La Borsa e la crescita del Paese - Massimo Capuano

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La Borsa e la crescita del Paese
Massimo Capuano

Buongiorno, grazie per questo invito, grazie al Presidente
Vietri per avermi invitato in questa occasione a parlare di
Borsa. Intanto, e non per cercare di diminuire le mie respon-
sabilità, nel momento in cui dice che sono l’incarnazione
della Borsa, non vorrei che prendeste l’indicazione troppo
sul serio; e quando vedete poi che la borsa scende o qualche
investimento è andato male, mi riconosciate come colui che
sta facendo andare male l’investimento, e l’indice di borsa.
Non è così. Ora cercherò di darvi anche un’indicazione di
ciò che realmente penso che la Borsa sia e che, soprattutto
nel nostro Paese, debba essere. Credo che sia un’iniziativa
veramente molto meritevole, anche per riuscire a trasmette-
re alcuni “valori” del nostro Paese anche e soprattutto par-
tendo da una base come la vostra, dai primi passi di un trai-
ning fatto in maniera molto aderente a quello che è la vita
reale. Io ho preparato una breve presentazione che scorre
nelle slide che vedete alla mia destra, ma siccome sono mol-
to testuali mi diceva il dott. Vietri che la presentazione può
essere messa a vostra disposizione. Andrò quindi a braccio
aiutandomi con dei grafici.
Per prima cosa vorrei presentare la borsa, perché la borsa
non è più un luogo fisico con persone urlanti che scambiano
domande, offerte, prezzi; ormai quella borsa non esiste più.
Esiste soltanto in pochissime città, e una di queste, sembrerà
strano a dirlo, è la capitale della finanza al mondo, la Borsa
di New York. Alla Borsa Italiana, come in tutte le altre borse
europee, non c’è più una borsa fisica, quindi noi oggi gestia-
mo la borsa attraverso il computer, non c’è più un luogo fi-
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sico, ma c’è una borsa virtuale, i titoli si possono scambiare,
comprare e vendere come ben sapete, perché lo fate anche
voi in tutto il mondo attraverso i computer.
Volevo presentare la Borsa. Oggi la Borsa è una società,
un gruppo per meglio dire, perché raccoglie altre società.
Nell’ottobre del 2007 abbiamo perfezionato un accordo con
la Borsa di Londra per cui oggi formiamo un unico gruppo, in
cui però la Borsa Italiana (o Gruppo Borsa Italiana) mantie-
ne la propria identità, mantiene le proprie prerogative come
quelle di essere, anche per legge, l’ente, ovvero l’istituzione
predisposta all’ammissione di quotazioni e alla sorveglianza
del mercato. Siamo all’interno di questo gruppo, abbiamo
ovviamente una serie di attività in comune tra le quali quella
di attirare capitali e investimenti per le imprese italiane. La
Borsa non è soltanto mercato azionario, gestiamo altri mer-
cati: il mercato dei derivati, il mercato obbligazionario, il
mercato dei derivati sull’energia elettrica. È un gruppo, per
darvi un’indicazione, che fattura più o meno 700 milioni di
sterline, con più o meno un primo margine che è intorno ai
300 milioni ed è un gruppo quotato alla Borsa di Londra.
La Borsa non è soltanto un luogo fisico, non è più un merca-
to di scambi ma è anche un’impresa quotata.
Oggi però parliamo della Borsa nel suo concetto vero, istitu-
zionale ma non solo. La Borsa io la vedo prima di tutto come
un motore che deve servire l’industria, deve servire l’impre-
sa, deve servire l’impresa per crescere e svilupparsi e poi è
anche finanza. La finanza la possiamo vedere come il lubri-
ficante per questo motore: è necessario, indispensabile altri-
menti il motore grippa, però è qualche cosa che si aggiunge
all’elemento portante che deve essere il motore. Questa è la
vera ragione d’essere di una Borsa, far sì che l’impresa possa
trovare capitali di rischio per finanziare la propria crescita
e il proprio sviluppo. Questo capitale di rischio viene mes-
so a disposizione appunto dalla finanza. Nella prima parte
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della mia presentazione, volevo quindi inquadrare la Borsa
e il finanziamento della crescita. Ecco, considerate che nel
nostro Paese, parlando dell’Italia, al contrario che in tanti
altri paesi europei, la Borsa è sempre stata per certi aspetti
un po’ vista marginalmente rispetto al concetto di crescita
e sviluppo dell’impresa. Per prima cosa l’impresa italiana,
storicamente, ha sempre visto l’imprenditore come primo
motore di sviluppo; l’impresa italiana familiare cresceva
ed è cresciuta con un forte autofinanziamento attraverso le
banche; soltanto in tempi più recenti la Borsa ha iniziato
a essere utilizzata come motore dell’impresa. Allora, come
possiamo inquadrare un cammino virtuoso per un’impresa?
L’impresa non nasce grande di per sé. L’impresa nasce da
un’idea, un mercato di riferimento, nasce poi ovviamente
dalla passione e dal lavoro dell’imprenditore e di tutti colo-
ro che lavorano in quella impresa, ma ha bisogno di capitali.
Ora, in un cammino virtuoso ci sono vari stadi nei quali
l’impresa ha bisogno di capitali: c’è un capitale iniziale che
serve proprio per i primi passi, c’è un capitale che serve a sta-
bilizzare l’impresa nella sua attività giornaliera (il circolante
serve anche a questo), poi c’è un capitale per lo sviluppo
quando l’azienda raggiunge un certo grado, (c’è forse una
slide che fa vedere come l’impresa ha bisogno di diversi tipi
di capitale per crescere). La Borsa fornisce un certo tipo di
capitale, che direi indispensabile a una determinata impre-
sa per poter crescere. Qual è il momento in cui un’impresa
idealmente ha bisogno della Borsa per aprire il proprio ca-
pitale? Quando è di fronte a uno sviluppo importante, e ciò
vale anche ovviamente per un’azienda piccola dove ci sono
capitali che possono sembrare limitati però importanti: deve
ricorrere a una patrimonializzazione, deve ricorrere ai ca-
pitali di rischio. Perchè ricorre al capitale di rischio e non
utilizza le altre fonti che abbiamo detto prima, la fonte di
autofinanziamento piuttosto che quella di un indebitamen-
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to bancario? Perché l’autofinanziamento ha certi limiti: sia
per famiglie molto facoltose, perché ovviamente avrebbero
un’esposizione al rischio impegnativa, sia per le banche che
ovviamente prestano soldi che poi devono rientrare.
Due sono gli elementi che condizionano lo sviluppo di
un’impresa: il primo è l’elemento tempo e l’altro l’elemento
costo. L’elemento tempo perché in ogni caso i tempi della
finanza molte volte sono distanti o sono diversi dai tempi
dell’industria; i tempi della finanza sono dettati da elementi
quali il fatto che a fronte di un credito si debba avere una
raccolta fondi, che ha tempi completamente diversi da quelli
di uno sviluppo di un progetto industriale, e ci sono inoltre
dei costi del mercato monetario e non del mercato dei capi-
tali. Abbiamo due mondi che non si confrontano. Quindi in
quel momento serve proprio il capitale di rischio, che serve a
fare un’azienda più robusta per poter poi affrontare un pro-
getto importante. Ecco che a quel punto può servire effetti-
vamente l’apertura del proprio capitale. Qual è la maniera
migliore per raccogliere questo capitale? Oggi la maniera
migliore per raccogliere questo capitale è proprio quello di
cercare, di trovare un sistema per far sì che questo capitale
sia il meno costoso possibile. Se mi dovessi rivolgere a una
sola fonte per questo finanziamento, ovviamente mi troverei
in una situazione un po’ critica, perché il prezzo lo farebbe
lui che sa che ho bisogno, mette a disposizione la sua liqui-
dità e a quel punto il prezzo lo fa lui. La cosa migliore è
andare in Borsa, come si suol dire, aprire il proprio capitale
e cercare, per raccogliere questo capitale, di trovare il prez-
zo migliore. Oggi, sia nell’ambito dell’Euro, sia nell’ambito
dell’Unione Europea, sia nell’ambito della finanza ancora
più globale, c’è la possibilità, effettivamente, di raccogliere il
capitale al più basso costo possibile. Ed è proprio quello che
fa un imprenditore che apre il proprio capitale alla Borsa.
Ripeto, nel nostro paese per molto tempo ci siamo trovati
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in una situazione in cui le imprese avevano difficoltà o ti-
more, qualche volta, ad aprire il proprio capitale di rischio
e si sono rivolte alla banca. La banca fornisce capitali sotto
un’altra forma. Questo vuol dire che nel momento in cui io
sono, per esempio, all’interno di un progetto di sviluppo,
che ha ovviamente un certo grado di rischio, se ho capitale
di rischio posso anche non remunerarlo, i dividenti li conti-
nuo a tenere in azienda in attesa che quel progetto con una
portata biennale o triennale inizi a portare profitti. Invece,
con un prestito o un accredito che ho preso da una banca,
non c’è niente da fare: ogni tre o sei mesi o ogni anno devo
pagare gli interessi, sia che il progetto sia andato a buon
fine, sia che il progetto non sia andato a buon fine. Quindi
ci troviamo veramente con due mondi, che hanno delle ri-
sposte diverse rispetto al progetto che io come imprenditore
ho in mente. Alcuni elementi che fanno sì che la Borsa possa
effettivamente essere al centro di un meccanismo che crea
valore, che sostiene lo sviluppo. Tante imprese hanno biso-
gno di questi capitali, e andando in Borsa creano un fabbi-
sogno di capitali, ci saranno altrettanti investitori naziona-
li e internazionali che di questi capitali cercano una fonte
d’investimento, per avere una remunerazione. Questo è il
meccanismo più virtuoso. In Borsa, ovviamente, ci si va per
tanti altri motivi, questo è il motivo più classico e virtuoso,
è il motore dello sviluppo. Però se noi pensiamo a un siste-
ma industriale italiano, fatto di tantissime piccole e medie
imprese, la stragrande maggioranza a carattere familiare, il
famoso made in Italy, il modello del distretto è formato e ba-
sato su questa caratteristica del sistema produttivo italiano.
 Ecco, tutto questo sistema di piccole e medie imprese, gioco
forza prima o dopo si trova davanti a due grandi bivi. Il
primo bivio è appunto un modello di crescita, che viene ad
essere sempre di più sfidante, nel momento in cui la piccola
e media impresa si trova a confronto con una competizio-
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ne globale, quindi deve a sua volta cercare un modello di
crescita. Come fa a crescere una piccola o media impresa?
Ripeto: il modello di sviluppo che prima citavo, cresce non
soltanto per vie interne, ma anche per linee esterne attraver-
so aggregazioni, acquisizioni anche di altre piccole e medie
imprese. Questo è un modello che in Italia non ha quasi mai
funzionato. L’Italia continua ad essere un paese che indu-
strialmente è basato molto sulla piccola media impresa in
tanti settori e ne vediamo tanti frammentati. È un vantaggio
o uno svantaggio? È difficile dirlo. Nel senso che sicuramen-
te un paese come il nostro non può per la sua collocazione,
ormai stabile tra i primi otto paesi al mondo, non avere an-
che una grande impresa, azienda in senso lato. Ma dall’altra
parte il fatto di avere una base di piccole e medie imprese dà
effettivamente al nostro sistema produttivo una flessibilità e
capacità di adattamento, che in un momento di crisi come
questo ci salvaguarda da altre situazioni drammatiche. Pen-
sate alla Germania, paese di grandi imprese: nel momen-
to in cui deve ristrutturare una grande impresa, deve “fare
fuori” migliaia di dipendenti e operai, perché deve ristrut-
turare la grande azienda. La piccola e la media impresa ha
dei meccanismi di flessibilità che sono in questo momento
decisamente superiori. Però, dall’altra parte, come dicevo,
questo è il primo bivio: la crescita. Come cresco? Se cresco
troppo aprendo il capitale, come dicono gli imprenditori, mi
diluisco, e invece di possedere al 100% la mia impresa e fare
ciò che voglio come se fossi nella mia famiglia, a quel punto
la mia partecipazione all’impresa scenderà, sarà al 70, al
60%. Io devo dirvi, sulla scorta dell’ esperienza personale
di dieci anni in Borsa, che questo è uno degli argomenti di
discussione con gli imprenditori italiani che più frequente-
mente tocchiamo. Per un imprenditore italiano scendere al
99% già è un trauma. Quando io dico che un’azienda si
riesce tranquillamente a controllare e gestire con il 51%, di-
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cono che questo non è possibile. Trovarsi intorno al tavolo
del consiglio di amministrazione con degli estranei è vera-
mente un primo shock, il massimo concepibile è avere come
estranei il commercialista, l’avvocato di fiducia, gli altri
sono tutti familiari. Andare in Borsa, invece, vuol dire met-
tere attorno a questo tavolo degli altri personaggi che sono
consiglieri di amministrazione anche dipendenti; allora la
mia interlocuzione con loro serve a far capire che si possono
anche avere delle ricchezze e dei valori avendo intorno al
tavolo delle persone diverse dalla famiglia, che magari por-
tano idee nuove e esperienze nuove e che questo arricchisce
anche l’impresa. Questo è veramente un gap culturale che
c’è, per esempio, rispetto all’Inghilterra, alla Francia, alla
Germania dove il numero delle piccole e medie imprese quo-
tate è in alcuni casi da tre a quattro volte superiore. Questo
è il secondo bivio. Secondo bivio che però si inserisce an-
che in un contesto generazionale. Perché l’impresa familiare
quando cresce, cresce con l’imprenditore. Poi però c’è un
ciclo di vita che per l’imprenditore a un certo punto termi-
na, e c’è il passaggio generazionale da gestire. In alcuni casi
questo passaggio generazionale si rivela facile, perché madre
natura, la genetica, il DNA, ha trasmesso quell’imprinting
imprenditoriale dal padre, al figlio o alla figlia, quindi c’è
una prosecuzione. Qualche altra volta non è detto che i figli
vogliano fare esattamente le cose che i padri hanno fatto
per tutta la vita, oppure ci sono figli che sono portati a fare
altri mestieri. In questo caso, il valore azienda, e ripeto che
è un valore per il Paese perché intorno all’azienda ci sono
gli impiegati, i collaboratori, i fornitori, i clienti, potrebbe
ad un certo punto terminare. Cosa è successo molte volte in
Italia? Questo piccolo o medio imprenditore, non avendo
un passaggio da poter fare, da poter gestire, ha venduto.
Ed ecco la storia di tante imprese familiari che sono state
acquistate da società estere, perchè ci sono poi anche ov-
