La Chiesa: genesi e sviluppi storici del Corpo mistico di Cristo

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La Chiesa: genesi e sviluppi storici del Corpo mistico di Cristo
La Chiesa: genesi e sviluppi storici
del Corpo mistico di Cristo
La Chiesa: genesi e sviluppi storici del Corpo mistico di Cristodi Francesca
Angelini del 27-02-2021

“La Chiesa è il Vangelo che continua”, in questo modo viene definita dal cardinale
svizzero Charles Journet (1891 – 1975). In molti altri hanno tentato di descriverla,
spesso in modo scorretto, ognuno modellando la propria definizione in base al
personale punto di vista ed al tipo di rapporto intrattenuto con essa – quasi il
Vangelo fosse emblema del relativismo odierno. Per capire cosa sia realmente la
Chiesa è però necessario partire dalla sua origine e ripercorrere le tappe storiche
con le conseguenti vicissitudini affrontate. La Tradizione fa risalire la sua nascita
all’evento di Pentecoste, riportato negli Atti degli Apostoli: “Vi tramsetto quello
che ho ricevuto” amava ripetere Monsignor Marcel Lefebvre, ed ancora tradere
significa “trasmettere”.

La cattedra di San Pietro (in latino Cathedra Petri) è un trono ligneo, che la
leggenda medioevale identifica con la cattedra vescovile appartenuta a san Pietro
La Chiesa: genesi e sviluppi storici del Corpo mistico di Cristo
apostolo in quanto primo vescovo di Roma e Papa. Quello che si conserva è un
manufatto del IX secolo, donato nell’875 dal re dei Franchi Carlo il Calvo a papa
Giovanni VIII in occasione della sua discesa a Roma per la propria incoronazione
a imperatore. L’opera del Bernini è collocata nell’abside di fondo della Basilica
Vaticana, aggettante con effetto scenografico dalla cornice architettonica delle
lesene. Al centro si trova il trono in bronzo dorato, al cui interno è situata la
cattedra lignea vera e propria. Su un drappo frontale è rappresentata la traditio
clavum (la “consegna delle chiavi”, ovvero l’atto secondo cui, nella dottrina
cattolica, Cristo conferisce a Pietro il primato papale). Quattro colossali statue
anch’esse in bronzo, raffiguranti quattro dottori della Chiesa (in primo piano
sant’Agostino e sant’Ambrogio per la Chiesa latina e in secondo piano
sant’Atanasio e san Giovanni Crisostomo per la Chiesa greca), sono rappresentate
nell’atto di sorreggere la cattedra, che pare librarsi senza peso su nuvole di
stucco dorato.

Secondo l’evangelista Giovanni, ha inizio dal costato ferito di Gesù sulla croce nel
momento in cui questi dona lo Spirito. Il quarto evangelista mostra la Chiesa
come dono di Dio e sottolinea il carattere trinitario della sua nascita, infatti, nasce
dal Padre, per mezzo del Figlio, con l’aiuto dello Spirito.
Il termine Chiesa deriva dal greco ekklēsía, con cui si indicava l’assemblea
pubblica dei cittadini. Questo vocabolo è stato poi utilizzato dalla Bibbia dei
Settanta (versione della Bibbia in lingua greca) per tradurre l’ebraico qahal, con
cui si intendeva la convocazione del popolo da parte di Dio, oppure per tradurre
l’ebraico edah, con cui si chiamava la comunità raccolta per pregare o il luogo di
preghiera. I due termini hanno diverse sfumature in quanto il primo indica
maggiormente una convocazione passiva, mentre il secondo un raduno attivo.
Nel Nuovo Testamento l’ecclesia (termine latino) non è la sinagoga che è, invece,
la comunità degli ebrei. Utilizzando il termine al plurale si indica una particolare
Chiesa locale, invece, al singolare l’insieme di tutte le Chiese. È da tenere
presente che nell’Antico Testamento non è possibile parlare di Chiesa nel senso
moderno del termine, ma in quello originario, per questo motivo è un concetto
che viene espresso con varie immagini come quella del “popolo di Dio”, che
racchiude un aspetto storico visibile (popolo) ed un aspetto teologico invisibile
(Dio). Espressione usata dopo l’esilio perché Israele acquisisce sempre “maggiore
coscienza” di essere il popolo eletto che appartenendo a Dio non appartiene a se
stesso, a differenza degli altri popoli definiti come le “genti”. Un’altra espressione
usata è “alleanza”, Dio vuole stabilire un’alleanza e libera con essa, all’alleanza
sinaitica Israele deve sentire il bisogno di rispondere con la fedeltà. Altro termine
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è “resto di Israele”, utilizzato nel periodo dell’esilio, indica la piccola porzione
degli israeliti che è riuscita a rimanere fedele.

