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233 Etica & Politica / Ethics & Politics, XXI, 2019, 1, pp. 233-254 ISSN: 1825-5167 LE MATRICI ETICHE NELLA CONSERVAZIONE DELLA BIODIVERSITA’ PIERFRANCESCO BIASETTI Independent researcher Padua, Italy pierfrancesco.biasetti@gmail.com BARBARA DE MORI Department of Comparative Biomedicine and Food Science University of Padua, Italy barbara.demori@unipd.it A BSTRACT Ethical issues and general conflicts of values intrinsically dominate the field of conservation. Therefore, in their practical efforts, conservationists need to refer not only to concepts and theories, but also to more practical tools for decision making. In this paper it is described an already existing tool, the Ethical Matrix, originally designed to deal with issues in the field of food ethics, in its potentiality to support decision making in the field of conservation. The Ethical Matrix is a conceptual tool devised to help identify stakeholders and their needs by supplying ethical analysis with a transparent, articulated and clear framework of the relevant principles involved in a decision-making process. After briefly detailing what an EM is, the paper discusses its relevance for the main kinds of moral issues arising from conservation. It will then be sketched the outline of a general EM to be used in conservation by individuating classes of stakeholders and debating the general ethical principles and their application. K EYWORDS Ethical matrix, conservation, ethical decision-making process in conservation, stakeholders 1. INTRODUZIONE La matrice etica (d'ora in poi ME) è uno strumento concettuale il cui scopo è facilitare i processi decisionali in etica fornendo ai decisori un quadro trasparente, articolato, e immediatamente comprensibile degli aspetti eticamente rilevanti della situazione analizzata. Sviluppata da Ben Mepham negli anni novanta del secolo
234 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI trascorso1, la ME nasce avendo come ambito di applicazione la food ethics, dove è stata adoperata per individuare e analizzare le questioni etiche relative all'introduzione di nuove tecnologie o all'uso di quelle già esistenti nei campi dell'agricoltura, dell'allevamento, della pesca e della produzione alimentare2. Lo schema generale della ME si è però rivelato molto plastico e adattabile e, opportunamente modificato, ha trovato diverse applicazioni fuori del suo contesto originario. Scopo di questo contributo è esplorare le possibilità di utilizzare la ME anche nei processi decisionali relativi all'ambito della conservazione e fornirne uno schema generale. Il termine «conservazione» verrà adoperato per indicare tutte quelle attività, scientificamente fondate, di tutela, salvaguardia e ripristino degli ambienti naturali, degli ecosistemi, della flora e della fauna selvatica, e, più in generale, della biodiversità. Esempi di questo genere di attività sono sia i processi di gestione della fauna selvatica nei parchi nazioni sia i programmi di riproduzione gestiti nelle strutture zoologiche, l'istituzione e la gestione di banche genetiche e del germoplasma, l'educazione al rispetto per l'ambiente e i progetti di difesa delle aree «incontaminate» del pianeta, la raccolta di dati finalizzata alla protezione degli ecosistemi a rischio e delle specie in via d'estinzione, e così via. La pratica della conservazione solleva, a tutti i suoi livelli, questioni etiche fondamentali. Per questo motivo strumenti come la ME possono essere un utile strumento per la «cassetta degli attrezzi» dei conservazionisti alle prese con processi decisionali eticamente rilevanti. Nelle prossime pagine, dopo aver esposto lo schema generale della ME, verrà individuato il genere di problemi etici legati alla conservazione cui è possibile applicare la ME. Verrà poi delineato un modello rivisto della ME adattato alle esigenze sollevate dai problemi etici relativi alla conservazione, attraverso un'analisi degli stakeholder e dei principi etici generali di riferimento. 2. LA MATRICE ETICA Presa in astratto, una ME è una griglia di righe e colonne, in cui in ogni casella sono messi in relazione uno stakeholder e un principio etico generale. Con «stakeholder» s'intende una parte interessata dal processo decisionale, o perché parte attiva nella situazione descritta, o semplicemente perché affetta. Con «principio etico generale» si definisce invece un aspetto influente e ideale della morale comune. 1 Vedi Mepham (1996a). 2 Alcuni esempi di applicazione in questo senso si trovano in Millar (2000), Kaiser & Forsberg (2001), Forsberg (2004), Kaiser et al (2007), Millar & Tomkins (2007), Lam & Pitcher (2012), Bremen et al (2015).
235 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità Il modello originario sviluppato da Mepham prevedeva quattro stakeholder e tre principi etici generali. Sia gli stakeholder, sia i principi etici generali erano stati scelti per un'applicazione della ME alla valutazione delle tecnologie agroalimentari. Gli stakeholder comprendevano pertanto il tipo di organismi animali affetti dalla tecnologia valutata3, i produttori, i consumatori, e il biota locale. I principi etici generali erano invece quelli del benessere [well-being], dell'autonomia [autonomy], e della giustizia [justice]. La tabella 1 riassume principi e stakeholder originari, e rappresenta una ME prima di essere compilata. Tabella 1 Benessere Autonomia Giustizia Organismo Produttori Consumatori Biota Una volta impostata, la matrice prevede di indicare in ogni casella lasciata vuota nella tabella 1 gli interessi morali relativi alla situazione di ogni stakeholder per ognuno dei tre principi etici generali. Così, per esempio, relativamente alle nuove tecnologie agroalimentari, la riga dei produttori potrebbe essere compilata inserendo “adeguati guadagni e condizioni di lavoro” nella colonna del «benessere», “libertà di scelta riguardo all'impiego della tecnologia” nella colonna dell'«autonomia», “trattamento equo nel commercio e nella legislazione” nella colonna della «giustizia»4. Più dettagli conosciamo sulla situazione da analizzare e più specifico e ricco sarà il contenuto delle caselle nel descrivere le richieste morali dei vari stakeholder sulla base dei principi etici generali. Al termine del processo di analisi, la ME mira ad offrire un quadro sintetico e completo degli 3 Nel caso l'oggetto della tecnologia presa in questione sia una specie vegetale o comunque non senziente la questione se essa possa comunque essere considerata uno stakeholder è lasciata sostanzialmente aperta da Mepham: posto infatti che una pianta non può essere considerata un organismo senziente, ci si può comunque porre secondo Mepham il problema del rispetto della sua natura – o del suo valore intrinseco. Sulla questione vedi Mepham (1996a) e (2000). 4 Queste applicazioni dei principi etici generali sono presi da Mepham (1996a). Un'analisi più dettagliata della questione sarà condotta più avanti nel paragrafo 5.1.
