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233 Etica & Politica / Ethics & Politics, XXI, 2019, 1, pp. 233-254
    ISSN: 1825-5167

     LE MATRICI ETICHE NELLA
     CONSERVAZIONE DELLA
     BIODIVERSITA’

     PIERFRANCESCO BIASETTI
     Independent researcher
     Padua, Italy
     pierfrancesco.biasetti@gmail.com

     BARBARA DE MORI
     Department of Comparative Biomedicine and Food Science
     University of Padua, Italy
     barbara.demori@unipd.it

     A BSTRACT
     Ethical issues and general conflicts of values intrinsically dominate the field of conservation.
     Therefore, in their practical efforts, conservationists need to refer not only to concepts and
     theories, but also to more practical tools for decision making. In this paper it is described an
     already existing tool, the Ethical Matrix, originally designed to deal with issues in the field of
     food ethics, in its potentiality to support decision making in the field of conservation. The
     Ethical Matrix is a conceptual tool devised to help identify stakeholders and their needs by
     supplying ethical analysis with a transparent, articulated and clear framework of the relevant
     principles involved in a decision-making process. After briefly detailing what an EM is, the
     paper discusses its relevance for the main kinds of moral issues arising from conservation. It
     will then be sketched the outline of a general EM to be used in conservation by individuating
     classes of stakeholders and debating the general ethical principles and their application.

     K EYWORDS
     Ethical matrix, conservation, ethical decision-making process in conservation, stakeholders

     1. INTRODUZIONE

         La matrice etica (d'ora in poi ME) è uno strumento concettuale il cui scopo è
     facilitare i processi decisionali in etica fornendo ai decisori un quadro trasparente,
     articolato, e immediatamente comprensibile degli aspetti eticamente rilevanti della
     situazione analizzata. Sviluppata da Ben Mepham negli anni novanta del secolo
234 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI

    trascorso1, la ME nasce avendo come ambito di applicazione la food ethics, dove
    è stata adoperata per individuare e analizzare le questioni etiche relative
    all'introduzione di nuove tecnologie o all'uso di quelle già esistenti nei campi
    dell'agricoltura, dell'allevamento, della pesca e della produzione alimentare2. Lo
    schema generale della ME si è però rivelato molto plastico e adattabile e,
    opportunamente modificato, ha trovato diverse applicazioni fuori del suo contesto
    originario. Scopo di questo contributo è esplorare le possibilità di utilizzare la ME
    anche nei processi decisionali relativi all'ambito della conservazione e fornirne
    uno schema generale.
        Il termine «conservazione» verrà adoperato per indicare tutte quelle attività,
    scientificamente fondate, di tutela, salvaguardia e ripristino degli ambienti naturali,
    degli ecosistemi, della flora e della fauna selvatica, e, più in generale, della
    biodiversità. Esempi di questo genere di attività sono sia i processi di gestione
    della fauna selvatica nei parchi nazioni sia i programmi di riproduzione gestiti
    nelle strutture zoologiche, l'istituzione e la gestione di banche genetiche e del
    germoplasma, l'educazione al rispetto per l'ambiente e i progetti di difesa delle
    aree «incontaminate» del pianeta, la raccolta di dati finalizzata alla protezione degli
    ecosistemi a rischio e delle specie in via d'estinzione, e così via.
        La pratica della conservazione solleva, a tutti i suoi livelli, questioni etiche
    fondamentali. Per questo motivo strumenti come la ME possono essere un utile
    strumento per la «cassetta degli attrezzi» dei conservazionisti alle prese con
    processi decisionali eticamente rilevanti.
        Nelle prossime pagine, dopo aver esposto lo schema generale della ME, verrà
    individuato il genere di problemi etici legati alla conservazione cui è possibile
    applicare la ME. Verrà poi delineato un modello rivisto della ME adattato alle
    esigenze sollevate dai problemi etici relativi alla conservazione, attraverso
    un'analisi degli stakeholder e dei principi etici generali di riferimento.

    2. LA MATRICE ETICA

       Presa in astratto, una ME è una griglia di righe e colonne, in cui in ogni casella
    sono messi in relazione uno stakeholder e un principio etico generale. Con
    «stakeholder» s'intende una parte interessata dal processo decisionale, o perché
    parte attiva nella situazione descritta, o semplicemente perché affetta. Con
    «principio etico generale» si definisce invece un aspetto influente e ideale della
    morale comune.

       1 Vedi Mepham (1996a).
       2 Alcuni esempi di applicazione in questo senso si trovano in Millar (2000), Kaiser & Forsberg
    (2001), Forsberg (2004), Kaiser et al (2007), Millar & Tomkins (2007), Lam & Pitcher (2012),
    Bremen et al (2015).
235 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità

        Il modello originario sviluppato da Mepham prevedeva quattro stakeholder e
     tre principi etici generali. Sia gli stakeholder, sia i principi etici generali erano stati
     scelti per un'applicazione della ME alla valutazione delle tecnologie
     agroalimentari. Gli stakeholder comprendevano pertanto il tipo di organismi
     animali affetti dalla tecnologia valutata3, i produttori, i consumatori, e il biota
     locale. I principi etici generali erano invece quelli del benessere [well-being],
     dell'autonomia [autonomy], e della giustizia [justice].
        La tabella 1 riassume principi e stakeholder originari, e rappresenta una ME
     prima di essere compilata.

             Tabella 1

                                   Benessere               Autonomia              Giustizia

             Organismo

             Produttori

             Consumatori

             Biota

        Una volta impostata, la matrice prevede di indicare in ogni casella lasciata vuota
     nella tabella 1 gli interessi morali relativi alla situazione di ogni stakeholder per
     ognuno dei tre principi etici generali. Così, per esempio, relativamente alle nuove
     tecnologie agroalimentari, la riga dei produttori potrebbe essere compilata
     inserendo “adeguati guadagni e condizioni di lavoro” nella colonna del
     «benessere», “libertà di scelta riguardo all'impiego della tecnologia” nella colonna
     dell'«autonomia», “trattamento equo nel commercio e nella legislazione” nella
     colonna della «giustizia»4. Più dettagli conosciamo sulla situazione da analizzare e
     più specifico e ricco sarà il contenuto delle caselle nel descrivere le richieste
     morali dei vari stakeholder sulla base dei principi etici generali. Al termine del
     processo di analisi, la ME mira ad offrire un quadro sintetico e completo degli

