"NOMEN PLURALE TANTUM". LE CONFISCHE TRA PRINCIPI COSTITUZIONALI E CONVENZIONALI - La legislazione penale

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                     “NOMEN PLURALE TANTUM”. LE CONFISCHE TRA
                      PRINCIPI COSTITUZIONALI E CONVENZIONALI.
                                UNA INTRODUZIONE (*)

                                  di Donato Castronuovo
            (Professore ordinario di diritto penale presso l’Università di Ferrara)

           SOMMARIO: 1. Confische: “nomen plurale tantum”. - 2. Da “il delitto non
             paga” a “il delitto ha un costo”: vertigini efficientistiche. - 3. La faticosa
             rilettura garantistica delle confische. - 4. Chiusa.

   1. Da almeno mezzo secolo ormai, e non da ieri, come potrebbe sembrare leggendo
molte ricostruzioni correnti, si deve parlare delle “confische” al plurale 1.
   Al plurale perché il concetto base – la confisca come espropriazione di beni connessi
a un reato – non si è soltanto diversificato nelle forme, ma è già da tempo
semanticamente esploso, ricomprendendo nel perimetro del suo significato strumenti
di ablazione patrimoniale strutturalmente assai lontani da quella nozione di partenza:
misure patrimoniali – spesso riconducibili a vere e proprie espressioni del diritto penale
di lotta, per dirla con Massimo Donini 2 – che, rispetto al prototipo codicistico,
presentano morfologie geneticamente modificate, funzioni politico-criminali
eterogenee, discipline diversificate. L’adagio “pluralista” può essere ribadito
riprendendo le parole di una vecchia sentenza della Consulta: «Ciò che […] spetta di

(*) Si tratta dell’introduzione al volume Confische e sanzioni patrimoniali nella dimensione interna ed europea, a
cura di D. Castronuovo e C. Grandi, in corso di pubblicazione per i tipi di Jovene editore, Napoli, 2021.
1
  Avvertiva la oggi evidentissima molteplicità di istituti recanti la stessa denominazione già, per esempio, C. cost.,
9.12.1961 n. 29, la quale, in merito alla confisca di beni per delitti legati al fascismo, dichiarava non fondata
l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 1 d.lgs. luogotenenziale 26.3.1946 n. 134, Inquadramento nel
sistema tributario dell’avocazione dei profitti di regime: «È noto che la confisca può presentarsi, nelle leggi che la
prevedono, con varia natura giuridica. Il suo contenuto, infatti, è sempre la stessa privazione di beni economici,
ma questa può essere disposta per diversi motivi e indirizzata a varia finalità, sì da assumere, volta per volta,
natura e funzione o di pena, o di misura di sicurezza, ovvero anche di misura giuridica civile e amministrativa.
Ciò che, pertanto, spetta di considerare non è una astratta e generica figura di confisca, ma, in concreto, la
confisca così come risulta da una determinata legge», in www.cortecostituzionale.it.
2
   M. Donini, “Diritto penale di lotta” vs “diritto penale del nemico”, in Contrasto al terrorismo interno e
internazionale, a cura di R.E. Kostoris, R. Orlandi, Torino 2006, 19 ss.
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considerare non è una astratta e generica figura di confisca, ma, in concreto, la confisca
così come risulta da una determinata legge»3.
   Un termine, dunque, da declinare necessariamente al plurale, in coerenza con la
insostenibile variabilità tipologica di riferimento4. La confisca, tuttavia, nel disegno
originario del codice Rocco, era – avrebbe dovuto essere – una misura di sicurezza
patrimoniale avente, in via tendenziale, tratti unitari. Il modello codicistico di confisca
è sempre stato percepito anch’esso come altamente “problematico”, e da vari punti
vista, perché assai peculiare: un oggetto curioso, non foss’altro perché implica e
suppone una pericolosità sociale insita nelle cose. Un requisito, quest’ultimo, che mi è
sempre parso ispirato a religioni animistiche…
   Nondimeno, quel modello era fondato su alcune regole, statuite all’art. 240 del
codice penale, che restituivano una nozione ancora declinabile al singolare:
   - la confisca è tendenzialmente facoltativa (così è per le cose che servirono o furono
destinate a commettere il reato o che ne sono il prodotto o il profitto) e solo
eccezionalmente obbligatoria (per il prezzo del reato e per le cose la cui fabbricazione
o detenzione o alienazione o il cui uso o porto costituisce reato);
   - la confisca è fondata sul requisito (ontologico) del nesso di pertinenzialità del bene
con il reato;
   - la confisca richiede normalmente una pronuncia di condanna (l’eccezione riguarda
le cose la cui fabbricazione etc. costituisce reato, che sono confiscate anche se non è
stata pronunciata condanna).
   A questo modello codicistico di confisca si sovrappongono quelle numerose ipotesi
speciali, proliferate a dismisura, che rappresentano singolari modificazioni genetiche di
quel modello, in cui si capovolge il rapporto tra regola ed eccezione 5. Ed ecco che:
   - le ipotesi speciali di confisca, di volta in volta introdotte nell’ordinamento
giuridico, sono tutte obbligatorie;
   - queste fattispecie si fondano su paradigmi di pericolosità sociale ancor più sfumati
e ambigui, se non inesistenti, rispetto alla confisca dell’art. 240 c.p., o addirittura
“invertiti” rispetto allo stesso modello criminologico tradizionale di riferimento: così,
se in passato la pericolosità era spesso legata a una condizione di povertà del soggetto,
in tempi recenti essa è per lo più legata a una ricchezza ingiustificata o sospetta;

