La Borsa e la crescita del Paese - Massimo Capuano
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Massimo Capuano 63 La Borsa e la crescita del Paese Massimo Capuano Buongiorno, grazie per questo invito, grazie al Presidente Vietri per avermi invitato in questa occasione a parlare di Borsa. Intanto, e non per cercare di diminuire le mie respon- sabilità, nel momento in cui dice che sono l’incarnazione della Borsa, non vorrei che prendeste l’indicazione troppo sul serio; e quando vedete poi che la borsa scende o qualche investimento è andato male, mi riconosciate come colui che sta facendo andare male l’investimento, e l’indice di borsa. Non è così. Ora cercherò di darvi anche un’indicazione di ciò che realmente penso che la Borsa sia e che, soprattutto nel nostro Paese, debba essere. Credo che sia un’iniziativa veramente molto meritevole, anche per riuscire a trasmette- re alcuni “valori” del nostro Paese anche e soprattutto par- tendo da una base come la vostra, dai primi passi di un trai- ning fatto in maniera molto aderente a quello che è la vita reale. Io ho preparato una breve presentazione che scorre nelle slide che vedete alla mia destra, ma siccome sono mol- to testuali mi diceva il dott. Vietri che la presentazione può essere messa a vostra disposizione. Andrò quindi a braccio aiutandomi con dei grafici. Per prima cosa vorrei presentare la borsa, perché la borsa non è più un luogo fisico con persone urlanti che scambiano domande, offerte, prezzi; ormai quella borsa non esiste più. Esiste soltanto in pochissime città, e una di queste, sembrerà strano a dirlo, è la capitale della finanza al mondo, la Borsa di New York. Alla Borsa Italiana, come in tutte le altre borse europee, non c’è più una borsa fisica, quindi noi oggi gestia- mo la borsa attraverso il computer, non c’è più un luogo fi-
64 Conoscere la borsa sico, ma c’è una borsa virtuale, i titoli si possono scambiare, comprare e vendere come ben sapete, perché lo fate anche voi in tutto il mondo attraverso i computer. Volevo presentare la Borsa. Oggi la Borsa è una società, un gruppo per meglio dire, perché raccoglie altre società. Nell’ottobre del 2007 abbiamo perfezionato un accordo con la Borsa di Londra per cui oggi formiamo un unico gruppo, in cui però la Borsa Italiana (o Gruppo Borsa Italiana) mantie- ne la propria identità, mantiene le proprie prerogative come quelle di essere, anche per legge, l’ente, ovvero l’istituzione predisposta all’ammissione di quotazioni e alla sorveglianza del mercato. Siamo all’interno di questo gruppo, abbiamo ovviamente una serie di attività in comune tra le quali quella di attirare capitali e investimenti per le imprese italiane. La Borsa non è soltanto mercato azionario, gestiamo altri mer- cati: il mercato dei derivati, il mercato obbligazionario, il mercato dei derivati sull’energia elettrica. È un gruppo, per darvi un’indicazione, che fattura più o meno 700 milioni di sterline, con più o meno un primo margine che è intorno ai 300 milioni ed è un gruppo quotato alla Borsa di Londra. La Borsa non è soltanto un luogo fisico, non è più un merca- to di scambi ma è anche un’impresa quotata. Oggi però parliamo della Borsa nel suo concetto vero, istitu- zionale ma non solo. La Borsa io la vedo prima di tutto come un motore che deve servire l’industria, deve servire l’impre- sa, deve servire l’impresa per crescere e svilupparsi e poi è anche finanza. La finanza la possiamo vedere come il lubri- ficante per questo motore: è necessario, indispensabile altri- menti il motore grippa, però è qualche cosa che si aggiunge all’elemento portante che deve essere il motore. Questa è la vera ragione d’essere di una Borsa, far sì che l’impresa possa trovare capitali di rischio per finanziare la propria crescita e il proprio sviluppo. Questo capitale di rischio viene mes- so a disposizione appunto dalla finanza. Nella prima parte
Massimo Capuano 65 della mia presentazione, volevo quindi inquadrare la Borsa e il finanziamento della crescita. Ecco, considerate che nel nostro Paese, parlando dell’Italia, al contrario che in tanti altri paesi europei, la Borsa è sempre stata per certi aspetti un po’ vista marginalmente rispetto al concetto di crescita e sviluppo dell’impresa. Per prima cosa l’impresa italiana, storicamente, ha sempre visto l’imprenditore come primo motore di sviluppo; l’impresa italiana familiare cresceva ed è cresciuta con un forte autofinanziamento attraverso le banche; soltanto in tempi più recenti la Borsa ha iniziato a essere utilizzata come motore dell’impresa. Allora, come possiamo inquadrare un cammino virtuoso per un’impresa? L’impresa non nasce grande di per sé. L’impresa nasce da un’idea, un mercato di riferimento, nasce poi ovviamente dalla passione e dal lavoro dell’imprenditore e di tutti colo- ro che lavorano in quella impresa, ma ha bisogno di capitali. Ora, in un cammino virtuoso ci sono vari stadi nei quali l’impresa ha bisogno di capitali: c’è un capitale iniziale che serve proprio per i primi passi, c’è un capitale che serve a sta- bilizzare l’impresa nella sua attività giornaliera (il circolante serve anche a questo), poi c’è un capitale per lo sviluppo quando l’azienda raggiunge un certo grado, (c’è forse una slide che fa vedere come l’impresa ha bisogno di diversi tipi di capitale per crescere). La Borsa fornisce un certo tipo di capitale, che direi indispensabile a una determinata impre- sa per poter crescere. Qual è il momento in cui un’impresa idealmente ha bisogno della Borsa per aprire il proprio ca- pitale? Quando è di fronte a uno sviluppo importante, e ciò vale anche ovviamente per un’azienda piccola dove ci sono capitali che possono sembrare limitati però importanti: deve ricorrere a una patrimonializzazione, deve ricorrere ai ca- pitali di rischio. Perchè ricorre al capitale di rischio e non utilizza le altre fonti che abbiamo detto prima, la fonte di autofinanziamento piuttosto che quella di un indebitamen-
