018. Nota esplicativa: Il dato è riferito al debito pubblico italiano (stock accumulato nel corso del tempo). Il dato Banca d’Italia, relativo all’Italia e alla media della zona euro, è espresso in percentuale del Prodotto interno lordo. I dati sul debito pubblico italiano sono aggiornati in base alla revisione del PIL effettuata dall’Istat a settembre 2014 in attuazione del nuovo sistema europeo di conti nazionali SEC 2010. Per il 2018-2021 sono indicate le previsioni tendenziali del DEF di aprile 2018. Spesa pubblica Elaborazione DIPE su dati Istat, Banca d’Italia e sui dati tendenziali del DEF di aprile 2018. Nota esplicativa: La spesa delle Amministrazioni pubbliche è sia nel suo complesso che al netto del pagamento di interessi passivi sul debito pubblico e della spesa in conto capitale (spesa corrente primaria). 11
Inflazione Elaborazione DIPE su dati Eurostat. Nota esplicativa: Il grafico presenta, per ogni mese, l’indice armonizzato della variazione dei prezzi al consumo per l’intera collettività, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Le due serie illustrano il dato italiano e la media della zona euro Tasso di occupazione Elaborazione DIPE su dati Eurostat. Nota esplicativa: Il grafico presenta il tasso di occupazione (pari al numero di occupati di età compresa tra i 20 e i 64 anni diviso per la popolazione residente della medesima fascia di età) in Italia e nella zona euro a 19 membri. I dati sono la media annuale calcolata da Eurostat 12
Tasso di disoccupazione Elaborazione DIPE su dati Eurostat. Nota esplicativa: Il grafico presenta il tasso di disoccupazione destagionalizzato, che è pari al numero di disoccupati che hanno cercato attivamente lavoro nel periodo precedente l’indagine diviso per il numero di componenti della forza lavoro (a sua volta pari al numero di occupati più il numero di persone in cerca di lavoro). Il dato utilizzato, relativo all’Italia e alla zona euro, è calcolato su base mensile da Eurostat. Investimenti comparati con l’UE Elaborazione DIPE su dati del FMI. Nota esplicativa: Il grafico confronta con dati annuali l’evoluzione della quota del Pil destinata agli investimenti pubblici e privati in Italia e nell’Unione europea. (WEO di aprile 2017). Risparmi e investimenti in Italia 13
Elaborazione DIPE su dati del FMI. Nota esplicativa: Il grafico confronta l’evoluzione della quota del Pil italiano destinata rispettivamente agli investimenti privati e pubblici e al risparmio lordo. Evoluzione del reddito pro capite Fonte: Elaborazione DIPE su dati Eurostat. Nota esplicativa: Il grafico confronta i dati relativi al reddito pro capite in euro (misurato in termini di PIL pro capite) in Italia con quello medio dell’area euro e dell’Unione europea a 28 membri. I dati non sono espressi a prezzi correnti ma in funzione dei volumi concatenati. Quota di popolazione in povertà assoluta per aree geografiche Fonte: Elaborazione DIPE su dati ISTAT. 14
Nota esplicativa: L’incidenza della povertà assoluta viene calcolata sulla base di una soglia corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile. Vengono classificate come assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia. Questa varia a seconda del numero di componenti della famiglia, della loro età, della localizzazione geografica e della tipologia di comune in cui vivono. Ad esempio nel 2014 una famiglia di due persone, composta da un adulto e da un bambino piccolo, è considerata assolutamente povera con meno di 1.085 euro al mese se vive in una città metropolitana del Nord o con meno di 762 euro se vive in un piccolo comune del Mezzogiorno. Per un adulto solo tra i 18 e i 59 anni tale soglia scende rispettivamente a 817 e 548 euro. Quota di popolazione in povertà relativa per aree geografiche Fonte: Elaborazione DIPE su dati ISTAT. Nota esplicativa: L’incidenza della povertà relativa viene calcolata sulla base di una soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. Tale valore si modifica solo in funzione del numero di componenti del nucleo familiare (e, contrariamente alla povertà assoluta, non è differenziata per zona geografica, dimensione del comune di residenza o età dei componenti del nucleo familiare). Nel 2014 la soglia è di 625 euro di spesa mensile per una persona, di 1.042 euro per due persone e di 1.698 euro per quattro persone. L’ECONOMIA E L’OCCUPAZIONE Il bilancio generale dell’Economia Nel 2017 si consolida la fase espansiva dell’economia internazionale. Il ritmo di crescita aumenta dal 3,2 al 3,8 per cento (+4,8 nei paesi emergenti, +2,3 nelle economie avanzate) e l’accelerazione della ripresa contribuisce alla risalita dei corsi delle materie prime (Tavola 1.1). Il volume degli scambi mondiali di beni, secondo i dati del Central Plan Bureau, segna in media d’anno un incremento del 4,6 per cento (dal +1,5 nel 2016), con una accelerazione diffusa sia nei paesi avanzati (+3,8 per cento, dal +1,6 del 2016) sia nelle economie emergenti (+5,7 per cento, dal +1,3). Negli Stati Uniti il tasso di crescita del Pil passa dall’1,5 al 2,3 per cento. I consumi continuano a fornire un apporto prevalente (1,9 punti percentuali) grazie agli effetti dell’andamento favorevole dell’occupazione e della dinamica salariale sui redditi delle famiglie. Gli investimenti privati offrono un contributo positivo di mezzo punto percentuale, mentre prosegue il decumulo delle scorte. Per effetto di una crescita in volume dell’import più vivace di quella dell’export, la domanda estera netta sottrae due decimi di punto alla dinamica del Pil. Il consolidamento del ciclo economico e la ripresa dell’inflazione al consumo (+2,1 per cento in media d’anno, dal +1,3 del 2016) hanno indotto la Federal Reserve a proseguire nell’azione di restrizione delle condizioni monetarie, operando tre rialzi 15