3
  Si tratta della già menzionata sentenza: C. cost., 9.12.1961 n. 29.
4
  Si veda, in merito, per es., E. Nicosia, La confisca, le confische, Torino 2012. Cfr., altresì, T.E. Epidendio, La
confisca nel diritto penale e nel sistema delle responsabilità degli enti, Padova 2011. Per una rassegna completa si
può fare riferimento, ad es., a Codice delle confische, a cura di T.E. Epidendio, G. Varraso, Milano 2018.
5
  Sulle molteplici questioni poste da alcune ipotesi speciali e settoriali di confisca, si rinvia a diversi contributi al
presente volume, tra i quali si segnalano le approfondite trattazioni di: G. Varraso, Le confische e i sequestri in
materia di reati tributari dopo il “decreto fiscale” n. 124 del 2019; e A. Perini, La confisca 231 al banco di prova del
diritto penale societario. Si veda inoltre M. Tebaldi, Responsabilità degli enti collettivi e reati tributari. Evoluzioni
in materia di confisca, infra in questo volume.
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   - inoltre, quelle geneticamente modificate sono forme di ablazione in cui si
affievolisce grandemente (confisca per equivalente) o non si richiede affatto (confisca
di prevenzione e confisca allargata) il nesso tra bene oggetto di apprensione pubblica e
reato;
   - tali tipologie prescindono, infine, in vari casi, dalla pronuncia di una condanna
(confisca di prevenzione, confisca urbanistica).

   2. Non va sottaciuto come la vecchia confisca del codice fascista avesse mostrato la
corda, manifestando tutta la sua inadeguatezza rispetto alle esigenze della politica
criminale moderna e ai suoi – non sempre condivisibili – programmi efficientistici di
matrice interna o sovranazionale. Inadeguatezza percepita o professata non soltanto –
come si potrebbe essere portati a credere – a fronte dei fenomeni criminali organizzati
e di più rilevante impatto sul sistema economico, bensì anche rispetto a violazioni di
media, dubbia o finanche inesistente rilevanza criminale sul piano dell’accumulazione
patrimoniale illecita: vale la pena di ricordare che nei “modernissimi” cataloghi di reati
“sensibili” alle confische speciali spuntano, ad esempio, reati insospettabili come quelli
sessuali o lo stalking…
   Il paradigma efficientistico della politica criminale contemporanea sembra oramai
incline non più tanto alla regola – impeditiva – “il delitto non paga”6, ma a quella –
proattiva – “il delitto (o il sospetto di delitto) ha un costo patrimoniale”: un costo
patrimoniale per l’autore, o per un tipo di autore, ma anche per altri soggetti terzi
innocenti. Questo paradigma efficientistico – proteso a conseguire la “neutralizzazione
patrimoniale” del crimine andando ben oltre la mera ablazione di plusvalenze illecite
– ha fatto della confisca, con il sequestro che la precede come un’ombra inquietante, il
suo principale ordigno punitivo. Ciò è stato reso possibile svincolando in varia guisa il
concetto di confisca dai limiti strutturali sopra evocati (facoltatività, pertinenzialità,
condanna) ed estendendone l’area di applicazione molto al di là dei soli settori della
criminalità economica o del profitto.
   Il mantra – per molti versi comprensibile – della politica criminale internazionale
contemporanea è diventato: una efficace strategia di contrasto al crimine deve prendere
di mira i patrimoni 7 . Un imperativo politico-criminale votato, come detto,
all’efficienza, ispirato a paradigmi specialpreventivi di neutralizzazione economica, ma
non privo di forti accenti di deterrenza e di sfumature retributive. Ecco, dunque,