Si potrebbe facilmente pensare che il fondatore della Chiesa, intesa come
l’istituzione odierna, sia Cristo, ma occorre fare delle precisazioni. Spesso si
utilizza la celebre frase del Vangelo secondo Matteo Tu es Petrus, et super hanc
petram aedificabo ecclesiam meam – Tibi dabo claves Regni Caelorum (Tu sei
Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non
prevaranno contro di essa – Mt 16,18) per sostenere questa idea, ma l’espressione
va intesa in senso post pasquale, infatti, la Chiesa per Matteo è opera del Risorto
e vive con lui, inoltre l’evangelista sottolinea la sua natura apostolica e
l’importanza di Pietro. Quindi, se per fondazione si intende la forma giuridica,
Gesù non l’ha fondata. Cristo ha parlato di un Regno e raccoglie cerchi
concentrici di persone che ruotano intorno a lui: i dodici apostoli, i settantadue
discepoli, la folla, indicando una connessione tra Regno e comunità. Il suo scopo
non era radunare persone per creare una Chiesa come forma giuridica vicino la
già esistente comunità di Israele, ma per fondare Israele stesso, un Israele
escatologico, mostrando un’apertura verso tutti. In poche parole non ha fondato
la Chiesa, ma l’ha preparata. La sua nascita effettiva avviene con il mistero
pasquale.
Per l’evangelista Marco la Chiesa è universale, aperta ai giudei ed ai pagani –
affinché tendino alla Verità cristica, dunque alla conversione -, ed è chiamata a
seguire Gesù fino alla croce e ad ascoltare la Parola e a metterla in pratica. Mette
anche in evidenza la fragilità propria della comunità.
Secondo l’evangelista Luca il peccato della Chiesa è l’attaccamento di alcuni suoi
membri ai beni terreni. Inoltre l’esperienza del martirio è un evento fondamentale
per la sua coscienza, infatti, usa il termine Chiesa, mai usato nel suo Vangelo,
negli Atti degli apostoli ad esempio dopo il martirio di Stefano. Negli Atti, poi, è
evidenziata la dimensione ministeriale della Chiesa, che è una comunità
organizzata gerarchicamente. Per Luca il tempo della Chiesa è il tempo dello
Spirito che la sostiene sempre ed è donato a tutte le persone a partire dal
Battesimo.
Nemmeno nel Vangelo di Giovanni compare il termine ecclesia, ma solo nella sua
terza lettera. È interessato alla dimensione intima della Chiesa, la koinonìa
(comunione) tra Gesù e i discepoli e interna a questi ultimi. La Chiesa è la schiera
dei credenti in Cristo, non dà importanza all’aspetto istituzionale, ma presenta
un’ecclesiologia universalista. Nell’Apocalisse, Gesù ricorda tutto l’amore che ha
avuto per la Chiesa. Essa vince il male con la propria testimonianza. L’ultimo libro
della Bibbia finisce con l’immagine della Chiesa celeste.
San Paolo è il primo ad utilizzare la parola ecclesia per indicare la comunità
locale. Invece nelle lettere deuteropaoline (composte successivamente alla sua
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vita, ma attribuite a lui) il termine viene usato per indicare quella universale. Per
l’apostolo la Chiesa è corpo mistico di Cristo come è evidente soprattutto nella
frase contenuta nella lettera ai Corinzi “Ora voi siete corpo di Cristo e le sue
membra, ciascuno per la sua parte.” (1Cr 12,27).
Nei secoli la Chiesa ha vissuto varie trasformazioni che hanno rispecchiato il
particolare periodo storico attraversato.
Nella patristica (filosofia cristiana dei primi secoli) è vista come: “mistero”,
“Corpo di Cristo”, “comunione dei Santi”, “tempio di Dio”. Nello specifico i padri
dei primi tre secoli utilizzano l’immagine della barca, per i latini Pietro ne è al
timone. Prima del IV secolo è vista come mistero, successivamente come Impero.
Questo è dovuto agli importanti fatti storici che hanno caratterizzato questo
secolo: l’Editto di Milano dell’Imperatore Costantino del 313 sulla libertà di culto
e l’Editto di Tessalonica dell’Imperatore Teodosio con il quale il cristianesimo
diventa la religione ufficiale dell’Impero. La Chiesa, quindi, perde la sua
dimensione escatologica, ma ha uno sguardo fisso sul presente.
La Chiesa, precedentemente all’anno 1000, era detta “Corpo di Cristo” e
l’Eucaristia “Corpo mistico di Cristo”. Dopo il 1000 d.C. avviene un
capovolgimento per cui l’Eucaristia viene indicata come “Corpo di Cristo” e la
Chiesa come “Corpo mistico di Cristo”, cambiamento fatto per difendere la
presenza reale di Gesù nell’Eucaristia. Nel 1054 si colloca lo scisma tra Chiesa
d’Oriente e Chiesa d’Occidente che presentano ecclesiologie differenti in quanto
in Oriente prevale un’ecclesiologia di comunione fra le Chiese, invece, in
Occidente si subisce l’influsso della Riforma gregoriana (XI secolo) e
successivamente dell’eresia luterana (XVI secolo).

Il notissimo ritratto di papa Giulio II della Rovere, realizzato da Raffaello Sanzio a
Roma (particolare), si trova alla National Gallery di Londra.
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Papa Gregorio VII vuole una Chiesa libera dal male, scomunica Enrico IV per il
suo rifiuto di rinunciare a nominare i vescovi, il quale, per ottenere la revoca della
scomunica, si umilia attendendo tre giorni e tre notti in ginocchio sulla neve
davanti al portale d’ingresso del castello di Matilde di Canossa prima di essere
ammesso al cospetto del Pontefice, nell’episodio storico noto come l’Umiliazione
di Canossa. Redige il Dictatus Papae, raccolta assiomatica di ventisette
affermazioni sui poteri dei pontefici, sono elencati, quindi, i princìpi della Riforma
gregoriana che dà il via ad un’ecclesiologia dove il Papa è centrale come il ruolo
di Roma. Chiesa intesa come societas perfecta. Prima della riforma tutti i vescovi
erano considerati il vicario di Cristo, tutte le Chiese fondate da un apostolo
oppure che avevano ricevuto una lettera da un apostolo erano considerate una
sede apostolica.
I capisaldi dell’eresia luterana, oltre l’aspetto politico della sottomissione ai Conti
Elettori tedeschi e la lotta alla vendita delle indulgenze, sono: sola scriptura e sola
fide, indicando con il primo l’esclusività della Parola a discapito della Tradizione,
invece, con il secondo l’egemonia della fede contro le opere. In termini liturgici
Lutero attua tre delle due caratteristiche che oggi la Chiesa attua: in primis non
vi è più la transustanziazione – dunque manca il Santissimo, poi per conseguenza
il “prete” non deve dare più le spalle ai fedeli, che divengono centrali nella
conferenza e abolisce la lingua universale del latino a favore di quella
vernacolare.
Per Martin Lutero la Chiesa non è un impero, infatti, il potere spirituale è
separato da quello temporale, non è volontà divina che i vescovi abbiano il potere.
Predica, inoltre, l’importanza del sacerdozio universale dei fedeli per cui non solo
il Papa, ma tutti possono leggere ed interpretare la Bibbia. Per rispondere
all’eresia protestante è stato istituito nel 1545 il Concilio di Trento che mette al
centro il Vangelo, i Sacramenti (la Riforma accetta, invece, solo il Battesimo e
l’Eucaristia) e la gerarchia. Si ribadisce che la Chiesa è una società perfetta e si
insiste sulla potestà pontificia. Successivamente nell’illuminismo (XVIII secolo) si
sottolinea la centralità del diritto nella Chiesa facendole perdere l’aspetto
soprannaturale ed sarà solo sotto il beato Pio IX nel 1868 che sarà convocato il
Concilio Vaticano I che fu il primo Concilio che intende affrontare in maniera
sistematica il tema della Chiesa.
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Il concilio di Trento o concilio Tridentino fu il XIX concilio ecumenico della Chiesa
cattolica, convocato per reagire alla diffusione dell’eresia protestante in Europa.
L’opera svolta dalla Chiesa per porre argine al dilagare della diffusione della
dottrina di Martin Lutero produsse la controriforma.