di 0,25 punti percentuali dei tassi di riferimento a breve, che a dicembre hanno raggiunto l’1,5 per cento. Tra le economie emergenti, il Pil cresce del 6,9 per cento in Cina e del 6,7 in India. Nella seconda parte dell’anno, la ripresa delle quotazioni delle materie prime ha favorito l’uscita dalla recessione dei paesi produttori (Russia +1,5 per cento, Brasile +1,0 per cento, e in generale i paesi dell’America Latina +1,3 per cento). Nell’Unione economica e monetaria (Uem) la ripresa è sostenuta e continua a essere trainata dalla domanda estera netta. Nel 2017 il Pil aumenta del 2,4 per cento (dal +1,8 nel 2016), con un contributo di 1,2 punti provenienti dalla domanda per consumi e di 0,7 da quella per investimenti (entrambe in leggero rallentamento); un apporto positivo di quasi sei decimi viene dalle esportazioni nette (-0,4 punti nel 2016). La dinamica positiva della domanda mondiale ha sostenuto la crescita del volume delle esportazioni (+5,1 per cento) in misura più consistente rispetto alle importazioni (+4,3 per cento). Nella media del 2017 i prezzi al consumo tornano a crescere (+1,5 per cento rispetto al +0,2 del 2016); soprattutto nella parte finale dell’anno, l’inflazione ha risentito degli incrementi di prezzo dei beni alimentari freschi e di quelli energetici. La Banca centrale europea ha continuato a mantenere una politica monetaria accomodante, proseguendo le operazioni di acquisto di attività dell’Eurosistema (seppure in misura ridotta rispetto allo scorso anno) e mantenendo invariati i tassi ufficiali. Nel 2017 la crescita dell’economia italiana si consolida. Il Pil cresce dell’1,5 per cento (+0,9 nel 2016), con un ritmo relativamente stabile nel corso dell’anno. Come nel 2016, a trainare la ripresa è la domanda interna, in particolare gli investimenti fissi lordi, con un contributo di 0,6 punti percentuali. La crescita dell’Italia è inferiore a quella osservata nelle altre maggiori economie europee (+1,8 per cento in Francia, +2,2 in Germania, +3,1 in Spagna), scontando un andamento meno vivace dei consumi delle famiglie e una crescita maggiore delle importazioni. L’export di beni e servizi aumenta invece in misura sostenuta. Nel 2017 il contributo della domanda estera netta alla crescita è positivo per 0,2 punti percentuali mentre nel 2016 ha sottratto 0,2 punti. In controtendenza rispetto alle altre economie, il contributo dei consumi della pubblica amministrazione (PA) è nullo. Il ciclo degli investimenti sostiene l’economia. Nel 2017 gli investimenti fissi lordi in volume crescono del 3,8 per cento, recuperando complessivamente oltre nove punti percentuali nel triennio 2015-2017). In questo periodo aumentano in misura consistente gli investimenti in impianti e macchinari (+21,7 per cento), anche grazie alla forte risalita di quelli in mezzi di trasporto (il cui ammontare in volume è più che raddoppiato) e all’andamento delle apparecchiature ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione; +14,9 per cento). Nello stesso periodo, crescono gli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale (+6,8 per cento), a sintesi di una riduzione del 3,7 per cento per la voce software e basi di dati e di una crescita sostenuta degli investimenti in ricerca e sviluppo (+18,1 per cento). Un recupero (+1,7 per cento) si ha anche nel volume degli investimenti in costruzioni che, tuttavia, resta quasi 24 punti sotto il livello del 2010. Dal 2015, la crescita degli investimenti ha riguardato tutti i settori: l’industria in senso stretto (+10,5 per cento), i servizi (+8,7) e, in misura sostenuta, le costruzioni (+19,5 per cento). Nel 2017, gli investimenti in impianti e macchinari, al netto dei mezzi di trasporto e delle apparecchiature ICT mostrano un rallentamento del ritmo di crescita. La ripresa degli investimenti ha avuto una ricaduta positiva sull’attività del comparto dei beni strumentali in cui, nel corso del 2017, si sono ridotti ulteriormente i margini di capacità produttiva inutilizzata, con possibili ricadute positive sull’ampliamento della base produttiva del settore. Nel 2017 l’Italia beneficia della ripresa dei flussi di scambio internazionale di beni. Il volume delle esportazioni di beni e servizi cresce del 5,4 per cento, quello delle importazioni del 5,3. Il commercio estero fa registrare un’accelerazione, diffusa in tutti i raggruppamenti, dei volumi esportati di beni rispetto al 2016: l’aumento riguarda soprattutto i beni di consumo (+3,7 per cento, rispetto al +1,5 del 2016) e i prodotti intermedi (+3,3 per cento, +2,1 nel 2016), ma è sostenuto anche per i beni strumentali (+2,2 per cento, da +0,2 nel 2016); riprendono a salire, inoltre, i beni energetici (+9,5 per cento). I volumi importati crescono soprattutto nella componente dei beni intermedi (+4,9 per cento), mentre sono in decelerazione le importazioni di beni strumentali (+2,3 per cento, rispetto al +5,2 del 2016). Nel 2017, il valore dell’export aumenta del 6,4 per cento verso le altre economie dell’Uem, ed è in forte espansione in Cina (+22,2), Russia (+19,3) e Stati Uniti (+9,8 per cento). L’avanzo commerciale è di 47,5 miliardi, in leggera diminuzione rispetto all’anno precedente (49,6 miliardi). L’avanzo della bilancia non energetica è invece di 81,0 miliardi di euro (era 76,2 nel 2016). 16