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viamente concorrenti internazionali che entrano. Perché ho
parlato del passaggio generazionale con la Borsa? Perché è
anche uno degli strumenti per gestire meglio il passaggio ge-
nerazionale. Ci sono famiglie che alla terza generazione non
hanno più solo l’imprenditore che lavora, ma ci sono magari
cinque, sei, dieci persone che insistono su quella azienda.
Alcuni sono capaci, altri meno, vogliono uscire, ci sono ten-
sioni per recuperare il capitale: la quotazione in Borsa è uno
dei modi con cui si gestisce quella che viene chiamata l’Exit,
l’uscita. La Borsa sicuramente serve per lo sviluppo, la cre-
scita, serve soprattutto in un sistema di piccola e media im-
presa familiare, come quello italiano, anche per poter gestire
un passaggio generazionale in questi termini. Il capitale che
si raccoglie in Borsa ha ovviamente un costo, come dicevo
prima, ha un costo che viene ad essere ottimizzato proprio
per questa capacità che ha la Borsa di raccogliere investitori
da tutto il mondo. Nel momento in cui c’è il primo giorno di
quotazione di una società, tutti gli investitori del mondo so-
stanzialmente contribuiscono a formare un prezzo per quel
capitale raccolto. Se crediamo al meccanismo di mercato,
cioè che il prezzo ottimale si formi incrociando domanda
e offerta, ecco il prezzo ottimale al quale quell’imprendito-
re può raccogliere il capitale. Questo è il meccanismo più
virtuoso che possa servire ad un’impresa per finanziare la
propria crescita e il proprio sviluppo, questo è quello che
dovrebbe essere realmente il ruolo della Borsa.
Oggi voi mi potete dire che, a fronte di questo bellissimo
discorso teorico che vi ho fatto, quello che si continua a
vedere sono i titoli che crollano, gli investimenti, sia quelli
fatti da privati, cioè dal risparmiatore individuale, sia quelli
fatti da grandi fondi individuali istituzionali, fondi pensioni,
che stanno tutti scendendo, quindi c’è una distruzione di
valore e non una creazione di valore. È verissimo e non ci
possiamo fare nulla dal punto di vista di Borsa. Però, in un
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momento come questo, vi invito a considerare un aspetto
che non è evidenziato tantissimo anche nelle discussioni di
questi giorni, ed è il fatto che la Borsa (questo è un altro
dei compiti istituzionali della Borsa) è stata in tutto questo
periodo una fonte di liquidità a livello mondiale di estremo
valore. Pensate cosa sarebbe successo se chiunque di voi
avesse investito in un fondo, o anche avesse avuto necessità,
dopo aver alimentato il proprio fondo pensione, di dover
rientrare da questa liquidità. Andava in banca dal promo-
tore finanziario, e chiedeva di riscattare la quota. Se non
ci fosse stata per l’investitore istituzionale la possibilità di
smobilizzare andando in Borsa, trovando la liquidità, per
ridarla al risparmiatore, il mondo sarebbe passato attraver-
so una crisi epocale. Se ricordate, quello è il momento in
cui tutti dicevano al mondo che c’era una crisi di liquidità.
Neanche le banche tra di loro si prestano soldi, che è il mas-
simo della sfiducia mondiale a cui si possa fare riferimento.
Le Borse per tutto questo tempo hanno fornito liquidità a
tutto il mondo. Chiunque di noi avesse avuto bisogno di
soldi o fatto un investimento azionario o obbligazionario
si rivolgeva al proprio intermediario, e costui andando in
Borsa trovava immediatamente liquidità. Nel mondo in quel
momento non c’era nessun altro che dava liquidità, quindi
non si riusciva a mettere in moto il meccanismo, tranne le
banche centrali. Le banche centrali non prestano soldi a noi,
le banche centrali prestano soltanto soldi alle banche, quin-
di ci sarebbe stato soltanto un grande blocco.
Questa è un’altra funzione forse non tanto sottolineata, però
in questo momento di crisi tutte le Borse al mondo hanno
svolto questo compito importante.
Io passerei ora al secondo punto che riguarda l’opportunità
per il sistema Paese; ci sono alcune slide che, in un certo sen-
so, cercano di dimostrare, anche con alcuni esempi numerici,
come una società quotata fa crescere il benessere generale.
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Voi dovete ancora una volta fare un esercizio, anche se ca-
pisco che può essere un po’ difficile in questi giorni: vedere
la borsa e il modello di sviluppo del mercato azionario della
borsa esulandolo da quello che è il momento attuale. Cer-
chiamo di vederlo in un arco temporale proiettato, piuttosto
che nel 2010, più avanti.
Il nostro sistema paese ha espresso finora circa 350 società
quotate, che è un numero limitatissimo, rispetto alla Francia
che ne ha circa 1200, quasi quattro volte tanto, alla Germa-
nia che ne ha 900, quasi tre volte tanto, la Spagna che ne ha
400… ne abbiamo anche meno della Grecia, forse un poco di
più della Svizzera, però se fate i confronti fra l’economia ita-
liana e quella greca c’è qualche differenza. Ci troviamo ve-
ramente di fronte a un gap di società quotate, e voi potreste
dire: questo è un problema tuo, sei tu che gestisci la Borsa.
Questo cosa comporta? Per le cose che dicevo prima, e per
altre che cercherò velocemente di approfondire, è anche un
problema per il sistema paese. Per quale motivo? Un’im-
presa che si quota, inizia ad avere un comportamento, se
vogliamo, un po’ più virtuoso, da un punto di vista di svi-
luppo. L’azienda che si quota, come dicevo prima, ha un
progetto di sviluppo, vuole crescere, raccoglie capitali, già
di per sé questo vuol dire che c’è una spinta a fare svilup-
po. Sviluppare vuol dire creare condizioni economiche più
favorevoli, vuol dire assunzioni, vuol dire tutte una serie di
cose che fanno sì che questo sviluppo abbia effettivamente
un seguito.
Da una ricerca che abbiamo fatto tra le aziende quotate,
dopo un certo numero di anni, abbiamo potuto constata-
re che alcune società, una volta quotate, hanno rispettato
l’impegno, sono quindi cresciute e hanno diminuito la loro
esposizione bancaria, sostanzialmente meno debiti e più
capitale di rischio, cioè si sono patrimonializzate, sono di-
ventate più robuste, con una struttura organizzata per poter
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raggiungere un certo obiettivo. Le aziende più patrimonia-
lizzate hanno fatto più crescita. Ma è successa un’altra cosa
interessante: mentre nel primo periodo sostanzialmente il
loro indebitamento si è molto ridotto, poi è ripreso. Quindi
anche il fattore competizione che talvolta si dice esserci tra
banca e borsa, non è vero, perché è ovvio che anche per le
banche questo è un vantaggio, perché si ritrovano di fronte
un cliente che prima era piccolo, poco sofisticato, che chie-
deva soltanto una linea di credito, ed ora è un cliente con
altre esigenze, e sono esigenze che la banca soddisfa conti-
nuando anche a dare un certo tipo di prodotti per un’impre-
sa che è cresciuta. C’è un altro elemento importante che è
cresciuto di valore. L’impresa che si quota ha un altro fatto-
re benefico, che, quindi, migliora anche la “struttura paese”
nel suo complesso. Per quotarsi un’impresa ha bisogno di
essere organizzata per il mercato, e organizzata per il merca-
to vuol dire che è un’azienda che si è dotata di una struttura
organizzativa, di un sistema di controllo di gestione, di siste-
mi di analisi, gestione e controllo del rischio, perché chi dà
soldi a un’impresa richiede almeno che questa impresa sia
ben organizzata e che sia trasparente. Questo vuol dire che
un’impresa prima di quotarsi fa una sorta di check-up, e si
organizza. L’impresa familiare ha tanti meriti, ma certamen-
te non si mette a fare delle organizzazioni troppo sofisticate,
sistemi di controllo di gestione; l’imprenditore dice: “io la
mia azienda la conosco come le mie tasche, non ho bisogno
di queste cose. Riesco a capire a feeling dove stanno i prin-
cipali punti critici”.
Questo invece rende un’azienda più organizzata, ed è un va-
lore, perché, ripeto, l’imprenditore ha un bene importante,
e però è anche un bene che si deve perpetuare: deve essere
anche un bene che funziona in un certo territorio di riferi-
mento perché è lì che crea benessere per impiegati, fornitori,
imprenditori, eccetera.
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C’è un terzo elemento favorevole, (e non lo dico perché
c’è qui presente il rappresentante della Guardia di Finanza),
ma un’azienda che si quota, diventando più trasparente, ha
molto, molto meno, la possibilità di fare il nero. Quindi il
nero diventa a quel punto per tutte le aziende quotate, qual-
che cosa che non c’è più: c’è l’emersione, e questo è anche un
vantaggio come sistema paese in generale.
Questo, ripeto, è un elemento che rende un’impresa quotata
effettivamente parte di quel meccanismo di creazione di be-
nessere, come dico io, collettivo.
Queste, diciamo, sono le opportunità del sistema paese viste
dal lato impresa.
Passerei velocemente al terzo punto, mi soffermerei su que-
sta slide, giusto per concludere con alcuni elementi. Noi ab-
biamo visto la Borsa come motore di creazione di benessere
per il sistema, ovviamente partendo dall’impresa e, come di-
cevo prima, per me la borsa è prima impresa e poi finanza.
Alla creazione di benessere però, devono contribuire anche
tutti gli altri partecipanti di questo circolo che, per essere un
circolo virtuoso, ha bisogno che tutti gli altri partecipanti
contribuiscano nella stessa maniera o almeno spingano nella
stessa direzione. Il meccanismo del mercato è fatto ovvia-
mente dall’impresa che mette il prodotto, ma devono esserci
anche gli investitori, gli intermediari, e le istituzioni. Perché
è importante nel nostro paese il ruolo delle istituzioni? Per
ciò che dicevo prima. Partiamo dalle 350 società quotate.
In Italia, nel nostro paese, noi facciamo delle operazioni o
analisi, come si dice, di marketing periodiche abbastanza
mirate, e abbiamo individuato un bacino di potenziali socie-
tà quotate proprio grazie alla ricchezza delle piccole medie
imprese, che si aggira sulle 2000. Ovviamente questo è uno
screening fatto non certo partendo dai famosi quattro milio-
ni di IVA, ma in maniera molto più ristretta, selezionando
quelle imprese che hanno certe dimensioni, un fatturato su-
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periore ai 25 milioni, e che hanno avuto negli ultimi tre anni
un margine operativo lordo positivo. Quindi, se ci pensate,
sono 2000 imprese, piccole e medie, robuste, in salute. Per-
ché dovrebbero preoccuparsi di andare in Borsa? Perché lo
Stato dovrebbe preoccuparsi di questa situazione? Una parte
dei motivi l’ho detta anche prima: per esempio per dare una
struttura più trasparente a un certo settore economico; però
c’è un altro motivo più importante che vorrei condividere
con voi, che coinvolge un po’ tutti questi attori. Pensiamo a
una situazione normale, e non a una situazione di crisi ugua-
le a quella attuale, altrimenti ne siamo troppo condizionati.
In questo momento anche se vado presso gli imprenditori
a dire: dovete lavorare per un traguardo, quello della quo-
tazione, che non è domani, ma magari è dopodomani, per
prepararsi ad andare in borsa serve tempo, per organizzarsi,
per avere i sistemi di controllo, la trasparenza eccetera. Ma
pensiamo ad una situazione più normale; pensiamo a una
media impresa italiana che si trova di fronte ai problemi di
cui dicevamo prima, la crescita, lo sviluppo, eccetera. Oggi,
mediamente, un’impresa che ha un bel progetto sicuro ricor-
re all’autofinanziamento, ma ci sono dei limiti. Anche l’im-
prenditore familiare, nonostante abbia sempre contribuito
in maniera sostanziale alla crescita della propria impresa,
se volesse fare un’acquisizione importante non avrebbe ne-
anche in molti casi una capacità interna. Oggi, quello che
succede normalmente, è rivolgersi alle banche. La banca
cosa fa? Nella generalità dei casi apre una linea di credito,
quindi sostanzialmente dà vita al problema di cui si diceva
prima. In molte altre situazioni l’impresa italiana non cre-
sce, resta sostanzialmente – questo ci dicono le statistiche –,
poco patrimonializzata e molto indebitata. L’indebitamento
produce un effetto ovviamente “negativo” sul proprio conto
economico per cui crescono gli interessi, anche se in Italia
c’è una disparità tra il costo del debito e il costo dell’equity
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capital. Il costo del debito è appunto un costo, quindi gli
interessi vengono tolti poi dal conto finale, mentre il costo
del capitale no, quello e i dividendi seguono una certa tassa-
zione. Cosa significa avere un’azienda così indebitata? Vuol
dire per esempio, che i nostri fondi, gli investitori, che ob-
bligatoriamente devono investire in titoli che siano quotati
in borsa, per i motivi che in parte dicevo prima, se c’è una
forte ondata di riscatti come c’è stata nei mesi precedenti,
se non avessero investito per una quota parte in borsa non
soltanto in azionario ma anche obbligazionario, non avreb-
bero trovato liquidità su nessun altro mercato. Il mondo da
questo punto di vista si sarebbe fermato. Dicevo, i fondi che
raccolgono, i fondi pensione, che sono appena partiti in Ita-
lia, devono investire in mercati regolamentati. Obbligazioni:
se vogliono investire in obbligazioni corporate delle aziende,
non trovano in Italia un numero sufficiente di prodotti, per-
ché il bacino su cui investire è limitato, quindi non possono
concentrare troppo in Italia perché c’è anche una posizione
di rischio che devono gestire e si rivolgono all’estero. Allora
investono in Germania, Francia, Inghilterra. Non vi ho par-
lato dell’Inghilterra: a Londra abbiamo 3300 società quo-
tate, è la più grande Borsa a livello europeo, se mettiamo i
300 italiani siamo intorno a 3500/3600, però investono in
tutti questi mercati, dove c’è molta più scelta e molta più
diversificazione di rischio di settore industriale. Uno dice:
“bene, anche noi come investitori partecipiamo a questa
gestione di investimenti”, però la realtà vera è che queste
società sulle quali noi investiamo come risparmiatori, come
lavoratori, attraverso il meccanismo dei fondi pensione,
sono delle società che stanno all’estero, sono quotate, hanno
una robustezza patrimoniale superiore a quella delle nostre
piccole e medie imprese, crescono, crescono in settori nei
quali magari le stesse imprese italiane, gli stessi lavoratori
che lavorano in quelle piccole medie imprese, si trovano a
Massimo Capuano                                            77

