L'ASSEMBLEA LITURGICA DOMENICALE PER DIVENTARE UN SOLO CORPO IN CRISTO - Parrocchia San Pietro ...

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L’ASSEMBLEA LITURGICA DOMENICALE
   PER DIVENTARE UN SOLO CORPO IN CRISTO
       i ministeri a servizio dell’assemblea
Noi cristiani non dovremmo mai dimenticarci di una differenza fondamentale che
abbiamo rispetto al popolo ebraico da cui siamo nati: i figli di Israele nascono ebrei, noi
discepoli di Cristo non nasciamo cristiani, ma lo diventiamo.
Ebrei si nasce, cristiani si diventa. E lo si diventa al termine di un itinerario, di un
cammino, di un processo fatto di condizioni e di tappe, di rinunce e di promesse, di tempi
e di luoghi.
Nel Rito che traccia le linee di questo cammino, il Rito dell'iniziazione cristiana degli
adulti (RICA), si dice che battesimo, confermazione ed eucaristia sono "i sacramenti
che formano il cristiano" (n. 6), per cui con la partecipazione alla tavola eucaristica
l’itinerario di ingresso alla vita cristiana si completa, e l'interessato è diventato
pienamente cristiano.
Il punto di partenza è la conversione al Signore, decidere di appartenere al Signore:
così nel battesimo veniamo segnati col segno della croce, una specie di marchio, di sigillo
di appartenenza, che ci contraddistinguerà per tutta la vita.
Il punto di arrivo è il formare un solo corpo con i credenti in Cristo attraverso la
partecipazione al corpo e al sangue di Cristo. Da qui comprendiamo come l’assemblea
liturgica il punto di arrivo e il punto culminante della vita cristiana, come ci ricorderà il
Concilio.

Lo scopo della vita cristiana è simultaneamente la comunione con Dio e con i fratelli e le
sorelle nella fede: non si può essere in comunione con Dio senza o indipendentemente
dalla comunione con i credenti. “Se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un
bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede.
E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello” (1 Gv
4, 20-21).
Questo spiega, per esempio, perché è necessario imparare un vocabolario diverso per
definire il momento in cui per la prima volta i ragazzi partecipano all’eucaristia facendo
la comunione. Non dovremmo più parlare di prima comunione ma di prima piena
partecipazione all’eucaristia domenicale. Qual è infatti lo specifico di questa
celebrazione? Non tanto che i ragazzi fanno la comunione ma che in quel giorno
l'assemblea accoglie in modo definitivo i ragazzi, ammettendoli al pasto del Risorto,
invocando insieme con loro lo stesso Padre.
In questa celebrazione, quindi, l’attenzione si sposta sull'assemblea, sulla Chiesa in
cui i ragazzi entrano a pieno diritto, per la prima volta come cristiani a tutti gli effetti.
Una prima volta a cui seguirà la scadenza settimanale fino all'ultima pasqua. Il
partecipare alla tavola eucaristica realizza in pienezza l'essere parte di un solo
corpo, la chiesa.
Splendida è l’intuizione di sant’Agostino che definisce il battesimo, l'unzione crismale e
l'eucaristia come un unico processo nel quale i battezzati sono trasformati in un unico
pane, per formare un unico corpo. L'eucaristia è la forma della vita del cristiano. Ancora
Agostino dice «Noi siamo diventati suo corpo, e per la sua grande misericordia, noi siamo
quello che riceviamo ».
Essere ciò che si riceve, questo è il comandamento dell'eucaristia. Per questo,
l'espressione "comunione" non indica unicamente l'atto del mangiare il pane
eucaristico, ma anche la ragione, il fine per cui i cristiani se ne nutrono: essere chiesa-
comunione, formare un solo corpo in Cristo.

Noi siamo convocati

Se chiedessimo in giro: «Per lei, che cos'è la chiesa?», lasciando intenzionalmente
l’ambiguità del termine «chiesa», visto che l'iniziale maiuscola (chiesa / Chiesa) non è
percepibile all’orecchio, la maggioranza delle persone rispondebbe indicando l'edificio
che si trova in qualsiasi paese o quartiere di città. Solo per una minoranza, essa ricorda
l'istituzione sociale che raccoglie i membri di una grande confessione cristiana: cattolica,
ortodossa, evangelica…
Nei primi scritti cristiani che sono le due lettere dell'Apostolo Paolo ai cristiani di
Corinto, egli si rivolge «alla chiesa che è a Corinto». E' una formulazione non consueta
perché ovviamente Paolo non si rivolge all'edificio... e d'altronde non tutta quanta la
chiesa è a Corinto! Un'espressione che ci invita a riflettere sul senso originario della
parola «chiesa».
Chiesa è una parola che deriva dal greco e che in latino ha mantenuto lo stesso suono con
il solo spostamento di accento: ecclesìa in greco, ecclésia in latino. Significa convocazione.
Se guardiamo gli scritti del Nuovo Testamento e dei primi secoli cristiani la prima cosa
che balza all’occhio è l'importanza che assume il raduno dei cristiani. Tutto inizia il
giorno di Pentecoste, quando i discepoli «si trovavano insieme nel medesimo luogo» e una
grande folla «si raduna», richiamata da una ventata violenta.
La prima descrizione (Plinio il Giovane), è che i cristiani sono un gruppo di persone che
in un giorno fisso si radunano. Fin dagli inizi, il raduno domenicale è ciò che
caratterizza più di ogni altra cosa la vita cristiana.
Può sembrare impossibile ma proprio questo raduno rappresenta il cuore della fede. Con
il battesimo è iniziata la nostra avventura cristiana, ed è iniziata con l’entrare nella
famiglia dei cristiani, quella famiglia che il Signore tiene viva, fa crescere convocandola
continuamente attorno a sé.
Non esiste il cristiano individuo, che si rapporta con Dio privatamente; la nostra storia di
cristiani inizia entrando in una famiglia! Noi siamo degli invitati, dei convocati (questo
significa che noi siamo chiesa). Essere Chiesa significa essere ‘coloro’ che il Signore
continua a radunare.
Per questo ogni liturgia comincia con un’azione a cui noi non diamo peso ma che è di
importanza fondamentale: tutto comincia dal raduno, dal partire dalle nostre case per
riunirci in un luogo comune a celebrare.
Certamente ciò che conta è la vita cristiana. Ma se la vita cristiana è camminare “insieme”
sui passi di Gesù, abbiamo bisogno di capire in quale direzione andare (=parola di Dio),
spesso abbiamo bisogno di correggerla (momento penitenziale), e abbiamo bisogno di
alimento e bevanda perché il cammino è lungo e non dobbiamo fermarci per strada
(eucaristia, pane e vino).
Ecco l’Eucaristia, che più che un precetto da assolvere, prende così il volto di una
necessità. Gesù stesso ci convoca e si offre a noi come parola, perdono, alimento e
bevanda.