66 Conoscere la borsa to bancario? Perché l’autofinanziamento ha certi limiti: sia per famiglie molto facoltose, perché ovviamente avrebbero un’esposizione al rischio impegnativa, sia per le banche che ovviamente prestano soldi che poi devono rientrare. Due sono gli elementi che condizionano lo sviluppo di un’impresa: il primo è l’elemento tempo e l’altro l’elemento costo. L’elemento tempo perché in ogni caso i tempi della finanza molte volte sono distanti o sono diversi dai tempi dell’industria; i tempi della finanza sono dettati da elementi quali il fatto che a fronte di un credito si debba avere una raccolta fondi, che ha tempi completamente diversi da quelli di uno sviluppo di un progetto industriale, e ci sono inoltre dei costi del mercato monetario e non del mercato dei capi- tali. Abbiamo due mondi che non si confrontano. Quindi in quel momento serve proprio il capitale di rischio, che serve a fare un’azienda più robusta per poter poi affrontare un pro- getto importante. Ecco che a quel punto può servire effetti- vamente l’apertura del proprio capitale. Qual è la maniera migliore per raccogliere questo capitale? Oggi la maniera migliore per raccogliere questo capitale è proprio quello di cercare, di trovare un sistema per far sì che questo capitale sia il meno costoso possibile. Se mi dovessi rivolgere a una sola fonte per questo finanziamento, ovviamente mi troverei in una situazione un po’ critica, perché il prezzo lo farebbe lui che sa che ho bisogno, mette a disposizione la sua liqui- dità e a quel punto il prezzo lo fa lui. La cosa migliore è andare in Borsa, come si suol dire, aprire il proprio capitale e cercare, per raccogliere questo capitale, di trovare il prez- zo migliore. Oggi, sia nell’ambito dell’Euro, sia nell’ambito dell’Unione Europea, sia nell’ambito della finanza ancora più globale, c’è la possibilità, effettivamente, di raccogliere il capitale al più basso costo possibile. Ed è proprio quello che fa un imprenditore che apre il proprio capitale alla Borsa. Ripeto, nel nostro paese per molto tempo ci siamo trovati
Massimo Capuano 67 in una situazione in cui le imprese avevano difficoltà o ti- more, qualche volta, ad aprire il proprio capitale di rischio e si sono rivolte alla banca. La banca fornisce capitali sotto un’altra forma. Questo vuol dire che nel momento in cui io sono, per esempio, all’interno di un progetto di sviluppo, che ha ovviamente un certo grado di rischio, se ho capitale di rischio posso anche non remunerarlo, i dividenti li conti- nuo a tenere in azienda in attesa che quel progetto con una portata biennale o triennale inizi a portare profitti. Invece, con un prestito o un accredito che ho preso da una banca, non c’è niente da fare: ogni tre o sei mesi o ogni anno devo pagare gli interessi, sia che il progetto sia andato a buon fine, sia che il progetto non sia andato a buon fine. Quindi ci troviamo veramente con due mondi, che hanno delle ri- sposte diverse rispetto al progetto che io come imprenditore ho in mente. Alcuni elementi che fanno sì che la Borsa possa effettivamente essere al centro di un meccanismo che crea valore, che sostiene lo sviluppo. Tante imprese hanno biso- gno di questi capitali, e andando in Borsa creano un fabbi- sogno di capitali, ci saranno altrettanti investitori naziona- li e internazionali che di questi capitali cercano una fonte d’investimento, per avere una remunerazione. Questo è il meccanismo più virtuoso. In Borsa, ovviamente, ci si va per tanti altri motivi, questo è il motivo più classico e virtuoso, è il motore dello sviluppo. Però se noi pensiamo a un siste- ma industriale italiano, fatto di tantissime piccole e medie imprese, la stragrande maggioranza a carattere familiare, il famoso made in Italy, il modello del distretto è formato e ba- sato su questa caratteristica del sistema produttivo italiano. Ecco, tutto questo sistema di piccole e medie imprese, gioco forza prima o dopo si trova davanti a due grandi bivi. Il primo bivio è appunto un modello di crescita, che viene ad essere sempre di più sfidante, nel momento in cui la piccola e media impresa si trova a confronto con una competizio-
68 Conoscere la borsa ne globale, quindi deve a sua volta cercare un modello di crescita. Come fa a crescere una piccola o media impresa? Ripeto: il modello di sviluppo che prima citavo, cresce non soltanto per vie interne, ma anche per linee esterne attraver- so aggregazioni, acquisizioni anche di altre piccole e medie imprese. Questo è un modello che in Italia non ha quasi mai funzionato. L’Italia continua ad essere un paese che indu- strialmente è basato molto sulla piccola media impresa in tanti settori e ne vediamo tanti frammentati. È un vantaggio o uno svantaggio? È difficile dirlo. Nel senso che sicuramen- te un paese come il nostro non può per la sua collocazione, ormai stabile tra i primi otto paesi al mondo, non avere an- che una grande impresa, azienda in senso lato. Ma dall’altra parte il fatto di avere una base di piccole e medie imprese dà effettivamente al nostro sistema produttivo una flessibilità e capacità di adattamento, che in un momento di crisi come questo ci salvaguarda da altre situazioni drammatiche. Pen- sate alla Germania, paese di grandi imprese: nel momen- to in cui deve ristrutturare una grande impresa, deve “fare fuori” migliaia di dipendenti e operai, perché deve ristrut- turare la grande azienda. La piccola e la media impresa ha dei meccanismi di flessibilità che sono in questo momento decisamente superiori. Però, dall’altra parte, come dicevo, questo è il primo bivio: la crescita. Come cresco? Se cresco troppo aprendo il capitale, come dicono gli imprenditori, mi diluisco, e invece di possedere al 100% la mia impresa e fare ciò che voglio come se fossi nella mia famiglia, a quel punto la mia partecipazione all’impresa scenderà, sarà al 70, al 60%. Io devo dirvi, sulla scorta dell’ esperienza personale di dieci anni in Borsa, che questo è uno degli argomenti di discussione con gli imprenditori italiani che più frequente- mente tocchiamo. Per un imprenditore italiano scendere al 99% già è un trauma. Quando io dico che un’azienda si riesce tranquillamente a controllare e gestire con il 51%, di-