236 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI interessi morali delle parti, permettendo così ai decisori di valutare l'impatto del processo decisionale sulle richieste morali degli stakeholder e giungere ad una decisione conclusiva. Naturalmente, le conclusioni del processo decisionale non possono essere «dedotte» dalla compilazione di una ME. Di per sé, la matrice è uno strumento descrittivo, non prescrittivo, poiché il suo scopo non è quello di costruire un algoritmo decisionale che possa sostituirsi ai decisori, ma quello di fornire un quadro il più possibile esauriente e articolato degli interessi morali in gioco5. La ME, in pratica, punta a fornire una lista esauriente e degli interessi e delle richieste morali di tutte le parti coinvolte in una situazione eticamente rilevante e potenzialmente conflittuale. Questa lista è – o quanto meno aspira a essere – pluralista ed eticamente neutrale rispetto a teorie morali particolari, assolvendo in questo modo a un imperativo etico fondamentale legato ai processi decisionali, quello dell'imparzialità6. All'interno di un processo decisionale, la compilazione della ME si situa quindi tra la fase della raccolta dei dati relativi alla situazione analizzata e la valutazione morale vera e propria: può essere vista come il momento di analisi o della raccolta, per così dire, dei «dati etici» prima del giudizio vero e proprio7. La compilazione di una ME può avvenire grazie a due metodologie. Una prima metodologia, di genere top-down, prevede che la matrice sia compilata da uno o più «esperti etici» i quali, una volta raccolti tutti i dati relativi alla situazione analizzata, li mettono in relazione coi principi morali generali, e costruiscono così lo strumento completo per i decisori. La seconda metodologia, di genere bottom- up, prevede invece che la matrice sia compilata attraverso il dibattito e la discussione di gruppi formati da «addetti ai lavori» relativi alla situazione analizzata e membri degli stakeholder. In entrambi i casi, la compilazione può essere arricchita da un ulteriore passaggio – su base partecipativa, per quanto riguarda la procedura top-down, oppure frutto di un'expertise etica per quanto riguarda la 5 Accanto a questo genere di ME legata ai principi, Mepham ha poi sviluppato un secondo tipo di ME legata invece alle politiche che è necessario perseguire per rispettare i principi (vedi Mepham 2010). Lo schema generale delle due matrici è lo stesso: la differenza è che le caselle, invece di essere riempite dalle applicazioni particolari dei principi etici generali, sono invece occupate con l'elenco delle misure possibile che possono favorire il benessere, l'autonomia, e la giustizia de gli stakeholder. 6 Sulla rilevanza etica dell'imparzialità e del pluralismo delle ME vedi Forsberg (2007). 7 È comunque possibile – e previsto dal manuale di utilizzo delle ME (vedi Mepham et al 2006) – assegnare al contenuto delle varie caselle un «peso specifico» differenziale in termini di rilevanza etica, costruendo in questo modo uno strumento di appoggio all'ultima fase del processo decisionale. Di per sé, però, questa è un'operazione di tipo valutativo ulteriore rispetto alla compilazione della matrice stessa.
237 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità procedura bottom-up – in modo da fondere gli aspetti positivi di entrambe le metodologie e raggiungere un maggior grado di imparzialità e completezza8. Uno degli aspetti più interessanti della ME è la sua plasticità. Lo schema generale presentato nella tabella 1 è infatti stato adattato, nel tempo, a situazioni anche molto diverse dalla valutazione delle tecnologie agroalimentari, come le situazioni generate dall’esercizio della medicina veterinaria, o dall’applicazione delle biotecnologie in genere. Nelle prossime pagine, si cercherà di mostrare l’utilità di applicarlo alla pratica della conservazione Prima però di mettere mano al modello di ME, è necessario approfondire meglio quali sono i caratteri generali dei processi decisionali cui si vuole applicarlo. 3. LE QUESTIONI ETICHE NELLA CONSERVAZIONE Le questioni etiche sollevate nella conservazione sono svariate e di generi diversi. A un livello teorico e generale, è lecito chiedersi per esempio quali siano le ragioni che sorreggono l'intera impresa della conservazione, e quali siano i valori che la ispirino9. La stessa nozione di biodiversità, a sua volta, è un concetto «spesso» che interseca importanti questioni normative nella sua definizione10. Oltre a questioni di natura teorica, la conservazione solleva quotidianamente svariate problematiche di tipo etico legate alla sua pratica. È a quest'ultimo tipo di questioni che l'ausilio delle ME può risultare utile. Nello specifico, queste problematiche possono essere suddivise in due categorie. Da una parte abbiamo tutte quelle situazioni in cui è necessario definire le priorità della conservazione, l'ordinamento delle sue politiche, e, in ultima istanza, il fondamento dei suoi processi decisionali. La conservazione è in larga parte una «disciplina di crisi», ovvero, un insieme di attività che, riprendendo la metafora di Michael Soulé11, sta alla scienza biologica in un rapporto analogo a quello che la chirurgia intrattiene con la fisiologia, o la guerra all'arte politica. Comune alle discipline di crisi è la necessità di agire repentinamente in contesti incerti e con un'informazione incompleta. Per questo motivo, a fianco dell'elemento più propriamente scientifico, nelle discipline di crisi assume una grande rilevanza la dimensione dei fini. Vista la finitezza delle risorse a disposizione della conservazione, e la portata della crisi ambientale che sta vivendo il nostro pianeta, non è possibile pensare di salvare tutto, ed è pertanto necessario operare delle scelte, che devono essere a loro volta strutturate a partire da finalità che solo 8 Sulle metodologie di compilazione si rimanda al manuale di utilizzo delle ME: Mepham et al (2006). Utili possono anche risultare Kaiser et al (2007) e Jensen et al (2011). 9 Per un'analisi della questione si rimanda a de Mori & Biasetti (2015) e (2016). 10 Sull'argomento si veda per esempio MacLaurin & Sterelny (2008) e Oksanen & Pietarinen (2004). 11 Soulé (1985).