concorrere sul mercato. Qualche volta questo succede, io lo
dico in maniera paradossale, ma se ci pensate è proprio così
che può succedere, cioè che io come lavoratore ho preso una
parte del mio TFR e l’ho data a un fondo pensione; questo
fondo pensione non investe sulla mia azienda perché non è
quotata, va ad investire sull’azienda tedesca che mi è con-
corrente, questa azienda tedesca mia concorrente con i soldi
che gli ho dato io fa un’acquisizione, cresce, magari mette
fuori mercato me. Quindi con i miei soldi ho partecipato a
questa concorrenza assurda contro me stesso e magari perdo
il posto di lavoro perché quella azienda mi ha messo fuori
mercato. Ecco perché dico che questo circolo deve diventare
virtuoso con la collaborazione di tutti, e questo deve essere
anche un obiettivo dello Stato, delle istituzioni, che dicono:
apriamo il capitale perché salvaguardiamo, per i motivi che
dicevo prima, i passaggi generazionali allo sviluppo, un as-
set, un valore importante del nostro sistema paese, le piccole
medie imprese (io oggi non ho citato le grandi imprese che si
difendono benissimo da sole) che rendono anche possibile la
creazione di questo meccanismo virtuoso, per cui siamo noi
stessi con la parte del nostro risparmio, a contribuire a que-
sto circolo virtuoso per patrimonializzare le nostre imprese
e permettere di affrontare i mercati globali, la concorrenza,
la crescita e così via.
C’è un’ultima slide, credo che sia l’ultimissima, e questa
l’ho utilizzata più volte in Confindustria o in qualche altro
incontro: è un grafico fatto a barre che, sostanzialmente,
mostra come il pil italiano aumenterebbe di quasi due punti
se si quotassero le imprese, che oggi ne hanno la capacità.
È un meccanismo virtuoso, perchè un’azienda che si quota
cresce più delle altre, crea ricchezza e valore. Questo è il
motivo per cui quel famoso circolo deve diventare virtuo-
so, in un orizzonte temporale sicuramente di medio o lungo
periodo, perché è importante che nel nostro paese il sistema
78                                             Conoscere la borsa