         3 Nel caso l'oggetto della tecnologia presa in questione sia una specie vegetale o comunque non
     senziente la questione se essa possa comunque essere considerata uno stakeholder è lasciata
     sostanzialmente aperta da Mepham: posto infatti che una pianta non può essere considerata un
     organismo senziente, ci si può comunque porre secondo Mepham il problema del rispetto della sua
     natura – o del suo valore intrinseco. Sulla questione vedi Mepham (1996a) e (2000).
         4 Queste applicazioni dei principi etici generali sono presi da Mepham (1996a). Un'analisi più
     dettagliata della questione sarà condotta più avanti nel paragrafo 5.1.
236 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI

    interessi morali delle parti, permettendo così ai decisori di valutare l'impatto del
    processo decisionale sulle richieste morali degli stakeholder e giungere ad una
    decisione conclusiva.
       Naturalmente, le conclusioni del processo decisionale non possono essere
    «dedotte» dalla compilazione di una ME. Di per sé, la matrice è uno strumento
    descrittivo, non prescrittivo, poiché il suo scopo non è quello di costruire un
    algoritmo decisionale che possa sostituirsi ai decisori, ma quello di fornire un
    quadro il più possibile esauriente e articolato degli interessi morali in gioco5. La
    ME, in pratica, punta a fornire una lista esauriente e degli interessi e delle richieste
    morali di tutte le parti coinvolte in una situazione eticamente rilevante e
    potenzialmente conflittuale. Questa lista è – o quanto meno aspira a essere –
    pluralista ed eticamente neutrale rispetto a teorie morali particolari, assolvendo in
    questo modo a un imperativo etico fondamentale legato ai processi decisionali,
    quello dell'imparzialità6. All'interno di un processo decisionale, la compilazione
    della ME si situa quindi tra la fase della raccolta dei dati relativi alla situazione
    analizzata e la valutazione morale vera e propria: può essere vista come il
    momento di analisi o della raccolta, per così dire, dei «dati etici» prima del
    giudizio vero e proprio7.
       La compilazione di una ME può avvenire grazie a due metodologie. Una prima
    metodologia, di genere top-down, prevede che la matrice sia compilata da uno o
    più «esperti etici» i quali, una volta raccolti tutti i dati relativi alla situazione
    analizzata, li mettono in relazione coi principi morali generali, e costruiscono così
    lo strumento completo per i decisori. La seconda metodologia, di genere bottom-
    up, prevede invece che la matrice sia compilata attraverso il dibattito e la
    discussione di gruppi formati da «addetti ai lavori» relativi alla situazione analizzata
    e membri degli stakeholder. In entrambi i casi, la compilazione può essere
    arricchita da un ulteriore passaggio – su base partecipativa, per quanto riguarda la
    procedura top-down, oppure frutto di un'expertise etica per quanto riguarda la

         5 Accanto a questo genere di ME legata ai principi, Mepham ha poi sviluppato un secondo tipo
    di ME legata invece alle politiche che è necessario perseguire per rispettare i principi (vedi Mepham
    2010). Lo schema generale delle due matrici è lo stesso: la differenza è che le caselle, invece di
    essere riempite dalle applicazioni particolari dei principi etici generali, sono invece occupate con
    l'elenco delle misure possibile che possono favorire il benessere, l'autonomia, e la giustizia de gli
    stakeholder.
         6 Sulla rilevanza etica dell'imparzialità e del pluralismo delle ME vedi Forsberg (2007).
         7 È comunque possibile – e previsto dal manuale di utilizzo delle ME (vedi Mepham et al 2006)
    – assegnare al contenuto delle varie caselle un «peso specifico» differenziale in termini di rilevanza
    etica, costruendo in questo modo uno strumento di appoggio all'ultima fase del processo
    decisionale. Di per sé, però, questa è un'operazione di tipo valutativo ulteriore rispetto alla
    compilazione della matrice stessa.
237 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità

     procedura bottom-up – in modo da fondere gli aspetti positivi di entrambe le
     metodologie e raggiungere un maggior grado di imparzialità e completezza8.
         Uno degli aspetti più interessanti della ME è la sua plasticità. Lo schema
     generale presentato nella tabella 1 è infatti stato adattato, nel tempo, a situazioni
     anche molto diverse dalla valutazione delle tecnologie agroalimentari, come le
     situazioni generate dall’esercizio della medicina veterinaria, o dall’applicazione
     delle biotecnologie in genere. Nelle prossime pagine, si cercherà di mostrare
     l’utilità di applicarlo alla pratica della conservazione Prima però di mettere mano
     al modello di ME, è necessario approfondire meglio quali sono i caratteri generali
     dei processi decisionali cui si vuole applicarlo.

     3. LE QUESTIONI ETICHE NELLA CONSERVAZIONE

         Le questioni etiche sollevate nella conservazione sono svariate e di generi
     diversi. A un livello teorico e generale, è lecito chiedersi per esempio quali siano
     le ragioni che sorreggono l'intera impresa della conservazione, e quali siano i
     valori che la ispirino9. La stessa nozione di biodiversità, a sua volta, è un concetto
     «spesso» che interseca importanti questioni normative nella sua definizione10.
         Oltre a questioni di natura teorica, la conservazione solleva quotidianamente
     svariate problematiche di tipo etico legate alla sua pratica. È a quest'ultimo tipo di
     questioni che l'ausilio delle ME può risultare utile. Nello specifico, queste
     problematiche possono essere suddivise in due categorie.
         Da una parte abbiamo tutte quelle situazioni in cui è necessario definire le
     priorità della conservazione, l'ordinamento delle sue politiche, e, in ultima istanza,
     il fondamento dei suoi processi decisionali. La conservazione è in larga parte una
     «disciplina di crisi», ovvero, un insieme di attività che, riprendendo la metafora di
     Michael Soulé11, sta alla scienza biologica in un rapporto analogo a quello che la
     chirurgia intrattiene con la fisiologia, o la guerra all'arte politica. Comune alle
     discipline di crisi è la necessità di agire repentinamente in contesti incerti e con
     un'informazione incompleta. Per questo motivo, a fianco dell'elemento più
     propriamente scientifico, nelle discipline di crisi assume una grande rilevanza la
     dimensione dei fini. Vista la finitezza delle risorse a disposizione della
     conservazione, e la portata della crisi ambientale che sta vivendo il nostro pianeta,
     non è possibile pensare di salvare tutto, ed è pertanto necessario operare delle
     scelte, che devono essere a loro volta strutturate a partire da finalità che solo