Massimo Capuano 69 cono che questo non è possibile. Trovarsi intorno al tavolo del consiglio di amministrazione con degli estranei è vera- mente un primo shock, il massimo concepibile è avere come estranei il commercialista, l’avvocato di fiducia, gli altri sono tutti familiari. Andare in Borsa, invece, vuol dire met- tere attorno a questo tavolo degli altri personaggi che sono consiglieri di amministrazione anche dipendenti; allora la mia interlocuzione con loro serve a far capire che si possono anche avere delle ricchezze e dei valori avendo intorno al tavolo delle persone diverse dalla famiglia, che magari por- tano idee nuove e esperienze nuove e che questo arricchisce anche l’impresa. Questo è veramente un gap culturale che c’è, per esempio, rispetto all’Inghilterra, alla Francia, alla Germania dove il numero delle piccole e medie imprese quo- tate è in alcuni casi da tre a quattro volte superiore. Questo è il secondo bivio. Secondo bivio che però si inserisce an- che in un contesto generazionale. Perché l’impresa familiare quando cresce, cresce con l’imprenditore. Poi però c’è un ciclo di vita che per l’imprenditore a un certo punto termi- na, e c’è il passaggio generazionale da gestire. In alcuni casi questo passaggio generazionale si rivela facile, perché madre natura, la genetica, il DNA, ha trasmesso quell’imprinting imprenditoriale dal padre, al figlio o alla figlia, quindi c’è una prosecuzione. Qualche altra volta non è detto che i figli vogliano fare esattamente le cose che i padri hanno fatto per tutta la vita, oppure ci sono figli che sono portati a fare altri mestieri. In questo caso, il valore azienda, e ripeto che è un valore per il Paese perché intorno all’azienda ci sono gli impiegati, i collaboratori, i fornitori, i clienti, potrebbe ad un certo punto terminare. Cosa è successo molte volte in Italia? Questo piccolo o medio imprenditore, non avendo un passaggio da poter fare, da poter gestire, ha venduto. Ed ecco la storia di tante imprese familiari che sono state acquistate da società estere, perchè ci sono poi anche ov-
70 Conoscere la borsa viamente concorrenti internazionali che entrano. Perché ho parlato del passaggio generazionale con la Borsa? Perché è anche uno degli strumenti per gestire meglio il passaggio ge- nerazionale. Ci sono famiglie che alla terza generazione non hanno più solo l’imprenditore che lavora, ma ci sono magari cinque, sei, dieci persone che insistono su quella azienda. Alcuni sono capaci, altri meno, vogliono uscire, ci sono ten- sioni per recuperare il capitale: la quotazione in Borsa è uno dei modi con cui si gestisce quella che viene chiamata l’Exit, l’uscita. La Borsa sicuramente serve per lo sviluppo, la cre- scita, serve soprattutto in un sistema di piccola e media im- presa familiare, come quello italiano, anche per poter gestire un passaggio generazionale in questi termini. Il capitale che si raccoglie in Borsa ha ovviamente un costo, come dicevo prima, ha un costo che viene ad essere ottimizzato proprio per questa capacità che ha la Borsa di raccogliere investitori da tutto il mondo. Nel momento in cui c’è il primo giorno di quotazione di una società, tutti gli investitori del mondo so- stanzialmente contribuiscono a formare un prezzo per quel capitale raccolto. Se crediamo al meccanismo di mercato, cioè che il prezzo ottimale si formi incrociando domanda e offerta, ecco il prezzo ottimale al quale quell’imprendito- re può raccogliere il capitale. Questo è il meccanismo più virtuoso che possa servire ad un’impresa per finanziare la propria crescita e il proprio sviluppo, questo è quello che dovrebbe essere realmente il ruolo della Borsa. Oggi voi mi potete dire che, a fronte di questo bellissimo discorso teorico che vi ho fatto, quello che si continua a vedere sono i titoli che crollano, gli investimenti, sia quelli fatti da privati, cioè dal risparmiatore individuale, sia quelli fatti da grandi fondi individuali istituzionali, fondi pensioni, che stanno tutti scendendo, quindi c’è una distruzione di valore e non una creazione di valore. È verissimo e non ci possiamo fare nulla dal punto di vista di Borsa. Però, in un
Massimo Capuano 71 momento come questo, vi invito a considerare un aspetto che non è evidenziato tantissimo anche nelle discussioni di questi giorni, ed è il fatto che la Borsa (questo è un altro dei compiti istituzionali della Borsa) è stata in tutto questo periodo una fonte di liquidità a livello mondiale di estremo valore. Pensate cosa sarebbe successo se chiunque di voi avesse investito in un fondo, o anche avesse avuto necessità, dopo aver alimentato il proprio fondo pensione, di dover rientrare da questa liquidità. Andava in banca dal promo- tore finanziario, e chiedeva di riscattare la quota. Se non ci fosse stata per l’investitore istituzionale la possibilità di smobilizzare andando in Borsa, trovando la liquidità, per ridarla al risparmiatore, il mondo sarebbe passato attraver- so una crisi epocale. Se ricordate, quello è il momento in cui tutti dicevano al mondo che c’era una crisi di liquidità. Neanche le banche tra di loro si prestano soldi, che è il mas- simo della sfiducia mondiale a cui si possa fare riferimento. Le Borse per tutto questo tempo hanno fornito liquidità a tutto il mondo. Chiunque di noi avesse avuto bisogno di soldi o fatto un investimento azionario o obbligazionario si rivolgeva al proprio intermediario, e costui andando in Borsa trovava immediatamente liquidità. Nel mondo in quel momento non c’era nessun altro che dava liquidità, quindi non si riusciva a mettere in moto il meccanismo, tranne le banche centrali. Le banche centrali non prestano soldi a noi, le banche centrali prestano soltanto soldi alle banche, quin- di ci sarebbe stato soltanto un grande blocco. Questa è un’altra funzione forse non tanto sottolineata, però in questo momento di crisi tutte le Borse al mondo hanno svolto questo compito importante. Io passerei ora al secondo punto che riguarda l’opportunità per il sistema Paese; ci sono alcune slide che, in un certo sen- so, cercano di dimostrare, anche con alcuni esempi numerici, come una società quotata fa crescere il benessere generale.