Viene emanata la Costituzione apostolica Pastor Aeternus (costituita da un
prologo e da quattro capitoli) che, già nello schema preparatorio, presenta un
aspetto mistico in quanto si abbandona la categoria della società perfetta e, al
contrario, si sottolinea la categoria del Corpo mistico di Cristo essendo la Chiesa
una società soprannaturale e spirituale. Nel documento definitivo è centrale
l’aspetto dell’infallibilità pontificia quindi il potere papale è di diritto divino,
potere pieno senza mediazioni sulla materia di fede, dei costumi e sulla materia
ecclesiale. L’infallibilità non ha bisogno del consenso della Chiesa essendo un
carisma proprio del pontefice. Il papa è superiore al concilio.
Nel 1959 Giovanni XXIII convoca il Concilio Vaticano II, esprimendo nell’annuncio
la sua idea di Chiesa in dialogo con il mondo e non in opposizione con i suoi
aspetti moderni. Dunque essendo il mondo del maligno (luciferino) che propone
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mode terrene e la Chiesa si oppone ad esse grazie alla Verità di Cristo scritta nel
Magistero, si evince già l’errore dottrinale: la Chiesa si adegua al mondo. Viene,
poi, continuato e portato a termine nel 1965 da San Paolo VI. Il Concilio ha
emanato numerosi documenti, alcuni dei quali trattano nello specifico il tema
della Chiesa. Il primo fra tutti è la Costituzione dogmatica Lumen Gentium
(costituita da otto capitoli) che si mostra rivoluzionaria nel presentare la Chiesa
non tanto in forma gerarchica, ma come popolo di Dio, superando, quindi, la sua
concezione clericale. Antepone la stessa trattazione sul popolo di Dio a quella
sulla costituzione gerarchica, tanto che si parla di “rivoluzione copernicana”.
Viene ribadita la Chiesa come “Corpo mistico di Cristo”, al cui interno ci sono
diversi compiti e diversi doni ed è lo Spirito a renderla un Corpo solo (orizzonte
pneumatologico). Viene recuperato anche l’orizzonte agapico perché i diversi
carismi non sono questione di potere, ma di amore. La Chiesa di Cristo sussiste
nella Chiesa cattolica, con sussistenza si vuole indicare la piena identità, ma non
si tratta di una realtà escludente, infatti, il documento ha un profilo inclusivista
secondo il quale Cristo ha salvato tutti (cristocentrismo). Nella Chiesa cattolica
c’è la pienezza dei mezzi di salvezza, nelle altre confessioni ce ne sono comunque
alcuni.
La Costituzione pastorale Gaudium et Spes (costituita da proemio, prima e
seconda parte e conclusione) afferma che la Chiesa deve dialogare con il mondo,
cogliere i segni dei tempi e la grazia presente. Con il dialogo “adempie la sua
missione” perché non deve solo trasmettere la verità, ma anche imparare dal
mondo (non possedendo più un’unica Verità, quella Cristica).
Questa esposizione dei fatti storici principali riguardanti la Chiesa la mostra come
una realtà in continuo rinnovamento, ma che nella sua essenza rimane sempre la
stessa e per captare questa sua essenza ci si può affidare alle note (proprietà
essenziali) con cui è stata definita dal simbolo niceno-costantinopolitano risalente
al Concilio di Nicea (325).
La Chiesa è Una perché questa è l’intenzione di Cristo, l’unità richiama l’unicità
(alle nuove tesi) ed entrambe si trovano all’interno della molteplicità che non è
nemica dell’unità. La divisione non è da intendere come molteplicità, ma come
peccato (qui il paradosso discusso da molteplici teologici). La Chiesa è santa in
quanto è composta da santità e peccato, ma Cristo è venuto per la salvezza di
tutti. È indistruttibile perché anche se perseguitata non può essere annientata. È
indefettibile perché anche se al suo interno ci sono peccatori è accompagnata fino
alla fine dei tempi da Cristo. È infallibile perché anche se può sbagliare non può
essere preda della potenza del male.
La Chiesa è cattolica che significa universale perché riflette la volontà salvifica di
Dio che si è fatto carne per tutti gli uomini. La Chiesa è apostolica nel senso di
inviata da Dio per mezzo di Cristo. L’apostolicità per sua natura è profetica quindi
genera continuamente la parola di Dio in mezzo all’umanità. Un cambiamento,
La Chiesa: genesi e sviluppi storici del Corpo mistico di Cristo
questo, che genera ancora importanti discussioni nel mondo cattolico.

Per approfondimenti:
_Wiedenhofer S., La Chiesa. Lineamenti fondamentali di ecclesiologia, San Paolo.

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Un vademecum per l’uomo
sognatore, guerriero, gentiluomo
Un vademecum per l’uomo sognatore, guerriero, gentiluomodi Giuseppe Baiocchi
del 04-09-2020

Uno dei personaggi celebri che cercarono di rovesciare nel 1944 Adolf Hitler
(1889 – 1945), così affermava poco prima della sua esecuzione: «Colui che
conserva nel suo petto puro ed immacolato la fede di un fanciullo e osa vivere
contro la derisione del mondo – come sognava da bambino – fino all’ultimo giorno:
questo è un uomo»! Quell’uomo era Henning Hermann Robert Karl von Tresckow
(1901 – 44), martire della Germania moderna e forse questa frase, più di ogni
altra, identifica il nuovo saggio edito dalla casa editrice tedesca Wolff Verlag.
Leggendo l’opera di don Philipp Maria Karasch (1984) e del professore Daniel
Plassnig (1990) non si può non rimanere impressionati dalla singolarità della loro
fatica letteraria, che prende il titolo tedesco di Träumer Kämpfer Gentleman: una
guida per la moralità dell’uomo di oggi, all’insegna dei valori tradizionali
dell’Europa.
La Chiesa: genesi e sviluppi storici del Corpo mistico di Cristo
In una realtà sociale, dove dominano modelli di moralità contrari alla nostra storia
e esempi degenerativi sui comportamenti e sulla presentabilità delle persone,
sicuramente questo prezioso scritto, formalmente un vademecum per l’uomo
contemporaneo, dimostra di scavare davvero in fondo al nostro animo.
Le epoche passate, con tutte le loro vicissitudini e i diversi sistemi sociali,
avevano una cosa in comune: la conoscenza di dove si trovava l’uomo e cosa ci si
poteva aspettare da lui. È stato procreatore e produttore, guerriero e inventore,
avventuriero e poeta. Ha sempre avuto qualcosa da offrire. Ma poi, il suo stesso
successo sembrò distruggerlo: la tecnologia lo ha privato del lavoro, l’intera
produzione alimentare è stata industrializzata, e anche le guerre diventarono in
gran parte anonime. L’uomo può vegetare in casa, perdendo metà della sua vita in
mondi digitali illusori. Egli non è più legato ad un ciclo biologico – né in guerra,
né nel guadagnarsi da vivere, né nella procreazione. Tutto è a sua disposizione
sempre e ovunque. Così, le sue pulsioni mentali e fisiche sembrano essere
diventate paralizzate, adipose e desolate.
Come spiegare altrimenti che l’uomo sfugge in larga misura al ruolo che Dio gli
ha destinato? Molti padri lasciano i propri figli da soli (se di figli ancora ne
vengono fatti), la frammentazione sociale viene silenziosamente accettata, il
patrimonio culturale viene distrutto e non si trova nessuno che lo difenda. La lista
potrebbe continuare all’infinito. D’altro canto, come il saggio ci invita a riflettere,
la virilità nel culto del corpo è caricaturale su ogni manifesto pubblicitario,
oppure si creano talvolta piccoli rifugi che prendono la forma di centri estetici o
di templi del fitness, dove l’uomo può chiudersi in se stesso e abbandonarsi a un
culto superficiale della mascolinità. Spuntano anche innumerevoli riviste per il
“Signore del Creato”, il quale però si presenta come guscio vuoto, pallido
nell’aspetto, che parallelamente mostra anche la volontà di riscoprire la
consapevolezza del pericolo per la propria identità.
La Chiesa: genesi e sviluppi storici del Corpo mistico di Cristo
Sotto tutte le ceneri delle certezze bruciate, vi è un desiderio segreto installato
nei cuori di molti uomini che risplende per quel qualcosa di Grande che vogliono
servire, che vogliono scoprire e conquistare – per il quale vogliono morire. La
repressione ed il tabù delle caratteristiche e delle virtù maschili sono penetrati
persino nel sacro regno della vita ecclesiale. Anche se si dovrebbe assumere il
contrario, considerando che l’ordinazione sacerdotale è riservata agli uomini,
questi ultimi spesso si sentono fuori posto nella Chiesa, in quanto sembra che
quest’ultima venga appannata da una patina di femminismo confuso e vuoto.
Anche se ciò non parla in favore dell’uomo, al quale l’inganno del sentimentalismo
superficiale impedisce di vedere la pretesa di Gesù sui suoi discepoli, l’obiettivo
contrariamente deve essere quello di dimostrare che egli stesso ha bisogno della
Chiesa, come quest’ultima ha bisogno di lui. Che egli troverà la propria vocazione
solo attraverso un cristianesimo vero e sentito, che richiede sacrificio e dono di
sé.
Da questo sentimento nasce il “vademecum per l’uomo”, al quale si antepone la
triade del sognatore, del guerriero e del gentiluomo. Così che ogni lettore incline
si ritrovi già nel titolo e intraprenda il viaggio esplorativo di una virilità raffinata.