Borsa venga considerato oggi come un elemento importante
e fondamentale per lo sviluppo economico e finanziario del
paese, non soltanto come un meccanismo rivolto o destinato
a pochi, a coloro che hanno delle grandissime capacità. Non
è così, e una mentalità che deve cambiare. Plaudo molto a
questa iniziativa che porta soprattutto in una città del sud
un messaggio di questo tipo, partendo da un’età che è im-
portante per il vostro sviluppo. Sono anche contento che
venga fatta in una città di grande tradizione storica come
Salerno, e io come uomo del sud non posso far altro che in-
vidiare questa iniziativa fatta qui, ma ancora non in Sicilia.
Ma non è mai troppo tardi. Concludo dicendo un’ultima
cosa: non guardate i momenti attuali. Anzi sì, guardiamo-
li, visto che siamo tutti preoccupati, però posso dire una
cosa per stemperare la preoccupazione: passerà, non so dirvi
esattamente quando, però passerà. La Borsa Italiana ha 200
anni, li abbiamo festeggiati l’anno scorso con il Presidente
Napolitano, è stata fondata nel 1808, e da 200 anni ne ha
viste di tutti i colori, compreso il Risorgimento piuttosto che
le guerre mondiali. Però è ancora lì, è costruita per creare
realmente le condizioni per la crescita e lo sviluppo.
L’invito che faccio a tutti voi per quando affronterete il mon-
do del lavoro, è: utilizziamola bene questa Borsa.

