La regina Amata tra Dante e Virgilio.

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La regina Amata tra Dante e Virgilio.
                                                                                                       Di Silvia Luscia

Nel IV canto dell’Inferno, Dante comincia la sua discesa agli Inferi, passando per il primo dei
nove cerchi infernali: il Limbo, costruito nell’immaginazione del poeta sulla scorta dei Campi
Elisi virgiliani 1. Qui vengono collocati non solo infanti, femmine e viri che non ebber
battesmo 2, ma anche gli spiriti magni della classicità: i grandi poeti come Omero, Orazio
satiro, Ovidio e Lucano, i filosofi, primo fra tutti Aristotele, e una schiera di personaggi
appartenenti al mito, troiani e romani, che hanno combattuto per l’edificazione di Roma,
voluta dalla Provvidenza:
                                           Colà dritto, sovra ‘l verde smalto,
                                            mi fuor mostrati li spiriti magni,
                                         che del vedere in me stesso m’essalto.
                                           I’ vidi Eletra con molti compagni,
                                            tra’ quai conobbi Ettòr ed Enea,
                                         Cesare armato con gli occhi grifagni.
                                               Vidi Camilla e la Pantasilea;
                                             da l’altra parte vidi ‘l re Latino
                                            che con Lavina sua figlia sedea 3.
     Dante a poca distanza dalla visione di Enea crea un accurato primo piano su Latino e
     Lavinia, la madre della gens romana destinata a regnare sul mondo, proprio come aveva
     profetizzato Fauno 4. La grande assente in questa famiglia regia è proprio la regina
     Amata. Per lei qui, tra i grandi personaggi con una morte degna secondo i mores
     romani, non c’è posto.

     1
         Dante e Virgilio dopo aver incontrato i grandi poeti dell’antichità si recano con loro ai piedi di un nobile castello
     cerchiato da sette mura e difeso da un bel fiumicello. Passato questo agevolmente, entrano per sette porte e
     giungono a un ameno prato verdeggiante. Questo luogo distinto, che separa gli spiriti magni dagli altri abitatori del
     Limbi, è caratterizzato da elementi che ricordano Aen., 6, 638 – 659. G. REGGIO, Dante, Divina Commedia, Firenze
     1993, p. 60, nota che non sono certo mancate a Dante altre probabili fonti che l’acribia dei critici ha ritrovato, per
     esempio, nell’Anticlaudianus di Alano di Lilla o nel Roman de la Rose con le sue propaggini nel Fiore.
     2
         DANTE, Commedia, Inf., IV, 35. Edizione critica a cura di G. PETROCCHI, Firenze 1966.
     3
         Inf., IV, 119 – 126.
     4
         Aen., 7, 98 – 101: externi uenient generi, qui sanguine nostrum / nomen in astra ferant, quorumque a stirpe nepotes
     / omnia sub pedibus, qua Sol utrumque recurrens / aspicit Oceanum, uertique regique uidebunt. ( trad. it.: verrà un
     genero straniero che porterà alle stelle con la sua discendenza il nostro nome: i nipoti da lui sorti vedranno il mondo
     sottomesso ai loro piedi, i paesi tutti che il Sole guarda nella sua eterna corsa dall’uno all’altro Oceano.)
La parola onore costituisce infatti il Leitmotiv di questo canto e, con i suoi derivati,
viene replicata ben otto volte 5. Amata ha invece perso il suo onore nel tentativo di
ergersi contro il progetto provvidenziale del matrimonio tra Lavinia ed Enea, base
fondamentale per la nascita di Roma,
La sua colpevole opposizione l’aveva portata ad eccessi di furor, a consumare orge
bacchiche e infine a uccidersi , proprio tramite un’infamante impiccagione, rifiutando la
propria vita pur di non accettare Enea come genero. Questo acceso comportamento mal
si concilia con la sembianza né trista né lieta degli spiriti del Limbo la cui magnanimità
vieta di manifestare il proprio sentire:
                                     Genti v’eran con occhi tardi e gravi,
                                     di grande autorità ne’ lor sembianti:
                                        parlavan rado, con voci soavi 6.
La scena è decisamente in netto contrasto con il passo di Aen., 7, 385 – 396, in cui
Amata è descritta come un’agitata e furente baccante 7. Ancor più gli occhi tardi e gravi
degli spiriti danteschi contrastano con il sanguineam torquens aciem di Aen.,7, 399, così
come le loro voci soavi con il clamat di Aen.,7, 400, nonché con la precedente
similitudine che, ad Aen., 7, 378 – 384, accosta l’agitazione di Amata, immensam sine
more furit lymphata per urbem, a una trottola roteante 8.
Infine il gesto del suicidio getta su di lei una colpa ancora più grande, un peccato che la
esclude eternamente dal Limbo 9.