        8 Sulle metodologie di compilazione si rimanda al manuale di utilizzo delle ME: Mepham et al
     (2006). Utili possono anche risultare Kaiser et al (2007) e Jensen et al (2011).
        9 Per un'analisi della questione si rimanda a de Mori & Biasetti (2015) e (2016).
        10 Sull'argomento si veda per esempio MacLaurin & Sterelny (2008) e Oksanen & Pietarinen
     (2004).
        11 Soulé (1985).
238 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI

    attraverso l'intervento della dimensione valoriale possono essere elaborate. Per
    questo motivo, la conservazione ha a che fare spesso con conflitti etici nella sua
    pratica, legati alla necessità di investire le proprie risorse in maniera efficiente
    ordinando i propri obiettivi e compiendo scelte e selezioni riguardo alle proprie
    priorità.
        Dall'altra parte abbiamo tutta quella serie di ‘attriti’ che si vengono a creare tra
    gli obiettivi perseguiti dai conservazionisti e le esigenze di rispettare gli animali
    non-umani e le comunità umane coinvolte o affette dalle pratiche di
    conservazione. Svariate politiche di conservazione possono ledere gli interessi
    degli animali non umani coinvolti: per esempio, la gestione delle popolazioni di
    fauna selvatica può richiedere l'abbattimento degli animali in soprannumero, sia in
    natura sia nelle strutture zoologiche, o la limitazione del loro repertorio
    comportamentale; la campionatura e la ricerca svolta al fine di accrescere le nostre
    conoscenze e affinare i metodi di salvaguardia delle specie protette solleva la
    questione di quando – e quanto – è lecito causare dolore o uccidere singoli
    animali per proteggerne la specie; e così via. Ogni pratica di conservazione che
    coinvolga organismi viventi esercita necessariamente un certo attrito con istanze
    etiche legate al benessere e alla salvaguardia delle vita individuale.
        Analogamente, le pratiche di conservazione interferiscono spesso cogli interessi
    delle comunità umane, sollevando importanti questioni di giustizia sociale. In
    linea generale, ogni risorsa economica e intellettuale spesa nella conservazione
    diminuisce il monte complessivo che potrebbe essere speso invece per contribuire
    alla soluzione di questioni umanitarie o investito nel progresso economico,
    sociale, e intellettuale. Più nello specifico, le pratiche di conservazione non
    avvengono nel vuoto, ma si inseriscono in una complessa tela di rapporti sociali
    tra persone e comunità che spesso possono avere interessi divergenti rispetto a
    quelli perseguiti dai conservazionisti, o che, più semplicemente, non condividono
    la loro dimensione valoriale. Un esempio è quello del contrasto al bracconaggio
    delle specie protette. Il coinvolgimento delle comunità locali è in questi casi un
    requisito essenziale per la buona riuscita dei programmi di contrasto: è necessario
    vincere resistenze culturali consolidate, far comprendere il valore di politiche di
    questo genere e cercare soluzioni che possano compensare le comunità per gli
    eventuali interessi economici legati al bracconaggio, senza per questo perdere di
    vista l'obiettivo generale del programma.
        A grandi linee, sono principalmente questi gli aspetti eticamente rilevanti legati
    alla conservazione: l'ordinamento delle politiche e lo scioglimento dei conflitti con
    altre dimensioni valoriali. Nel chiedersi «che cosa» conservare, e «come»
    conservarlo, i processi decisionali legati alla conservazione si trovano ad affrontare
    richieste e istanze morali di vario genere. E in questo genere di questioni
    moralmente rilevanti che la ME trova il suo terreno di applicazione.
239 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità

     4. L'APPLICAZIONE DELLE ME ALLA CONSERVAZIONE: GLI
         STAKEHOLDER

        Un aspetto fondamentale della ME è l'inclusività, che permette – anzi, obbliga
     – l'adozione di punti di vista non riconducibili al paradigma delle teorie morali
     classiche incentrate esclusivamente sugli esseri umani e sulla nozione di persona.
     La ME, in pratica, è uno strumento etico che permette di «parlare per il lupo»: di
     inserire, nel processo decisionale, anche gli interessi e le richieste ritenute
     moralmente rilevanti di soggetti solitamente esclusi dal ragionamento etico, ma
     che invece acquisiscono un'importanza cruciale in alcuni situazioni particolari,
     come quelle legate alla conservazione. Questi soggetti sono, da una parte, gli
     animali non-umani presi nella loro singolarità e, dall'altra, l'ambiente e tutte le sue
     varie categorie particolari come, per esempio, le specie, gli ecosistemi, il biota, la
     biodiversità, ecc.
        A queste due categorie di stakeholder è necessario poi aggiungerne una terza,
     legata invece alla sfera dell'umano che, come si è visto, costituisce il terzo vertice
     del triangolo conflittuale che può venirsi a creare nell'ambito della conservazione.
     Idealmente, quindi, il modello generale di ME che si viene delineando prevederà
     tre classi di stakeholder. Una prima classe che includerà gli animali non-umani
     (che possono appartenere a più di una specie o popolazione o persino gruppo
     sociale laddove applicabile, sulla base delle circostanze); una seconda classe che
     includerà le categorie ambientali (a un livello minimo il «biota», ma eventualmente
     anche le «specie», gli «ecosistemi», «l'ambiente nel suo complesso», ecc.); una
     terza classe che includerà infine gli esseri umani (a un livello minimo le «comunità
     locali», ma anche i «conservazionisti», la «società presa nel suo complesso», le
     «generazioni future», ecc.).
        È bene sottolineare che quelle appena descritte sono per l'appunto classi di
     potenziali stakeholder, non gli stakeholder stessi. Affinché una ME possa risultare
     efficace nel descrivere il quadro degli interessi morali rilevanti sarà spesso
     necessario «spacchettare» queste tre classi generali (organismi, ambiente, esseri
     umani) in categorie più specifiche (come quelle esemplificate tra parentesi in
     precedenza) per rendere conto della complessità della situazione analizzata.
        Si tratta di una procedura già realizzata laddove lo schema originario di
     Mepham di soli quattro stakeholder risultava restrittivo. Per esempio, nella ME
     elaborata per analizzare da un punto di vista etico l'industria ittica norvegese12 gli
     stakeholder individuati sono stati sette invece dei quattro previsti da Mepham. Il
     modello originario, da questo punto di vista, non costituisce una camicia di forza.
     Una lista degli stakeholder ricca e articolata può risultare in una ME
     funzionalmente utile ai decisori, garantendo imparzialità e neutralità.