238 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI attraverso l'intervento della dimensione valoriale possono essere elaborate. Per questo motivo, la conservazione ha a che fare spesso con conflitti etici nella sua pratica, legati alla necessità di investire le proprie risorse in maniera efficiente ordinando i propri obiettivi e compiendo scelte e selezioni riguardo alle proprie priorità. Dall'altra parte abbiamo tutta quella serie di ‘attriti’ che si vengono a creare tra gli obiettivi perseguiti dai conservazionisti e le esigenze di rispettare gli animali non-umani e le comunità umane coinvolte o affette dalle pratiche di conservazione. Svariate politiche di conservazione possono ledere gli interessi degli animali non umani coinvolti: per esempio, la gestione delle popolazioni di fauna selvatica può richiedere l'abbattimento degli animali in soprannumero, sia in natura sia nelle strutture zoologiche, o la limitazione del loro repertorio comportamentale; la campionatura e la ricerca svolta al fine di accrescere le nostre conoscenze e affinare i metodi di salvaguardia delle specie protette solleva la questione di quando – e quanto – è lecito causare dolore o uccidere singoli animali per proteggerne la specie; e così via. Ogni pratica di conservazione che coinvolga organismi viventi esercita necessariamente un certo attrito con istanze etiche legate al benessere e alla salvaguardia delle vita individuale. Analogamente, le pratiche di conservazione interferiscono spesso cogli interessi delle comunità umane, sollevando importanti questioni di giustizia sociale. In linea generale, ogni risorsa economica e intellettuale spesa nella conservazione diminuisce il monte complessivo che potrebbe essere speso invece per contribuire alla soluzione di questioni umanitarie o investito nel progresso economico, sociale, e intellettuale. Più nello specifico, le pratiche di conservazione non avvengono nel vuoto, ma si inseriscono in una complessa tela di rapporti sociali tra persone e comunità che spesso possono avere interessi divergenti rispetto a quelli perseguiti dai conservazionisti, o che, più semplicemente, non condividono la loro dimensione valoriale. Un esempio è quello del contrasto al bracconaggio delle specie protette. Il coinvolgimento delle comunità locali è in questi casi un requisito essenziale per la buona riuscita dei programmi di contrasto: è necessario vincere resistenze culturali consolidate, far comprendere il valore di politiche di questo genere e cercare soluzioni che possano compensare le comunità per gli eventuali interessi economici legati al bracconaggio, senza per questo perdere di vista l'obiettivo generale del programma. A grandi linee, sono principalmente questi gli aspetti eticamente rilevanti legati alla conservazione: l'ordinamento delle politiche e lo scioglimento dei conflitti con altre dimensioni valoriali. Nel chiedersi «che cosa» conservare, e «come» conservarlo, i processi decisionali legati alla conservazione si trovano ad affrontare richieste e istanze morali di vario genere. E in questo genere di questioni moralmente rilevanti che la ME trova il suo terreno di applicazione.
239 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità 4. L'APPLICAZIONE DELLE ME ALLA CONSERVAZIONE: GLI STAKEHOLDER Un aspetto fondamentale della ME è l'inclusività, che permette – anzi, obbliga – l'adozione di punti di vista non riconducibili al paradigma delle teorie morali classiche incentrate esclusivamente sugli esseri umani e sulla nozione di persona. La ME, in pratica, è uno strumento etico che permette di «parlare per il lupo»: di inserire, nel processo decisionale, anche gli interessi e le richieste ritenute moralmente rilevanti di soggetti solitamente esclusi dal ragionamento etico, ma che invece acquisiscono un'importanza cruciale in alcuni situazioni particolari, come quelle legate alla conservazione. Questi soggetti sono, da una parte, gli animali non-umani presi nella loro singolarità e, dall'altra, l'ambiente e tutte le sue varie categorie particolari come, per esempio, le specie, gli ecosistemi, il biota, la biodiversità, ecc. A queste due categorie di stakeholder è necessario poi aggiungerne una terza, legata invece alla sfera dell'umano che, come si è visto, costituisce il terzo vertice del triangolo conflittuale che può venirsi a creare nell'ambito della conservazione. Idealmente, quindi, il modello generale di ME che si viene delineando prevederà tre classi di stakeholder. Una prima classe che includerà gli animali non-umani (che possono appartenere a più di una specie o popolazione o persino gruppo sociale laddove applicabile, sulla base delle circostanze); una seconda classe che includerà le categorie ambientali (a un livello minimo il «biota», ma eventualmente anche le «specie», gli «ecosistemi», «l'ambiente nel suo complesso», ecc.); una terza classe che includerà infine gli esseri umani (a un livello minimo le «comunità locali», ma anche i «conservazionisti», la «società presa nel suo complesso», le «generazioni future», ecc.). È bene sottolineare che quelle appena descritte sono per l'appunto classi di potenziali stakeholder, non gli stakeholder stessi. Affinché una ME possa risultare efficace nel descrivere il quadro degli interessi morali rilevanti sarà spesso necessario «spacchettare» queste tre classi generali (organismi, ambiente, esseri umani) in categorie più specifiche (come quelle esemplificate tra parentesi in precedenza) per rendere conto della complessità della situazione analizzata. Si tratta di una procedura già realizzata laddove lo schema originario di Mepham di soli quattro stakeholder risultava restrittivo. Per esempio, nella ME elaborata per analizzare da un punto di vista etico l'industria ittica norvegese12 gli stakeholder individuati sono stati sette invece dei quattro previsti da Mepham. Il modello originario, da questo punto di vista, non costituisce una camicia di forza. Una lista degli stakeholder ricca e articolata può risultare in una ME funzionalmente utile ai decisori, garantendo imparzialità e neutralità. 12 Kaiser & Forsberg (2001).