Continuano a crescere i consumi delle famiglie. Il volume della spesa delle famiglie residenti aumenta dell’1,4 per cento, un ritmo analogo a quello del 2016. Cresce, seppur di poco, la spesa delle amministrazioni pubbliche (+0,1 per cento), contro il +0,6 dell’anno precedente e dopo cinque anni di contrazione. L’incremento dei consumi interessa sia i beni (+1,2 per cento) sia i servizi (+1,7): i primi salgono a un ritmo inferiore a quello osservato nei due anni precedenti (+1,7 per cento nel 2016 e +2,7 nel 2015) mentre i secondi sono in lieve accelerazione (rispettivamente, +1,2 e +1,5 per cento). Continua a crescere, ma a un ritmo meno sostenuto, anche la spesa per beni durevoli (+4,9 per cento), mentre rallenta più bruscamente la spesa per beni non durevoli (+0,3 per cento, dal +1,2 del 2016). Nel 2017 il reddito disponibile lordo delle famiglie aumenta dell’1,7 per cento, trainato dall’incremento del 2,3 per cento dei redditi da lavoro dipendente. Per effetto dell’inflazione, l’aumento del potere d’acquisto delle famiglie consumatrici (+0,6 per cento) rallenta rispetto al biennio precedente. La spesa per consumi finali cresce tuttavia del 2,5 per cento, determinando un calo della propensione al risparmio, dall’8,5 al 7,8 per cento. Nel 2017 l’incremento del valore aggiunto dei servizi di mercato è sostenuto in tutti i comparti. Le variazioni più elevate si registrano nei comparti dell’alloggio e ristorazione (+4,5 per cento), logistica (+3,1) e commercio (+2,3); a un ritmo più contenuto aumentano anche i servizi di informazione e comunicazione (+0,8) e le attività professionali, a eccezione della ricerca e sviluppo (-1,3 per cento). A crescere sono anche le attività finanziarie e assicurative (+2,0 per cento) e quelle immobiliari (+1,5). Il valore aggiunto dei servizi presenta una dinamica in linea con le principali economie europee nelle attività di commercio, alloggio e ristorazione, e in ritardo nei servizi a più alta intensità di conoscenza,1 come quelli di informazione e comunicazione e le attività professionali. Nel biennio 2015-2016 l’economia torna a crescere nel Mezzogiorno, dopo sette anni di contrazione. Il Pil in volume del Mezzogiorno aumenta del 2,4 per cento, un valore superiore a quello medio nazionale (+1,9 per cento). Nel biennio la ripresa è più forte nel Nord-est (+2,5 per cento), in particolare in Emilia Romagna e in Friuli-Venezia Giulia (+2,7). Il tasso di crescita del Nord-ovest (+2,0 per cento) riflette al suo interno dinamiche differenti: l’incremento è più elevato in Lombardia (+2,5 per cento), meno vivace in Piemonte (+1,5), negativo in Liguria (-0,5 per cento). Più contenuta l’espansione nelle regioni del Centro (+0,9 per cento), dove il Pil si è leggermente contratto nelle Marche (-0,1 per cento). Tra le regioni meridionali, il Molise e la Campania presentano variazioni positive del 4,9 per cento, la Basilicata del 9,2. Nel complesso, mentre la crescita del Sud è consistente (+3,0 per cento), la ripresa nelle Isole è più contenuta (+0,9). La contrazione osservata nel Mezzogiorno nel periodo compreso tra l’avvio della crisi e il 2014 è stata, del resto, intensa e più elevata di quella delle altre ripartizioni, con una riduzione del Pil che ha superato il 12 per cento. La crescita del Mezzogiorno è in parte vincolata dalla composizione settoriale della sua economia. Nel 2016, la quota di valore aggiunto realizzata nell’industria è superiore al 20 per cento nel Nord- ovest (22,3 per cento) e nel Nord-est (24,9): si tratta di valori vicini alla media tedesca, in cui la quota del valore aggiunto prodotta è del 25,7 per cento. Nelle regioni del Centro, l’incidenza del settore industriale è del 15,5 per cento; nel Mezzogiorno del 12,1. Rispetto al Centro-nord, il Mezzogiorno si caratterizza per una maggiore specializzazione nelle industrie alimentari, delle bevande e del tabacco, e nell’industria dei mezzi di trasporto (in cui si realizza un quarto degli investimenti manifatturieri dell’area). All’opposto, il comparto che raggruppa i settori dei servizi a prevalenza non di mercato (pubblica amministrazione e difesa, istruzione, sanità, eccetera) rappresenta il 29,0 per cento del valore aggiunto del Mezzogiorno, contro il 16,6 nel Nord e il 22,6 per cento nel Centro. Il bilancio generale dell’Occupazione Prosegue in Europa l’incremento del numero di occupati di 15 anni e più (3,3 milioni, +1,5 per cento). Il tasso di occupazione 15-64 anni nel 2017 è del 67,6 per cento (+1,0 punti percentuali rispetto al 2016), con una variabilità sempre molto elevata, che va dal 76,9 per cento della Svezia al 53,5 della Grecia. La media europea mostra nell’ultimo anno un incremento del tasso di occupazione simile tra uomini e donne (rispettivamente 1,1 e 1,0 punti percentuali). Nel decennio 2008-2017 si osservano incrementi consistenti dei tassi di occupazione femminile, in particolare in Germania (+7,2) e Polonia (+7,1). Tuttavia, nella media europea il divario di genere rimane pressoché invariato. Sussiste una 17
