L'eterna lotta dei riders fra autonomia e subordinazione si gioca sul campo della sicurezza

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Il giurista del lavoro n. 4/2020

L'eterna lotta dei riders fra autonomia e
subordinazione si gioca sul campo della
sicurezza
di Evangelista Basile – avvocato – socio Studio Legale Ichino Brugnatelli e Associati
e Rosibetti Rubino – avvocato – collaboratrice Studio Legale Ichino Brugnatelli e Associati

Con decreto d'urgenza del 1° aprile 2020, il Tribunale di Firenze ha accolto un ricorso
cautelare ex articolo 700 c.p.c., presentato da un rider per chiedere che gli venissero messi
a disposizione, a cura e onere della committente, i dispositivi di protezione individuale utili
a fronteggiare il rischio di contagio da COVID-19. Si ripropone, dunque, l'ormai celebre
questione dell'inquadramento sistematico della categoria dei riders e la disciplina
applicabile a tali rapporti di lavoro, soprattutto dal punto di vista della tutela della salute e
della sicurezza dei lavoratori: tema che, in tempi di emergenza sanitaria, assume un rilievo
sempre più importante.

Il quadro normativo che disciplina la categoria dei riders
L'intricato percorso normativo che i riders hanno attraversato è ormai noto: partiti come lavoratori
autonomi tout court, sono pian piano stati fatti confluire - prima a colpi di giurisprudenza poi con
l'intervento del Legislatore - sempre più verso la disciplina del lavoro subordinato. Pur non
ammettendone mai la subordinazione in senso stretto, i giudici hanno da sempre cercato l'appiglio per
riconoscere ai riders alcune tutele che caratterizzano il lavoro subordinato in quello spiraglio normativo
lasciato in piedi dall'articolo 2, D.Lgs. 81/2015, che regola le collaborazioni coordinate continuative c.d.
etero-organizzate.
Da ultimo, poi, e non prima delle svariate pronunce giurisprudenziali che si sono susseguite e di cui
faremo un breve excursus nel prosieguo, è intervenuta la L. 128/2019, di conversione del D.L. 101/2019,
rubricato “Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali”, che ha
affrontato, dunque, l’annoso tema della disciplina dei rapporti di lavoro dei fattorini digitali.
Innanzitutto, il Decreto è intervenuto modificando il D.Lgs. 81/2015, c.d. Codice dei contratti,
ulteriormente rispetto a quanto già era avvenuto solo poco prima con il Decreto Dignità (D.L. 87/2018).
In particolare, al nuovo articolo 2, D.Lgs. 81/2015, è oggi dato leggere:

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   “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai
   rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali,
   continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui
   al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano
   organizzate mediante piattaforme anche digitali”.

La normativa, quindi, estesa anche ai c.d. riders - che il nuovo articolo 47-bis, comma 1, D.Lgs. 81/2015,
definisce come "lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito
urbano e con l'ausilio di velocipedi o veicoli a motore, attraverso piattaforme anche digitali" - li inquadra
così definitivamente nell’alveo dei lavoratori autonomi etero-organizzati di cui all'articolo 2, D.Lgs.
81/2015, a cui, pertanto, si applicherà la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
La L. 128/2019, inoltre, aggiunge al D.Lgs. 81/2015 un intero capo, il V-bis, rubricato “Tutela del lavoro
tramite piattaforme digitali”, il quale – oltre il suddetto comma 1 – continua negli articoli successivi a
completare il quadro.
In particolare, il seguente articolo 47-septies, D.Lgs. 81/2015, su cui sostanzialmente si basa la
pronuncia in esame, afferma che
   “Il committente che utilizza la piattaforma anche digitale è tenuto nei confronti dei lavoratori di cui al
   comma 1, a propria cura e spese, al rispetto del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81”.