5
    La parola “onore” o i suoi derivati si trovano a: v. 72: ch’orrevol gente…; v. 73: O tu ch’onori…; v. 74: questi chi
son c’hanno cotanta onoranza; v. 76: …l’onorata dominanza; v. 80: Onorate l’altissimo poeta; v. 93: fannomi
onore…; v. 100: e più d’onore…; v. 133: …tutti onor li fanno.
6
    Inf., IV, 112 – 114.
7
    Aen., 7, 385 – 396. Trad. it.: Peggio: fingendo d’essere invasa da Bacco corre nei boschi e nasconde la figlia sui
monti frondosi per strappare ai Troiani la sposa e tardare le nozze. E al grido di « Bacco evoè! » urla che solo
Bacco è degno della vergine , la quale ha consacrato a Bacco la sua chioma ed ha impugnato i tirsi. Ne vola la
notizia; egual furore conduce tutte le madri infiammate dalle Furie a cercare luoghi insoliti e strani. Abbandonate
le case corrono seminude nel vento, coi capelli sciolti. Molte riempiono         l’aria di tremule voci e vestite di pelli
portano tirsi di pampini.
8
    7, 378 – 384: “così rotea una trottola sotto i colpi di frusta dei fanciulli che giocano facendola girare intorno a un
vasto cortile; spinta dai colpi la trottola avanza descrivendo cerchi,la schiera dei bimbi la guarda stupita senza
sapere perché quel legno si muova così rapidamente su se stesso, e raddoppia il movimento. Veloce come un ruotare
di trottola Amata si muove in mezzo alla città e attraverso la gente”. Un gioco infantile diventa l’impressionante
similitudine della follia di Amata: l’immagine della trottola frustrata senza sosta dai bambini si fa infatti immagine
della penosa pazzia della regina.
9
    G. REGGIO, Dante, Divina Commedia, p. 63, nota che la presenza in Inf., IV, 128 di Lucrezia che è suicida per la
violenza recatale da Sesto Tarquinio è dovuta sia alla persistenza della tradizione classica che ne faceva un esempio
Dante non presenta però Amata nel girone dei suicidi 10.
Il lettore può incontrarla invece nel XVII canto del Purgatorio come esempio di ira
smodata insieme a Procne e al personaggio biblico di Aman 11:
                                       surse in mia visïone una fanciulla
                                     piangendo forte, e dicea: « O regina
                                    perché per ira hai voluto esser nulla?
                                     Ancisa t’hai per non perder Lavina;
                                   or m’hai perduta! Io son essa che lutto,
                                  madre, a la tua pria ch’a l’altrui ruina12.
Leggendo il v. 37, Ancisa t’hai per non perder Lavina, Dante sembra scostarsi dal passo
Aen., 12, 598 – 600:
                                 infelix pugnae iuuenem in certamine credit