relazione forte tra tasso di occupazione femminile e totale. Nei paesi in cui il tasso di occupazione – tradizionale obiettivo delle politiche del lavoro – è elevato, lo è anche il tasso d’occupazione femminile. Infatti, dal momento che quello maschile è nella maggior parte dei casi a livelli prossimi alla piena partecipazione, è quello femminile a fare la differenza e a mostrare spazio per un miglioramento. Paesi come Germania, Regno Unito, Svezia e Paesi Bassi hanno raggiunto un livello di partecipazione alto e omogeneo tra uomini e donne. Al contrario altri, tra cui Italia, Spagna e Grecia, mostrano ancora una forte differenza, a sfavore delle donne. Il tasso di disoccupazione diminuisce in tutti i paesi dell’Unione europea, mediamente di 1,0 punto percentuale. Dopo la crisi, la disoccupazione non è stata ancora riassorbita in Grecia (21,5 per cento, +13,7 punti percentuali rispetto al 2008), Spagna (17,2 per cento, +5,9 punti), Italia e Croazia (11,2 per cento, con rispettivamente 4,5 e 2,6 punti in più rispetto al 2008). È però proprio in questi paesi che nell’ultimo anno i cali sono più forti, con l’unica eccezione dell’Italia. Rispetto al 2008, Germania e Ungheria registrano la diminuzione più consistente dei tassi di disoccupazione che risultano essere tra i più bassi (3,8 e 4,2 per cento) insieme a Repubblica Ceca (2,9 per cento) e Paesi Bassi (4,9 per cento). Il numero dei disoccupati nel 2017 nell’Unione europea è stato di poco inferiore ai 18,8 milioni, con una riduzione di circa 2,2 milioni rispetto all’anno precedente. Tra il 2016 e il 2017 nella Ue si riducono di 793 mila unità (-0,6 per cento) gli inattivi di 15-74 anni. Rispetto al 2016 escono dal bacino degli inattivi circa 650 mila persone che l’anno prima si dichiaravano disponibili a lavorare pur non avendo cercato attivamente lavoro. Queste persone sono transitate in buona parte tra le forze di lavoro che crescono, infatti, di 1,2 milioni (+0,3 punti percentuali il tasso di attività 15-74 anni). La ripartizione tra lavoro a tempo parziale e a tempo pieno rimane nel complesso invariata rispetto all’anno precedente (20,3 e 79,7 per cento). Seppure con qualche differenza, il lavoro part time rimane una prerogativa femminile: lavorano part time il 32,3 per cento delle donne e il 10,0 per cento degli uomini. Nel corso dell’ultimo decennio le persone che lavoravano part time erano aumentate in Europa di circa 5,7 milioni (+14,1 per cento) e si erano ridotte di un milione quelle che lavoravano full time (- 0,5 per cento). I paesi con l’incidenza maggiore di part time rimangono i Paesi Bassi (50,7 per cento e il 76,0 tra le donne), l’Austria (28,7, di cui 47,7 per cento tra le donne) e la Germania (28,2, con il 47,3 per cento tra le donne). I paesi con l’incidenza più bassa sono quelli dell’Est Europa. I dipendenti a termine continuano a crescere anche nel 2017 (+680 mila, +2,5 per cento rispetto al 2016) e l’incidenza dei lavoratori temporanei sul totale degli occupati europei rimane stabile (14,3 per cento, +0,1 punti percentuali rispetto all’anno precedente). I paesi in cui il lavoro a termine è più diffuso sono Spagna e Polonia (rispettivamente 26,7 e 26,2 per cento), mentre quelli in cui è poco diffuso sono Romania (1,2 per cento), Lituania (1,7), Lettonia e Estonia (3,0), Bulgaria (4,5), e Regno Unito (5,7 per cento). Dopo anni di turbolento riassetto del lavoro autonomo, specie nella composizione tra la quota con dipendenti e quella senza dipendenti, nel 2017 il numero di lavoratori autonomi rimane pressoché invariato (-0,2 per cento nel complesso, +0,2 i datori di lavoro e -0,3 gli autonomi senza dipendenti). Nel complesso si segnalano variazioni di segno differente tra i paesi, con una crescita in Estonia (+8,9 per cento) e Malta (+5,0) e una diminuzione in Croazia (-9,6) e Danimarca (-6,2). In Italia, nel 2017 continua la crescita sostenuta del numero di occupati, 265 mila (+1,2 per cento), che riguarda in particolare le donne (+1,6 per cento contro +0,9 degli uomini). Nel 2017 il riavvicinamento del numero di occupati ai livelli del 2008 si deve esclusivamente alla componente femminile, 404 mila unità in più, mentre gli uomini fanno tuttora registrare un deficit di 471 mila unità. L’incremento tendenziale ha interessato tutte le aree del Paese, mentre il Mezzogiorno rimane l’unica ripartizione geografica con un saldo occupazionale negativo rispetto al 2008 (-310 mila unità, -4,8 per cento). Nel 2017 prosegue anche, per il quarto anno consecutivo, l’aumento del tasso di occupazione, che si attesta al 58,0 per cento, un valore ancora lontano dalla media Ue, soprattutto per la componente femminile. Il tasso di occupazione si sta riavvicinando al livello del 2008 (-0,7 punti percentuali) grazie alla crescita della componente femminile, cosicché il divario di genere si è lievemente ridotto portandosi a 18,2 punti; il Mezzogiorno, dove le differenze non accennano a diminuire, resta escluso da questo processo di progressivo miglioramento. Nonostante il tasso di occupazione degli stranieri negli ultimi dieci anni si sia progressivamente ridotto (dal 67,0 per cento del 2008 al 60,6 del 2017), in quest’ultimo anno per la componente straniera l’indicatore è cresciuto di 1,1 punti percentuali a fronte di 0,7 per gli italiani. 18