         12 Kaiser & Forsberg (2001).
240 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI

    L'individuazione degli stakeholder è infatti un passaggio fondamentale per porre al
    riparo la ME da pregiudiziali e vizi ideologici, tenendo presente che più punti di
    vista sono presi in considerazione nella compilazione, più articolato sarà il quadro
    degli interessi fornito ai decisori.
        Per quanto importante, la presenza di numerosi stakeholder, di per sé, non
    deve essere presa, però, come garanzia di neutralità: non importa, infatti, quanti
    stakeholder si prendono in considerazione in una data classe, se poi si escludono i
    rappresentanti relativi a una delle altre classi, come sembra avvenire, per esempio,
    nella ME citata in precedenza, dove nel valutare l'industria ittica norvegese si
    prendono in considerazione sei tipologie di stakeholder umani, ma nessun
    animale non-umano. L'imparzialità di una ME, da questo punto di vista, non è
    tanto legata al mantenimento rigido del suo modello originario come è stato
    sostenuto13, bensì dall'inclusione di tutti i punti di vista moralmente rilevanti,
    compresi quelli non legati direttamente alla sfera umana.
        Oltre alle questioni del dettaglio e dell'imparzialità della lista degli stakeholder,
    ve n'è un'altra, legata invece alla natura del punto di vista espresso delle parti
    coinvolte. Gli stakeholder individuano sempre categorie generali, poiché non è
    pensabile – e non sarebbe neanche utile – raggiungere un livello di analisi così
    raffinato da tenere in conto il punto di vista dei singoli individui. Questo non
    significa, però, che gli interessi espressi dagli stakeholder vadano sempre
    considerati alla stregua della «volontà generale» di Rousseau: come gli interessi di
    un tutto che sussume entro di sé gli interessi particolari delle parti. L'interesse di
    una categoria generale può essere infatti inteso in due maniere diverse: come
    l'insieme degli interessi comuni a tutti i membri della categoria, o come l'interesse
    del tutto formato dai membri. Le due tipologie di interesse spesso non
    corrispondono: ciò che è interesse delle parti può non essere interesse del tutto, e
    ciò che è interesse del tutto spesso prevarica l'interesse delle parti. In questo
    modo, diventa necessario, per evitare ambiguità, individuare la natura del punto di
    vista espresso da uno stakeholder. Se, per esempio, compilando una ME
    inseriamo una specie particolare tra gli stakeholder, dovremmo chiederci se ci
    stiamo riferendo ai singoli membri della specie (i cui interessi potrebbero essere
    evitare il dolore, la morte, la cattività, ecc.) oppure alla specie (il cui interesse
    potrebbe essere evitare l'estinzione, propagarsi, ecc.). Una buona regola al
    proposito, per evitare questo tipo di confusione, è di considerare gli stakeholder
    della prima classe – quella degli animali non-umani – sempre come collezioni di
    individui con interessi comuni, e gli stakeholder della seconda classe – quella
    legata alle categorie ambientali – sempre come entità olistiche, depositarie di
    interessi generali che sussumo gli interessi particolari delle loro parti. La terza
    classe – quella degli esseri umani – potrà avere entrambe le tipologie di categorie

       13 Schroeder & Palmer (2003).
241 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità

     generali, sebbene in generale, essendo composta principalmente da «corpi sociali»
     – comunità, organizzazioni, categorie professionali – conterrà stakeholder con
     interessi di ambito generale.

     5. L'APPLICAZIONE DELLE ME ALLA CONSERVAZIONE: I PRINCIPI
        ETICI GENERALI

         Ciò che rende una ME uno strumento potente per individuare gli interessi
     morali coinvolti in una data situazione, sono i principi etici generali cui fa
     riferimento. Prima di analizzare in che modo questi possano essere adattati
     all’ambito della conservazione è necessario ritornare sui presupposti teorici
     generali che fanno da sfondo alla ME. L'idea alla base dell'impianto costruito da
     Mepham è il riferimento alla morale comune come fonte di valori generali i quali,
     almeno a una livello astratto, possano essere condivisi da tutti i membri della
     società. Si tratta di un'idea che affonda le proprie radici nell'«approccio dei
     principi» elaborato da Beauchamp e Childress nell'ambito della bioetica umana14.
     I principi etici generali derivati dalla moralità comune, in pratica, pur non dando
     luce a una teoria etica strutturata e specifica, forniscono un punto di partenza per
     una discussione più dettagliata degli interessi morali in gioco e, data la loro natura
     generale e aperta a diversi aspetti della riflessione morale, permettono di fornire
     un quadro il più possibile imparziale, perché non sbilanciato su una visione
     valoriale specifica15.
         Quest'ultima clausola di «imparzialità» – che Mepham trae dalla riflessione di
     John Rawls sui processi decisionali in etica16 – è il pilastro su cui si fonda il
     carattere eticamente neutrale delle ME. E il pluralismo morale implicito che ne
     consegue – che vuole essere una descrizione della morale comune priva di
     carattere prescrittivi – è affrontato a partire da un’altra elaborazione teorica,

         14 Beauchamp & Childress (1985). È da notare che Beauchamp e Childress propongono
     quattro principi alla base del loro approccio: «non maleficienza», «beneficienza», «autonomia», e
     «giustizia». Nell'elaborare lo schema generale della ME Mepham compresse in un unico principio –
     quello del «benessere» – «non maleficienza» e «beneficienza», perché la distinzione tra le due non
     era rilevante nel campo della food ethics. La ragione per cui le matrici hanno tre e non quattro
     principi di base è relativa quindi al contesto in cui sono state elaborate, e non ha ragioni teoriche
     universali di fondo – è anzi possibile pensare che, un'applicazione delle ME nel campo della
     bioetica della medicina umana possa ripristinare la distinzione tra «non maleficienza» e
     «beneficienza». Nel campo della conservazione invece, riteniamo non ci sia bisogno di una simile
     distinzione, per le stesse ragioni per cui Mepham la escludeva dalla food ethics: il carattere non
     esclusivamente umano degli stakeholder interessati (vedi Mepham 1996).
         15 Questo aspetto è stato discusso e criticato in Schroeder & Palmer (2003). Mepham ha
     risposto alla questione in Mepham (2010).
         16 Rawls (1951).
242 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI

    propria questa volta dell'intuizionismo di David Ross17. I principi etici generali
    non vanno infatti ritenuti come degli assoluti, ma come fonte di ragioni prima
    facie, che possono ovvero essere scavalcate sulla base delle circostanze, ma non
    per questo sradicate18. In questo modo è possibile sciogliere i conflitti etici relativi
    alla presenza di interessi morali divergenti, senza per questo ritenere «illusoria» la
    natura conflittuale della situazione, o i principi che l'hanno causata. Ma quali sono,
    nello specifico, i caratteri di questi principi etici generali?