di magnanimità e pudicizia, sia al fatto che la sua morte è segno di un altro momento fondamentale nella
provvidenziale storia dell’aquila romana ( il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica ), come mostrato in Pd., VI,
41: al dolor di Lucrezia in sette regi.
Sono d’accordo sulla prima motivazione data da Reggio, ma in base alla seconda anche Amata dovrebbe avere un
posto d’onore in Inf., IV, poiché la sua morte segna il momento fondamentale dell’incontro tra Enea e Turno. La
vittoria di Enea sarà poi il primo passo del Romanam condere gentem, cioè l’inizio del volo dell’aquila : Pd., VI, 36:
che Pallante morì per darli regno. La virtù del sacrosanto segno che simboleggia Roma inizia infatti dall’epica lotta
di Enea contro Turno.
10
     Dante mostra la punizione dei suicidi in Inf., XIII. L’anima del suicida dopo la morte precipita nel girone senza che
le sia prefissato un posto: dove cade germoglia e cresce in pianta silvestra ( Inf., XIII,100 ). Coloro che
peccaminosamente svelsero l’anima dal corpo, infrangendo l’unità della persona umana voluta da Dio, sono privati
del corpo umano, assumendo una natura inferiore, com’è quella vegetale rispetto all’umana. Rimarranno privi di
questo anche dopo il Giudizio Universale: allora tutti, tranne loro, rivestiranno i loro corpi, ne andranno in cerca, li
trascineranno nella selva, infine li appenderanno ciascun al prun dell’ombra sua molesta ( Inf., XIII, 108 ). La
condanna cristiana del suicidio qui espressa da Dante è talmente severa che sembra contraddire la legge
univocamente stabilita dai teologi, secondo cui, tutti gli uomini, senza eccezioni, riprenderanno dopo il Giudizio i
loro corpi: allora aumenterà per essi il bene e così la doglianza ( Inf., VI, 103 e verrà ribadito anche in Pd.,XIV, 37
ss. ). L’ esacerbazione della pena, per i suicidi, consisterà invece nell’impossibilità di rivestire i loro corpi, ché non è
giusto aver ciò ch’om si toglie ( Inf.,XIII, 105 ). Amata però qui non compare, come non compare in tutto l’Inferno,
nemmeno nel canto VIII dove vengono puniti gli iracondi. Questo fatto è molto importante perché non connota la
regina come uno spirito maledetto al pari, per esempio di Filippo Argenti in Inf., VIII, 38, nonostante le deprecabili
conseguenze a cui la sua ira l’ha spinta. Su di lei Dante non sembra rivolgere la più dura condanna.
11
     Secondo il mito, ricordato anche in Pg., IX, 13 – 15, Procne, adirata contro il marito Tereo, che aveva violentato
Filomena, sorella di lei, uccise il figlio Iti e ne diede le carni al marito come pasto. Aman è invece il ministro del re
persiano Assuero e da questo assai stimato. Adirato contro Mardocheo, zio della regina Esther, perché non lo
adorava come egli pretendeva, Aman progettò di farlo crocifiggere e di distruggere tutti gli Ebrei. Esther allora rivelò
ad Assuero i progetti crudeli e le scelleratezze di Aman, per cui il re fece crocifiggere il suo malvagio ministro alla
stessa croce che questi aveva preparato per Mardocheo.
12
     Pg., XVII, 34 – 39.
exstinctum et subito mentem turbata dolore
                           se causam clamat crimenque caputque malorum 13.
Secondo Virgilio, infatti, la regina Amata quando crede Turno morto in battaglia, pensa
di essere stata lei, con la sua avversione a Enea, la causa dei mali della sua gente e
della stessa morte di Turno, se causam clamat crimenque caputque malorum e disperata
si uccide.
Dante invece nelle parole di Lavinia sembra far credere che il suicidio sia dettato da
quella paura palesata da Amata ad Aen., 7, 360 – 361, … nec matris miseret, quam
primo Aquilone relinquet / perfidus alta petens abducta uirgine praedo?
Con ciò non bisogna credere che Dante non conoscesse o non avesse compreso le
intenzioni di Virgilio; al contrario egli è esplicitamente d’accordo col poeta latino in
Epistola VII, 24, dove viene detto che Amata, opponendosi al genero voluto dal fato, in
bella furialiter provocavit, et demum, male ausa luendo, laqueo se suspendit.
L’apparente divergenza tra il testo virgiliano e quello del Purgatorio dipende dal fatto
che Dante, anziché rappresentare direttamente la punizione, ha preferito mostrarcela
riflessa nel lamento della figlia Lavinia 14.
In Virgilio questo non c’è. Sono da lui ricordati i gesti e lo strazio della fanciulla, filia
prima manu floros Lauinia crinis / et roseas laniata genas, ma lei non prende mai la
parola.
Questo è un tratto di grande originalità dantesca nei confronti del modello. Nell’Eneide
infatti, quando Amata e Lavinia si trovano insieme, è sempre la regina a parlare e in
modo molto enfatico: così accade ad Aen., 7, 399 – 400, … toruumque repente /
clamat…, e ancora nella supplica a Turno ad Aen.,12, 56 – 63, mentre accepit uocem
lacrimis Lauinia matris / flagrantis perfusa genas, cui plurimus ignem / subiecit rubor
et calefacta per ora cucurrit 15.