240 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI L'individuazione degli stakeholder è infatti un passaggio fondamentale per porre al riparo la ME da pregiudiziali e vizi ideologici, tenendo presente che più punti di vista sono presi in considerazione nella compilazione, più articolato sarà il quadro degli interessi fornito ai decisori. Per quanto importante, la presenza di numerosi stakeholder, di per sé, non deve essere presa, però, come garanzia di neutralità: non importa, infatti, quanti stakeholder si prendono in considerazione in una data classe, se poi si escludono i rappresentanti relativi a una delle altre classi, come sembra avvenire, per esempio, nella ME citata in precedenza, dove nel valutare l'industria ittica norvegese si prendono in considerazione sei tipologie di stakeholder umani, ma nessun animale non-umano. L'imparzialità di una ME, da questo punto di vista, non è tanto legata al mantenimento rigido del suo modello originario come è stato sostenuto13, bensì dall'inclusione di tutti i punti di vista moralmente rilevanti, compresi quelli non legati direttamente alla sfera umana. Oltre alle questioni del dettaglio e dell'imparzialità della lista degli stakeholder, ve n'è un'altra, legata invece alla natura del punto di vista espresso delle parti coinvolte. Gli stakeholder individuano sempre categorie generali, poiché non è pensabile – e non sarebbe neanche utile – raggiungere un livello di analisi così raffinato da tenere in conto il punto di vista dei singoli individui. Questo non significa, però, che gli interessi espressi dagli stakeholder vadano sempre considerati alla stregua della «volontà generale» di Rousseau: come gli interessi di un tutto che sussume entro di sé gli interessi particolari delle parti. L'interesse di una categoria generale può essere infatti inteso in due maniere diverse: come l'insieme degli interessi comuni a tutti i membri della categoria, o come l'interesse del tutto formato dai membri. Le due tipologie di interesse spesso non corrispondono: ciò che è interesse delle parti può non essere interesse del tutto, e ciò che è interesse del tutto spesso prevarica l'interesse delle parti. In questo modo, diventa necessario, per evitare ambiguità, individuare la natura del punto di vista espresso da uno stakeholder. Se, per esempio, compilando una ME inseriamo una specie particolare tra gli stakeholder, dovremmo chiederci se ci stiamo riferendo ai singoli membri della specie (i cui interessi potrebbero essere evitare il dolore, la morte, la cattività, ecc.) oppure alla specie (il cui interesse potrebbe essere evitare l'estinzione, propagarsi, ecc.). Una buona regola al proposito, per evitare questo tipo di confusione, è di considerare gli stakeholder della prima classe – quella degli animali non-umani – sempre come collezioni di individui con interessi comuni, e gli stakeholder della seconda classe – quella legata alle categorie ambientali – sempre come entità olistiche, depositarie di interessi generali che sussumo gli interessi particolari delle loro parti. La terza classe – quella degli esseri umani – potrà avere entrambe le tipologie di categorie 13 Schroeder & Palmer (2003).
241 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità generali, sebbene in generale, essendo composta principalmente da «corpi sociali» – comunità, organizzazioni, categorie professionali – conterrà stakeholder con interessi di ambito generale. 5. L'APPLICAZIONE DELLE ME ALLA CONSERVAZIONE: I PRINCIPI ETICI GENERALI Ciò che rende una ME uno strumento potente per individuare gli interessi morali coinvolti in una data situazione, sono i principi etici generali cui fa riferimento. Prima di analizzare in che modo questi possano essere adattati all’ambito della conservazione è necessario ritornare sui presupposti teorici generali che fanno da sfondo alla ME. L'idea alla base dell'impianto costruito da Mepham è il riferimento alla morale comune come fonte di valori generali i quali, almeno a una livello astratto, possano essere condivisi da tutti i membri della società. Si tratta di un'idea che affonda le proprie radici nell'«approccio dei principi» elaborato da Beauchamp e Childress nell'ambito della bioetica umana14. I principi etici generali derivati dalla moralità comune, in pratica, pur non dando luce a una teoria etica strutturata e specifica, forniscono un punto di partenza per una discussione più dettagliata degli interessi morali in gioco e, data la loro natura generale e aperta a diversi aspetti della riflessione morale, permettono di fornire un quadro il più possibile imparziale, perché non sbilanciato su una visione valoriale specifica15. Quest'ultima clausola di «imparzialità» – che Mepham trae dalla riflessione di John Rawls sui processi decisionali in etica16 – è il pilastro su cui si fonda il carattere eticamente neutrale delle ME. E il pluralismo morale implicito che ne consegue – che vuole essere una descrizione della morale comune priva di carattere prescrittivi – è affrontato a partire da un’altra elaborazione teorica, 14 Beauchamp & Childress (1985). È da notare che Beauchamp e Childress propongono quattro principi alla base del loro approccio: «non maleficienza», «beneficienza», «autonomia», e «giustizia». Nell'elaborare lo schema generale della ME Mepham compresse in un unico principio – quello del «benessere» – «non maleficienza» e «beneficienza», perché la distinzione tra le due non era rilevante nel campo della food ethics. La ragione per cui le matrici hanno tre e non quattro principi di base è relativa quindi al contesto in cui sono state elaborate, e non ha ragioni teoriche universali di fondo – è anzi possibile pensare che, un'applicazione delle ME nel campo della bioetica della medicina umana possa ripristinare la distinzione tra «non maleficienza» e «beneficienza». Nel campo della conservazione invece, riteniamo non ci sia bisogno di una simile distinzione, per le stesse ragioni per cui Mepham la escludeva dalla food ethics: il carattere non esclusivamente umano degli stakeholder interessati (vedi Mepham 1996). 15 Questo aspetto è stato discusso e criticato in Schroeder & Palmer (2003). Mepham ha risposto alla questione in Mepham (2010). 16 Rawls (1951).