       5.1 I principi etici generali delle ME
        Come si è visto in precedenza, Mepham prende in considerazione tre principi
    etici generali: benessere, autonomia, e giustizia. Si tratta di principi che, come
    ribadito più volte da Mepham, riprendono grossomodo il contenuto di tre grandi
    tradizioni del pensiero morale: rispettivamente l'utilitarismo, la morale
    deontologica di ascendenza kantiana, e la teoria rawlsiana. Ma come si applicano
    nello specifico delle ME questi tre principi? Quali sono le potenziali difficoltà che
    si possono incontrare e in che modo possono essere risolte possedendo una
    expertise etica anche minima?
        Il principio di benessere, come si è detto, si rifà all'utilitarismo e al suo
    imperativo di massimizzare il benessere psicofisico e minimizzare il malessere
    all'interno di una comunità di esseri senzienti. Da una parte, pertanto, l'utilitarismo
    è una teoria collettivista – il soggetto della massimizzazione è la società, e non i
    singoli individui – e dall'altro esclude dal suo campo d'azione tutto ciò che non è
    in grado di sentire piacere o dolore, avere interessi, preferenze, ecc. In questo
    modo, per l'applicazione di questo principio è richiesto che si vada oltre la lettera
    della sua teoria di riferimento, conservandone però lo spirito di fondo, quello
    legato alla valorizzazione del «benessere» e della riduzione del «malessere»: questo
    soprattutto per gli stakeholder della seconda classe che possono avere degli
    «interessi» soltanto in senso lato, e in tutti i casi in cui il punto di vista espresso
    dagli stakeholder è individuale e non sovraindividuale.
        Il principio dell'autonomia si rifà invece all'imperativo kantiano di trattare se
    stessi e gli altri come fini e mai come mezzi, e indica pertanto il rispetto delle
    libertà, delle scelte, e delle differenze individuali. A un livello più specifico, si può
    distinguere in questo principio un aspetto negativo (ovvero passivo) legato al
    semplice rispetto dei diritti individuali di ciascuno, e uno positivo (ovvero attivo)
    legato invece alla necessità di trattare gli altri considerandoli persone, senza cioè
    prescindere dalle particolarità e peculiarità che fanno di ogni essere razionale un
    unicum irripetibile e insostituibile. Anche in questo caso, come si vede, è
    necessaria una certa elasticità per applicare questo principio – specialmente alla

       17 Ross (1930).
       18 Secondo la definizione fornita da Audi (2004: 24).
243 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità

     prima e alla seconda classe di stakeholder – poiché l'idea di autonomia è
     profondamente legata a quelle di libertà, razionalità, e rispetto della dignità della
     persona19.
         Il terzo principio, quelle della giustizia, di primo acchito è forse il più difficile
     da inquadrare. Istintivamente, viene da associarlo al rispetto dei diritti, ma questo
     aspetto è già incluso nel principio dell'autonomia. Un modo per risolvere la
     questione è quello di restringere il suo campo e vedere in esso il completamento
     del principio dell'autonomia: laddove questo ci invita a trattare gli altri in modo da
     valorizzare le libertà di scelta e le peculiarità di ciascuno, il principio di giustizia
     opera spingendo a comportarci con gli altri prescindendo dalle loro differenze, se
     queste non sono moralmente rilevanti. Il principio di giustizia si traduce così nel
     rispetto dell'equità nella distribuzione e nel trattamento. Questa interpretazione
     ben si accorda collo spirito rawlsiano che sta alla base di questo principio, sebbene
     ponga ulteriori problemi di applicazione. Come ricordava Amartya Sen in un
     articolo in cui si criticava, tra gli altri, proprio Rawls, non è possibile definire
     l'equità se prima non si è fornita la risposta al quesito «equità di che cosa?»20. Per
     sapere se una distribuzione è equa, dobbiamo infatti capire prima di tutto qual è il
     bene morale che viene distribuito. E non solo. Di là del contenuto, una
     distribuzione può essere ritenuta equa per diverse ragioni: se essa è avvenuta, per
     esempio, in modo egualitario, se è proceduta sulla base dei bisogni, del merito,
     oppure degli sforzi, se è avvenuta in maniera volontaria, ecc. A differenza del
     benessere, o dell'autonomia, che sono concetti normativi con un contenuto più o
     meno definito, la giustizia è un concetto complesso, che può incarnare ideali
     molto diversi tra loro sulla base del retroterra teorico che decidiamo di accogliere.
         Nell'ambito della compilazione delle ME questo si traduce spesso in una
     vaghezza nell'applicazione di questo principio. Forse, la soluzione è quella di
     insistere ancora sulla strada rawlsiana, consapevoli però che questa costituisce
     soltanto uno dei possibili sbocchi dell'idea di giustizia. In questo modo l'equità va
     considerata come il frutto di scelte compiute dietro un «velo d'ignoranza»,
     compiute ovvero, prescindendo dai propri interessi e dalle proprie caratteristiche
     personali. Anche in questo caso, però, come per il precedente principio
     dell'autonomia, rimane aperto il problema di comprendere come sia possibile
     applicare una simile idea al di fuori di un contesto in cui vigono libertà e
     razionalità. Giustizia, tradizionalmente, è un termine impiegato per definire e
     legare la comunità degli esseri umani in opposizione al resto del creato (“fuori
     della città,” scrive Aristotele, “c'è l'animale o il dio”). Come per i precedenti
     principi, anche in questo caso è necessario compiere una certa astrazione per

        19 La teoria morale sviluppata da Kant traccia una solco piuttosto netto tra natura e esseri umani
     per ciò che concerne il valore morale, escludendo ogni dovere diretto nei confronti degli animali
     non umani e dell'ambiente in generale.
        20 Sen (1980).
244 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI

    trovare un'applicazione alla prima e alla seconda classe di stakeholder. E questo
    ci porta al nostro problema centrale: come applicare i principi delle ME alle
    questioni relative alla conservazione?

       5.2 I principi etici generali delle ME applicati alla conservazione: gli animali
          non-umani e il biota
       Le ME presenti nella letteratura offrono molti esempi riguardo all'applicazione
    dei principi etici generali agli animali non-umani e al biota. Per orientare la
    discussione è opportuno analizzare uno di questi esempi, nello specifico il
    modello originario proposto da Mepham per la valutazione delle tecnologie
    agroalimentari, riprodotto nella tabella 2.