13
  ; trad. it: s’immagina che il giovane sia caduto in battaglia. L’infelice, turbata dal dolore improvviso incolpa sé
soltanto d’essere la cagione di ogni male.
14
     La finezza di Dante nel presentare indirettamente Amata sta anche nel non chiamarla per nome, utilizzando invece
in Pg. XVII, 35, l’epiteto che maggiormente la connota nell’Eneide: regina. E. CARNEY, Reginae in the Aeneid, «
Athenaeum » ( 1988 ), p. 427, nota che la parola regina nell’Eneide non sta a significare solo consorte di un monarca,
ma indica una leadership femminile. Amata grazie all’inefficacia della politica del marito ed essendo una persona
molto più carismatica tende ad assumere la funzione di vero leader dei Latini. Usando la sua posizione ufficiale di
moglie di un sovrano acquisisce sempre più larghe porzioni di potere regale. H. H. VARWICK, A Vergil
Concordance, Minneapolis, 1975, p. 733, mostra che il termine regina ha il suo maggior impiego riferito soprattutto
a Didone ( 20 volte), Amata ( 6 volte ) , Giunone ( 5 volte ), Camilla ( 3 volte).
15
     Aen., 12, 64 – 66: Passo già citato a 3.1.1, p. 47. Trad. it.: Le guance ardenti rigate di lacrime, Lavinia accolse la
parola della madre arrossendo d’una subita vampa che le coperse il volto e il collo di scarlatto.
Dante riveste quindi Lavinia della drammaticità di cui era padrona la madre e vorrei far
notare che, non a caso, la battuta di Lavinia comincia con una domanda retorica, …O
regina / perché per ira hai voluto esser nulla?, strumento con cui è costruito gran parte
del discorso di Amata a Latino ad Aen., 7, 359 – 372 16.
Anche le lacrime di Lavinia prima di parlare nel Purgatorio, piangendo forte, e dicea,
ricordano, secondo me, altri due passi dell’Eneide in cui è però Amata la protagonista
dell’azione. Il primo ad Aen.,7, 357 – 358, mollius et solito matrum de more locuta est, /
multa super natae lacrimans Phrygiisque hymenaeis, e soprattutto il secondo ad
Aen.,12, 54 – 55, At regina noua pugnae conterrita sorte / flebat et ardentem generum
moritura tenebat.
Tutto questo mostra come nelle parole di Lavinia, che qui appare con un atteggiamento
molto diverso dalla magnanimità e pacatezza di Inf., IV e della stessa Eneide, ci siano
l’anima, la voce stessa di Amata, anche se non viene presentata direttamente.
In più nelle due terzine del lamento di Lavinia si evince che Dante ha compreso fino in
fondo le linee su cui Virgilio ha costruito il personaggio di Amata. Centrale è la sua ira,
quel furor che l’aveva caratterizzata insieme a Turno e ai contadini latini nel VII libro
dell’Eneide e che ora la rende una dei protagonisti del XVII canto del Purgatorio con
Procne e Aman. Dante mostra anche di aver compreso l’unione dei destini di Amata e
Turno, legati in tutta la seconda esade dell’Eneide fino alla morte, citandoli uniti nella
ruina al v. 39:
                                 madre, a la tua pria ch’a l’altrui ruina.
Infine viene mostrata da Dante la stessa sensibilità e pietà che anche Virgilio sembra
velare verso questa regina infelix. Forse, come sostiene Umberto Bosco, proprio il non
presentare direttamente Amata nel Purgatorio è dettato da un senso di pietà umana di
Dante, che ha voluto addolcire i toni non mostrando il castigo della sua pur riprovevole
colpa d’ ira mala 17.