242 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI propria questa volta dell'intuizionismo di David Ross17. I principi etici generali non vanno infatti ritenuti come degli assoluti, ma come fonte di ragioni prima facie, che possono ovvero essere scavalcate sulla base delle circostanze, ma non per questo sradicate18. In questo modo è possibile sciogliere i conflitti etici relativi alla presenza di interessi morali divergenti, senza per questo ritenere «illusoria» la natura conflittuale della situazione, o i principi che l'hanno causata. Ma quali sono, nello specifico, i caratteri di questi principi etici generali? 5.1 I principi etici generali delle ME Come si è visto in precedenza, Mepham prende in considerazione tre principi etici generali: benessere, autonomia, e giustizia. Si tratta di principi che, come ribadito più volte da Mepham, riprendono grossomodo il contenuto di tre grandi tradizioni del pensiero morale: rispettivamente l'utilitarismo, la morale deontologica di ascendenza kantiana, e la teoria rawlsiana. Ma come si applicano nello specifico delle ME questi tre principi? Quali sono le potenziali difficoltà che si possono incontrare e in che modo possono essere risolte possedendo una expertise etica anche minima? Il principio di benessere, come si è detto, si rifà all'utilitarismo e al suo imperativo di massimizzare il benessere psicofisico e minimizzare il malessere all'interno di una comunità di esseri senzienti. Da una parte, pertanto, l'utilitarismo è una teoria collettivista – il soggetto della massimizzazione è la società, e non i singoli individui – e dall'altro esclude dal suo campo d'azione tutto ciò che non è in grado di sentire piacere o dolore, avere interessi, preferenze, ecc. In questo modo, per l'applicazione di questo principio è richiesto che si vada oltre la lettera della sua teoria di riferimento, conservandone però lo spirito di fondo, quello legato alla valorizzazione del «benessere» e della riduzione del «malessere»: questo soprattutto per gli stakeholder della seconda classe che possono avere degli «interessi» soltanto in senso lato, e in tutti i casi in cui il punto di vista espresso dagli stakeholder è individuale e non sovraindividuale. Il principio dell'autonomia si rifà invece all'imperativo kantiano di trattare se stessi e gli altri come fini e mai come mezzi, e indica pertanto il rispetto delle libertà, delle scelte, e delle differenze individuali. A un livello più specifico, si può distinguere in questo principio un aspetto negativo (ovvero passivo) legato al semplice rispetto dei diritti individuali di ciascuno, e uno positivo (ovvero attivo) legato invece alla necessità di trattare gli altri considerandoli persone, senza cioè prescindere dalle particolarità e peculiarità che fanno di ogni essere razionale un unicum irripetibile e insostituibile. Anche in questo caso, come si vede, è necessaria una certa elasticità per applicare questo principio – specialmente alla 17 Ross (1930). 18 Secondo la definizione fornita da Audi (2004: 24).
243 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità prima e alla seconda classe di stakeholder – poiché l'idea di autonomia è profondamente legata a quelle di libertà, razionalità, e rispetto della dignità della persona19. Il terzo principio, quelle della giustizia, di primo acchito è forse il più difficile da inquadrare. Istintivamente, viene da associarlo al rispetto dei diritti, ma questo aspetto è già incluso nel principio dell'autonomia. Un modo per risolvere la questione è quello di restringere il suo campo e vedere in esso il completamento del principio dell'autonomia: laddove questo ci invita a trattare gli altri in modo da valorizzare le libertà di scelta e le peculiarità di ciascuno, il principio di giustizia opera spingendo a comportarci con gli altri prescindendo dalle loro differenze, se queste non sono moralmente rilevanti. Il principio di giustizia si traduce così nel rispetto dell'equità nella distribuzione e nel trattamento. Questa interpretazione ben si accorda collo spirito rawlsiano che sta alla base di questo principio, sebbene ponga ulteriori problemi di applicazione. Come ricordava Amartya Sen in un articolo in cui si criticava, tra gli altri, proprio Rawls, non è possibile definire l'equità se prima non si è fornita la risposta al quesito «equità di che cosa?»20. Per sapere se una distribuzione è equa, dobbiamo infatti capire prima di tutto qual è il bene morale che viene distribuito. E non solo. Di là del contenuto, una distribuzione può essere ritenuta equa per diverse ragioni: se essa è avvenuta, per esempio, in modo egualitario, se è proceduta sulla base dei bisogni, del merito, oppure degli sforzi, se è avvenuta in maniera volontaria, ecc. A differenza del benessere, o dell'autonomia, che sono concetti normativi con un contenuto più o meno definito, la giustizia è un concetto complesso, che può incarnare ideali molto diversi tra loro sulla base del retroterra teorico che decidiamo di accogliere. Nell'ambito della compilazione delle ME questo si traduce spesso in una vaghezza nell'applicazione di questo principio. Forse, la soluzione è quella di insistere ancora sulla strada rawlsiana, consapevoli però che questa costituisce soltanto uno dei possibili sbocchi dell'idea di giustizia. In questo modo l'equità va considerata come il frutto di scelte compiute dietro un «velo d'ignoranza», compiute ovvero, prescindendo dai propri interessi e dalle proprie caratteristiche personali. Anche in questo caso, però, come per il precedente principio dell'autonomia, rimane aperto il problema di comprendere come sia possibile applicare una simile idea al di fuori di un contesto in cui vigono libertà e razionalità. Giustizia, tradizionalmente, è un termine impiegato per definire e legare la comunità degli esseri umani in opposizione al resto del creato (“fuori della città,” scrive Aristotele, “c'è l'animale o il dio”). Come per i precedenti principi, anche in questo caso è necessario compiere una certa astrazione per 19 La teoria morale sviluppata da Kant traccia una solco piuttosto netto tra natura e esseri umani per ciò che concerne il valore morale, escludendo ogni dovere diretto nei confronti degli animali non umani e dell'ambiente in generale. 20 Sen (1980).