6
  V., ad es., V. Manes, L'ultimo imperativo della politica criminale: nullum crimen sine confiscatione, in RIDPP
2015, 1259 ss.
7
  Sui profili europei di tale politica criminale, si vedano, infra in questo volume, le analisi di A.M. Maugeri, La
direttiva 2014/42/UE come strumento di armonizzazione della disciplina della confisca nel diritto comparato; e di
C. Grandi, Il mutuo riconoscimento dei provvedimenti di confisca alla luce del regolamento (UE) 2018/1805.
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inevitabilmente, la riscoperta delle confische – e del loro antesignano “cautelare”, dai
modi più spicci e, quindi, se possibile, dagli effetti ancor più devastanti: il sequestro 8.
   Si tratta, tuttavia, della “riscoperta” di uno strumento ambivalente, ma anche
ambiguo: di cui si avvertono facilmente le virtù di efficace contrasto all’accumulazione
di capitali illeciti; ma di cui spesso si trascurano i problemi di potenziale conflitto con
i diritti fondamentali riconosciuti sul piano costituzionale e convenzionale 9.
   Le confische rappresentano uno di quegli strumenti della politica criminale
contemporanea capaci di suscitare l’impressione che, quando l’attenzione si sposta in
maniera troppo disinvolta dalla repressione di fatti di reato al contrasto a fenomeni
criminali, i mezzi utilizzati finiscano per autolegittimarsi in funzione degli scopi
perseguiti. Insomma, si finisce per ingenerare l’idea che la (sacrosanta) lotta alla
criminalità economica o del profitto possa – e dunque debba – usare gli strumenti più
efficaci, costi quel che costi in termini di sacrificio (illegittimo) delle garanzie.
   Le conseguenze in termini di rispetto dei princìpi paiono esiziali, potendo condurre
a soluzioni incontrollate e finendo per convalidare apparenti assiomi efficientistici, che
sono e restano sbilenchi10.
   Gli obiettivi di politica criminale non possono sovrapporsi completamente agli
strumenti sostanziali e processuali escogitati per perseguirli, esaurendosi in essi, senza
tenere in conto i limiti posti dai principi di garanzia. Nessun sistema giuridico
d’ispirazione liberale può permettersi di punire fenomeni invece che fatti, per lo meno
non senza tradire sé stesso.

   3. A questa vertigine efficientistica non sfuggono le giurisdizioni superiori, quella
romana così come quella alsaziana. Per la verità, tanto è stato fatto in direzione di una
rilettura più garantistica delle confische nella giurisprudenza interna ed europea.
Tanto però, senza dubbio, resta da fare.
   Si pensi alla perdurante (o pervicace?) tendenza a riconoscere nella confisca di
prevenzione e in quella allargata la natura di misure non sanzionatorie, sia nella
giurisprudenza interna sia in quella europea, con conseguente applicazione ad esse di
uno statuto di garanzie non penalistico e perciò “dimezzato”.