Negli Stati Uniti d’America, ci sono innumerevoli opere contemporanee sul
mercato del libro cristiano che si presentano in modo accattivante. Nei paesi di
lingua tedesca e in Italia, tuttavia, l’editoria in questo contesto si distingue per la
sua scarsa produzione. Nella misura in cui in Europa, prevale una diversa
sensibilità linguistica, gli autori hanno deciso di raccontarsi e raccontare la loro
idea maschile, che in realtà risulta poi essere quella dei nostri nonni e con uno
sguardo più generalizzato, risulta essere quello della nostra storia. Alcune lobby,
come sappiamo, stanno cercando di eliminare la storia: è sotto gli occhi di tutti.
Ed è proprio per questo che questo piccolo tomo, che tratta di virtù e
atteggiamenti diversi che dovrebbero contraddistinguere un uomo, acquisisce
ancor di più maggior valore. Ad ogni tematica trattata, con intelligenza, si prende
un “personaggio” ad esempio che, nel concreto e come figura storica, da buon
cattolico, può servire da mentore e da esempio per noi lettori scoraggiati. Ma
questa Europa, oggi tecnocratica, nella quale non conta più l’appartenenza
culturale di ogni popolo, ma unicamente viene osservato il mero dato finanziario
per essere comunità, non si basa ancora sulla grecità, sulla cristianità, sulla
filosofia tedesca del 900 e sulla storia delle grandi famiglie europee che l’hanno –
de facto – plasmata? E non sono forse gli uomini citati in Träumer Kämpfer
Gentleman ad essere tasselli di quella terra che calpestiamo e di quell’aria che
respiriamo?

Uno dei punti fermi del saggio sembra essere la citazione di Ernst Jünger (1895 –
1998): «il coraggio è il vento che spinge verso lidi lontani, la chiave di tutti i
tesori, il martello che forgia grandi imperi, lo scudo senza il quale non esiste
cultura. Il coraggio è l’impegno della propria persona ad affrontare la
conseguenza più dura, il salto dell’idea contro la materia, indipendentemente da
ciò che ne può scaturire. Coraggio significa lasciarsi crocifiggere come individuo
per la propria causa; coraggio significa confessare, nell’ultimo spasmo dei nervi,
con il respiro spento, il pensiero per il quale si è resistito e si è caduti. Al diavolo
un tempo che vuole portarci via il nostro coraggio e i nostri uomini»!

Sul tema della paternità, ad esempio, troviamo il Lord Cancelliere Thomas More
(1478 – 1535) o Claus Philipp Maria Schenk conte von Stauffenberg (1907 – 44), i
quali divengono sinonimo di orgoglio cristiano; il padre della Chiesa Aurelio
Agostino d’Ippona (354 d.C. – 430 d.C.) ci fa riflette sulla vera amicizia e lo
scrittore John Ronald Reuel Tolkien (1892 – 1973) viene citato come esempio di
cavalleria. Alcuni fra gli altri temi trattano l’amore per la Patria, l’identità, la
bellezza, il corpo e lo sport, il perdono, il desiderio.
Ogni capitolo inizia con un brevissimo profilo biografico del personaggio, seguito
dall’argomento vero e proprio e si conclude con domande di riflessione o
suggerimenti per l’attuazione di quanto letto. Gli autori austriaci, nella scelta dei
personaggi, si sono soffermati su modelli di riferimento di lingua tedesca,
sicuramente come atto d’amore e dolore che lo stesso odio tedesco ha avuto su se
stesso. Ma anche l’attuale Italia trova alleati nativi in Filippo Romolo Neri (1515 –
95) e Pier Giorgio Frassati (1901 – 25). Ovviamente nessuno è specialista quando
si tratta di tracciare modelli per il prossimo, tuttavia, gli autori sembrano
comprendere quale è il loro personale obiettivo: un libro per se stessi e per tutti
coloro che vorranno assaporarne l’incipit.

Tuttavia, una delle riflessioni più toccanti del testo si installa propriamente sullo
smarrimento dei valori giovanili, senza più cardini e punti di riferimento.
L’affidarsi spesso a “consiglieri” sbagliati, spesso agli stessi media, sta facendo
crollare la morale e l’etica dei giovani: gli autori sperano con questo piccolo
saggio, di aver fatto un servizio a se stessi e agli altri. In realtà, tale vademecum,
fornisce al lettore anche spunti per approfondimenti e indici di lettura su altri
testi e saggi: affinché ci sia qualcosa anche per il sognatore, poiché non sono
incluse solo opere filosofiche, teologiche o pratiche, ma anche una piccola
selezione di narrativa. Il tutto si completa con una breve sezione di preghiera.

L’opera è certamente arricchita da Sua Eccellenza Reverendissima Athanasius
Schneider (1961), vescovo di Astana in Kazakistan, il quale ha contribuito alla
prefazione: «Come Dio ha iscritto l’esser madre, la maternità, nella natura della
donna, così ha iscritto l’essere padre, la paternità, nella natura dell’uomo. Ogni
uomo dovrebbe quindi, con l’aiuto di Dio, elaborare sempre più chiaramente nella
sua vita le caratteristiche del Padre; e queste sono soprattutto: prendersi cura
degli altri, proteggere, difendersi, sacrificarsi per gli altri. Anche se non tutti gli
uomini in questa vita sono un padre biologico, cioè un padre di famiglia, ogni
uomo dovrebbe vivere le qualità paterne. Solo allora dà alla sua virilità una vera
dignità e solo allora diventa felice, anche se con fatica e non senza una croce, ma
felice». L’augurio certamente è quello di una rinascita spirituale, prima che fisica,
che porti conforto sia all’Heimat degli autori e in seconda istanza anche a questa
travagliata Europa: che sia di nuovo benedetta da uomini forti e disposti a fare
sacrifici.