244 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI trovare un'applicazione alla prima e alla seconda classe di stakeholder. E questo ci porta al nostro problema centrale: come applicare i principi delle ME alle questioni relative alla conservazione? 5.2 I principi etici generali delle ME applicati alla conservazione: gli animali non-umani e il biota Le ME presenti nella letteratura offrono molti esempi riguardo all'applicazione dei principi etici generali agli animali non-umani e al biota. Per orientare la discussione è opportuno analizzare uno di questi esempi, nello specifico il modello originario proposto da Mepham per la valutazione delle tecnologie agroalimentari, riprodotto nella tabella 2. Tabella 2 Benessere Autonomia Giustizia Organismo Benessere Libertà di Rispetto per [welfare] espressione il telos animale del repertorio comportament ale Produttori Adeguati Libertà di Trattamento guadagni e scelta riguardo equo nel condizioni di all'impiego commercio e lavoro della nella tecnologia legislazione Consumatori Disponibilità Rispetto per le Accessibilità di cibo scelte dei universale al salutare consumatori cibo (etichettatura) Biota Conservazio Mantenimento Sostenibilità ne del biota della delle biodiversità popolazioni biotiche A differenza degli interessi specifici dei produttori e dei consumatori, legati alle questioni della food ethics, le richieste morali avanzate nella riga degli organismi e del biota possono essere considerate applicabili anche nell'ambito della conservazione. Cominciamo quindi ad analizzarle, partendo dagli organismi. Sotto il principio del benessere la ME riporta il rispetto per il welfare degli animali, coerentemente colle aspirazioni generali di questo principio focalizzate sull'assenza di sofferenza, sulla soddisfazione delle aspettative (almeno alcune) e
245 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità sulla salute21. L'applicazione del principio dell'autonomia chiama in causa invece il rispetto per la libera espressione del patrimonio comportamentale. Si tratta di una applicazione elegante di questo principio, che costituisce la migliore traduzione a livello degli animali non-umani dell'idea di autonomia, che in senso stretto, si riferirebbe soltanto alle persone. È molto importante, inoltre, il fatto che la ME distingua tra queste due richieste morali. Vi sono sicuramente delle connessioni tra benessere e libertà di esercitare il proprio repertorio comportamentale, dal momento che il benessere dipende anche da stati psicologici legati alla capacità di esercitare determinati comportamenti, ma il collocamento in due spazi distinti permette di sottolineare le differenze tra questi due interessi, e la possibilità di un loro attrito. Da questo punto di vista, non ci sono problemi ad adottare queste due tipologie di interesse morali anche in ME applicate alle questioni della conservazione. Più problematico appare invece l'applicazione del principio di giustizia. Il riferimento al telos non può che rimandare all'etica animale sviluppata da Bernard Rollin agli inizi degli anni ottanta del secolo trascorso22. Rollin ha adoperato questo termine aristotelico per indicare l'insieme di bisogni e interessi specie- specifici di un organismo vivente legati alla sua essenza e alla sue finalità: in pratica, la realizzazione da parte di un essere vivente della sua natura, un fatto questo, secondo il filosofo della Colorado State University, moralmente rilevante. Se così stanno le cose, però, non si capisce perché la richiesta di rispettare il telos dovrebbe cadere nell'ambito del principio della giustizia, la cui interpretazione più coerente è, come si è visto, legata all'idea di equo trattamento. Il rispetto del telos coincide infatti piuttosto colla richiesta di rispetto della libertà comportamentale legata al principio di autonomia. Quest'ultimo aspetto non deve essere sfuggito a Mepham, che ha in seguito ripreso le critiche di Alan Holland23 alla nozione di telos di Rollin24, ridefinendo l'applicazione del principio di giustizia agli organismi viventi nei termini di rispetto del «valore intrinseco». Il concetto di valore intrinseco, in questo contesto, rischia, tuttavia, di essere astratto e vago25: al di fuori di una cornice teorica definita26 – che non può rientrare nella morale comune cui si ispira la matrice27 – «valore 21 Per un'inquadratura della complessità della nozione di «benessere animale» si rimanda a Bono & De Mori (2011). 22 Rollin (1981). 23 Holland (1995). 24 Mepham (1999). 25 Sui diversi significati che può assumere quest'espressione sulla base dei contesti vedi Jamieson (2008). 26 Come per esempio quella fornita da Regan (1983). 27 Millar (2000), che ripropone il collegamento colla teoria di Regan, sembra essere consapevole del fatto: che sia ovvero quantomeno controverso collocare la proposta di Regan all'interno di una morale sociale ampiamente condivisa (questo, chiaramente, non vuole essere una
246 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI intrinseco» rischia di diventare soltanto un espediente retorico per dire che qualcosa è «davvero molto importante» senza specificarne le ragioni. Inoltre, se volessimo prendere sul serio la nozione di valore intrinseco, dovremmo affidarle il peso specifico che le compete: un peso massimo in grado di sbaragliare ogni altra considerazione morale che le si potrebbe mettere di fronte. Peraltro, il concetto di valore intrinseco non è legato al principio della giustizia, ma a quello dell'autonomia, poiché è quest'ultimo a essere legato all'idea dell'inviolabilità della persona. Plausibilmente, la ragione per questo inserimento del valore intrinseco all'interno dell'ambito della giustizia risiede nell'idea che sia giusto riconoscere all'organismo la sua natura di fine, e non soltanto di mezzo per raggiungere i nostri scopi. In pratica, come sembrerebbe leggendo quanto Mepham scrive in seguito sull'argomento, l'idea di valore intrinseco non sembra tanto riferirsi a una teoria o a un significato particolare, quanto rappresentare la necessità di un riconoscimento morale di qualche tipo nei confronti degli animali28. Si tratta di un punto sicuramente corretto, ma che da una parte non richiede necessariamente l'ingombrante linguaggio del valore intrinseco per essere espresso, e dall'altra deve essere comunque specificato in relazione alla giustizia, poiché anche i principi del benessere e dell'autonomia sottolineano la rilevanza morale degli animali non- umani. L'idea di giustizia, come si è visto, si attua nell'equo trattamento e la sua applicazione nell'ambito degli animali non-umani può essere compiuta semplicemente affermando che ogni membro di una specie ha il diritto a essere trattato con rispetto e senza che gli sia attribuito un valore inferiore ai conspecifici. critica della teoria di Regan per il semplice fatto che non può esserlo, dal momento che la morale comune non necessariamente è la migliore o quella corretta). Nonostante questo, Millar ritiene utile inserire l'elemento del valore intrinseco all'interno della riga relativa agli animali non-umani perché permette di porre sul tavolo altre questioni importanti come quella dell'integrità della vita animale (Millar 2013). In effetti, nonostante il richiamo a Regan (1983), Millar sembra quasi far coincidere la questione del valore intrinseco con quella dell'«integrità», che sembra scostarsi dall'impianto generale della teoria di Regan – un impianto che, coerentemente col suo ascendente kantiano, si colloca esclusivamente nell'ambito individuale. Più specificatamente, la questione dell'integrità è affrontata in Millar & Morton (2009), dove sono esaminate diverse definizioni della nozione. In generale, ciò che ne viene fuori è che per «integrità» si debba intendere la natura di un animale non- umano così come essa è, che per «rispetto dell'integrità» non si debba intendere soltanto il rispetto della sua natura in un senso «laico» come quello proposto in Rollin (1981), ma in un senso più forte, che comprende oltre la natura individuale dell'animale non-umano preso in considerazione, anche la sua natura specie-specifica (una delle applicazioni del concetto di integrità sembra essere, a proposito, quella di sollevare questioni etiche nel campo della manipolazione genetica degli organismi). In questo modo, però, la nozione di integrità da una parte sembra tenere assieme due dimensioni – quella dell'organismo individuale e quella della specie – che in uno strumento analitico come la ME dovrebbero essere tenute separate, dall'altra sembra riproporre richieste morali già avanzate sotto il principio del benessere e dell'autonomia. 28 Mepham (2006).