Nel 2017, per il secondo anno consecutivo, aumentano gli occupati nella fascia tra i 15 e i 34 anni (+0,9 per cento). La crescita riguarda anche il corrispondente tasso di occupazione (+0,7 punti percentuali). La dinamica demografica continua a incidere negativamente sugli occupati tra i 35 e i 49 anni, -1,2 per cento, ma rispetto al 2016 si registra comunque un incremento nel tasso di occupazione (+0,6 punti percentuali), che non risente degli effetti demografici. L’aumento dell’occupazione continua a interessare soprattutto gli occupati di 50 anni e più (+4,4 per cento), tanto che l’indicatore riferito alle persone tra i 50 e i 64 anni (59,2 per cento) dal 2016 è più elevato di quello generale. La crescita è dovuta sia alle modifiche del sistema previdenziale, che hanno innalzato i requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso alla pensione, sia al peso crescente della popolazione in questa classe di età. Si conferma il ruolo dell’istruzione quale fattore protettivo. Nel 2017 il tasso di occupazione cresce per tutti i livelli di istruzione, con un incremento più elevato per i laureati. Nell’ultimo decennio la riduzione del tasso di occupazione è stata più contenuta per i laureati, che hanno quasi recuperato il livello del 2008 (78,3 per cento contro il 78,5). Nel 2017 sono occupate poco più di quattro persone su dieci con al massimo la licenza media e quasi due terzi dei diplomati. Il divario di genere, comunque a sfavore delle donne, diminuisce al crescere del livello d’istruzione: nel 2017 le differenze dell’indicatore diminuiscono da oltre 25 punti per chi ha al massimo la licenza media fino a 8,4 punti per i laureati. La situazione in Puglia ed in Provincia di Bari 19
Nel 2015 le imprese nelle province di Bari e Barletta, Andria, Trani (Bat), presentano un tasso di sviluppo imprenditoriale dello 0,73%, in linea con la media nazionale (0,78%) ma più basso di quello pugliese (0,98%) e dell’Italia meridionale (1,02%). Le aziende registrate al 31 dicembre dello scorso sono 151.550 (+0,4% rispetto al 2014), di cui 129.999 sono attive. Se si considera la forma giuridica delle imprese, quelle individuali, seppure in calo nell’ultimo quinquennio (-4,8%), rappresentano ancora la maggioranza delle aziende iscritte al Registro delle imprese (61,3% del totale). L’andamento demografico nelle province di Bari e Barletta-Andria-Trani presenta nel 2015 un tasso di sviluppo imprenditoriale pari allo 0,73% (differenza tra tasso di natalità, pari a +6,08, e tasso di mortalità, pari a 5,35%), in linea con la media nazionale (0,78%). Le aziende registrate al 31 dicembre dello scorso erano 151.550 (rispetto alla stessa scadenza del 2014 le unità in più sono state 605), di queste 129.999 erano attive, 9.597 risultavano inattive, 8.162 erano in scioglimento o liquidazione, 3.717 con procedure concorsuali in corso, 75 erano sospese. La maggior parte delle 151.550 imprese opera nel commercio, 29,7%, il 24,4% nei servizi, il 17,5% nell'agricoltura, il 9,8% nell'industria, il 7% non sono classificate. 20
Nel complesso si registra un andamento settoriale comunque non omogeneo che vede soprattutto i settori dell'agricoltura e dei servizi e, in parte, dell'industria, fornire la più elevata componente positiva allo sviluppo. Altri settori produttivi, come costruzioni e commercio, appaiono in affanno, contribuendo a questo risultato con un diverso grado di vitalità. Il tasso d’iscrizione di nuove imprese è tornato in terreno positivo con un +2,42% su base annuale riportando i valori assoluti sui livelli del biennio 2012-2013. Continuano a crescere le cosiddette imprese in “rosa”. Le imprese costituite da donne, oppure con componente societaria maggioritaria femminile, al 31 dicembre 2015 erano 31.600: rispetto alla stessa scadenza del 2014 sono state 406 in più. L’affermazione dell’imprenditoria femminile nell’economia barese è testimoniato sia dalla numerosità - pesano oltre un quinto del totale (31.600 su 151.550 pari al 21%) - che dalla dinamicità delle donne che scelgono di dare alla loro azienda una struttura più solida. Le imprenditrici, inoltre, preferiscono essere leader indiscusse all’interno della propria azienda: le imprese composte esclusivamente da donne sono 26.995: l’85% dell’universo “rosa”. Costituiscono una bella realtà in crescita anche i “contratti di rete” e le start up innovative, le nuove forme societarie che all'indubbio appeal fiscale associano facilità smart e attrattiva high tech o green. Secondo gli ultimi dati disponibili (aprile 2016), nelle province di Bari e Barletta-Andria-Trani, sono 479 - oltre la metà di quelli pugliesi (889) - i soggetti che hanno aderito ad almeno un contratto di rete: il modello di collaborazione tra imprese che consente, pur mantenendo la propria indipendenza, autonomia e specialità, di realizzare progetti ed obiettivi condivisi, incrementando la capacità innovativa e la competitività sul mercato. Di questi 44 sono impegnati nel settore agricolo, 103 nel manifatturiero, 48 nelle costruzioni, 44 nel commercio, 196 nei servizi, 31 nella ricettività turistica e nella ristorazione. Le società di capitale sono 277, quelle di persone 55, le imprese individuali 90, i consorzi e le altre forme societarie 57. Menzione speciale anche per start up innovative e incubatori di start up innovative certificati che sono stati introdotti nell’ordinamento italiano nel 2012 per