Giovani Vietri
Grazie, grazie Ingegnere per questa lezione. Voi avrete oggi
capito sicuramente la funzione vera della Borsa, non soltan-
to quella che vi viene trasmessa dai meccanismi di comuni-
cazione. Paradossalmente la finanza per la Borsa è come un
risvolto, un derivato, non è un elemento centrale, l’elemento
centrale è quello di accompagnare la crescita delle imprese e
quindi del tessuto economico.
A questo punto passiamo alle solite domande, che sono
quelle che, sostanzialmente, rendono vivo anche il dibattito.
Massimo Capuano                                          79

Per cui io direi di fare come l’altra volta, ne raccogliamo
qualcuna insieme e poi diamo la possibilità all’ingegnere
Capuano di rispondere.
80                                               Conoscere la borsa

Domande da parte degli studenti

D.: Buongiorno, sono una studentessa dell’I.T.C. di Agropoli.
Presidente Capuano prima che io ponga la domanda, mi dia
l’opportunità di ringraziare a nome di tutta la mia scuola,
il presidente Giovanni Vietri, che ci ha regalato in queste
giornate una grande opportunità. Ha contribuito a farci co-
noscere il mondo della finanza, ben al di là di quello che
prevedono i programmi ministeriali.
Tornando alla domanda, dobbiamo premettere che siamo
rimasti alquanto perplessi nell’ascoltare il presidente Abete
e il Presidente Mussari che, rispondendo alle nostre doman-
de hanno dichiarato che la banca è un’impresa, pertanto il
suo fine è il profitto, senza alcun minimo accenno alla sua
funzione sociale, pure in presenza delle recenti scelte poli-
tiche che, uniformi in tutto il mondo, hanno praticamente
scaricato le pratiche degli istituti bancari sulle spalle dei con-
tribuenti. Ancora, premesso che il capitale finanziario multi-
nazionale piuttosto che negli investimenti e nel commercio,
viene impiegato nelle speculazioni sui mercati azionari al
punto di avere l’impressione che tutti i paesi sono diventati
colonie alla mercé dei movimenti di capitale internazionali e
che non ha più importanza chi detiene il potere politico tan-
to non solo più loro a decidere le cose da fare, le chiediamo,
Presidente Capuano, qual è la sua idea per riportare il go-
verno degli uomini alle note forme di democrazia? Grazie.