8
   Sul sequestro finalizzato alla confisca nel contesto del delitto di riciclaggio, cfr. S. Bolis, Sequestro finalizzato
alla confisca in materia di riciclaggio, infra in questo volume.
9
   Per talune delle questioni emerse sul piano euro-convenzionale, si rinvia ai contributi di G. Felici, Confiscation
non-conviction based: alcune riflessioni sulla giurisprudenza della Corte Edu; e di A. Scarcella, La confisca
urbanistica tra interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata: possibile la quadratura del
cerchio?, entrambi infra in questo volume.
10
   Per uno spaccato sui possibili effetti della confisca italiana (sub specie di confisca allargata) su ordinamenti
stranieri, cfr., in relazione al “trapianto” nel diritto elvetico, l’articolato saggio di M. Postizzi, Trapianti
confiscatori di diritto italiano nella recente giurisprudenza svizzera, infra in questo volume.
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   Pragmatismo impone che i postulati del c.d. diritto penale classico richiedano degli
adattamenti con riferimento agli strumenti del c.d. diritto penale moderno,
allorquando si presentino esigenze di tutela o difesa sociale avvertite come
fondamentali per la stessa esistenza di una società democratica o per la salvaguardia
di un tessuto socio-economico sano. Una efficace rappresentazione della relatività dei
canoni di garanzia è quella che fa ricorso all’immagine della tirannia dei principi
costituzionali in materia penale, che tendono a massimizzare la loro portata e i loro
effetti in presenza della pena per eccellenza, quella carceraria, ovvero, più in generale,
quando è in gioco la libertà personale; e, invece, ad affievolirsi al cospetto di misure
esclusivamente patrimoniali e non convertibili in sanzioni limitative della libertà
personale11.
   È oramai evidente, tuttavia, come, in presenza di “misure reali”, si tratti di
individuare entro quali limiti l’allentamento dei tradizionali vincoli garantistici sia
(costituzionalmente e convenzionalmente) ancora legittimo. In questo senso, basti
rammentare una considerazione ovvia: misure patrimoniali come le confische non
colpiscono soltanto… patrimoni, ma, come dei magli, sono capaci di travolgere
l’esistenza stessa delle persone coinvolte.
   Da qui la pressante esigenza di comparare con i principi fondamentali la cangiante
natura, la diversificata funzione, l’eterogenea struttura di ogni singola tipologia di
confisca.
   Provo, qui, soltanto ad abbozzare un inventario – ancora incompleto – dei principali
“attriti” tra le confische e i principi evocati, catalogo che sarà poi adeguatamente
approfondito nei successivi contributi del volume.
   Rispetto alla generalizzata previsione della obbligatorietà delle confische speciali e
alla conseguente scarsa o nulla flessibilità applicativa che le caratterizza, viene in causa
il rispetto del principio di proporzione rispetto allo scopo di interesse pubblico
perseguito12.
   Le varie forme di confisca senza condanna e quindi senza reato accertato (da quella
di prevenzione a quella urbanistica), in quanto forme ablative fondate anche solo su
indizi o sospetti oppure su un reato estinto per prescrizione, mettono in gioco
quantomeno il principio di presunzione di non colpevolezza (art. 27 della Costituzione
e art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo)13.

11
   M. Donini, Teoria del reato. Una Introduzione, Padova 2006.
12
   Per come messo in luce anche dalla Corte di Strasburgo, con riferimento all’art. 1 del Protocollo addizionale
alla Convenzione EDU, dedicato al diritto di proprietà privata, in Sud Fondi c. Italia del 2009, Varvara c. Italia
del 2013 e, infine, dalla Grande Camera in GIEM c. Italia del 2018.
13
   Cfr. G. Felici, op. cit.; A. Scarcella, op. cit.; F. Nicolicchia, La confisca in assenza di "condanna formale" alla prova
dell'ordinamento processuale, infra in questo volume. Sul tema del conflitto con il principio di presunzione di
innocenza, più in generale, F. Morelli, La prova dei presupposti della confisca all'insegna del conflitto radicale con
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   La confisca per equivalente – con la sua funzione di confisca “acchiappatutto”, specie
là dove nell’applicazione giurisprudenziale si spezzi totalmente il nesso tra reato e
bene, o quando il bene sia fungibile, come nel caso del danaro, o corrisponda al
risparmio di spesa – mostra carenze in termini di legalità-determinatezza, capaci di
neutralizzare le garanzie derivanti dal riconoscimento (operato oramai da parte della
stessa giurisprudenza) della sua natura di sanzione14.
   La confisca allargata o per sproporzione 15 esibisce, dal canto suo, numerose
criticità16.
   In primo luogo, il bene è totalmente svincolato da un nesso con il reato per cui è
intervenuta, anche in tempi remoti, una condanna o un patteggiamento. In secondo
luogo, non si prevede in maniera esplicita un confine cronologico per la presunzione
di provenienza illecita (benché la giurisprudenza della Cassazione abbia provato a
circoscrivere l’area dei beni confiscabili, limitandoli a quelli acquisiti in un arco
temporale ragionevolmente correlato a quello in cui il soggetto risulti essere stato
impegnato in attività criminose): da qui problemi notevoli in termini di
proporzione/ragionevolezza. Ma soprattutto, questioni importanti si addensano sulla
confisca allargata in considerazione della presunzione di illecita accumulazione, della
previsione dell’onere di giustificazione circa la provenienza lecita, del riferimento a
fatti-reato solo sintomatici di un illecito arricchimento.
   I reati presupposto della confisca allargata (in parte coincidenti con quelli della
confisca di prevenzione) hanno subito un incremento vertiginoso e incoerente, che ha
allontanato l’area di incidenza della misura dal settore originario della macro-
criminalità organizzata – che ne aveva motivato l’introduzione nell’ordinamento
all’indomani delle stragi di mafia di Capaci e via d’Amelio – verso fattispecie sempre
più eterogenee rispetto alla criminalità organizzata e del profitto, nonché tra di esse
disomogenee. La legittimità della confisca allargata è precariamente ricavata, in
giurisprudenza, attaccandola all’esile filo della sua qualificazione come “misura di
sicurezza atipica”…, con possibile applicazione retroattiva.
   La confisca di prevenzione (art. 24 del codice antimafia), infine, si distingue, a fatica,
da quella allargata.