favorire la nascita e la crescita di nuove imprese innovative. Si tratta di società di capitali, costituite anche in forma cooperativa, che oltre a requisiti specifici di tipo amministrativo, devono avere quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico e devono investire in ricerca e sviluppo, oppure impiegare personale altamente qualificato per almeno un terzo della propria forza lavoro o ancora essere titolari, depositarie o licenziatarie di almeno una privativa industriale relativa ad una invenzione industriale, biotecnologica, tecnologica, biologica o informatica. I soggetti iscritti al Registro Imprese della Camera di Commercio di Bari nella relativa sezione speciale, secondo gli ultimi dati disponibili (aprile 2016), sono 111, oltre la metà di quelli pugliesi (213), il 2% del totale nazionale (5.586). Tutti sono impegnati nel campo tecnologico ed energetico. Diminuiscono le imprese giovanili, che passano da 18.579 del 2014 a 18.002 del 2015, aumentano quelle straniere, da 5.556 a 5.629, e per il 56,64% sono operative nel commercio. Occupazione: I dati Istat 2015 sulle forze lavoro rilevano che il tasso di occupazione, relativo alla popolazione tra i 15 e i 64 anni, in provincia di Bari è pari al 46,2%, mentre nella Bat è al 40,1%. La media regionale è al 43,3%, quella meridionale al 42,5%, la nazionale al 56,3%. Dall’analisi del tasso di occupazione per sesso, scaturisce un divario molto forte. Infatti, mentre per i maschi il tasso di occupazione è pari al 59,2% a Bari e al 55,9% nella Bat (media nazionale 65,5%); per le femmine raggiunge rispettivamente il 33,5% e il 24,3% (media nazionale 47,2%). Sensibilmente alti i valori del tasso di disoccupazione che a Bari si attesta al 19% e nella Bat al 20,6%. In Puglia e al Sud è al 19,7%, in Italia all'11,4%. (dati SISTAN – Sistema Statistico Nazionale) 21
La situazione a Giovinazzo Reddito Medio 2001-2015 Contribuenti, redditi e imposte a Giovinazzo Numero di contribuenti per il comune di Giovinazzo: 13.489 Redditi e contribuenti per tipo di reddito Categoria Contribuenti Reddito Media Media Anno Variazione annuale mensile precedente Reddito da fabbricati 7.066 € 9.191.149 € 1.300,76 € 108,40 € 117,55 € -9,16 Reddito da lavoro 6.278 € 118.751.211 € 18.915,45 € 1.576,29 € 1.572,32 € 3,96 dipendente Reddito da pensione 4.521 € 73.230.597 € 16.197,88 € 1.349,82 € 1.337,78 € 12,04 Reddito da lavoro 187 € 5.608.250 € 29.990,64 € 2.499,22 € 2.156,79 € 342,43 autonomo Imprenditori in cont. 49 € 1.522.232 € 31.065,96 € 2.588,83 € 1.683,73 € 905,10 ordin. Imprenditori in cont. 483 € 8.200.437 € 16.978,13 € 1.414,84 € 1.398,52 € 16,33 sempl. Redditi da 295 € 3.916.466 € 13.276,16 € 1.106,35 € 1.117,51 € -11,17 partecipazione Redditi e contribuenti per fasce di reddito Categoria Contribuenti Reddito Media Media Anno Variazione annuale mensile precedente Reddito complessivo 51 € -716.128 € -14.041,73 € -1.170,14 € -876,57 € -293,58 minore di zero euro 22
Reddito complessivo da 0 5.130 € 19.316.140 € 3.765,33 € 313,78 € 307,55 € 6,23 a 10.000 euro Reddito complessivo da 1.852 € 23.113.187 € 12.480,12 € 1.040,01 € 1.035,87 € 4,14 10.000 a 15.000 euro Reddito complessivo da 3.322 € 67.255.425 € 20.245,46 € 1.687,12 € 1.688,18 € -1,06 15.000 a 26.000 Reddito complessivo da 2.614 € 89.635.092 € 34.290,39 € 2.857,53 € 2.847,46 € 10,07 26.000 a 55.000 euro Reddito complessivo da 192 € 12.339.687 € 64.269,20 € 5.355,77 € 5.288,34 € 67,43 55.000 a 75.000 euro Reddito complessivo da 106 € 9.727.984 € 91.773,43 € 7.647,79 € 7.572,24 € 75,54 75.000 a 120.000 euro Reddito complessivo 30 € 4.863.837 € 162.127,90 € 13.510,66 € 13.161,74 € 348,92 oltre 120.000 euro Livelli occupazionali e forza lavoro a Giovinazzo Vi sono a Giovinazzo 7033 residenti di età pari a 15 anni o più. Di questi 5990 risultano occupati e 676 precedentemente occupati ma adesso disoccupati e in cerca di nuova occupazione. Il totale dei maschi residenti di età pari a 15 anni o più è di 4399 individui, dei quali 3886 occupati e 375 precedentemente occupati ma adesso disoccupati e in cerca di nuova occupazione. Il totale delle femmine residenti di età pari a 15 anni o più è di 2634 unità delle quali 2104 sono occupate e 301 sono state precedentemente occupate ma adesso sono disoccupate e in cerca di nuova occupazione. Famiglie e loro numerosità di componenti Vi sono a Giovinazzo complessivamente 7370 famiglie residenti, per un numero complessivo di 19126 componenti. In quanto segue viene indicato in forma tabellare il numero di famiglie a seconda del numero dei componenti le medesime. Numero di componenti 1 2 3 4 5 6 o più Numero di famiglie 1739 2002 1570 1684 327 48 Delle 7370 famiglie residenti a Giovinazzo 1752 vivono in alloggi in affitto, 5059 abitano in case di loro proprietà e 559 occupano abitazioni ad altro titolo. Edilizia, edifici, loro caratteristiche e destinazione d'uso a Giovinazzo Sono presenti a Giovinazzo complessivamente 1732 edifici, dei quali solo 1718 utilizzati. Di questi ultimi 1485 sono adibiti a edilizia residenziale, 233 sono invece destinati a uso produttivo, commerciale o altro. Dei 1485 edifici adibiti a edilizia residenziale 928 edifici sono stati costruiti in muratura portante, 94 in cemento armato e 463 utilizzando altri materiali, quali acciaio, legno o altro. 23