D.: Buongiorno, sono la studentessa Luciano Antonietta
dell’I.T.C. Matteo Della Corte.
A proposito della grave crisi finanziaria, i provvedimenti ap-
provati dai governi e dalle principali istituzioni finanziarie,
come BCE, FMI eccetera, sono improntati a forme di inter-
venti molto invasivi delle regole di funzionamento del libero
mercato; si pensa alla sospensione delle vendite, alla scoper-
Massimo Capuano                                             81

ta dei titoli azionari, alla paventata chiusura delle borse nei
momenti di maggiore crisi, alla nazionalizzazione di banche,
assicurazioni, eccetera. Signor Presidente, secondo lei, non
le sembra troppo schizofrenico, sopratutto poco efficace,
passare da un eccessivo liberismo a un eccessivo interventi-
smo? Cosa ne pensa?

D.: Buongiorno, sono uno studente dell’I.T.C. Antonio Ge-
novesi.
Vorrei fare una domanda inerente a uno studio di due docen-
ti della Bocconi. Grazie a questo studio, si è rilevato che più
del 50% degli italiani non conoscono la differenza tra azioni
e obbligazioni. Detto questo, lei è d’accordo sul diffondere
una vera e propria, possiamo dire, educazione finanziaria?

D.: Buongiorno, sono Gabriella De Maio, insegnante di eco-
nomia aziendale dell’I.T.C. di Salerno.
Volevo fare una domanda, come dire, di respiro un pochino
più etico. Adam Smith nella “Ricchezza delle nazioni” au-
spica un controllo molto rigoroso dei tassi di interesse, per
evitare la fuga di capitali che potrebbero essere impiegati
nell’economia reale. Di recente, proprio questo concetto è
stato ripreso da Jean Paul Fitoussi il quale ha parlato di un
deprezzamento del futuro, che, ovviamente, in qualità di do-
cente, di persona della vecchia generazione, pone proprio in
contrasto il benessere della generazione attuale con il benes-
sere delle generazioni future. Lei che rappresenta il massimo
organo, diciamo, della finanza italiana, cosa ne pensa?

R.: Io lo avevo detto già al Presidente Vietri che temevo le
domande perchè avevo già la pubblicazione, e le domande
erano abbastanza toste, quindi spero di essere preparato.
Al primo punto, banca, impresa, e il capitale in speculazio-
ne. È indubbio che la maggior parte delle banche, oggi, sono
82                                              Conoscere la borsa

delle aziende quotate e hanno dei doveri nei confronti dei
propri azionisti.
A questo si riferivano sicuramente i Presidenti Abete e Mus-
sari nel dire che le banche devono rappresentare gli interessi
dei propri azionisti. È una risposta assolutamente lecita da
questo punto di vista. C’è però un punto da sottolineare,
parlando di questo tipo di banche, – e questo vale anche
per le altre domande – tutto dipende da quanto si esage-
ri rispetto a ciò che è una natura lecita di una banca. Da
quello a cui abbiamo assistito in questi anni, perché non è
una questione di pochi mesi, ma di anni, ci sono gli storici
dell’economia che mettono il momento di partenza di tut-
to ciò affibbiando una grande responsabilità a Grisman e a
Reagan. Tutto quello che è successo in questi ultimi anni è
veramente frutto di un eccesso portato agli estremi livelli. Ci
sono dei casi in cui, ovviamente, abbiamo avuto delle truffe,
abbiamo avuto errori da parte dei controllori, ci sono stati
dei casi in cui c’è stata ignoranza, ci sono stati casi in cui
non si è reagito per tempo, per mancanza di attenzione. Però
in tante altre situazioni si potevano creare delle possibilità.
Vi faccio l’esempio dei mutui subprime, che, costruiti in una
certa maniera, avrebbero avuto effettivamente come vantag-
gio di allargare a un certo tipo di consumatori, i risparmia-
tori, l’acquisto di un bene immobile, e sono stati poi portati
su un’area completamente sbagliata dagli eccessi. In questo
c’è una responsabilità, se vogliamo in senso generale, del
sistema finanziario, del sistema delle banche, che sono an-
dati dietro a una situazione nella quale l’eccesso, l’eccesso di
rischio che prendevano, non era controllato. Allora, anche
il concetto di speculazione a cui lei faceva prima riferimento
è un concetto che oggi noi vediamo come il concetto dei de-
rivati, come sinonimo del diavolo, dell’inferno mentre, se lo
vediamo in un contesto regolamentato e normale, gli specu-
latori, come si vuol dire in un mercato azionario, sono quelli
Massimo Capuano                                             83

che fanno funzionare la borsa, perché in certi momenti lo
speculatore è quello che prende delle posizioni in proprio di
rischio. In qualche misura salvaguardano il mercato dai pic-
chi troppo alti o dalle discese troppo basse. Se non ci fossero
i cosiddetti speculatori che prendono un rischio contrario
al trend del mercato, avremmo delle situazioni sul mercato
molto più rischiose, lo stesso sui derivati che oggi sono così
perturbati. Quindi la banca, dal punto di vista d’impresa,
è giusto che faccia il proprio lavoro nei confronti dei propri
azionisti, gli eccessi non sono consentiti.

L’altra domanda, cerco di sintetizzarla: come si può arrivare
a un Governo più democratico.
Io credo che ci sia uno sforzo oggi in atto di recuperare tutto
il terreno perduto, se volete c’è uno sforzo che non ha pro-
dotto grandissimi risultati. Ora non mi ricordo cosa diceva
un commentatore su un giornale di finanza internazionale.
Sostanzialmente quello a cui si è assistito in questi ultimi
mesi è quasi un meeting internazionale ogni due, tre giorni,
sicuramente ogni weekend c’è un meeting in cui ci si riunisce
per trovare delle idee, però non si è andati molto in là. Ades-
so comunque, ciò che si sta pensando, si sta studiando, è di
avere una maggiore armonizzazione delle regole, regole sul
mercato finanziario. Che vuol dire? Sui prodotti ma anche
coloro che sono gli attori di questo mercato, le banche, quin-
di i famosi remunerati Hedge Funds eccetera, cioè tutti colo-
ro che oggi hanno avuto meno controllo sulla loro attività.
Io sto parlando in senso generale, poi ovviamente parlando
degli Stati Uniti ci sono certe manchevolezze, l’Europa ne ha
delle altre, però in questo momento si fa tutti forza comune
per vedere a cosa si può effettivamente arrivare.