247 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità Tradotto nell'ambito della conservazione, questo significa mettere in luce le problematicità morali che sorgono ogni qual volta interveniamo su un particolare organismo (o un gruppo di organismi) invece che su un conspecifico. Un esempio – piuttosto drammatico – di questo genere di intervento è la decisione, in un contesto di controllo della numerosità degli individui, di abbattere un animale piuttosto che un altro: a dispetto di tutte le buone ragioni che potremmo avere per operare questa scelta (età, sesso, genetica, ecc.) il principio di giustizia ci ricorda comunque la sua problematicità dal punto di vista morale, coerente coll'assunto rawlsiano del «velo di ignoranza», della richiesta, ovvero, di considerare le nostre scelte moralmente «perfette» proprio quando riusciamo a mettere da parte ogni genere di differenza. La presenza di un conflitto sta proprio a significare che la scelta non potrà mai essere «perfetta», ma questo non significa che nel processo decisionale non si debba prendere lo stesso sul serio l'equità promossa dal principio di giustizia. Passiamo adesso a esaminare la riga del biota. Sotto i principi del benessere e dell'autonomia troviamo rispettivamente «conservazione del biota» e «mantenimento della biodiversità». La connessione tra autonomia e biodiversità è analoga a quella precedente tra autonomia e libertà comportamentale: la dimensione della libertà è tradotta nella differenza e nella varietà, e quindi nella biodiversità. Ma nonostante questa coerenza di fondo, l'applicazione è problematica, dal momento che conservazione (applicazione del principio del benessere) e mantenimento29 della biodiversità (applicazione del principio di autonomia) si equivalgono, o quantomeno il primo concetto contiene il secondo30. L'oggetto della conservazione è infatti proprio il mantenimento della biodiversità e il mantenimento della biodiversità è la conservazione: pertanto la distinzione tracciata dal modello originario della ME non ha un chiaro interesse o significato. Un modo per risolvere la questione potrebbe essere quella di lasciare la questione della conservazione della biodiversità sotto l'egida del principio del benessere – partendo dal punto di vista che la biodiversità costituisce un aspetto rilevante della salute degli ecosistemi naturali – e fornire una diversa applicazione del principio dell'autonomia. Quale potrebbe essere questa diversa applicazione? 29 È da sottolineare qui la presenza del termine «mantenimento», in quanto la biodiversità potrebbe essere di per sé promossa attraverso metodi che non hanno nulla a che fare con la conservazione – come per esempio la creazione artificiale di nuove specie. Su questo aspetto possono essere utili alcune critiche avanzate in Maier (2012) rispetto alla connessione tra biodiversità e valore della natura. 30 Si potrebbe per esempio intendere la conservazione in un senso più esteso del mantenimento della biodiversità ponendo che la prima riguardi anche la conservazione degli ambienti fisici, e non soltanto della vita in tutti i suoi aspetti.
248 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI Si potrebbe a tal proposito sottolineare come la natura possieda una sua peculiare forma di autonomia, un'autonomia rispetto ai nostri interessi, ai nostri sforzi e ai nostri tentativi di delimitare in qualche modo il suo operato. La conservazione è in buona parte un'impresa che nasce proprio per frenare, o quanto meno gestire, la crisi ecologica causata dagli esseri umani nel loro rapporto distruttivo colla natura. Ma anche la conservazione può cadere nella vecchia abitudine di cercare di imporre schemi «umani» alla natura: come quando adotta una visione che potremmo chiamare «museale» della propria missione, e dimentica che la «natura della natura» è processuale, non statica31. È vero che la conservazione è soprattutto gestione degli ambienti, degli ecosistemi, e delle specie, ma non dovrebbe mai perdere di vista l'idea che gli ambienti non possono essere ‘costruiti’ per incarnare un qualche ideale di biodiversità costruito dagli esseri umani, che gli ecosistemi si reggono su processi estremamente complessi che difficilmente possono essere compresi e amministrati a pieno, e che le specie non sono idee platoniche congelate in qualche sperduto iperuranio. Il principio di autonomia applicato alle categorie ambientali potrebbe a proposito avanzare la richiesta di contenere l'intervento dei conservazionisti nei limiti delle conoscenze più solide che abbiamo nei confronti degli ecosistemi e delle specie, di evitare forme di «accanimento terapeutico», di non considerare sempre l'estinzione come una tragedia e di proteggere accanto alle specie anche la «speciazione», riconoscendo in questa maniera una certa indipendenza e «libertà» ai processi naturali. La voce relativa al principio della giustizia cita infine la «sostenibilità della popolazioni biotiche», e la questione sembra essere nuovamente problematica. La sostenibilità è la capacità di un dato processo o stato di essere mantenuto indefinitamente. La sostenibilità delle popolazioni biotiche è pertanto un altro modo per dire nuovamente «conservazione», così come lo era stato in precedenza «mantenimento della biodiversità». Come nel caso precedente degli organismi, inoltre, non è chiaro quale sia la connessione tra il principio di giustizia e la sua applicazione. Forse il riferimento è alla giustizia intergenerazionale e in questo modo si capisce il riferimento alla sostenibilità, pensando al diritto delle generazioni future di vivere in un modo ecologicamente simile al nostro. In questo caso, tuttavia, il punto di vista adottato non è più quello del biota, quanto quello, per l'appunto, delle generazioni future. Una soluzione alla questione sarebbe quella di rifarsi nuovamente all'idea di giustizia come equo trattamento e considerare l'applicazione di questo principio alle categorie ambientali nei termini di rispetto della dignità di ogni parte della natura. Ci sono molte ragioni per esempio, per preferire alcune specie viventi ad altre. Non c'è alcun dubbio, per esempio, sul fatto che preferiamo la nostra specie 31 Cfr. Biasetti & de Mori (2016).