Per approfondimenti:
_Karasch-Plassnig, Träumer Kämpfer Gentleman, Wolff Verlag, Berlino, 2020.
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Il rito romano straordinario come
argine alla secolarizzazione
Il rito romano straordinario come argine alla secolarizzazionedi Giuseppe
Baiocchi del 01-09-2020

Per chiarire il rapporto tra il Mutu Proprio “Sommorum Pontificum” di Benedictus
PP. XVI (1927) e il processo di secolarizzazione della società contemporanea,
bisogna necessariamente analizzare quest’ultimo termine. Non a caso lo stesso
Ioannes Paulus II (1920 – 2005), in un suo discorso del febbraio 2002, affermava
come: «purtroppo la metà dello scorso millennio, avuto inizio dal Settecento in
poi, si è particolarmente sviluppato un processo di secolarizzazione che ha
preteso di escludere Dio e il cristianesimo da tutte le espressioni della vita
umana. Il punto di arrivo di tale processo è stato il laicismo, il secolarismo
agnostico e ateo, cioè l’esclusione assoluta e totale di Dio, della legge morale
naturale, da tutti gli ambiti della vita umana. Si è relegata la religione cristiana
entro i confini della vita privata di ciascuno».
Xilografia Flammarion, un’opera enigmatica di un artista sconosciuto. La prima
apparizione documentata è all’interno di L’atmosphère: météorologie populaire di
Camille Flammarion (Parigi 1888, pagina 163, un lavoro sulla meteorologia per un
pubblico generale), raffigurante un uomo che scruta attraverso la cortina
dell’atmosfera terrestre che avvolge l’universo esterno (del 1888).

Da tali parole emerge come la secolarizzazione sia un processo storico che ha
inizio alla metà dello scorso millennio con l’umanesimo rinascimentale, che si
articola nel Settecento con l’illuminismo e avrà il suo punto di arrivo nel laicismo
e nel già citato – appunto – secolarismo agnostico e ateo che caratterizzano prima
il marxismo e poi la società post-moderna. La meta, l’obiettivo è l’esclusione di
Dio e del cristianesimo dalla sfera pubblica e la riduzione della religione a
fenomeno puramente individuale. Si tratta di un fenomeno più volte denunciato,
sia da Giovanni Paolo II, sia da Benedetto XVI. Il primo Pontefice citato, considera
il secolarismo come l’esito radicale necessario della secolarizzazione e con ciò
cade la distinzione tra una secolarizzazione “buona” ed una porzione di
secolarismo vista come “perversione dell’idea di secolarizzazione”.
Difatti tra secolarizzazione e secolarismo non esiste una logica e coerente
continuità. C’è chi crede che per evitare il secolarismo anti-cristiano, la Chiesa
dovrebbe fare propria e “battezzare” la secolarizzazione: quasi una inevitabilità
data dal processo storico. Se, diversamente, si rifiuta questa visione immanente e
storicistica e si stabilisce un criterio che ci permetta di valutare gli eventi della
storia alla luce di princìpi organici e trascendenti, non possiamo considerare in sé
“positivo e buono” nessun fatto storico solo perché avvenuto. Come gli atti umani,
i fatti storici – prodotti razionali e liberi dell’uomo – devono essere giudicati o in
positivo o in negativo.
La società secolarizzata non può definirsi in sé neutra, ma va giudicata proprio
perché siamo davanti non ad un processo inevitabile, ma ad un frutto di scelte
culturali e morali dell’uomo. L’accettazione della secolarizzazione come un fatto
storico inevitabile, porta inevitabilmente verso una filosofia e una teologia della
secolarizzazione. La filosofia della secolarizzazione già implicita nell’umanesimo
pagano, si forma nei circoli illuministici, viene portata nel XX secolo ad una sua
coerenza logica da Gramsci nei suoi “Quaderni del Carcere” e penetra nella
seconda metà del XX secolo nella teologia, prima protestante, poi cattolica con
Dietrich Bonhoeffer (1906 – 45). Quest’ultimo, celebre pastore luterano,
concepisce la storia del cristianesimo in chiave evolutiva, come un passaggio
dall’età dell’infanzia, all’età adulta. Secondo Bonhoeffer l’adulto sarebbe quello
che abbraccia il mondo e nel mondo si immerge e si immedesima, trovando a
questa realizzazione la sua maturità: la sua celebre “maturità del mondo”, nella
quale avviene l’espulsione del sacro da ogni ambito sociale e con l’estirpazione
delle radici cattoliche dalla società.
Nel Seicento, un giurista Huig de Groot (1583 – 1645) aveva auspicato la nascita
di un diritto liberato dalla metafisica. Fu proprio il batavo a coniare la formula
etsi deus non daretur: un diritto naturale, come se Dio non esistesse. Bonhoeffer
sapientemente, riprende questa formula e la applica alla teologia. Dissidente del
partito nazionalsocialista tedesco, in carcere scriverà: «Non possiamo essere
onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo etsi deus non daretur e
appunto questo riconosciamo davanti a Dio. Dio stesso ci obbliga a questo
riconoscimento, così il nostro diventare adulti, ci conduce a riconoscere in modo
più veritiero la nostra condizione davanti a Dio. Egli ci dà la conoscenza, che
dobbiamo vivere come uomini capaci di far fronte alla vita senza Dio. Il Dio che è
con noi è il Dio che ci abbandona, il Dio che ci fa vivere nel mondo senza ipotesi di
lavoro, è il Dio davanti al quale permanentemente stiamo».

Dietrich Bonhoeffer (1906 – 1945) è stato un pastore luterano, teologo, dissidente
anti-nazista e fondatore della Confessing Church. I suoi scritti sul ruolo del
cristianesimo nel mondo secolare sono diventati ampiamente influenti e il suo
libro The Cost of Disipleship è stato descritto come un classico moderno.