Degli edifici costruiti a scopo residenziale 137 sono in ottimo stato, 1332 sono in buono stato, 16 sono in uno stato mediocre e 0 in uno stato pessimo. Nelle tre tabelle seguenti gli edifici ad uso residenziale di Giovinazzo vengono classificati per data di costruzione, per numero di piani e per numero di interni. Gli edifici a Giovinazzo per data di costruzione Date Prima del 1919- 1946- 1961- 1971- 1981- 1991- 2001- Dopo il 1919 45 60 70 80 90 2000 05 2005 Edifici 248 197 217 322 273 112 8 103 5 Gli edifici a Giovinazzo per numero di piani Numero di piani Uno Due Tre Quattro o più Edifici 149 726 372 238 Gli edifici a Giovinazzo per numero di interni Numero di Uno Due Da tre a Da cinque a Da nove a Sedici e interni quattro otto quindici oltre Edifici 506 102 182 516 105 74 Parco Veicolare Giovinazzo Auto, moto e altri veicoli Trasporti Veicoli Trattori e Auto x Anno Auto Motocicli Autobus Totale Merci Speciali Altri 1000 ab 2004 9.276 991 1 652 155 23 11.098 443 2005 9.651 1.066 1 665 160 24 11.567 463 2006 9.792 1.136 3 693 160 28 11.812 472 2007 9.899 1.216 4 702 172 28 12.021 477 2008 10.141 1.276 9 710 176 28 12.340 490 2009 10.180 1.365 14 722 92 27 12.400 493 2010 10.225 1.407 14 728 100 33 12.507 497 2011 10.200 1.405 18 717 101 32 12.473 500 2012 10.102 1.404 16 716 104 31 12.373 495 2013 9.982 1.394 9 702 112 32 12.231 485 2014 9.952 1.389 11 692 111 32 12.187 484 2015 10.082 1.358 12 712 119 33 12.316 492 2016 10.186 1.370 13 726 116 34 12.445 4 L’ambiente 24
Uno sguardo d'insieme sull’Italia C’è un’Italia delle città che ha già cambiato passo. Che gestisce il ciclo dei rifiuti come e meglio di tante altre realtà europee, che ha cambiato stili di mobilità, trovato la formula giusta per depurare gli scarichi, contenere i consumi idrici e lo sperpero d’acqua potabile, che investe sulle rinnovabili, che ha significative esperienze di rigenerazione e rifunzionalizzazione degli spazi pubblici. L’esempio arriva in primis da Mantova (1°), Trento (2°), Bolzano (3°), Parma (4°), Pordenone (5°) e Belluno (6°), che guidano quest’anno la classifica di Ecosistema Urbano 2017 dimostrando di essere città dinamiche e di credere fortemente nel cambiamento. Tutte e sei, ad esempio, sono nel gruppo dei centri urbani che hanno raggiunto e superato gli obiettivi di raccolta differenziata dal decreto Ronchi del 1997 (obiettivi saliti al 65%), Mantova per dire sfiora l’80% di RD e inoltre, insieme a Trento figura ai primissimi posti anche per quello che riguarda la depurazione dei reflui e il contenimento delle perdite di acqua potabile dalla rete idrica (c’è un tasso di dispersione vicino al 20%); mentre Pordenone è sotto il valore fisiologico del 15%. Di nuovo Pordenone (29 alberi ogni 100 abitanti) e Mantova (32 alberi ogni 100 abitanti) sono nella top ten delle città più alberate. Bolzano, insieme a Mantova, è tra i centri urbani con la più estesa dotazione infrastrutturale per la ciclabilità. A Belluno e Bolzano tira una buona aria, in particolare la città dell’Alto Adige in dieci anni ha ridimensionato del 40% il peso delle polveri sottili. Un cambiamento che non riguarda solo le medie e piccole città del Nord, ma che coinvolge anche i grandi centri urbani - come Milano, grazie a scelte coraggiose e innovative come l’Area C, il car sharing e potenziando il trasporto pubblico o Bologna che si è conquistata un posto al sole, con una potenza di fotovoltaico sui tetti di scuole e uffici pubblici che in numeri assoluti non ha pari in Italia - e il Sud Italia. Ad esempio Oristano (10°), in Sardegna, che figura nella top ten dei capoluoghi, ricicla più spazzatura (oltre il 70%) di tanti Comuni settentrionali ed è protagonista di un buon incremento del fotovoltaico pubblico. Tra gli altri centri urbani virtuosi c’è Cosenza (13°) tra 2011 e 2016 è balzata dal 21% al 53% di raccolta differenziata. E Pesaro (24°), centro Italia, non è tra le primissime, ma è tra quelle dove si notano più passi avanti, in modo particolare nel campo della mobilità nuova con il progetto della Bicipolitana. Dando, invece, uno sguardo complessivo, il quadro che emerge è il seguente. Sul fronte aria, per il Pm10 - tra 2016 e 2015 - scendono da 49 a 36 i capoluoghi che superano per più dei 35 giorni consentiti dalla normativa nell’arco dell’anno il tetto massimo delle polveri sottili. In 6 città si va addirittura oltre il doppio dei giorni di superamento (erano 21 nel 2015) con record negativi a Torino, Frosinone e Milano. Stabili da un anno all’altro le città (sono 26) con situazioni critiche per il biossido di azoto, dove almeno una centralina ha registrato medie annue superiori ai 40 microgrammi/mc. Quattro Comuni scavalcano il limite di oltre il 50% in almeno una centralina: Torino, Roma, Firenze e Milano. Relativamente all’ozono si riduce a 39 (dalle 59 del 2015) il numero di capoluoghi dove è stata superata la soglia di protezione della salute umana e rimangono due situazioni allarmanti (Genova e Alessandria) con dati superiori al triplo del valore soglia. Per il rumore, invece, non ci sono dati pubblici aggiornati sufficienti per un confronto e una valutazione approfondita. La legge quadro sull’inquinamento acustico del 1995 ha previsto l’obbligo per i Comuni di realizzare un piano di classificazione acustica del proprio territorio, prologo delle necessarie azioni di risanamento. Dopo 20 anni c’è ancora un 75% dei Comuni che non solo non ha abbassato il rumore, ma non ha nemmeno approvato il piano. Legambiente nel 2017 ha riscontrato eccessivi livelli di rumorosità nell’80% dei rilevamenti effettuati in 11 città campione. Nel 2016 sono 17 i capoluoghi con perdite idropotabili superiori al 50%, con punte di oltre il 60% a Frosinone, Vibo Valentia, Campobasso, Latina, Nuoro e Oristano. Come lo scorso anno sono soltanto 6 le città virtuose che riescono a contenere le perdite a meno del 15 per cento (Monza, Foggia, Macerata, Lodi, Ascoli, Pordenone). Sul lato depurazione, sono 4 le città che non raggiungono il 50% di scarichi trattati in impianti idonei: Palermo, Treviso, Catania e Benevento. 25