249 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità a tutte gli altri viventi. Lo stesso accade per le specie vicine alla nostra, preferite a quelle filogeneticamente più lontane. Apprezziamo alcune specie perché totemiche o carismatiche. Consideriamo altre invasive, o aliene, di contro a specie viste invece come autoctone. La complessità comportamentale e la ricchezza cognitiva ci fa preferire alcune specie rispetto ad altre. Diamo solitamente un valore superiore agli animali rispetto alle piante. E così via. Alcune di queste distinzioni sono eticamente più rilevanti di altre (soprattutto la prima), ma da un punto di vista che astragga ogni considerazione specifica, ogni parte della natura possiede un certo diritto al riconoscimento della propria importanza, se il nostro scopo è quello di dare una valore complessivo all'ambiente e alla biodiversità. La giustizia intesa come un'applicazione del velo di ignoranza richiede di astrarre da ogni considerazione relativa ai nostri interessi, preferenze e considerazioni, e considerare quindi ogni parte della natura come qualcosa prima facie importante: la casella che stiamo discutendo è in pratica quella parte della matrice in cui trovano spazio rivendicazioni contrarie a ogni forma di specismo. Ancora una volta: non si tratta di un punto di vista definitivo, che possa condurci direttamente alle conclusioni di un ragionamento morale, ma è senz'altro un punto di partenza da tenere in considerazione in ogni processo decisionale che riguardi la conservazione della natura e della biodiversità. 5.3 I principi etici generali delle ME applicati alla conservazione: le comunità umane La terza classe di stakeholder può contenere diverse voci, ma a un livello minimo dovrà tenere in considerazione almeno le comunità umane coinvolte nella situazione analizzata. In questo caso, non è utile rivolgersi alla matrice modello riprodotta nella tabella 2 perché i due stakeholder individuati – produttori e consumatori – sono legati a questioni diverse da quelle sollevate dalla conservazione. A proposito delle applicazioni dei principi etici generali alle comunità umane inoltre, non è possibile andare oltre a una certa generalità nella descrizione, perché il loro contenuto coincide grossomodo con quanto già analizzato nel precedente paragrafo 5.1. Il principio del benessere, per esempio, richiederà il rispetto del benessere psicofisico, economico, sociale, e culturale delle comunità coinvolte. Il principio dell'autonomia richiederà invece il rispetto della libertà di scelta, del principio di autodeterminazione, e delle tradizioni culturali delle comunità coinvolte. Il principio di giustizia richiederà infine un equo trattamento della comunità rispetto alle altre comunità umane.
250 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI 6. CONCLUSIONE. UN MODELLO GENERALE DI ME PER LA CONSERVAZIONE La plasticità insita nel modello originale ME ha autorizzato le riflessioni e gli adattamenti discussi in queste pagine. La discussione delle questioni etiche connesse con la pratica della conservazione sembrano potersi giovare del processo di analisi proposto dalla ME. Rispetto al modello originale, tuttavia, alcune modifiche mostrano di essere particolarmente rilevanti. Un modello generale di ME, ad esempio, adattato alle questioni di conservazione, avrà le seguenti tre classi di stakeholder: organismi non-umani, categorie ambientali, ed esseri umani. A un livello minimo, questo si traduce in almeno tre stakeholder: organismi, biota e comunità umana. Certo, non si tratta di una lista chiusa: è possibile aumentare la presenza di stakeholder in ogni classe fintanto che la situazione analizzata lo richiede. Potrà essere, per esempio, utile inserire in molte ME relative alla conservazione tra i stakeholder della terza classe i «conservazionisti» e le «generazioni future». In ogni caso la ME deve ricordarsi di «parlare per il lupo», considerando quindi anche gli interessi morali non direttamente legati agli esseri umani, e comprendere sempre stakeholder relativi alla prima e alla seconda classe, oltre che alla terza32. Sarà poi necessario ricordare i diversi ‘punti di vista’ da cui operare la valutazione: il punto di vista da cui valutare gli interessi degli organismi e degli stakeholder affini, infatti, è quello del singolo individuo, mentre il punto di vista da cui valutare gli interessi del biota e degli stakeholder affini è quello generale del tutto espresso dalla categoria; il punto di vista, infine, da cui valutare gli interessi degli stakeholder umani può variare, ma generalmente sarà il punto di vista del tutto espresso dalla categoria, come nel caso, per esempio, delle comunità umane coinvolte. I principi etici generali presi in considerazione sono gli stessi della versione originale, il benessere, l'autonomia, e la giustizia, ma la loro applicazione dovrà fare riferimento alle varie questioni sollevate. La loro applicazione generica è riassunta nella tabella 3. Tabella 3 Benessere Autonomia Giustizia Animali Benessere Libertà di Rispetto del non-umani [welfare] espressione valore di animale del repertorio ogni 32 Un caso limite è quello delle situazioni in cui, per una ragione o per l'altra, non sono coinvolti animali non-umani nella pratica di conservazione: in questo caso va da sé che è possibile omettere la prima classe di stakeholder.
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