Da questa allocuzione, sappiamo come l’oggi Papa Emerito Joseph Ratzinger,
prima di divenire Benedetto XVI, in un suo dialogo con Marcello Pera (1943)
contrappose un’altra formula: etsi deus daretur e tale formula contiene
chiaramente un’opposta visione alla secolarizzazione, poiché è la proposta fatta a
chi non crede, di accettare una società cristiana, in cui il cristianesimo riacquisti
il suo spazio pubblico. I cattolici, in tale prospettiva, devono evangelizzare il
mondo e non farsi secolarizzare da esso.
Certamente è dato notorio come le tesi del luterano tedesco penetrarono nella
teologia cattolica, come ha dimostrato Cornelio Fabro (1911 – 95), in particolar
modo nel teologo Karl Rahner (1904 – 84). Nel quattordicesimo volume dei suoi
scritti teologici Sulla teologia del culto divino, padre Rahner scriveva che «la
liturgia per il principio lex credendi, lex orandi, avrebbe dovuto esprimere questo
nuovo rapporto con il mondo, farsi essa stessa liturgia del mondo». Fu così che
don Fabro affermò propriamente come la radice della secolarizzazione consiste
nel far sprofondare inarrestabilmente l’uomo nel mondo, e nel riconoscersi
proprio nell’homo mundanus, ovvero l’essere dell’uomo come essere in e per il
mondo.
L’illusione è quella di fondare un ordine mondano, all’infuori del cristianesimo,
dove questo si invererebbe. Esiste tuttavia un significato positivo di mondo. Oggi
ci dimentichiamo troppo facilmente l’esistenza di un mondo inteso invece nel
senso delle tre concupiscenze e del rifiuto di Dio, un mondo che tende a divenire
dell’apostasia. C’è un mondo che è costituito da uomini che devono essere salvati
dalla redenzione. Ce ne parlava San Giovanni, di un mondo terreno in cui il suo
Re, non era Dio, ma il demonio. Tale mondo si fonda sulle tendenze disordinate
dell’animo umano, così come amava affermare l’intellettuale brasiliano Plinio
Corrêa de Oliveira (1908 – 95). Tale concezione, oggi ancora evocata dalla
politica, porta il nome di nuovo umanesimo. Tale termine raccoglie certamente gli
altri già citati: secolarizzazione, secolarismo, laicismo. Non più Dio al centro
dell’uomo, ma l’uomo stesso e la sua volontà di potenza. L’umanesimo, difatti,
assegna all’uomo due fini: uno spirituale – da raggiungere in paradiso, di cui si
occuperebbe la Chiesa –, e un fine terreno in cui la Chiesa dovrebbe rimanere
estranea. Si separa così l’ordine naturale da quello spirituale, pretendendo di
realizzare un ordine umano al di fuori della Chiesa. Lo sguardo dal cielo, si sposta
sulla terra. Nei suoi scritti il cardinale Giuseppe Siri (1906 – 89) affermava come
«una redenzione puramente terrestre non ha significato per l’uomo, essa può
finire al contrario col rendere il nostro mondo invivibile, un segno di inferno nella
vita degli uomini. La Chiesa non è un potere mondano, né può divenirlo. Le parole
di Cristo al tentatore hanno segnato l’indole della Chiesa. La Chiesa – corpo
mistico di Cristo – ha certamente un fine soprannaturale, ma oltre ad essere una
società invisibile è anche una società visibile che opera nel mondo, è
un’istituzione pubblica, dotata di una sua struttura giuridica e i suoi membri
hanno come fine il cielo, ma sono uomini composti di anima e di corpo che vivono
nel mondo, lottano contro il mondo, devono affermare nel globo le proprie idee e i
propri valori».

Giuseppe Siri (Genova, 20 maggio 1906 – Genova, 2 maggio 1989) è stato un
cardinale e arcivescovo cattolico italiano. Convinto difensore della tradizione
liturgica e dottrinale della Chiesa e avversario delle ideologie totalitarie del XX
secolo, che riteneva incompatibili con la fede cattolica, Giuseppe Siri salì
rapidamente i gradi della gerarchia ecclesiastica fino a diventare vescovo
ausiliare a 38 anni, arcivescovo di Genova a 40 e cardinale a 47. Governò
l’arcidiocesi ligure dal 1946 al 1987, e, con i suoi 41 anni di durata, il suo
episcopato fu probabilmente il più lungo della chiesa genovese. Partecipò a
quattro conclavi, durante i quali venne sempre indicato fra i papabili. Siri fu
anche, fra le varie cariche ricoperte, presidente della Conferenza Episcopale
Italiana dal 1959 al 1965. Il suo carattere deciso, poco incline ai compromessi, e
la tenace difesa delle proprie convinzioni divisero spesso l’opinione pubblica,
suscitando grandi consensi e forti opposizioni. A Genova, città cui fu
profondamente legato, fondò e sostenne numerose organizzazioni assistenziali,
pastorali e culturali. Scrittore molto prolifico, la sua vastissima produzione si
articola in centinaia di titoli, suddivisi fra lettere pastorali, libri, discorsi, omelie,
articoli e relazioni.

In tal senso la Chiesa non può assolutamente essere una madre part-time, ma
deve svolgere la sua funzione a tempo pieno. Non a caso l’autorità della Chiesa
non ha una fonte umana, ma si esercita su tutto il mondo e questa autorità sulle
“cose” temporali è esercitata dalla Chiesa per difendere la propria libertà, ma per
difendere anche la libertà dei propri figli, poiché ordinando gli uomini alla vita
eterna la Chiesa non assicura loro solo la felicità eterna in cielo, ma offre loro
anche il miglior modo di vivere nella sua terra. Il Vangelo non è una dottrina
politica e sociale, ma solo nel rispetto del Vangelo l’ordine politico e sociale è
fecondo e l’uomo è felice.
La tesi neo-modernista che si andava affermando negli anni Settanta era quella
che occorreva purificare invece la Chiesa dalla sua “compromissione” con il
potere: da una parte immergerla nel mondo, ma dall’altra liberarla “dalle
incrostazioni”. La Chiesa sarebbe dovuta uscire dall’epoca costantiniana per
sciogliere ogni legame con le strutture antiche del potere, farsi povera ed
evangelica in ascolto del mondo.
L’avvento dell’era della secolarizzazione è ancora oggi presentato negli ambienti
progressisti come «fine dell’epoca costantiniana». Per tale epoca si intende
ovviamente quella inaugurata dall’Imperatore romano Flavio Valerio Aurelio
Costantino (272 d.C. – 337 d.C.) il quale non solo restituì la libertà alla Chiesa con
il celebre editto di Milano (313 d.C.), ma avviò con la Chiesa una politica di
collaborazione, poi proseguita dai suoi successori.
Uno dei padri della Nouvelle Théologie, il domenicano Marie-Dominique Chenu
(1895 – 1990) in una celebre conferenza tenuta nel 1961, rifiutava a piene mani la
politica di Costantino, ma pretendeva di emancipare la Chiesa da quelli che
definiva come i tre fattori decisivi della sua intromissione con il potere: il primato
del diritto romano, quello del logos greco-romano e quello del latino come lingua
liturgica. Non bisognava più porsi il problema di evangelizzare il mondo, ma
contrariamente accettarlo così come si presentava e collocarsi al proprio interno.
In pieno Concilio Vaticano II, nel 1963, continuava nella sua opera La Chiesa e il
mondo l’affermazione della sua idea-progetto che insisteva sulla fuoriuscita dalla
cristianità per liberarsi dall’influenza costantiniana che gravava ancora sulla
Chiesa: «usciamo dalla preistoria, il mondo esiste. Tale realtà, rispetto al Vaticano
I, è la grande originalità del Concilio».
L’undici ottobre del 1962, giorno della solenne inaugurazione del Concilio
Vaticano II, un discepolo e confratello di Chenu, tale padre Yves Marie-Joseph
Congar (1904 – 95) nel suo diario, pubblicato una decina di anni fa, deplorava il
fatto che la Chiesa non aveva mai avuto in programma l’uscita dall’era
costantiniana. Per Congar simbolo dell’era costantiniana era lo sventurato Pio IX
che con il procedere della storia «non aveva compreso nulla» e inorridito da una
possibile notizia di beatificazione di Papa Mastai-Ferretti, il sacerdote francese
scrisse: «più ci penso, più trovo che Pio IX sia stato un uomo meschino e rovinoso.
Quando gli eventi lo invitavano ad abbandonare l’orribile menzogna della
donazione di Costantino e ad assumere l’atteggiamento evangelico non ha
avvertito questa chiamata e ha sprofondato la Chiesa nella rivendicazione del
potere temporale. Nulla avverrà di decisivo finché la Chiesa romana non avrà
completamente abbandonato le sue pretese feudali e temporali ed è necessario
che tutto questo sia distrutto e lo sarà».
Vale la pena sottolineare che Chenu presenta come coincidenti due prerogative
che per il Papato sono assolutamente distinte: da una parte l’autorità indiretta
della Chiesa su tutte le cose temporali che implicano questioni di fede e di morale
e dall’altra la podestà terrena, rivendicata da Pio IX – mai sulla base della
donazione di Costantino – del possedere quei domini temporali che garantivano la
libertà di espressione e di culto dei cattolici in piena autonomia e senza ingerenze
straniere. Questo diritto irrinunciabile della Chiesa, sempre negato dai suoi
nemici nel corso della storia, si manifesta oggi nella presenza simbolica, ma reale,
dello Stato della Città del Vaticano.