Qui c’è l’altra domanda, per la quale mi complimento, per-
ché ha dato dei segnali di conoscenza approfondita di quello
84                                                Conoscere la borsa

che oggi è il nostro mercato dal punto di vista tecnico, perché
si è parlato un po’ di questa schizofrenia, credo che l’abbia
definita così, tra l’andare verso mercati poco regolamentati
per certi aspetti, a mercati sovra regolamentati, quindi ha
parlato di vendite allo scoperto, lo short selling, che conti-
nua ad essere proibito nel nostro mercato, di rischio nazio-
nalizzazione o altro. È vero, è il pendolo, si va da un eccesso
all’altro. Ora non voglio tediarvi con il tema short selling che
ha qualche scetticismo di troppo. Però, oggi, il tema di un
forte intervento, viene visto dai mercati con una certa preoc-
cupazione, perché il mercato ha bisogno di regole, questo è
indubitabile, altrimenti non saremmo la Borsa. La Borsa è un
mercato, noi amiamo definirci così, un mercato regolamen-
tato con delle regole che devono essere seguite. Ma io credo
che il vero deficit, se ci pensate un momento, – io poi vi darò
la mia interpretazione –, non è sulle regole: io di regole nel
mio lavoro quotidiano ne vedo tantissime, noi abbiamo re-
golamenti, la CONSOB manda normative, la Banca D’Italia,
l’UE, le commissioni, tantissime regole. Ieri ne è uscita un’al-
tra. Quello che manca sono i controlli, la vera importanza di
questo ripensamento comune è mettere a punto un sistema
di controllo che sia efficace e autorità che questi controlli
poi li sappiano e li vogliano fare, perché è quello che manca.
Nessuno mi può convincere ad esempio che il caso del truf-
fatore Madoff negli Stati Uniti che faceva un gioco, lo dico
da meridionale quindi posso dirlo perché sono siciliano, ci
ha reso famosi anche negli Stati Uniti, che faceva sostanzial-
mente la catena di Sant’Antonio, quello non è un problema
di regole. La regola che diceva che questo signore non poteva
agire in questo modo, credo sia stata scritta a caratteri cubi-
tali dappertutto. Lì mancavano i controlli, non c’era nessuno
che controllava che questo signore poteva truffare per 50 mi-
liardi di dollari fior di investitori, professionisti, istituzioni.
Oggi, il vero deficit che abbiamo, secondo me, è sui controlli,
Massimo Capuano                                               85

perchè le autorità devono comprendere in maniera ancora
più approfondita che i mercati finanziari oggi sono mercati
globali, mercati diciamo dominati dalla “tecnologia infor-
matica”, quindi ci sono signori che con i computer ci sanno
fare e c’è una grande sofisticazione di prodotti. Se io penso
di controllare uno SDS con gli stessi metodi che impiegavo
prima per andare in una banca, e dire: “fai vedere come hai
fornito la scopertura di conto corrente piuttosto che il castel-
letto”, siamo fuori dal mondo, oggi i sistemi sono diversi,
controlli e controllori devo essere diversi.

Poi la terza domanda, ovviamente, sicuramente, siamo d’ac-
cordissimo. Io devo dire che trovo quasi ottimistica quell’as-
serzione, secondo me la percentuale è molto più bassa, per-
ché non c’è una cultura finanziaria che sia stata, diciamo,
diffusa nelle maniere giuste anche a livello scolastico, a livel-
lo universitario, con la difficoltà nel comprendere certi mec-
canismi, certe terminologie finanziarie. Quello, però, è uno
sforzo che deve essere fatto a livello paese, non basta una
Borsa, non bastano interventi di Fondazioni, di persone con
molta grinta e molta determinazione nel portarlo avanti, ma
serve veramente uno sforzo più istituzionale.
È importante, vi ricordo che riguarda le imprese e la salva-
guardia del futuro, (rientriamo nell’ultima domanda) del fu-
turo generazionale di tutti noi: l’impresa deve essere un’as-
set che deve essere costruito e salvaguardato, ma riguarda
anche il nostro futuro di investitori e di persone che con
aspettative di vita sempre molto più elevate avranno biso-
gno di poter investire in modo sicuro; sicuro vuol dire con
un rischio controllato, ma anche all’interno di prodotti azio-
nari che soltanto in questa maniera riescono poi a creare le
condizioni per avere un futuro pensionistico adeguato. In-
vestendo in BOT, non si ha sicuramente nell’arco temporale
di una vita la possibilità di costruirsi una pensione. Quindi è
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assolutamente importante un’educazione finanziaria a tutti
i livelli. Oggi sempre di più anche, diciamo, il dipendente,
l’operaio, che ha una quota parte investita nel TFR, even-
tualmente investita in un fondo pensione, deve capire a chi
dà questi soldi, come li dà e come li investiranno.

Quindi, veniamo alla domanda della professoressa. È vero
che noi abbiamo in questo momento, al di là di quello che
potevano dire i precursori di questa disciplina, già oggi un
rischio di deprezzamento del futuro, ma la cosa che dob-
biamo realmente comprendere è che il mondo è cambiato.
Speriamo che non lo apprendiamo soltanto noi operatori,
noi ci rendiamo conto che il mondo di ieri è cambiato. Ma
se ne rendono conto coloro che hanno poi a livello di go-
verni e autorità di controllo la possibilità di mettere bene in
funzione queste salvaguardie? Perché effettivamente questo
è il rischio: non comprenderlo in tempo e utilizzare gli stessi
strumenti del passato. Oggi è una crisi diversa, non è ini-
ziata come la crisi delle speculazioni in internet, in borsa,
non è iniziata attraverso la truffa che faceva qualcuno come
Enron. Oggi, io la paragono un po’ alle pestilenze del pas-
sato: c’erano queste grandi epidemie, l’infezione passava da
un paese all’altro, e noi abbiamo avuto la stessa situazione,
l’infezione dagli Stati Uniti è passata all’Inghilterra, poi è
tracimata nell’Europa del Nord, poi è arrivata in Francia,
in Germania. Noi siamo stati toccati poco dall’inflazione
finanziaria, siamo stati toccati molto – a questo punto è ine-
ludibile – sulla parte industriale. Però, per evitare questo
forte rischio di una deriva negativa, adesso veramente è il
momento dei fatti, quindi ci si aspetta che ci siano interventi
non soltanto portati sul mondo della finanza, ma sul mon-
do produttivo e sul mondo delle famiglie. Perchè possiamo
dare tutti gli incentivi che vogliamo alle banche, dicendo
ti do questo e tu sostieni l’impresa, e possiamo darli anche
Massimo Capuano                                               87

all’impresa: “ti do linee di credito e altro”. Se però non c’è il
mercato, l’impresa non può continuare a produrre per stoc-
care: ci deve essere il mercato, quindi dobbiamo essere noi
che iniziamo a pensare al nostro futuro in maniera più posi-
tiva. Questo è quello che oggi fondamentalmente manca in
tutti questi discorsi. Come facciamo a fare ripartire nella no-
stra testa, nella nostra mente un meccanismo positivo? Deve
essere diverso da quello che dice: consumiamo e andremo
tutti bene, non è più così. Dobbiamo essere degli investitori
coscienti e informati. Ecco perché è importante che ci siano
anche sessioni come queste e educazioni come questa.

D.: Buongiorno, signor Presidente, mi chiamo Treglia Genti-
le e frequento l’I.T.C. Raffaele Pucci di Nocera Inferiore.
Vorrei chiedere a lei che rappresenta la Borsa Italiana, in un
momento di crisi in cui potenziali investitori non ci sono,
qual è appunto il mezzo per far fronte a questa crisi e far
risollevare il capitale sociale del paese.