Come è evidente, dunque, il Legislatore si è preoccupato – anche in considerazione dei precedenti
giurisprudenziali sul tema che nel frattempo si erano formati – di dare una definizione dei lavoratori
riders e di assicurarne una qualche tutela dal punto di vista retributivo, contributivo e della sicurezza:
quest’ultima, vero grande nodo della condizione dei lavoratori in questione, che ora più che mai assume
un'importanza cruciale nella gestione di tali rapporti di lavoro.

Un piccolo passo indietro: i precedenti giurisprudenziali
Come anticipato, il caso dei riders era già divenuto celebre dopo che alcuni fattorini si erano rivolti al
Tribunale di Torino per vedersi riconosciute le tutele dei lavoratori subordinati.
Il risultato, all’epoca, fu in primo grado la conferma, da parte del Tribunale piemontese, con sentenza
n. 778/2018, che si trattasse in realtà di lavoratori autonomi e, dunque, il ricorso dei lavoratori fu
rigettato.
La Corte d’Appello, in seguito, intervenuta con sentenza n. 26/2019, dopo l’impugnazione dei lavoratori
della sentenza di primo grado, si era conformata alla pronuncia del Tribunale torinese, laddove aveva

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ritenuto che i riders, potendo persino rifiutarsi di rendere la prestazione lavorativa, senza dover
giustificare le ragioni della loro decisione, altro non sono che lavoratori autonomi, ma da tale assunto
aveva raggiunto, invece, conclusioni di molto diverse nell’interpretazione offerta delle collaborazioni
autonome etero-organizzate, di cui all’articolo 2, comma 1, D.Lgs. 81/2015. Secondo la Corte d’Appello,
la norma (chiaramente prima della nuova riforma) avrebbe individuato un terzo genere contrattuale,
che si sarebbe posto tra il rapporto di lavoro subordinato, di cui all’articolo 2094, cod. civ., e la
collaborazione, come prevista dall’articolo 409, n. 3, c.p.c., e si sarebbe sostanziato nelle collaborazioni
per le quali le modalità di esecuzione sono organizzate dal committente quanto ai tempi e ai luoghi di
lavoro. A partire da tale tesi, la Corte territoriale piemontese aveva, quindi, concluso affermando, da una
parte, che i collaboratori etero-organizzati non avrebbero avuto diritto alla costituzione di un rapporto
di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti, e – dall’altra – che, invece, avrebbero avuto
diritto all’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato limitatamente a sicurezza e
igiene, retribuzione diretta e differita, limiti di orario, ferie e previdenza.
Pur ritenendo applicabili le tutele tipiche di un contratto di lavoro subordinato, quindi, la Corte
d’Appello aveva respinto la domanda di impugnazione del licenziamento, “posto che non vi è
riconoscimento della subordinazione".
In realtà, sul punto, la sentenza – dopo questo tanto forte quanto sospeso inciso – non aveva poi di
fatto affrontato il problema, poiché nel caso di specie le collaborazioni erano soggette a un termine e
il recesso era avvenuto solo a naturale scadenza dello stesso.
È, infine, intervenuta la Corte di Cassazione, che – con sentenza n. 1663/2020 – ha chiarito che l’articolo
2, D.Lgs. 81/2015, non avrebbe dato origine a una nuova fattispecie di rapporto di lavoro, un tertium
genus tra autonomia e subordinazione, ma costituirebbe al contrario una “norma di disciplina”, secondo
cui, ove il rapporto di lavoro presenti alcuni specifici elementi sintomatici, ai collaboratori autonomi si
sarebbe applicata la disciplina del lavoro subordinato. La Corte d’Appello di Torino, in realtà, aveva fatto
un’applicazione selettiva della disciplina della subordinazione, che si limitava alla disciplina della
retribuzione, delle ferie e dell'orario di lavoro, nonché all'applicazione del T.U. sulla sicurezza e della
normativa previdenziale, ma che escludeva, ad esempio, l’applicazione delle norme sul licenziamento.
La Corte di Cassazione non ha ritenuto tale tematica rilevante nel caso allora in esame e, pertanto, ha
preferito non pronunciarsi sul punto. Evitando di prendere posizione su quali norme lavoristiche si
applicherebbero con certezza a questi tipi di rapporti, la Suprema Corte ha lasciato aperto il dibattito e
lasciati immutati i tanti dubbi sorti in passato.