Nel 2016 si è registrato un incremento del +2,27% della raccolta differenziata passata dal 45,15% del 2015 al 47,42% del 2016. A Pordenone (86,6%), Treviso (85,3%), Trento (81,6%) la migliore gestione dei rifiuti. Per il sud la migliore è Benevento. Male invece Palermo, Enna, Caltanissetta, Agrigento e Siracusa che sono sotto il 10%. Mediamente le città italiane più grandi producono più rifiuti rispetto alla media europea, ma le percentuali di raccolta differenziata sono quasi sempre migliori: Torino e Milano, ad esempio, avviano a riciclaggio una quantità di spazzatura quattro volte maggiore di quella di Madrid o Parigi. Le città dove si usa di più il trasporto pubblico sono Venezia e Milano tra i grandi centri urbani, Brescia, Trento e Cagliari (il capoluogo sardo tra l’altro si conferma ancora il migliore per quel che riguarda l’offerta di bus per passeggero a chilometro di rete) tra quelli di medie dimensioni, Siena e Belluno tra le città con meno di 80mila abitanti. Si stima per il nostro Paese un possibile risparmio di 12 miliardi di euro l’anno, quasi un punto percentuale di PIL, se i trasporti urbani delle 14 città più grandi fossero più efficienti in termini di rapidità, qualità ambientale, sicurezza. Ci sono poi diversi centri urbani che cominciano a praticare forme di mobilità nuova: a Bolzano, Firenze, Pisa, Torino, Milano, Bologna, Venezia, Ferrara più del 50% degli abitanti cammina, pedala, usa i mezzi pubblici. La sharing mobility è una realtà per un milione di italiani. Firenze, Milano e Torino sono le città con la maggiore offerta di mobilità condivisa. Quelle invece più bike friendly, dove più di un cittadino su cinque utilizza preferibilmente la bici per i propri spostamenti, sono Bolzano, Pesaro, Ferrara, Treviso, Reggio Emilia. Quest’ultima nel 2016 si conferma la città con più infrastrutture per la ciclomobilità, insieme a Cremona e Mantova. L’estensione delle isole pedonali nei Comuni capoluogo, negli ultimi tre anni di rilevazione, risulta stabile intorno a 0,40m2 per abitante. Le città che hanno un valore almeno doppio rispetto alla media sono 12: le più camminabili, oltre al caso particolare di Venezia, sono Verbania, Terni, Lucca, Cremona, Firenze e Pescara. Se da una parte cresce la voglia di una mobilità alternativa, dall’altra in Italia l’auto resta ancora il mezzo di trasporto più ingombrante come si evince dal tasso medio di motorizzazione: 624 auto ogni 1000 abitanti, (a Madrid sono 411, a Berlino 392, a Londra 331 e a Parigi appena 166). Nel nostro Paese oltre al caso particolare di Venezia (che conta 424 auto ogni 1.000 abitanti), solo a Genova e La Spezia si registra un tasso inferiore o uguale a 500 auto per 1.000 abitanti, seguite da Milano, Firenze, Bologna e Trieste. Per la diffusione del solare termico e fotovoltaico installato su strutture pubbliche brillano Padova, Macerata, Pesaro e Verona. Infine gli alberi: a quattro anni di distanza dall’approvazione della legge nazionale 10/2013 Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani, soltanto il 62% dei capoluoghi è stato in grado di fornire un bilancio del numero di alberi esistenti in aree di proprietà pubblica (strade e parchi). Nonostante un tasso di risposta ancora insoddisfacente ci sono 21 città che presentano una dotazione superiore a 20 alberi/100 abitanti e le 6 migliori superano i 30 alberi/100 abitanti: Bologna, Mantova, Rimini, Arezzo, Modena, Brescia. Esposizione media della popolazione agli inquinanti atmosferici La relazione annuale ARPA sulla qualità dell’aria in Puglia riporta i dati di sintesi della qualità dell’aria regionale registrati nel 2016 dalle stazioni della rete regionale di monitoraggio della qualità dell’aria, con particolare attenzione al confronto con i limiti di legge del D. Lgs. 155/10. La rete regionale di qualità dell’aria è composta da 55 stazioni fisse (di cui 43 di proprietà pubblica e 12 private), oltre a 4 laboratori mobili. Come nell’anno precedente, nel 2016 in Puglia sono stati registrati due superamenti dei limiti di qualità dell’aria previsti dal D. Lgs. 155/10: nel comune di Torchiarolo (BR) per il PM10 è stato nuovamente superato il numero massimo di superamenti giornalieri del valore di 50 mg/m3, mentre nel sito di BariCavour si è registrata una concentrazione media annua di NO2 pari a 46 mg/m3 superiore al massimo consentito di 40 mg/m3. Si tratta di due situazioni molto differenti: mentre a Torchiarolo vi sono evidenze scientifiche sulla preminente origine da combustione domestica di biomasse delle polveri rilevate, nel sito di Bari- Cavour la fonte principale degli ossidi di azoto sono le emissioni degli autoveicoli che caratterizzano questa arteria 26
Puoi anche leggere