            Tabella 2
                                Benessere           Autonomia            Giustizia
            Organismo           Benessere           Libertà     di       Rispetto per
                                [welfare]           espressione          il telos
                                animale             del repertorio
                                                    comportament
                                                    ale
            Produttori          Adeguati            Libertà       di     Trattamento
                                guadagni e          scelta riguardo      equo       nel
                                condizioni di       all'impiego          commercio e
                                lavoro              della                nella
                                                    tecnologia           legislazione
            Consumatori         Disponibilità       Rispetto per le      Accessibilità
                                di       cibo       scelte       dei     universale al
                                salutare            consumatori          cibo
                                                    (etichettatura)
            Biota               Conservazio         Mantenimento         Sostenibilità
                                ne del biota        della                delle
                                                    biodiversità         popolazioni
                                                                         biotiche

       A differenza degli interessi specifici dei produttori e dei consumatori, legati alle
    questioni della food ethics, le richieste morali avanzate nella riga degli organismi e
    del biota possono essere considerate applicabili anche nell'ambito della
    conservazione. Cominciamo quindi ad analizzarle, partendo dagli organismi.
       Sotto il principio del benessere la ME riporta il rispetto per il welfare degli
    animali, coerentemente colle aspirazioni generali di questo principio focalizzate
    sull'assenza di sofferenza, sulla soddisfazione delle aspettative (almeno alcune) e
245 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità

     sulla salute21. L'applicazione del principio dell'autonomia chiama in causa invece il
     rispetto per la libera espressione del patrimonio comportamentale. Si tratta di una
     applicazione elegante di questo principio, che costituisce la migliore traduzione a
     livello degli animali non-umani dell'idea di autonomia, che in senso stretto, si
     riferirebbe soltanto alle persone. È molto importante, inoltre, il fatto che la ME
     distingua tra queste due richieste morali. Vi sono sicuramente delle connessioni
     tra benessere e libertà di esercitare il proprio repertorio comportamentale, dal
     momento che il benessere dipende anche da stati psicologici legati alla capacità di
     esercitare determinati comportamenti, ma il collocamento in due spazi distinti
     permette di sottolineare le differenze tra questi due interessi, e la possibilità di un
     loro attrito. Da questo punto di vista, non ci sono problemi ad adottare queste due
     tipologie di interesse morali anche in ME applicate alle questioni della
     conservazione.
         Più problematico appare invece l'applicazione del principio di giustizia. Il
     riferimento al telos non può che rimandare all'etica animale sviluppata da Bernard
     Rollin agli inizi degli anni ottanta del secolo trascorso22. Rollin ha adoperato
     questo termine aristotelico per indicare l'insieme di bisogni e interessi specie-
     specifici di un organismo vivente legati alla sua essenza e alla sue finalità: in
     pratica, la realizzazione da parte di un essere vivente della sua natura, un fatto
     questo, secondo il filosofo della Colorado State University, moralmente rilevante.
     Se così stanno le cose, però, non si capisce perché la richiesta di rispettare il telos
     dovrebbe cadere nell'ambito del principio della giustizia, la cui interpretazione più
     coerente è, come si è visto, legata all'idea di equo trattamento. Il rispetto del telos
     coincide infatti piuttosto colla richiesta di rispetto della libertà comportamentale
     legata al principio di autonomia.
         Quest'ultimo aspetto non deve essere sfuggito a Mepham, che ha in seguito
     ripreso le critiche di Alan Holland23 alla nozione di telos di Rollin24, ridefinendo
     l'applicazione del principio di giustizia agli organismi viventi nei termini di rispetto
     del «valore intrinseco». Il concetto di valore intrinseco, in questo contesto, rischia,
     tuttavia, di essere astratto e vago25: al di fuori di una cornice teorica definita26 – che
     non può rientrare nella morale comune cui si ispira la matrice27 – «valore

          21 Per un'inquadratura della complessità della nozione di «benessere animale» si rimanda a
     Bono & De Mori (2011).
          22 Rollin (1981).
          23 Holland (1995).
          24 Mepham (1999).
          25 Sui diversi significati che può assumere quest'espressione sulla base dei contesti vedi
     Jamieson (2008).
          26 Come per esempio quella fornita da Regan (1983).
          27 Millar (2000), che ripropone il collegamento colla teoria di Regan, sembra essere
     consapevole del fatto: che sia ovvero quantomeno controverso collocare la proposta di Regan
     all'interno di una morale sociale ampiamente condivisa (questo, chiaramente, non vuole essere una
246 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI

    intrinseco» rischia di diventare soltanto un espediente retorico per dire che
    qualcosa è «davvero molto importante» senza specificarne le ragioni. Inoltre, se
    volessimo prendere sul serio la nozione di valore intrinseco, dovremmo affidarle il
    peso specifico che le compete: un peso massimo in grado di sbaragliare ogni altra
    considerazione morale che le si potrebbe mettere di fronte. Peraltro, il concetto di
    valore intrinseco non è legato al principio della giustizia, ma a quello
    dell'autonomia, poiché è quest'ultimo a essere legato all'idea dell'inviolabilità della
    persona.
        Plausibilmente, la ragione per questo inserimento del valore intrinseco
    all'interno dell'ambito della giustizia risiede nell'idea che sia giusto riconoscere
    all'organismo la sua natura di fine, e non soltanto di mezzo per raggiungere i nostri
    scopi. In pratica, come sembrerebbe leggendo quanto Mepham scrive in seguito
    sull'argomento, l'idea di valore intrinseco non sembra tanto riferirsi a una teoria o
    a un significato particolare, quanto rappresentare la necessità di un
    riconoscimento morale di qualche tipo nei confronti degli animali28. Si tratta di un
    punto sicuramente corretto, ma che da una parte non richiede necessariamente
    l'ingombrante linguaggio del valore intrinseco per essere espresso, e dall'altra deve
    essere comunque specificato in relazione alla giustizia, poiché anche i principi del
    benessere e dell'autonomia sottolineano la rilevanza morale degli animali non-
    umani.
         L'idea di giustizia, come si è visto, si attua nell'equo trattamento e la sua
    applicazione nell'ambito degli animali non-umani può essere compiuta
    semplicemente affermando che ogni membro di una specie ha il diritto a essere
    trattato con rispetto e senza che gli sia attribuito un valore inferiore ai conspecifici.