72 Conoscere la borsa Voi dovete ancora una volta fare un esercizio, anche se ca- pisco che può essere un po’ difficile in questi giorni: vedere la borsa e il modello di sviluppo del mercato azionario della borsa esulandolo da quello che è il momento attuale. Cer- chiamo di vederlo in un arco temporale proiettato, piuttosto che nel 2010, più avanti. Il nostro sistema paese ha espresso finora circa 350 società quotate, che è un numero limitatissimo, rispetto alla Francia che ne ha circa 1200, quasi quattro volte tanto, alla Germa- nia che ne ha 900, quasi tre volte tanto, la Spagna che ne ha 400… ne abbiamo anche meno della Grecia, forse un poco di più della Svizzera, però se fate i confronti fra l’economia ita- liana e quella greca c’è qualche differenza. Ci troviamo ve- ramente di fronte a un gap di società quotate, e voi potreste dire: questo è un problema tuo, sei tu che gestisci la Borsa. Questo cosa comporta? Per le cose che dicevo prima, e per altre che cercherò velocemente di approfondire, è anche un problema per il sistema paese. Per quale motivo? Un’im- presa che si quota, inizia ad avere un comportamento, se vogliamo, un po’ più virtuoso, da un punto di vista di svi- luppo. L’azienda che si quota, come dicevo prima, ha un progetto di sviluppo, vuole crescere, raccoglie capitali, già di per sé questo vuol dire che c’è una spinta a fare svilup- po. Sviluppare vuol dire creare condizioni economiche più favorevoli, vuol dire assunzioni, vuol dire tutte una serie di cose che fanno sì che questo sviluppo abbia effettivamente un seguito. Da una ricerca che abbiamo fatto tra le aziende quotate, dopo un certo numero di anni, abbiamo potuto constata- re che alcune società, una volta quotate, hanno rispettato l’impegno, sono quindi cresciute e hanno diminuito la loro esposizione bancaria, sostanzialmente meno debiti e più capitale di rischio, cioè si sono patrimonializzate, sono di- ventate più robuste, con una struttura organizzata per poter
Massimo Capuano 73 raggiungere un certo obiettivo. Le aziende più patrimonia- lizzate hanno fatto più crescita. Ma è successa un’altra cosa interessante: mentre nel primo periodo sostanzialmente il loro indebitamento si è molto ridotto, poi è ripreso. Quindi anche il fattore competizione che talvolta si dice esserci tra banca e borsa, non è vero, perché è ovvio che anche per le banche questo è un vantaggio, perché si ritrovano di fronte un cliente che prima era piccolo, poco sofisticato, che chie- deva soltanto una linea di credito, ed ora è un cliente con altre esigenze, e sono esigenze che la banca soddisfa conti- nuando anche a dare un certo tipo di prodotti per un’impre- sa che è cresciuta. C’è un altro elemento importante che è cresciuto di valore. L’impresa che si quota ha un altro fatto- re benefico, che, quindi, migliora anche la “struttura paese” nel suo complesso. Per quotarsi un’impresa ha bisogno di essere organizzata per il mercato, e organizzata per il merca- to vuol dire che è un’azienda che si è dotata di una struttura organizzativa, di un sistema di controllo di gestione, di siste- mi di analisi, gestione e controllo del rischio, perché chi dà soldi a un’impresa richiede almeno che questa impresa sia ben organizzata e che sia trasparente. Questo vuol dire che un’impresa prima di quotarsi fa una sorta di check-up, e si organizza. L’impresa familiare ha tanti meriti, ma certamen- te non si mette a fare delle organizzazioni troppo sofisticate, sistemi di controllo di gestione; l’imprenditore dice: “io la mia azienda la conosco come le mie tasche, non ho bisogno di queste cose. Riesco a capire a feeling dove stanno i prin- cipali punti critici”. Questo invece rende un’azienda più organizzata, ed è un va- lore, perché, ripeto, l’imprenditore ha un bene importante, e però è anche un bene che si deve perpetuare: deve essere anche un bene che funziona in un certo territorio di riferi- mento perché è lì che crea benessere per impiegati, fornitori, imprenditori, eccetera.
74 Conoscere la borsa C’è un terzo elemento favorevole, (e non lo dico perché c’è qui presente il rappresentante della Guardia di Finanza), ma un’azienda che si quota, diventando più trasparente, ha molto, molto meno, la possibilità di fare il nero. Quindi il nero diventa a quel punto per tutte le aziende quotate, qual- che cosa che non c’è più: c’è l’emersione, e questo è anche un vantaggio come sistema paese in generale. Questo, ripeto, è un elemento che rende un’impresa quotata effettivamente parte di quel meccanismo di creazione di be- nessere, come dico io, collettivo. Queste, diciamo, sono le opportunità del sistema paese viste dal lato impresa. Passerei velocemente al terzo punto, mi soffermerei su que- sta slide, giusto per concludere con alcuni elementi. Noi ab- biamo visto la Borsa come motore di creazione di benessere per il sistema, ovviamente partendo dall’impresa e, come di- cevo prima, per me la borsa è prima impresa e poi finanza. Alla creazione di benessere però, devono contribuire anche tutti gli altri partecipanti di questo circolo che, per essere un circolo virtuoso, ha bisogno che tutti gli altri partecipanti contribuiscano nella stessa maniera o almeno spingano nella stessa direzione. Il meccanismo del mercato è fatto ovvia- mente dall’impresa che mette il prodotto, ma devono esserci anche gli investitori, gli intermediari, e le istituzioni. Perché è importante nel nostro paese il ruolo delle istituzioni? Per ciò che dicevo prima. Partiamo dalle 350 società quotate. In Italia, nel nostro paese, noi facciamo delle operazioni o analisi, come si dice, di marketing periodiche abbastanza mirate, e abbiamo individuato un bacino di potenziali socie- tà quotate proprio grazie alla ricchezza delle piccole medie imprese, che si aggira sulle 2000. Ovviamente questo è uno screening fatto non certo partendo dai famosi quattro milio- ni di IVA, ma in maniera molto più ristretta, selezionando quelle imprese che hanno certe dimensioni, un fatturato su-
Massimo Capuano 75 periore ai 25 milioni, e che hanno avuto negli ultimi tre anni un margine operativo lordo positivo. Quindi, se ci pensate, sono 2000 imprese, piccole e medie, robuste, in salute. Per- ché dovrebbero preoccuparsi di andare in Borsa? Perché lo Stato dovrebbe preoccuparsi di questa situazione? Una parte dei motivi l’ho detta anche prima: per esempio per dare una struttura più trasparente a un certo settore economico; però c’è un altro motivo più importante che vorrei condividere con voi, che coinvolge un po’ tutti questi attori. Pensiamo a una situazione normale, e non a una situazione di crisi ugua- le a quella attuale, altrimenti ne siamo troppo condizionati. In questo momento anche se vado presso gli imprenditori a dire: dovete lavorare per un traguardo, quello della quo- tazione, che non è domani, ma magari è dopodomani, per prepararsi ad andare in borsa serve tempo, per organizzarsi, per avere i sistemi di controllo, la trasparenza eccetera. Ma pensiamo ad una situazione più normale; pensiamo a una media impresa italiana che si trova di fronte ai problemi di cui dicevamo prima, la crescita, lo sviluppo, eccetera. Oggi, mediamente, un’impresa che ha un bel progetto sicuro ricor- re all’autofinanziamento, ma ci sono dei limiti. Anche l’im- prenditore familiare, nonostante abbia sempre contribuito in maniera sostanziale alla crescita della propria impresa, se volesse fare un’acquisizione importante non avrebbe ne- anche in molti casi una capacità interna. Oggi, quello che succede normalmente, è rivolgersi alle banche. La banca cosa fa? Nella generalità dei casi apre una linea di credito, quindi sostanzialmente dà vita al problema di cui si diceva prima. In molte altre situazioni l’impresa italiana non cre- sce, resta sostanzialmente – questo ci dicono le statistiche –, poco patrimonializzata e molto indebitata. L’indebitamento produce un effetto ovviamente “negativo” sul proprio conto economico per cui crescono gli interessi, anche se in Italia c’è una disparità tra il costo del debito e il costo dell’equity