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Ebbene, è del tutto evidente che il Legislatore si sia ispirato a quanto aveva già dedotto la Corte
d’Appello di Torino, cercando quindi di dare una cornice normativa più chiara a un fenomeno già
ricondotto all’articolo 2, D.Lgs. 81/2015.

I dubbi (e gli interrogativi ancora irrisolti) posti dal nuovo quadro normativo
Avevamo già in precedenza scritto1 sulle perplessità che la normativa prevista dal Decreto Crisi, che
sarebbe dovuta essere per certi versi risolutiva della questione, aveva lasciato in essere.
Dal punto di vista dell’inquadramento dei lavoratori della c.d. gig economy, la sostituzione, ad opera
della Legge di conversione, della parola “esclusivamente” con “prevalentemente” e l’abrogazione del
riferimento “ai tempi e i luoghi di lavoro”, ha reso, infatti, sostanzialmente impossibile distinguere i
co.co.co. puri da quelli eterorganizzati.
Insomma, ai fini dell’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, la prestazione lavorativa,
dunque, dovrà essere continuativa, prevalentemente (e non più esclusivamente) personale e organizzata
dal committente, senza alcun riferimento ai tempi e luoghi di lavoro, su cui perlopiù si incardinava il
distinguo dettato dalla precedente normativa.
Pertanto, mentre per i riders sarà molto più semplice provare in giudizio l’etero-organizzazione, divenuta
evidentemente più fluida, per i collaboratori coordinati e continuativi difficilmente rimarrà spazio,
poiché o si ritroveranno facilmente risucchiati nell’àmbito dell’etero-organizzazione o verranno, invece,
inquadrati quali lavoratori autonomi ex articolo 2222, cod. civ., con tutte le conseguenze – anche in
termini di tutele – del caso.
       Ma anche dal punto di vista della disciplina applicabile a questo tertium genus di lavoratori (perché
       tale rimane), il Decreto non ha semplificato affatto le cose, in un goffo sovrapponimento di istituti
       pescati un po’ dal lavoro subordinato e un po’ da quello autonomo, creando nuovamente
       confusione.

Ad esempio, in tema di sicurezza e salute avevamo già segnalato - fra le numerose incoerenze della
normativa - che stabilire in capo al datore di lavoro l’obbligo di garantire al rider l’ordinaria copertura
assicurativa Inail tipica dei lavoratori subordinati non era (e non è) coerente con la natura autonoma
che lo stesso Decreto ha confermato.
       Innanzitutto, stando alla lettera di Legge, sin dall’ambito di applicazione, la norma sembra
       limitarsi a una specifica categoria di lavoratori, i c.d. riders, di fatto escludendo, invece, tutta la

1
    E. Basile, R. Rubino, I riders e la disfatta dei co.co.co., in “Il giurista del lavoro”, n. 12/2019.

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   restante platea dei “gig-workers”, numericamente molto più rilevanti (si pensi a tutti quei
   lavoratori i cui servizi vengono erogati per il tramite di app, ma che non effettuano consegne, o
   ancora più banalmente ai lavoratori che si occupano di consegne, quindi di fatto "rider", ma
   effettuate senza l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore o al di fuori dall’ambito urbano).