Da sinistra a destra, tre dei principali pensatori della Nouvelle Théologie: Karl
Rahner (1904 – 84), Marie-Dominique Chenu (1895 – 1990), Yves Marie-Joseph
Congar (1904 – 95).

La perdita delle teorie concettuali cattoliche avvenuta negli anni Sessanta e
Settanta, come la rinuncia alla Dottrina Sociale della Chiesa, significò de facto
una subordinazione indiretta al socialismo francese di matrice marxista. Dunque
al tramonto dell’epoca costantiniana, seguì l’alba dell’era anti-cristiana. Il silenzio
del Concilio Vaticano II sul comunismo, non interruppe la persecuzione comunista
del cattolicesimo e favorì contrariamente la migrazione dei cattolici verso il
comunismo a tutti i livelli. Negli anni Settanta, mentre si intensificava la
persecuzione anti-cattolica, i brigadisti “cattolici” come Renato Curcio (1941) –
formatosi culturalmente in una facoltà cattolica a Trento –, imbracciavano le armi
in favore del comunismo e nasceva in America Latina la Teologia della
Liberazione.
La riforma liturgica del 1969 fu attuata in questo clima. La conclusione dell’epoca
costantiniana, esigeva la fine della liturgia, che di quell’era della Chiesa era stata
espressione. Ma quale era il principio di quella liturgia che si voleva sopprimere?
La stessa che come ribadì Benedetto XVI, «resta liturgia della Chiesa».
La visione cristiana del mondo afferma che Dio è creatore e Signore del cielo e
della terra: il riconoscimento e l’amore che a lui si deve, tende al suo dominio, ad
ogni cosa che egli ha creato e che mantiene in vita e nella creazione e nel dominio
del Signore avvengono tutte le cose private e pubbliche, materiali, spirituali e
sociali. Dunque da ogni cosa si deve elevare il riconoscimento, ossia il culto a Dio.
Proprio quest’ultimo è la relazione dell’uomo con Dio. Aristotele ha definito
l’uomo un «essere sociale», ma il filosofo che non possedeva l’idea della
creazione, ha ridotto la socialità degli uomini al loro rapporto con i propri simili.
In realtà ciò che fa di un uomo un essere estroflesso, dipendente, è la sua
relazione con Dio Creatore. Tale rapporto si può esprimere unicamente con la
preghiera, che fa dell’uomo non un «animale sociale», ma un «homo religiosus».
Poiché Dio non è homo-homini-lupus (uomo, nemico dell’uomo), ma homo-homini-
Deus (si è fatto uomo egli stesso, è Dio per l’uomo), e per salvare l’umanità –
colpita dal peccato originale – ha fondato la Chiesa, la preghiera per eccellenza
dell’uomo, l’unica che lo redime, è quella che lui fa all’interno della Chiesa,
attorno all’Altare. La liturgia è la preghiera pubblica della Chiesa, l’atto non
privato del singolo uomo, ma della comunità dei battezzati riuniti intorno al Santo
Sacrificio dell’Altare. Questa liturgia non è solo la trasmissione della parola di
Dio, l’uomo e la sua santificazione attraverso i sacramenti, ma essa è anche un
insieme di forme sensibili che elevano l’uomo verso Dio e che lo aiutano a
glorificarlo e a rendergli il culto dovuto.
La concezione secolarista pretende l’emancipazione del Creato da Dio stesso,
relegare la sovranità di Cristo, di eliminarne l’autorità e l’influenza della Chiesa
dalla società. Il secolarismo afferma il primato del profano sul Sacro, anzi
l’espulsione stessa del sacro da ogni ambito della società: la perdita e la rinuncia
di ogni legame trascendente e quindi dell’essenza stessa della religione, poiché
quest’ultima ri-lega l’uomo a Dio. La condizione dunque della realtà ad un
orizzonte terrestre e mondano e l’essenza di questo secolarismo è propriamente
quel relativismo culturale che è a sua volta la maschera delle tendenze sregolate
dell’uomo. La maschera intellettuale della ricerca del proprio piacere,
dell’appagamento dei propri bisogni, del culto del proprio Io, all’interno di una
gnosi creata appositamente che non dialoga con la realtà organica, proprio
perché questa diviene separata da Dio, non coordinata a Lui.
Al contrario “sacro” è ciò che è ordinato a Dio e in questo senso è separato dal
profano. La civitas Dei, radicalmente separata dalla civitas diaboli, è la sociètà di
cui Gesù Cristo è il Capo. La perfezione della sacralità sta nella persona stessa di
Gesù Cristo, perché in Gesù Cristo, Dio si dà massimamente ad una natura umana
unita inscindibilmente a Lui in unità di persona. «In Lui – afferma San Paolo –
abita corporalmente, tutta la grandezza della Trinità». E dunque nulla vi è di più
antitètico alla secolarizzazione della Liturgia espressa dal sacrificio della Messa:
quel sacrificio in cui trovano compimento quei misteri quali la passione, la
resurrezione e l’ascensione di Gesù Cristo.
I protestanti hanno negato che la Santa Messa sia vero sacrificio, perché in essa
non c’è immolazione del corpo di Cristo, che ora è glorioso e impassibile, ma il
Concilio di Trento e la dottrina della Chiesa rispondono che il sacrificio non
comporta necessariamente una immolazione reale e cruenta. Nella Santa Messa
vi è una immolazione incruenta o sacramentale che rappresenta l’immolazione
cruenta della Croce e ne applica i frutti. Il sacrificio della Messa non è dunque un
memoriale o una semplice oblazione, ma è un vero sacrificio offerto da Cristo
medesimo, sacerdote e vittima. Non a caso Réginald Garrigou-Lagrange (1877 –
1964) ci ricordava come San Giovanni nell’Apocalisse contempla l’Angelo che
incensa con un turibolo d’oro l’Altare si cui sta l’agnello immolato. La
celebrazione liturgica ha ricordato Giovanni Paolo II, nella lettera alla
Congregazione per il culto divino del 21-09-2001 «è un atto della virtù di religione
che coerentemente con la sua natura deve caratterizzarsi per un profondo senso
del sacro. In essa l’uomo e la comunità devono essere consapevoli di trovarsi in
modo speciale dinanzi a colui che è tre volte Santo e trascendente. Di
conseguenza l’atteggiamento richiesto non può che essere permeato dalla
riverenza e dal senso dello stupore che scaturisce dal sapersi alla presenza della
Maestà di Dio. Non voleva forse esprimere questo Dio nel comandare a Mosè di
togliersi i sandali davanti al rogo ardente»?