     7, 359 – 372 : “E’ proprio vero che vuoi sposare la nostra Lavinia a esuli dardanidi, padre? Non hai pietà
della figlia e di te, di una madre che al primo vento propizio quel perfido predone lascerà sola, fuggendo per
il mare, portandosi via la fanciulla? Non fece forse così Paride, il frigio pastore, quando andò a Sparta e
rapì Elena la figlia di Leda conducendola a Troia? Che ne è della tua parola, dell’amore per i tuoi, della
promessa fatta tante volte al parente Turno? Se cerchiamo un genero straniero,se sei davvero fermo in
quest’idea e ti assillano gli ordini di tuo padre Fauno, ebbene, ogni terra libera, indipendente dal nostro
regno è straniera:io credo che gli dei questo intendano. E poi, se risaliamo alle origini, Turno è straniero, i
suoi avi sono Inaco e Acrisio e la sua patria è il cuore della greca Micene.”

17
     U. BOSCO, Dante, Divina Commedia, Purgatorio, Firenze 1995, p. 286.
Quindi il suicidio di Amata, se pur religiosamente deprecabile come la sua causa, l’ira, e
castigato dal cielo, è umanamente pietoso. Non insistendo visivamente sulla sua
punizione, Dante sembra mitigarne la condanna.
Quest’ ipotesi viene confermata dal confronto con l’antitetica situazione di Inf.,VIII 31
– 63. Dante vede nella palude stigia la condanna inflitta agli iracondi, in particolare a
Filippo Argenti, verso il quale il poeta sembra nutrire un odio privato. Questo
sentimento di odio, completamente opposto alla pietà umana che il poeta prova per
Amata nel Purgatorio, trova invece il suo sfogo nella vivida descrizione della sozzura in
cui il peccatore giace: v.35, … fatto brutto; v.39, …sia lordo tutto; v. 53, … vederlo
attuffare in questa broda, e nel compiacimento per essa. La situazione risulta antitetica
a quella di Amata, perché la completa mancanza di pietà di Dante verso il peccatore si
manifesta attraverso l’insistenza visiva sulla scena che viene offerta alla mente del
lettore, in modo completamente opposto alla riservatezza di cui aveva rivestito la pena
di Amata nel Purgatorio.
Addirittura Dante chiederà a Virgilio di ritardare l’entrata alla città di Dite proprio per
godere dello spettacolo offerto dalla pena dell’Argenti:
                              E io: «Maestro, molto sarei vago
                            di vederlo attuffare in questa broda
                             prima che noi uscissimo del lago.»
                             Ed elli a me: «Avante che la proda
                                ti lasci veder, tu sarai sazio:
                              di tal disio convien che tu goda.»
                             Dopo ciò poco vid’io quello strazio
                               far di costui a le fangose genti,
                           che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio 18.

18
     Inf.,VIII, 52 – 61.
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