76 Conoscere la borsa capital. Il costo del debito è appunto un costo, quindi gli interessi vengono tolti poi dal conto finale, mentre il costo del capitale no, quello e i dividendi seguono una certa tassa- zione. Cosa significa avere un’azienda così indebitata? Vuol dire per esempio, che i nostri fondi, gli investitori, che ob- bligatoriamente devono investire in titoli che siano quotati in borsa, per i motivi che in parte dicevo prima, se c’è una forte ondata di riscatti come c’è stata nei mesi precedenti, se non avessero investito per una quota parte in borsa non soltanto in azionario ma anche obbligazionario, non avreb- bero trovato liquidità su nessun altro mercato. Il mondo da questo punto di vista si sarebbe fermato. Dicevo, i fondi che raccolgono, i fondi pensione, che sono appena partiti in Ita- lia, devono investire in mercati regolamentati. Obbligazioni: se vogliono investire in obbligazioni corporate delle aziende, non trovano in Italia un numero sufficiente di prodotti, per- ché il bacino su cui investire è limitato, quindi non possono concentrare troppo in Italia perché c’è anche una posizione di rischio che devono gestire e si rivolgono all’estero. Allora investono in Germania, Francia, Inghilterra. Non vi ho par- lato dell’Inghilterra: a Londra abbiamo 3300 società quo- tate, è la più grande Borsa a livello europeo, se mettiamo i 300 italiani siamo intorno a 3500/3600, però investono in tutti questi mercati, dove c’è molta più scelta e molta più diversificazione di rischio di settore industriale. Uno dice: “bene, anche noi come investitori partecipiamo a questa gestione di investimenti”, però la realtà vera è che queste società sulle quali noi investiamo come risparmiatori, come lavoratori, attraverso il meccanismo dei fondi pensione, sono delle società che stanno all’estero, sono quotate, hanno una robustezza patrimoniale superiore a quella delle nostre piccole e medie imprese, crescono, crescono in settori nei quali magari le stesse imprese italiane, gli stessi lavoratori che lavorano in quelle piccole medie imprese, si trovano a
Massimo Capuano 77 concorrere sul mercato. Qualche volta questo succede, io lo dico in maniera paradossale, ma se ci pensate è proprio così che può succedere, cioè che io come lavoratore ho preso una parte del mio TFR e l’ho data a un fondo pensione; questo fondo pensione non investe sulla mia azienda perché non è quotata, va ad investire sull’azienda tedesca che mi è con- corrente, questa azienda tedesca mia concorrente con i soldi che gli ho dato io fa un’acquisizione, cresce, magari mette fuori mercato me. Quindi con i miei soldi ho partecipato a questa concorrenza assurda contro me stesso e magari perdo il posto di lavoro perché quella azienda mi ha messo fuori mercato. Ecco perché dico che questo circolo deve diventare virtuoso con la collaborazione di tutti, e questo deve essere anche un obiettivo dello Stato, delle istituzioni, che dicono: apriamo il capitale perché salvaguardiamo, per i motivi che dicevo prima, i passaggi generazionali allo sviluppo, un as- set, un valore importante del nostro sistema paese, le piccole medie imprese (io oggi non ho citato le grandi imprese che si difendono benissimo da sole) che rendono anche possibile la creazione di questo meccanismo virtuoso, per cui siamo noi stessi con la parte del nostro risparmio, a contribuire a que- sto circolo virtuoso per patrimonializzare le nostre imprese e permettere di affrontare i mercati globali, la concorrenza, la crescita e così via. C’è un’ultima slide, credo che sia l’ultimissima, e questa l’ho utilizzata più volte in Confindustria o in qualche altro incontro: è un grafico fatto a barre che, sostanzialmente, mostra come il pil italiano aumenterebbe di quasi due punti se si quotassero le imprese, che oggi ne hanno la capacità. È un meccanismo virtuoso, perchè un’azienda che si quota cresce più delle altre, crea ricchezza e valore. Questo è il motivo per cui quel famoso circolo deve diventare virtuo- so, in un orizzonte temporale sicuramente di medio o lungo periodo, perché è importante che nel nostro paese il sistema
78 Conoscere la borsa Borsa venga considerato oggi come un elemento importante e fondamentale per lo sviluppo economico e finanziario del paese, non soltanto come un meccanismo rivolto o destinato a pochi, a coloro che hanno delle grandissime capacità. Non è così, e una mentalità che deve cambiare. Plaudo molto a questa iniziativa che porta soprattutto in una città del sud un messaggio di questo tipo, partendo da un’età che è im- portante per il vostro sviluppo. Sono anche contento che venga fatta in una città di grande tradizione storica come Salerno, e io come uomo del sud non posso far altro che in- vidiare questa iniziativa fatta qui, ma ancora non in Sicilia. Ma non è mai troppo tardi. Concludo dicendo un’ultima cosa: non guardate i momenti attuali. Anzi sì, guardiamo- li, visto che siamo tutti preoccupati, però posso dire una cosa per stemperare la preoccupazione: passerà, non so dirvi esattamente quando, però passerà. La Borsa Italiana ha 200 anni, li abbiamo festeggiati l’anno scorso con il Presidente Napolitano, è stata fondata nel 1808, e da 200 anni ne ha viste di tutti i colori, compreso il Risorgimento piuttosto che le guerre mondiali. Però è ancora lì, è costruita per creare realmente le condizioni per la crescita e lo sviluppo. L’invito che faccio a tutti voi per quando affronterete il mon- do del lavoro, è: utilizziamola bene questa Borsa. Giovani Vietri Grazie, grazie Ingegnere per questa lezione. Voi avrete oggi capito sicuramente la funzione vera della Borsa, non soltan- to quella che vi viene trasmessa dai meccanismi di comuni- cazione. Paradossalmente la finanza per la Borsa è come un risvolto, un derivato, non è un elemento centrale, l’elemento centrale è quello di accompagnare la crescita delle imprese e quindi del tessuto economico. A questo punto passiamo alle solite domande, che sono quelle che, sostanzialmente, rendono vivo anche il dibattito.
Massimo Capuano 79 Per cui io direi di fare come l’altra volta, ne raccogliamo qualcuna insieme e poi diamo la possibilità all’ingegnere Capuano di rispondere.