    critica della teoria di Regan per il semplice fatto che non può esserlo, dal momento che la morale
    comune non necessariamente è la migliore o quella corretta). Nonostante questo, Millar ritiene utile
    inserire l'elemento del valore intrinseco all'interno della riga relativa agli animali non-umani perché
    permette di porre sul tavolo altre questioni importanti come quella dell'integrità della vita animale
    (Millar 2013). In effetti, nonostante il richiamo a Regan (1983), Millar sembra quasi far coincidere
    la questione del valore intrinseco con quella dell'«integrità», che sembra scostarsi dall'impianto
    generale della teoria di Regan – un impianto che, coerentemente col suo ascendente kantiano, si
    colloca esclusivamente nell'ambito individuale. Più specificatamente, la questione dell'integrità è
    affrontata in Millar & Morton (2009), dove sono esaminate diverse definizioni della nozione. In
    generale, ciò che ne viene fuori è che per «integrità» si debba intendere la natura di un animale non-
    umano così come essa è, che per «rispetto dell'integrità» non si debba intendere soltanto il rispetto
    della sua natura in un senso «laico» come quello proposto in Rollin (1981), ma in un senso più
    forte, che comprende oltre la natura individuale dell'animale non-umano preso in considerazione,
    anche la sua natura specie-specifica (una delle applicazioni del concetto di integrità sembra essere, a
    proposito, quella di sollevare questioni etiche nel campo della manipolazione genetica degli
    organismi). In questo modo, però, la nozione di integrità da una parte sembra tenere assieme due
    dimensioni – quella dell'organismo individuale e quella della specie – che in uno strumento
    analitico come la ME dovrebbero essere tenute separate, dall'altra sembra riproporre richieste
    morali già avanzate sotto il principio del benessere e dell'autonomia.
        28 Mepham (2006).
247 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità

     Tradotto nell'ambito della conservazione, questo significa mettere in luce le
     problematicità morali che sorgono ogni qual volta interveniamo su un particolare
     organismo (o un gruppo di organismi) invece che su un conspecifico. Un esempio
     – piuttosto drammatico – di questo genere di intervento è la decisione, in un
     contesto di controllo della numerosità degli individui, di abbattere un animale
     piuttosto che un altro: a dispetto di tutte le buone ragioni che potremmo avere per
     operare questa scelta (età, sesso, genetica, ecc.) il principio di giustizia ci ricorda
     comunque la sua problematicità dal punto di vista morale, coerente coll'assunto
     rawlsiano del «velo di ignoranza», della richiesta, ovvero, di considerare le nostre
     scelte moralmente «perfette» proprio quando riusciamo a mettere da parte ogni
     genere di differenza. La presenza di un conflitto sta proprio a significare che la
     scelta non potrà mai essere «perfetta», ma questo non significa che nel processo
     decisionale non si debba prendere lo stesso sul serio l'equità promossa dal
     principio di giustizia.
         Passiamo adesso a esaminare la riga del biota. Sotto i principi del benessere e
     dell'autonomia troviamo rispettivamente «conservazione del biota» e
     «mantenimento della biodiversità». La connessione tra autonomia e biodiversità è
     analoga a quella precedente tra autonomia e libertà comportamentale: la
     dimensione della libertà è tradotta nella differenza e nella varietà, e quindi nella
     biodiversità. Ma nonostante questa coerenza di fondo, l'applicazione è
     problematica, dal momento che conservazione (applicazione del principio del
     benessere) e mantenimento29 della biodiversità (applicazione del principio di
     autonomia) si equivalgono, o quantomeno il primo concetto contiene il
     secondo30. L'oggetto della conservazione è infatti proprio il mantenimento della
     biodiversità e il mantenimento della biodiversità è la conservazione: pertanto la
     distinzione tracciata dal modello originario della ME non ha un chiaro interesse o
     significato.
         Un modo per risolvere la questione potrebbe essere quella di lasciare la
     questione della conservazione della biodiversità sotto l'egida del principio del
     benessere – partendo dal punto di vista che la biodiversità costituisce un aspetto
     rilevante della salute degli ecosistemi naturali – e fornire una diversa applicazione
     del principio dell'autonomia. Quale potrebbe essere questa diversa applicazione?

        29 È da sottolineare qui la presenza del termine «mantenimento», in quanto la biodiversità
     potrebbe essere di per sé promossa attraverso metodi che non hanno nulla a che fare con la
     conservazione – come per esempio la creazione artificiale di nuove specie. Su questo aspetto
     possono essere utili alcune critiche avanzate in Maier (2012) rispetto alla connessione tra
     biodiversità e valore della natura.
        30 Si potrebbe per esempio intendere la conservazione in un senso più esteso del
     mantenimento della biodiversità ponendo che la prima riguardi anche la conservazione degli
     ambienti fisici, e non soltanto della vita in tutti i suoi aspetti.
248 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI

        Si potrebbe a tal proposito sottolineare come la natura possieda una sua
    peculiare forma di autonomia, un'autonomia rispetto ai nostri interessi, ai nostri
    sforzi e ai nostri tentativi di delimitare in qualche modo il suo operato. La
    conservazione è in buona parte un'impresa che nasce proprio per frenare, o
    quanto meno gestire, la crisi ecologica causata dagli esseri umani nel loro rapporto
    distruttivo colla natura. Ma anche la conservazione può cadere nella vecchia
    abitudine di cercare di imporre schemi «umani» alla natura: come quando adotta
    una visione che potremmo chiamare «museale» della propria missione, e
    dimentica che la «natura della natura» è processuale, non statica31. È vero che la
    conservazione è soprattutto gestione degli ambienti, degli ecosistemi, e delle
    specie, ma non dovrebbe mai perdere di vista l'idea che gli ambienti non possono
    essere ‘costruiti’ per incarnare un qualche ideale di biodiversità costruito dagli
    esseri umani, che gli ecosistemi si reggono su processi estremamente complessi
    che difficilmente possono essere compresi e amministrati a pieno, e che le specie
    non sono idee platoniche congelate in qualche sperduto iperuranio. Il principio di
    autonomia applicato alle categorie ambientali potrebbe a proposito avanzare la
    richiesta di contenere l'intervento dei conservazionisti nei limiti delle conoscenze
    più solide che abbiamo nei confronti degli ecosistemi e delle specie, di evitare
    forme di «accanimento terapeutico», di non considerare sempre l'estinzione come
    una tragedia e di proteggere accanto alle specie anche la «speciazione»,
    riconoscendo in questa maniera una certa indipendenza e «libertà» ai processi
    naturali.
        La voce relativa al principio della giustizia cita infine la «sostenibilità della
    popolazioni biotiche», e la questione sembra essere nuovamente problematica. La
    sostenibilità è la capacità di un dato processo o stato di essere mantenuto
    indefinitamente. La sostenibilità delle popolazioni biotiche è pertanto un altro
    modo per dire nuovamente «conservazione», così come lo era stato in precedenza
    «mantenimento della biodiversità». Come nel caso precedente degli organismi,
    inoltre, non è chiaro quale sia la connessione tra il principio di giustizia e la sua
    applicazione. Forse il riferimento è alla giustizia intergenerazionale e in questo
    modo si capisce il riferimento alla sostenibilità, pensando al diritto delle
    generazioni future di vivere in un modo ecologicamente simile al nostro. In
    questo caso, tuttavia, il punto di vista adottato non è più quello del biota, quanto
    quello, per l'appunto, delle generazioni future.
        Una soluzione alla questione sarebbe quella di rifarsi nuovamente all'idea di
    giustizia come equo trattamento e considerare l'applicazione di questo principio
    alle categorie ambientali nei termini di rispetto della dignità di ogni parte della
    natura. Ci sono molte ragioni per esempio, per preferire alcune specie viventi ad
    altre. Non c'è alcun dubbio, per esempio, sul fatto che preferiamo la nostra specie