D.: Buongiorno, io vorrei fare una domanda. Ci sono all’in-
circa in Italia 2000 imprese che hanno un fatturato di ven-
ticinque milioni di euro. Tra queste abbiamo anche le so-
cietà cooperative? Se la risposta è no, le vorrei chiedere se è
possibile attuare delle strategie borsistiche affinché anche le
cooperative siano quotate in Borsa. E lei cosa ne pensa?

D.: Buongiorno, mi chiamo Carmen Stanziola vengo dal-
l’I.T.C. di Sapri.
Vorrei sapere che peso hanno i fondi Private equity nello svi-
luppo di imprese non quotate. Inoltre, da quali rischi sono
caratterizzati questi fondi?

D.: Sono il professore Corrado Giovanni dell’I.T.C. Della
Corte, insegno economia aziendale.
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Vorrei una sua brevissima opinione sull’operato delle socie-
tà di rating internazionale, nel senso che sono state spesso
coinvolte in giudizi poco affidabili che hanno poi portato a
rovine finanziarie da parte dei risparmiatori, se è il caso al
limite di introdurre tra le regole la loro regolamentazione o
un’istituzionalizzazione perché, comunque, sono delle socie-
tà private.
Lei ha affermato che la cultura finanziaria in Italia non è
molto diffusa, ed effettivamente è così. C’è da dire, però, che
in Italia c’è una grossa disinformazione finanziaria, perché
se si leggono i giornali del luglio-giugno 2008 sembrava che
tutto andasse bene, solo il Sole 24 Ore esprimeva in poche
righe il rischio di questi mutui subprime, poi è scoppiato
questo grosso bubbone. C’è da dire pure che molti esperti
che non si sa da dove provengono, si mettono a dare delle
indicazioni su come e dove investire. Negli anni passati han-
no sempre indicato di investire azioni in Europa, dopo di
che c’è stato questo grosso crack, ma nessuno ne risponde.
Il punto è questo. Non si può parlare senza dare garanzie,
bisognerebbe anche rimetterci di tasca propria.

R.: Il primo punto è una domanda molto, molto pertinente.
È quella che ci facciamo noi in borsa quasi ogni giorno: se
non ci sono gli investitori, dove li cerchiamo, come li tro-
viamo?. La verità è che abbiamo in questo momento molta
difficoltà a trovare un certo tipo di investitore, sono gli inve-
stitori che sostengono le imprese proprio nel momento della
quotazione. Cioè un’impresa per quotarsi ha bisogno che
nel giorno iniziale della quotazione ci siano investitori di-
sponibili a prenotare il capitale. Oggi questi investitori non
ci sono. Nel senso che anche gli investitori istituzionali, in
questo momento, chiedono un forte sconto per poter inve-
stire in società di nuova quotazione. Quindi l’imprenditore
in questo momento non è disponibile a svendere il proprio
Massimo Capuano                                              89

capitale. Oggi, in tutto il mondo, – non è una questione che
riguarda soltanto la Borsa Italiana o Europea, ma riguarda
tutto il mondo –, il numero delle nuove quotazioni è molto,
molto in diminuzione, mancano questo tipo di investitori.
Gli altri sono invece investitori che sono già ampiamente
entrati sui mercati azionari, quindi quello che in questo mo-
mento stanno facendo è: a) fare fronte, come è successo nei
mesi precedenti, a forti ondate di riscatti; b) utilizzare anco-
ra una volta le borse come sorgente di liquidità, (se io sono
stato poco previdente mi sono indebitato molto, come sape-
te in questo momento le banche stanno chiedendo a molti
di rientrare), quindi se io non ho altra possibilità per rien-
trare vado e vendo sui mercati azionari. Come dicevo prima
noi in questo momento come Borsa stiamo subendo aspetti
molto negativi che sono avvenuti fuori dai mercati, perché
i subprime non ci sono in borsa, tutti questi derivati strani
CDS, SDO in borsa non ci sono perché non sono prodotti
regolamentati. Noi ci siamo trovati, invece, a subire tutta
questa necessità di liquidità e quindi il mercato è sceso. Que-
sti sono gli investitori che ci sono, che oggi in Borsa cercano
in alcuni casi di vendere perché devono ridare soldi alle ban-
che, o che devono far fronte ai riscatti, o che in maniera più
timida cercano di trovare delle occasioni buone di scambio
(siamo sulla soglia del ritorno al baratto!).

Questo per quanto riguarda appunto il primo punto sugli
investitori. Per le società cooperative? Questa è una bel-
la domanda assolutamente interessante e lecita. Perché in
Italia, ne cito una che abbiamo fortemente corteggiato, ci
sono delle società cooperative molto grandi, ce n’è una nel
settore del vino che fattura qualcosa come 700 milioni di
euro, quindi un’impresa grande. Società cooperativa, perché
è così difficile quotarla? Perché una società per poter esse-
re quotata, deve rispettare certe caratteristiche tra le quali
90                                              Conoscere la borsa

quella delle azioni che devono essere liberamente trattate
e scambiate senza vincoli. Se la società cooperativa all’in-
terno del proprio statuto pone delle condizioni ai soci per
poter diventare azionisti mette un ostacolo a una trattazio-
ne. Ci sono società cooperative, noi abbiamo una società
cooperativa un po’ particolare che è la Cattolica Assicura-
zioni, l’unica alla quale ci si può avvicinare. Altrimenti per
far sì che le società cooperative si quotino devono mettere
all’interno dei propri statuti qualche clausola che consenta
lo scambio di azioni senza vincoli, in quel caso sarebbe ef-
fettivamente molto interessante perché ci sono tante realtà
industrialmente importanti nel nostro paese.

Il private equity è un operatore finanziario di grande im-
portanza, io qualche volta dico che è un forte alleato della
Borsa, qualche volta meno, perché i private equity hanno
anche loro alcuni comportamenti virtuosi, altri meno. Però
il private equity svolge una funzione importante, in un paese
come il nostro, per esempio dà un contributo per la cre-
scita della cultura finanziaria all’interno dell’impresa, opera
– avevamo visto prima il ciclo di necessità di capitale da
parte di un’azienda –, in vari cicli, anche in quello di capitale
iniziale piuttosto che anche in fase successiva nello sviluppo.
Questo è il suo ciclo virtuoso, e, dopo un certo periodo di
tempo, quando l’azienda è cresciuta, si è realizzata, esce
dal capitale perché non fa parte delle proprie competenze
restare all’interno di una società, anzi esce e fa un guadagno,
il guadagno lo reimpiega in altre società che aiuta a cre-
scere, eccetera. Questo è un comportamento assolutamente
virtuoso. La maniera più naturale per uscire è portare la
società in borsa. È un forte alleato anche della crescita. Noi
abbiamo ormai stabilmente tante società che si quotano, che
hanno al proprio interno un private equity. Dov’è che la si-
tuazione diventa più confusa? Nel momento in cui il private
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