L’Inail, con nota operativa n. 866/2020, aveva poi fornito alcune prime indicazioni per l’applicazione
dell’articolo 47-septies, D.Lgs. 81/2015, in particolare con riguardo alla copertura assicurativa
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali per questo tipo di lavoratori.
L’Istituto aveva, infatti, chiarito che il committente è tenuto al rispetto degli adempimenti in materia di
salute e sicurezza posti a carico dei datori di lavoro, aveva illustrato le modalità di denuncia degli
infortuni e delle malattie professionali e fornito delucidazioni circa il calcolo del premio assicurativo
(che deve essere versato in via anticipata dal committente).
   A tal riguardo, a quanto è dato leggere dalla nota operativa Inail, il premio da versare è basato
   sulla retribuzione giornaliera dei riders, il che evidentemente è in contrasto con la caratteristica
   principale di questa tipologia di lavoratori, che svolgono una prestazione lavorativa che dura al
   più qualche ora, se non addirittura pochi minuti al giorno. Tale aspetto si riflette anche sulla
   retribuzione presa convenzionalmente a parametro del premio, pari a 48 euro al giorno, cifra che
   non risponde in alcun modo alla retribuzione reale che un rider mediamente percepisce.

Fra l’altro, una previsione di tal guisa nasconde, per certi versi, un’interpretazione scorretta dell’(ancora
di fatto) irrisolta questione circa la natura autonoma di tale tipologia di lavoro: in quanto lavoratori
autonomi (così è anche alla luce della recente sentenza della Cassazione, seppure con tutti i dubbi sulla
disciplina applicabile), hanno il diritto di lavorare quando e quanto vogliono, potendo rifiutare in ogni
momento di rendere la prestazione.
Dunque, nonostante tale intervento – e al netto dell’ambito applicativo delle norme, già di per sé
particolarmente restrittivo – molti erano (e sono) i dubbi sui limiti di applicazione del T.U. sicurezza
(D.Lgs. 81/2008).

Il decreto del Tribunale di Firenze
Con decreto del 1° aprile 2020, il Tribunale di Firenze (fra l'altro recentemente avallato da una
pronuncia del Tribunale di Bologna dello scorso 14 aprile in un caso del tutto simile) ha accolto, inaudita
altera parte, il ricorso in via d’urgenza promosso da un rider, col quale questi chiedeva che gli venissero

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messi a disposizione – a cura (e onere) della società committente – i dispositivi individuali di protezione
contro il rischio COVID-19.
La stessa società committente, infatti, pare che avesse consigliato ai riders – ai fini dello svolgimento
degli incarichi affidati – di utilizzare guanti, gel igienizzanti, mascherine e prodotti di pulizia dello
zaino. Secondo la società committente, però, sarebbe spettato ai riders munirsi dei predetti articoli,
trattandosi di collaboratori autonomi (c.d. co.co.co.).
   Di diverso avviso il giudice del lavoro del capoluogo toscano, secondo cui, invece, è compito
   dell’azienda committente reperire e distribuire ai propri riders tutti i dispositivi individuali di
   protezione.

Per il Magistrato del lavoro, considerato che la prestazione è gestita tramite una piattaforma digitale, i
rapporti di collaborazione in esame devono essere ricondotti nell’ambito di applicazione dell’articolo 2,
D.Lgs. 81/2015, che – come abbiamo visto nei paragrafi precedenti – regola le collaborazioni
coordinate e continuative c.d. etero-organizzate ed estende – in base alla norma citata e anche secondo
la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione – le tutele del rapporto di lavoro subordinato anche
a tali collaboratori.
   In particolare, nel rispetto del disposto di cui all’articolo 47-septies, D.Lgs. 81/2015, il giudice
   fiorentino ha esteso al rider le norme in materia di sicurezza sul lavoro dei lavoratori subordinati,
   ritenendo applicabile, nel caso specifico, l’articolo 71, T.U. sicurezza, che impone al datore di
   lavoro (e non al committente) di mettere a disposizione dei dipendenti attrezzature idonee a
   tutelare la loro salute e sicurezza.