la presunzione di innocenza, infra in questo volume.
14
   Sulle persistenti aporie di tale (famigerato) congenere di misure ablative, L. Sirotti, La confisca per equivalente:
problemi applicativi, infra in questo volume.
15
    Oramai inserita nel codice penale all’art. 240-bis, la confisca allargata, come noto, è disposta
obbligatoriamente, in caso di condanna o patteggiamento per un catalogo assai esteso ed eterogeneo di reati, sui
beni di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona, risulti
avere la disponibilità in valore sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta.
16
   Cfr. M. Postizzi, op. cit.
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    Certo, la confisca allargata è applicata in un procedimento penale, di cognizione o
di esecuzione, e ha come presupposto la condanna o il patteggiamento per un novero
(ipertrofico) di fattispecie di reato; la confisca di prevenzione è invece applicata nel
procedimento di prevenzione, prescinde dalla commissione di un reato, ha come
presupposto forme di pericolosità generica o specifica e si accontenta del mero
sospetto (basta essere indiziati di un novero, anche questo ipertrofico, di reati). Del
resto, è applicabile disgiuntamente dalla misura di prevenzione personale (come la
sorveglianza speciale) e indipendentemente dalla pericolosità del soggetto proposto
(art. 18 del codice antimafia).
    Ma in comune hanno la natura di “confische di patrimoni sospetti”: sono ipotesi di
«confisca dei beni di sospetta origine illecita», come le denomina la Corte
costituzionale: hanno lo scopo di recidere il legame tra il reo o, rispettivamente, il
sospettato e il suo patrimonio; dunque, prescindono dalla sussistenza di un nesso tra
il bene e il reato. Sono entrambe altresì “confische per sproporzione”: colpiscono beni
di cui il titolare (anche per interposta persona) non possa giustificare la legittima
provenienza e che risultino sproporzionati al reddito o all’attività (nonché, per l’art. 24
del codice antimafia, beni frutto di attività illecite o loro reimpiego), quindi con
presunzione di provenienza illecita. Infine tutt’e due possono caratterizzarsi anche
come “confische per equivalente”17.
    Vista la notevole somiglianza con quella allargata, anche la confisca di prevenzione
appare, dunque, come un condensato di criticità sul piano del rispetto dei diritti
fondamentali. Si possono evocare il diritto di proprietà e la libertà di iniziativa
economica (in relazione alla perdita del nesso di pertinenzialità, all’applicabilità nei
confronti di terzi, di eredi etc.); il principio di legalità (determinatezza/prevedibilità);
la violazione del principio di presunzione di non colpevolezza (per la presunzione di
illiceità), il principio del giusto processo…
    La Corte costituzionale, nella sentenza n. 24/2019 – condividendo la valutazione di
eccessiva genericità dei potenziali destinatari delle disposizioni censurate, già espressa
nel 2017 dalla Corte di Strasburgo in de Tommaso 18 – ha stabilito che è illegittimo
sottoporre (alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e) alla misura di
prevenzione della confisca le persone che «debbano ritenersi, sulla base di elementi di
fatto, abitualmente dedite a traffici delittuosi» (la figura di pericolosità generica