80 Conoscere la borsa Domande da parte degli studenti D.: Buongiorno, sono una studentessa dell’I.T.C. di Agropoli. Presidente Capuano prima che io ponga la domanda, mi dia l’opportunità di ringraziare a nome di tutta la mia scuola, il presidente Giovanni Vietri, che ci ha regalato in queste giornate una grande opportunità. Ha contribuito a farci co- noscere il mondo della finanza, ben al di là di quello che prevedono i programmi ministeriali. Tornando alla domanda, dobbiamo premettere che siamo rimasti alquanto perplessi nell’ascoltare il presidente Abete e il Presidente Mussari che, rispondendo alle nostre doman- de hanno dichiarato che la banca è un’impresa, pertanto il suo fine è il profitto, senza alcun minimo accenno alla sua funzione sociale, pure in presenza delle recenti scelte poli- tiche che, uniformi in tutto il mondo, hanno praticamente scaricato le pratiche degli istituti bancari sulle spalle dei con- tribuenti. Ancora, premesso che il capitale finanziario multi- nazionale piuttosto che negli investimenti e nel commercio, viene impiegato nelle speculazioni sui mercati azionari al punto di avere l’impressione che tutti i paesi sono diventati colonie alla mercé dei movimenti di capitale internazionali e che non ha più importanza chi detiene il potere politico tan- to non solo più loro a decidere le cose da fare, le chiediamo, Presidente Capuano, qual è la sua idea per riportare il go- verno degli uomini alle note forme di democrazia? Grazie. D.: Buongiorno, sono la studentessa Luciano Antonietta dell’I.T.C. Matteo Della Corte. A proposito della grave crisi finanziaria, i provvedimenti ap- provati dai governi e dalle principali istituzioni finanziarie, come BCE, FMI eccetera, sono improntati a forme di inter- venti molto invasivi delle regole di funzionamento del libero mercato; si pensa alla sospensione delle vendite, alla scoper-
Massimo Capuano 81 ta dei titoli azionari, alla paventata chiusura delle borse nei momenti di maggiore crisi, alla nazionalizzazione di banche, assicurazioni, eccetera. Signor Presidente, secondo lei, non le sembra troppo schizofrenico, sopratutto poco efficace, passare da un eccessivo liberismo a un eccessivo interventi- smo? Cosa ne pensa? D.: Buongiorno, sono uno studente dell’I.T.C. Antonio Ge- novesi. Vorrei fare una domanda inerente a uno studio di due docen- ti della Bocconi. Grazie a questo studio, si è rilevato che più del 50% degli italiani non conoscono la differenza tra azioni e obbligazioni. Detto questo, lei è d’accordo sul diffondere una vera e propria, possiamo dire, educazione finanziaria? D.: Buongiorno, sono Gabriella De Maio, insegnante di eco- nomia aziendale dell’I.T.C. di Salerno. Volevo fare una domanda, come dire, di respiro un pochino più etico. Adam Smith nella “Ricchezza delle nazioni” au- spica un controllo molto rigoroso dei tassi di interesse, per evitare la fuga di capitali che potrebbero essere impiegati nell’economia reale. Di recente, proprio questo concetto è stato ripreso da Jean Paul Fitoussi il quale ha parlato di un deprezzamento del futuro, che, ovviamente, in qualità di do- cente, di persona della vecchia generazione, pone proprio in contrasto il benessere della generazione attuale con il benes- sere delle generazioni future. Lei che rappresenta il massimo organo, diciamo, della finanza italiana, cosa ne pensa? R.: Io lo avevo detto già al Presidente Vietri che temevo le domande perchè avevo già la pubblicazione, e le domande erano abbastanza toste, quindi spero di essere preparato. Al primo punto, banca, impresa, e il capitale in speculazio- ne. È indubbio che la maggior parte delle banche, oggi, sono
82 Conoscere la borsa delle aziende quotate e hanno dei doveri nei confronti dei propri azionisti. A questo si riferivano sicuramente i Presidenti Abete e Mus- sari nel dire che le banche devono rappresentare gli interessi dei propri azionisti. È una risposta assolutamente lecita da questo punto di vista. C’è però un punto da sottolineare, parlando di questo tipo di banche, – e questo vale anche per le altre domande – tutto dipende da quanto si esage- ri rispetto a ciò che è una natura lecita di una banca. Da quello a cui abbiamo assistito in questi anni, perché non è una questione di pochi mesi, ma di anni, ci sono gli storici dell’economia che mettono il momento di partenza di tut- to ciò affibbiando una grande responsabilità a Grisman e a Reagan. Tutto quello che è successo in questi ultimi anni è veramente frutto di un eccesso portato agli estremi livelli. Ci sono dei casi in cui, ovviamente, abbiamo avuto delle truffe, abbiamo avuto errori da parte dei controllori, ci sono stati dei casi in cui c’è stata ignoranza, ci sono stati casi in cui non si è reagito per tempo, per mancanza di attenzione. Però in tante altre situazioni si potevano creare delle possibilità. Vi faccio l’esempio dei mutui subprime, che, costruiti in una certa maniera, avrebbero avuto effettivamente come vantag- gio di allargare a un certo tipo di consumatori, i risparmia- tori, l’acquisto di un bene immobile, e sono stati poi portati su un’area completamente sbagliata dagli eccessi. In questo c’è una responsabilità, se vogliamo in senso generale, del sistema finanziario, del sistema delle banche, che sono an- dati dietro a una situazione nella quale l’eccesso, l’eccesso di rischio che prendevano, non era controllato. Allora, anche il concetto di speculazione a cui lei faceva prima riferimento è un concetto che oggi noi vediamo come il concetto dei de- rivati, come sinonimo del diavolo, dell’inferno mentre, se lo vediamo in un contesto regolamentato e normale, gli specu- latori, come si vuol dire in un mercato azionario, sono quelli
Massimo Capuano 83 che fanno funzionare la borsa, perché in certi momenti lo speculatore è quello che prende delle posizioni in proprio di rischio. In qualche misura salvaguardano il mercato dai pic- chi troppo alti o dalle discese troppo basse. Se non ci fossero i cosiddetti speculatori che prendono un rischio contrario al trend del mercato, avremmo delle situazioni sul mercato molto più rischiose, lo stesso sui derivati che oggi sono così perturbati. Quindi la banca, dal punto di vista d’impresa, è giusto che faccia il proprio lavoro nei confronti dei propri azionisti, gli eccessi non sono consentiti. L’altra domanda, cerco di sintetizzarla: come si può arrivare a un Governo più democratico. Io credo che ci sia uno sforzo oggi in atto di recuperare tutto il terreno perduto, se volete c’è uno sforzo che non ha pro- dotto grandissimi risultati. Ora non mi ricordo cosa diceva un commentatore su un giornale di finanza internazionale. Sostanzialmente quello a cui si è assistito in questi ultimi mesi è quasi un meeting internazionale ogni due, tre giorni, sicuramente ogni weekend c’è un meeting in cui ci si riunisce per trovare delle idee, però non si è andati molto in là. Ades- so comunque, ciò che si sta pensando, si sta studiando, è di avere una maggiore armonizzazione delle regole, regole sul mercato finanziario. Che vuol dire? Sui prodotti ma anche coloro che sono gli attori di questo mercato, le banche, quin- di i famosi remunerati Hedge Funds eccetera, cioè tutti colo- ro che oggi hanno avuto meno controllo sulla loro attività. Io sto parlando in senso generale, poi ovviamente parlando degli Stati Uniti ci sono certe manchevolezze, l’Europa ne ha delle altre, però in questo momento si fa tutti forza comune per vedere a cosa si può effettivamente arrivare. Qui c’è l’altra domanda, per la quale mi complimento, per- ché ha dato dei segnali di conoscenza approfondita di quello