Certamente si può affermare come nulla meglio della Santa Messa Tradizionale
esprime ciò che la celebrazione è nella sua intima essenza: il Santo sacrificio. Se
c’è un luogo in cui il mondo secolarizzato non è penetrato, questo luogo e questo
momento si ritrova nel rito romano straordinario. Dopo le parole introibo ad
Altare Dei, la marea schiumosa della secolarizzazione che tutto sembra inquinare,
si arresta davanti alle porte del santuario. Questa marea non penetra davanti al
recinto immacolato in cui viene offerta e immolata a Dio, una vittima pura e senza
macchia.
Il punto più sacro della Messa è il canone romano, la formula consacratoria
composta – come ricorda il Concilio di Trento – in parte dalle parole stesse del
Signore, in parte da ciò che è stato tramandato dagli apostoli e in parte da ciò che
è stato stabilito dai Pontefici. Le parole immutabili del Canone, sono pronunciate
nella Liturgia Tridentina a bassa voce, proprio per sottolineare la sacralità. Il
silenzio esprime la distanza infinita, tra il Dio ineffabile che non può essere
conosciuto nella sua essenza e l’umile creatura che senza di lui cadrebbe nel
nulla. Ma questo Dio adorato nella sua Maestà divina non è lontano, anzi
infinitamente vicino, perché si è donato in Cristo ed è presente sull’Altare: in
corpo, sangue, anima e divinità e solo nella assoluta trascendenza divina si
esprime la radicale ed estrema vicinanza di Dio all’uomo. Così il linguaggio del
silenzio, si accompagna alle parole liturgiche per rendere somma gloria a Dio in
questo rito. Nel suo saggio Introduzione allo Spirito della liturgia l’allora
cardinale Ratzinger si espresse così: «il silenzio si oppone al frastuono, alla
confusione, che Regna nella civitas diaboli e permette che più perfettamente si
renda a Dio creatore la riverenza che spetta a Sua Maestà».
La Riforma Liturgica del 1969 venne considerata come espressione della svolta
antropologica degli anni Sessanta e Settanta. Una grande novità che pretendeva
colmare l’infinita distanza tra Dio e l’uomo, spogliando leggermente – qualora ciò
fosse possibile – Dio della sua gloria ed elevando molto, se fosse possibile, l’uomo
verso Dio, nell’illusione di abbreviarne la distanza.
Si può certamente discutere se la riforma di Paolo VI abbia apportato quella
continuità o quella rottura con la tradizione precedente della Chiesa, ma il solo
fatto che se ne discuta è sufficiente per denotarla quanto meno come una riforma
ambigua. Difatti se la Riforma liturgica avesse avuto un rapporto di inequivocabile
continuità, tale dibattito non si sarebbe aperto.
Il rito romano antico non permette equivoci di alcuna sorta e in esso vi è un senso
ineguagliabile della trascendenza divina. Esso evidentemente non è l’unico rito
possibile, ma è un rito che esprime con perfetta chiarezza l’ecclesiologia cattolica:
quell’unica ecclesiologia, anche con differenti riti che la esprimono.
Ed allora come non poter ricordare il Mutu Proprio del 2007 di Benedetto XVI e
definito come Summorum Pontificum, il quale concede una categorica, quanto
fondamentale chiave interpretativa secondo cui «il rito antico non è stato e non
avrebbe potuto essere abrogato». Le conseguenze di queste affermazioni sono più
vaste di quanto si possa a prima vista immaginare, perché in primo luogo cadono
le speranze o i timori di chi aveva evocato l’ipotesi di una «riforma della riforma»,
intesa come ibridazione tra le due tipologie della Santa Messa: la nuova e l’antica.
Di riforma è certamente possibile parlare per il nuovo rito, ma non per l’antico
che non potendo essere abrogato non può essere strutturalmente modificato.
Oggi, l’aumento importante dei coetus fidelium in tutta Europa – nonostante
alcune difficoltà -, deve fornire un dato oggettivo di come il rito romano
straordinario promosso dal Pontefice tedesco abbia ripreso piena forza non solo
per il suo impianto teologico, ma anche dalla sua storia pressoché millenaria.
La storia delle nazioni europee – ha affermato Giovanni Paolo II – procede di pari
passo a quella della sua evangelizzazione. L’Europa medievale si è costruita
attorno al Vangelo, ossia attraverso la trasmissione di una fede annunciata dai
successori degli apostoli, secondo la consegna data da nostro Signore: andate e
battezzate tutte le genti. Non a caso il vecchio continente a partire dal IV secolo
inizia a formarsi intorno ad una traditio, ovvero ad una consegna e trasmissione di
Verità. La dimensione rituale e in un certo senso una dimensione costitutiva della
nascita e dello sviluppo della società europea e cristiana dei primi secoli. Perché
la parola traditio nel suo senso originale si riferisce alla trasmissione dei singula
fidei, ovvero quelle formule verbali confermate dalla autorità ecclesiastica
destinate alla pubblica professione della fede e fin dal quarto secolo il simbolo è
rappresentato come la quinta essenza del Vangelo nelle cerimonie della traditio
simboli e della redditio simboli che precedono il battesimo. La traditio e la
redditio del simbolo, significano che il catecumeno riceve la fede della Chiesa e si
impegna a vivere e a confessarla pubblicamente davanti alla comunità cristiana.
Ma la traditio se si esprime nella consegna di verità destinate a formare il
Depositum Fidei e anche ricerca dei modi in cui queste verità vengono trasmesse.
Ogni verità si traduce in una liturgia secondo la nota formula di Sant’Ireneo,
poiché «si custodiva fedelmente la tradizione venuta dagli apostoli» e l’Europa
medievale in questo senso nasce intorno ad una tradizione liturgica, attorno ad un
rito. Tale considerazione ci viene confermata anche dallo storico inglese
Christopher Henry Dawson (1889 – 1970), il quale osserva come «dopo la caduta
dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.) l’ordine sacro della liturgia rimase
intatto nel caos, mentre tutto crollava mutando». Dunque la liturgia costituì il
principale legante interiore della società e nello stesso tempo fu sede della
tradizione e della fede, poiché in essa le due realtà si incontravano conciliandosi.
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