17
   Si veda C. cost., 27.2.2019 n. 24 in www.cortecostituzionale.it: «La confisca “di prevenzione” e la confisca
“allargata” (e i sequestri che, rispettivamente, ne anticipano gli effetti) costituiscono dunque altrettante species
di un unico genus, che questa Corte – nella sentenza [n. 33/2018] – ha identificato nella “confisca dei beni di
sospetta origine illecita” – ossia accertata mediante uno schema legale di carattere presuntivo –, la quale
rappresenta uno strumento di contrasto alla criminalità lucrogenetica ormai largamente diffuso in sede
internazionale».
18
   Corte eur. GC, 23.2.2017, de Tommaso c. Italia.
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dell’art. 1 lett. a). E ciò per il difetto di determinatezza della norma. La stessa Corte
romana ha invece ritenuto, sulla base del diritto vivente, che sia sufficientemente
determinata l’altra ipotesi di pericolosità generica di cui alla lett. b), riguardante chi
vive abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose. Restano intonse,
quali presupposti della confisca di prevenzione, anche le fattispecie di pericolosità
specifica o qualificata: riguardanti gli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose
o indiziati di uno dei (tanti) reati associativi o reati scopo, o di reati con finalità di
terrorismo, o realizzati in occasione di manifestazioni sportive, o contro la pubblica
amministrazione, elencati o richiamati mediante rinvio dall’art. 4 cod. antimafia, fino
ad arrivare ai maltrattamenti in famiglia e allo stalking.
   Quanto al futuro delle misure di prevenzione, si tratta di seguire le possibili
conseguenze (indirette) che ancora deriveranno dalla sentenza della Grande Camera
in de Tommaso contro Italia, attualmente in fase di controllo di esecuzione dinanzi al
Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, deputato a monitorarne la corretta
implementazione da parte delle Autorità nazionali19.
   Benché la pronuncia abbia affermato la incompatibilità con il diritto convenzionale
(in relazione alla libertà di circolazione ex art. 2 Protocollo n. 4, Cedu) delle misure di
prevenzione personali fondate sulle fattispecie di pericolosità “generica” oggi
contenute nell’art. 1 del codice antimafia, effetti indiretti di questa sentenza della
Grande Camera potrebbero ancora riguardare anche le misure patrimoniali (pure
fondate sulle fattispecie di pericolosità generica): effetti, come accennato, che si sono
già manifestati, anche se solo in parte, nella sentenza n. 24 del 2019 della Consulta.
   «Vero è» – come aveva scritto il giudice redattore della sentenza n. 24 solo un paio
di anni prima, commentando la pronuncia della Grande Camera – «che le misure
patrimoniali incidono – per definizione – su un diverso diritto convenzionale: il diritto
di proprietà, riconosciuto dall’art. 1 prot. add. Cedu. Ma anche le limitazioni al diritto
di proprietà sono legittime in quanto “previste dalla legge”; e anche rispetto all’art. 1
prot. add. Cedu la consolidata giurisprudenza di Strasburgo richiede che la base legale
risponda ai medesimi requisiti di qualità – in termini, in particolare, di idoneità della
normativa a consentire all’interessato di prevedere la misura limitativa del diritto – che
valgono per la limitazione di qualsiasi diritto convenzionale. Di talché è del tutto
ragionevole ritenere che la Corte possa giudicare in futuro incompatibili con gli
standard convenzionali anche le misure di prevenzione patrimoniali emesse nei
confronti dei soggetti di cui all’art. 1 lett. a) [soggetti abitualmente dediti a traffici

19
  Cfr. A. Tarallo, CEDU e misure di prevenzione: un primo bilancio in vista del controllo sull’esecuzione della
sentenza De Tommaso, in www.archiviopenale.it, 11.6.2020.
La legislazione penale
ISSN: 2421-552X                                         8                                          27.5.2021
Opinioni                                    “Nomen plurale tantum”                               D. Castronuovo

delittuosi] e b) [coloro che vivano abitualmente con i proventi di attività delittuose],
per il tramite di cui all’art. 4 lett. c), del codice antimafia»20.
    Come ben sappiamo, però, la Corte costituzionale è un organo collegiale e la
illegittimità costituzionale è stata dichiarata soltanto per la prima e non anche per la
seconda ipotesi di pericolosità generica. Per la Consulta, le misure di prevenzione
patrimoniali continuano a non avere lo statuto di pene 21.