84 Conoscere la borsa che oggi è il nostro mercato dal punto di vista tecnico, perché si è parlato un po’ di questa schizofrenia, credo che l’abbia definita così, tra l’andare verso mercati poco regolamentati per certi aspetti, a mercati sovra regolamentati, quindi ha parlato di vendite allo scoperto, lo short selling, che conti- nua ad essere proibito nel nostro mercato, di rischio nazio- nalizzazione o altro. È vero, è il pendolo, si va da un eccesso all’altro. Ora non voglio tediarvi con il tema short selling che ha qualche scetticismo di troppo. Però, oggi, il tema di un forte intervento, viene visto dai mercati con una certa preoc- cupazione, perché il mercato ha bisogno di regole, questo è indubitabile, altrimenti non saremmo la Borsa. La Borsa è un mercato, noi amiamo definirci così, un mercato regolamen- tato con delle regole che devono essere seguite. Ma io credo che il vero deficit, se ci pensate un momento, – io poi vi darò la mia interpretazione –, non è sulle regole: io di regole nel mio lavoro quotidiano ne vedo tantissime, noi abbiamo re- golamenti, la CONSOB manda normative, la Banca D’Italia, l’UE, le commissioni, tantissime regole. Ieri ne è uscita un’al- tra. Quello che manca sono i controlli, la vera importanza di questo ripensamento comune è mettere a punto un sistema di controllo che sia efficace e autorità che questi controlli poi li sappiano e li vogliano fare, perché è quello che manca. Nessuno mi può convincere ad esempio che il caso del truf- fatore Madoff negli Stati Uniti che faceva un gioco, lo dico da meridionale quindi posso dirlo perché sono siciliano, ci ha reso famosi anche negli Stati Uniti, che faceva sostanzial- mente la catena di Sant’Antonio, quello non è un problema di regole. La regola che diceva che questo signore non poteva agire in questo modo, credo sia stata scritta a caratteri cubi- tali dappertutto. Lì mancavano i controlli, non c’era nessuno che controllava che questo signore poteva truffare per 50 mi- liardi di dollari fior di investitori, professionisti, istituzioni. Oggi, il vero deficit che abbiamo, secondo me, è sui controlli,
Massimo Capuano 85 perchè le autorità devono comprendere in maniera ancora più approfondita che i mercati finanziari oggi sono mercati globali, mercati diciamo dominati dalla “tecnologia infor- matica”, quindi ci sono signori che con i computer ci sanno fare e c’è una grande sofisticazione di prodotti. Se io penso di controllare uno SDS con gli stessi metodi che impiegavo prima per andare in una banca, e dire: “fai vedere come hai fornito la scopertura di conto corrente piuttosto che il castel- letto”, siamo fuori dal mondo, oggi i sistemi sono diversi, controlli e controllori devo essere diversi. Poi la terza domanda, ovviamente, sicuramente, siamo d’ac- cordissimo. Io devo dire che trovo quasi ottimistica quell’as- serzione, secondo me la percentuale è molto più bassa, per- ché non c’è una cultura finanziaria che sia stata, diciamo, diffusa nelle maniere giuste anche a livello scolastico, a livel- lo universitario, con la difficoltà nel comprendere certi mec- canismi, certe terminologie finanziarie. Quello, però, è uno sforzo che deve essere fatto a livello paese, non basta una Borsa, non bastano interventi di Fondazioni, di persone con molta grinta e molta determinazione nel portarlo avanti, ma serve veramente uno sforzo più istituzionale. È importante, vi ricordo che riguarda le imprese e la salva- guardia del futuro, (rientriamo nell’ultima domanda) del fu- turo generazionale di tutti noi: l’impresa deve essere un’as- set che deve essere costruito e salvaguardato, ma riguarda anche il nostro futuro di investitori e di persone che con aspettative di vita sempre molto più elevate avranno biso- gno di poter investire in modo sicuro; sicuro vuol dire con un rischio controllato, ma anche all’interno di prodotti azio- nari che soltanto in questa maniera riescono poi a creare le condizioni per avere un futuro pensionistico adeguato. In- vestendo in BOT, non si ha sicuramente nell’arco temporale di una vita la possibilità di costruirsi una pensione. Quindi è
86 Conoscere la borsa assolutamente importante un’educazione finanziaria a tutti i livelli. Oggi sempre di più anche, diciamo, il dipendente, l’operaio, che ha una quota parte investita nel TFR, even- tualmente investita in un fondo pensione, deve capire a chi dà questi soldi, come li dà e come li investiranno. Quindi, veniamo alla domanda della professoressa. È vero che noi abbiamo in questo momento, al di là di quello che potevano dire i precursori di questa disciplina, già oggi un rischio di deprezzamento del futuro, ma la cosa che dob- biamo realmente comprendere è che il mondo è cambiato. Speriamo che non lo apprendiamo soltanto noi operatori, noi ci rendiamo conto che il mondo di ieri è cambiato. Ma se ne rendono conto coloro che hanno poi a livello di go- verni e autorità di controllo la possibilità di mettere bene in funzione queste salvaguardie? Perché effettivamente questo è il rischio: non comprenderlo in tempo e utilizzare gli stessi strumenti del passato. Oggi è una crisi diversa, non è ini- ziata come la crisi delle speculazioni in internet, in borsa, non è iniziata attraverso la truffa che faceva qualcuno come Enron. Oggi, io la paragono un po’ alle pestilenze del pas- sato: c’erano queste grandi epidemie, l’infezione passava da un paese all’altro, e noi abbiamo avuto la stessa situazione, l’infezione dagli Stati Uniti è passata all’Inghilterra, poi è tracimata nell’Europa del Nord, poi è arrivata in Francia, in Germania. Noi siamo stati toccati poco dall’inflazione finanziaria, siamo stati toccati molto – a questo punto è ine- ludibile – sulla parte industriale. Però, per evitare questo forte rischio di una deriva negativa, adesso veramente è il momento dei fatti, quindi ci si aspetta che ci siano interventi non soltanto portati sul mondo della finanza, ma sul mon- do produttivo e sul mondo delle famiglie. Perchè possiamo dare tutti gli incentivi che vogliamo alle banche, dicendo ti do questo e tu sostieni l’impresa, e possiamo darli anche
Massimo Capuano 87 all’impresa: “ti do linee di credito e altro”. Se però non c’è il mercato, l’impresa non può continuare a produrre per stoc- care: ci deve essere il mercato, quindi dobbiamo essere noi che iniziamo a pensare al nostro futuro in maniera più posi- tiva. Questo è quello che oggi fondamentalmente manca in tutti questi discorsi. Come facciamo a fare ripartire nella no- stra testa, nella nostra mente un meccanismo positivo? Deve essere diverso da quello che dice: consumiamo e andremo tutti bene, non è più così. Dobbiamo essere degli investitori coscienti e informati. Ecco perché è importante che ci siano anche sessioni come queste e educazioni come questa. D.: Buongiorno, signor Presidente, mi chiamo Treglia Genti- le e frequento l’I.T.C. Raffaele Pucci di Nocera Inferiore. Vorrei chiedere a lei che rappresenta la Borsa Italiana, in un momento di crisi in cui potenziali investitori non ci sono, qual è appunto il mezzo per far fronte a questa crisi e far risollevare il capitale sociale del paese. D.: Buongiorno, io vorrei fare una domanda. Ci sono all’in- circa in Italia 2000 imprese che hanno un fatturato di ven- ticinque milioni di euro. Tra queste abbiamo anche le so- cietà cooperative? Se la risposta è no, le vorrei chiedere se è possibile attuare delle strategie borsistiche affinché anche le cooperative siano quotate in Borsa. E lei cosa ne pensa? D.: Buongiorno, mi chiamo Carmen Stanziola vengo dal- l’I.T.C. di Sapri. Vorrei sapere che peso hanno i fondi Private equity nello svi- luppo di imprese non quotate. Inoltre, da quali rischi sono caratterizzati questi fondi? D.: Sono il professore Corrado Giovanni dell’I.T.C. Della Corte, insegno economia aziendale.