In sintesi, sulla base del combinato disposto degli articoli 2 e 47-septies, D.Lgs. 81/2015, il Tribunale di
Firenze – sezione lavoro – ha ritenuto di imporre anche ai committenti gli obblighi che normalmente
l’articolo 71, D.Lgs. 81/2008, impone ai soli datori di lavoro nei confronti dei lavoratori subordinati.
Se da una prima analisi la decisione del magistrato fiorentino appare condivisibile, la stessa ci
rammenta ancora una volta il problema – non risolto dal Legislatore – connesso all’ambito delle tutele
del lavoro dipendente applicabili (o non applicabili) anche ai collaboratori etero-organizzati.
   Sicuramente, ad esempio, si pone un problema sull’applicabilità o meno a tali tipi di fattispecie
   delle norme di natura penale contenute nel T.U. sicurezza: il Legislatore, forse per l’evidente fretta
   di intervenire, ha omesso di trattare esplicitamente questo tema e, come noto, le Leggi penali non
   sono suscettibili di applicazione analogica.

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Tale svista non può evidentemente essere colmata dai giudici, il che determinerebbe una pericolosa
aleatorietà nell’esercizio del potere giudiziale, che si rivelerebbe ancor più inaccettabile (e forse
incostituzionale, in ragione dell’articolo 25, comma 2, Costituzione) con riferimento alle norme che
contemplano sanzioni di natura penale.
   Per altri versi, inoltre, non è neppure peregrina l’ipotesi che un rider lavori per più piattaforme. In
   questo caso, i committenti obbligati alla predisposizione dei DPI (i medesimi) sarebbero più di
   uno. Che tale aspetto di multidatorialità – del tutto naturale per la tipologia di lavoratori
   autonomi che svolgono attività di consegna – fosse stato completamente ignorato dalle
   istituzioni, era evidente già nella nota operativa Inail citata in tema di versamento del premio
   assicurativo: 2 imprese si troverebbero a versare il medesimo premio per lo stesso lavoratore,
   impiegato nella stessa giornata per entrambe. Situazione paradossale, se si pensa che, invece, per
   i lavoratori dipendenti i criteri di pagamento del premio assicurativo sono legati alle ore (e non
   alle giornate) di lavoro prestate.

In conclusione, rimangono ancora molti dubbi sull’applicabilità integrale della disciplina in materia di
lavoro subordinato per tutte le collaborazioni etero-organizzate (riders o meno). Pertanto, e a maggior
ragione oggi, momento in cui le consegne a domicilio aumentano esponenzialmente, sarebbe
auspicabile un intervento più sistematico da parte del Legislatore in relazione alle nuove forme di
lavoro flessibile, quantomeno per non costringere le imprese a muoversi a vista nei meandri di norme
oscure che – come si è visto – hanno condotto a 3 risultati diversi in 3 gradi di giudizio, con buona pace
del principio di certezza del diritto.
Da ultimo, vale la pena sottolineare un aspetto processuale curioso e innovativo. Il giudice del lavoro
fiorentino, stanti le disposizioni adottate dal Governo per la gestione dei processi in questo periodo di
emergenza sanitaria da COVID-19, ha previsto che il procedimento cautelare si svolga con un mero
scambio di memorie scritte, senza la necessità della presenza personale delle parti (almeno nella prima
fase). Ci si chiede se una simile modalità possa essere in futuro estesa anche quando (speriamo il prima
possibile) il sistema giustizia tornerà alla sua normale operatività, soprattutto in quei casi in cui la
comparizione personale delle parti e dei loro procuratori nell’aula giudiziaria si dimostra davvero
superflua (si pensi alle mere udienze di rinvio o di precisazione delle conclusioni), con conseguenti
vantaggi economici e di tempo per tutte le parti coinvolte nel processo (giudici, cancellieri, privati e
avvocati). In altri termini, potrebbe il momento storico più difficile degli ultimi decenni diventare
un’importante occasione per mettere in discussione e rivedere la nostra - ormai radicata – idea di
organizzazione della giustizia e delle sue modalità di svolgimento? Ai posteri l'ardua sentenza.

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