   4. Lo statuto garantistico dimidiato delle confische dipende in gran parte dalla
sperimentata incongruenza del criterio di distinzione utilizzato in giurisprudenza:
confische di natura sanzionatoria vs. confische di natura preventiva, là dove solo alle
confische-sanzioni (confisca per equivalente) si riconosce una copertura
costituzionale più piena; mentre alle confische fondate sul paradigma della
prevenzione o della pericolosità, in quanto equiparabili alle misure di sicurezza o
comunque a misure “ripristinatorie”, si attaglierebbe uno statuto meno esigente sul
piano delle garanzie. Statuto che, comunque, andrebbe ricostruito quanto meno al
metro del diritto di proprietà, della libertà di iniziativa economica, nonché del giusto
processo.
   Anche nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, oltre che in quella interna,
tale incongruenza sembra derivare da una sorta di inversione metodologica, in base
alla quale si ricava la natura non penale della misura - alla quale consegue
l’applicazione di uno statuto costituzionale e convenzionale meno rigoroso – non tanto
dagli effetti (afflittivi), bensì dalle finalità che ne hanno motivato l’introduzione
(contrastare efficacemente la criminalità organizzata e del profitto ed impedire che
patrimoni e capitali di origine sospetta inquinino il circuito economico legale). Tale
inversione metodologica sembra consistere anche in ciò: proprio l’assenza dei requisiti
garantistici che caratterizzano la matière pénale (legalità-prevedibilità; presunzione di
non colpevolezza; personalità della responsabilità) dovrebbe indurre (attesa la
indubitabile afflittività delle confische “per sproporzione”) a qualificarle come
strumento sanzionatorio: invece, si ha l’impressione che le corti desumano dal
mancato rispetto di quei canoni costituzionali e convenzionali la natura di misura a
connotazione preventiva e non punitivo-repressiva. In sostanza, il ragionamento
sembra seguire un canone inverso: se una data tipologia di misura ablativa non ha i
requisiti costituzionali e convenzionali della pena, non sarà mica una pena!

20
   F. Viganò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione
personali, in DPC, 3.3.2017.
21
   C. cost., 27.2.2019 n. 24: «La presunzione relativa di origine illecita dei beni, che ne giustifica l’ablazione in
favore della collettività, non conduce necessariamente – come talvolta si sostiene – a riconoscere la natura
sostanzialmente sanzionatorio-punitiva delle misure in questione; e non comporta, pertanto, la sottoposizione
delle misure medesime allo statuto costituzionale e convenzionale delle pene».
La legislazione penale
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    In definitiva, l’assenza di requisiti garantistici non rende le confische legittime in
quanto, allora, non possono assumere natura penale; inoltre, il fatto che si tratti di
arnesi oramai indispensabili sul piano delle politiche criminali (nazionali,
transnazionali, internazionali, europee), non basta a rendere le confische, per ciò solo,
anche – sempre e comunque – legittime sul piano dei diritti fondamentali.
   La promessa di efficienza repressiva non può – non deve – essere l’unico criterio di
valutazione: salvo non arrendersi alla vertigine evocata nelle pagine che precedono.
Senza contare che sul giudizio di efficienza di un istituto o apparato incidono anche le
conseguenze che lo stesso è in grado di provocare, specialmente in presenza di un suo
utilizzo disinvolto: conseguenze sulla vita di individui, famiglie e imprese, quando non
su una più vasta comunità, sulle condizioni socio-lavorative di un territorio o, come
indicano alcune vicende giudiziarie in tema di macro-sequestri, addirittura sulla stessa
economia nazionale.
   Molti dei profili qui soltanto sfiorati o passati in fugace rassegna troveranno speciale
approfondimento nei cospicui contributi in cui si articola il volume.
   Buona lettura!

La legislazione penale
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