88 Conoscere la borsa Vorrei una sua brevissima opinione sull’operato delle socie- tà di rating internazionale, nel senso che sono state spesso coinvolte in giudizi poco affidabili che hanno poi portato a rovine finanziarie da parte dei risparmiatori, se è il caso al limite di introdurre tra le regole la loro regolamentazione o un’istituzionalizzazione perché, comunque, sono delle socie- tà private. Lei ha affermato che la cultura finanziaria in Italia non è molto diffusa, ed effettivamente è così. C’è da dire, però, che in Italia c’è una grossa disinformazione finanziaria, perché se si leggono i giornali del luglio-giugno 2008 sembrava che tutto andasse bene, solo il Sole 24 Ore esprimeva in poche righe il rischio di questi mutui subprime, poi è scoppiato questo grosso bubbone. C’è da dire pure che molti esperti che non si sa da dove provengono, si mettono a dare delle indicazioni su come e dove investire. Negli anni passati han- no sempre indicato di investire azioni in Europa, dopo di che c’è stato questo grosso crack, ma nessuno ne risponde. Il punto è questo. Non si può parlare senza dare garanzie, bisognerebbe anche rimetterci di tasca propria. R.: Il primo punto è una domanda molto, molto pertinente. È quella che ci facciamo noi in borsa quasi ogni giorno: se non ci sono gli investitori, dove li cerchiamo, come li tro- viamo?. La verità è che abbiamo in questo momento molta difficoltà a trovare un certo tipo di investitore, sono gli inve- stitori che sostengono le imprese proprio nel momento della quotazione. Cioè un’impresa per quotarsi ha bisogno che nel giorno iniziale della quotazione ci siano investitori di- sponibili a prenotare il capitale. Oggi questi investitori non ci sono. Nel senso che anche gli investitori istituzionali, in questo momento, chiedono un forte sconto per poter inve- stire in società di nuova quotazione. Quindi l’imprenditore in questo momento non è disponibile a svendere il proprio
Massimo Capuano 89 capitale. Oggi, in tutto il mondo, – non è una questione che riguarda soltanto la Borsa Italiana o Europea, ma riguarda tutto il mondo –, il numero delle nuove quotazioni è molto, molto in diminuzione, mancano questo tipo di investitori. Gli altri sono invece investitori che sono già ampiamente entrati sui mercati azionari, quindi quello che in questo mo- mento stanno facendo è: a) fare fronte, come è successo nei mesi precedenti, a forti ondate di riscatti; b) utilizzare anco- ra una volta le borse come sorgente di liquidità, (se io sono stato poco previdente mi sono indebitato molto, come sape- te in questo momento le banche stanno chiedendo a molti di rientrare), quindi se io non ho altra possibilità per rien- trare vado e vendo sui mercati azionari. Come dicevo prima noi in questo momento come Borsa stiamo subendo aspetti molto negativi che sono avvenuti fuori dai mercati, perché i subprime non ci sono in borsa, tutti questi derivati strani CDS, SDO in borsa non ci sono perché non sono prodotti regolamentati. Noi ci siamo trovati, invece, a subire tutta questa necessità di liquidità e quindi il mercato è sceso. Que- sti sono gli investitori che ci sono, che oggi in Borsa cercano in alcuni casi di vendere perché devono ridare soldi alle ban- che, o che devono far fronte ai riscatti, o che in maniera più timida cercano di trovare delle occasioni buone di scambio (siamo sulla soglia del ritorno al baratto!). Questo per quanto riguarda appunto il primo punto sugli investitori. Per le società cooperative? Questa è una bel- la domanda assolutamente interessante e lecita. Perché in Italia, ne cito una che abbiamo fortemente corteggiato, ci sono delle società cooperative molto grandi, ce n’è una nel settore del vino che fattura qualcosa come 700 milioni di euro, quindi un’impresa grande. Società cooperativa, perché è così difficile quotarla? Perché una società per poter esse- re quotata, deve rispettare certe caratteristiche tra le quali
90 Conoscere la borsa quella delle azioni che devono essere liberamente trattate e scambiate senza vincoli. Se la società cooperativa all’in- terno del proprio statuto pone delle condizioni ai soci per poter diventare azionisti mette un ostacolo a una trattazio- ne. Ci sono società cooperative, noi abbiamo una società cooperativa un po’ particolare che è la Cattolica Assicura- zioni, l’unica alla quale ci si può avvicinare. Altrimenti per far sì che le società cooperative si quotino devono mettere all’interno dei propri statuti qualche clausola che consenta lo scambio di azioni senza vincoli, in quel caso sarebbe ef- fettivamente molto interessante perché ci sono tante realtà industrialmente importanti nel nostro paese. Il private equity è un operatore finanziario di grande im- portanza, io qualche volta dico che è un forte alleato della Borsa, qualche volta meno, perché i private equity hanno anche loro alcuni comportamenti virtuosi, altri meno. Però il private equity svolge una funzione importante, in un paese come il nostro, per esempio dà un contributo per la cre- scita della cultura finanziaria all’interno dell’impresa, opera – avevamo visto prima il ciclo di necessità di capitale da parte di un’azienda –, in vari cicli, anche in quello di capitale iniziale piuttosto che anche in fase successiva nello sviluppo. Questo è il suo ciclo virtuoso, e, dopo un certo periodo di tempo, quando l’azienda è cresciuta, si è realizzata, esce dal capitale perché non fa parte delle proprie competenze restare all’interno di una società, anzi esce e fa un guadagno, il guadagno lo reimpiega in altre società che aiuta a cre- scere, eccetera. Questo è un comportamento assolutamente virtuoso. La maniera più naturale per uscire è portare la società in borsa. È un forte alleato anche della crescita. Noi abbiamo ormai stabilmente tante società che si quotano, che hanno al proprio interno un private equity. Dov’è che la si- tuazione diventa più confusa? Nel momento in cui il private
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