       31 Cfr. Biasetti & de Mori (2016).
249 Le matrici etiche nella conservazione della biodiversità

     a tutte gli altri viventi. Lo stesso accade per le specie vicine alla nostra, preferite a
     quelle filogeneticamente più lontane. Apprezziamo alcune specie perché
     totemiche o carismatiche. Consideriamo altre invasive, o aliene, di contro a specie
     viste invece come autoctone. La complessità comportamentale e la ricchezza
     cognitiva ci fa preferire alcune specie rispetto ad altre. Diamo solitamente un
     valore superiore agli animali rispetto alle piante. E così via. Alcune di queste
     distinzioni sono eticamente più rilevanti di altre (soprattutto la prima), ma da un
     punto di vista che astragga ogni considerazione specifica, ogni parte della natura
     possiede un certo diritto al riconoscimento della propria importanza, se il nostro
     scopo è quello di dare una valore complessivo all'ambiente e alla biodiversità. La
     giustizia intesa come un'applicazione del velo di ignoranza richiede di astrarre da
     ogni considerazione relativa ai nostri interessi, preferenze e considerazioni, e
     considerare quindi ogni parte della natura come qualcosa prima facie importante:
     la casella che stiamo discutendo è in pratica quella parte della matrice in cui
     trovano spazio rivendicazioni contrarie a ogni forma di specismo. Ancora una
     volta: non si tratta di un punto di vista definitivo, che possa condurci direttamente
     alle conclusioni di un ragionamento morale, ma è senz'altro un punto di partenza
     da tenere in considerazione in ogni processo decisionale che riguardi la
     conservazione della natura e della biodiversità.

         5.3 I principi etici generali delle ME applicati alla conservazione: le comunità
            umane
        La terza classe di stakeholder può contenere diverse voci, ma a un livello
     minimo dovrà tenere in considerazione almeno le comunità umane coinvolte
     nella situazione analizzata. In questo caso, non è utile rivolgersi alla matrice
     modello riprodotta nella tabella 2 perché i due stakeholder individuati –
     produttori e consumatori – sono legati a questioni diverse da quelle sollevate dalla
     conservazione.
        A proposito delle applicazioni dei principi etici generali alle comunità umane
     inoltre, non è possibile andare oltre a una certa generalità nella descrizione,
     perché il loro contenuto coincide grossomodo con quanto già analizzato nel
     precedente paragrafo 5.1. Il principio del benessere, per esempio, richiederà il
     rispetto del benessere psicofisico, economico, sociale, e culturale delle comunità
     coinvolte. Il principio dell'autonomia richiederà invece il rispetto della libertà di
     scelta, del principio di autodeterminazione, e delle tradizioni culturali delle
     comunità coinvolte. Il principio di giustizia richiederà infine un equo trattamento
     della comunità rispetto alle altre comunità umane.
250 PIERFRANSCESCO BIASETTI & BARBARA DE MORI

    6. CONCLUSIONE. UN MODELLO GENERALE DI ME PER LA
       CONSERVAZIONE

       La plasticità insita nel modello originale ME ha autorizzato le riflessioni e gli
    adattamenti discussi in queste pagine. La discussione delle questioni etiche
    connesse con la pratica della conservazione sembrano potersi giovare del processo
    di analisi proposto dalla ME. Rispetto al modello originale, tuttavia, alcune
    modifiche mostrano di essere particolarmente rilevanti.
       Un modello generale di ME, ad esempio, adattato alle questioni di
    conservazione, avrà le seguenti tre classi di stakeholder: organismi non-umani,
    categorie ambientali, ed esseri umani. A un livello minimo, questo si traduce in
    almeno tre stakeholder: organismi, biota e comunità umana.
       Certo, non si tratta di una lista chiusa: è possibile aumentare la presenza di
    stakeholder in ogni classe fintanto che la situazione analizzata lo richiede. Potrà
    essere, per esempio, utile inserire in molte ME relative alla conservazione tra i
    stakeholder della terza classe i «conservazionisti» e le «generazioni future». In ogni
    caso la ME deve ricordarsi di «parlare per il lupo», considerando quindi anche gli
    interessi morali non direttamente legati agli esseri umani, e comprendere sempre
    stakeholder relativi alla prima e alla seconda classe, oltre che alla terza32.
       Sarà poi necessario ricordare i diversi ‘punti di vista’ da cui operare la
    valutazione: il punto di vista da cui valutare gli interessi degli organismi e degli
    stakeholder affini, infatti, è quello del singolo individuo, mentre il punto di vista
    da cui valutare gli interessi del biota e degli stakeholder affini è quello generale del
    tutto espresso dalla categoria; il punto di vista, infine, da cui valutare gli interessi
    degli stakeholder umani può variare, ma generalmente sarà il punto di vista del
    tutto espresso dalla categoria, come nel caso, per esempio, delle comunità umane
    coinvolte.
       I principi etici generali presi in considerazione sono gli stessi della versione
    originale, il benessere, l'autonomia, e la giustizia, ma la loro applicazione dovrà
    fare riferimento alle varie questioni sollevate. La loro applicazione generica è
    riassunta nella tabella 3.

             Tabella 3
                                   Benessere             Autonomia              Giustizia
             Animali               Benessere             Libertà     di         Rispetto del
             non-umani             [welfare]             espressione            valore    di
                                   animale               del repertorio         ogni

       32 Un caso limite è quello delle situazioni in cui, per una ragione o per l'altra, non sono
    coinvolti animali non-umani nella pratica di conservazione: in questo caso va da sé che è possibile
    omettere la prima classe di stakeholder.
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