La forza plasmatrice dell’Eucaristia
Ricordavamo, nel primo incontro, come Giovani Paolo II° abbia scritto che l’Eucaristia,
ha una forza plasmatrice. Convocandoci per l’Eucaristia il Signore genera la Chiesa,
le dà forma, come il vaso che, passando continuamente fra le dita del vasaio, prende
forma.
Qual è lo scopo per cui i cristiani sono convocati in assemblea? La tradizione
popolare ci direbbe: per ricevere il corpo di Cristo. La liturgia ci dice: per diventare il
corpo di Cristo.
Il senso profondo dell’eucaristia è questo: che noi diventiamo il corpo di Cristo: questa è
la forma che il Signore, radunandoci, ci vuol dare.
Durante la preghiera eucaristica, cioè la preghiera che sta al centro della messa, c’è la
consacrazione, che popolarmente è sempre stata interpretata come il momento più
importante della celebrazione.
Le parole della consacrazione, che tutti ricordiamo, e a cui diamo importanza, sono:
«manda o Padre il tuo Spirito perché questo pane e questo vino diventino il corpo e il sangue
di Cristo». E poi? Cosa ne facciamo? Una volta che abbiamo il corpo e il sangue di Cristo
lo chiudiamo a chiave nel tabernacolo?
No! E infatti la preghiera non finisce qui. Poco più avanti si dice: «per la comunione al
corpo e al sangue di Cristo lo spirito Santo ci riunisca in un solo corpo».
La trasformazione del pane e del vino in corpo e sangue di Cristo per l’azione dello spirito
Santo, non è fine a se stessa, ma i doni sono trasformati perché coloro che ne
mangiano diventino ciò che ricevono.
In questa frase si parla due volte di corpo: il corpo eucaristico e il corpo ecclesiale. L’uno
è finalizzato all’altro, il primo è finalizzato al secondo. Il fine proprio del corpo eucaristico
è formare il corpo ecclesiale.
S. Paolo in una sua lettera dice: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo
Gesù”. Traduciamolo in termini eucaristici: “diventate anche voi pane spezzato e vino
versato per…”.
E questo non può essere solo un nostro sforzo: è un dono di Dio. Per questo la liturgia ci
ricorda e soprattutto ci fa fare esperienza che noi siamo argilla nelle mani di Dio, ma le
mani che danno forma sono le sue. E che la vita cristiana, in questo senso, è prima di ogni
altra cosa un lasciarci modellare.
Si va a messa per diventare chiesa, per imparare ad essere chiesa, perché le nostre
famiglie siano chiesa, i nostri gruppi siano chiesa. Cioè esperienza di comunione, luoghi
di comunione. La comunità dei discepoli di Cristo è suo corpo quando essa è, per il
mondo, segno di comunione.

L’assemblea liturgica forma fondamentale della Chiesa
La Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium, al n. 24 afferma con decisione che
       «la principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva
       di tutto il popolo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche».
Quindi, guardando il nostro modo di fare e di essere assemblea chi entra nelle nostre
chiese vede quale modello di Chiesa intendiamo realizzare.

La Tradizione Apostolica, uno dei primi documenti cristiani, (anche questo lo
ricordavamo l’altra volta) definisce l'assemblea liturgica il luogo «ubi floret spiritus»:
«Ciascuno abbia cura di recarsi all'assemblea, il luogo dove fiorisce lo Spirito».
L'assemblea è il luogo dove lo Spirito santo «porta frutto», è l'epifania di tutti i doni che
lo Spirito fa alla Chiesa. In essa si radunano tutte le componenti della Chiesa, nessuno
può essere escluso perché l'insieme dei doni dello Spirito si ha solo ed unicamente
nell'insieme dei membri della comunità.

Una delle novità più significative dell'ultima riforma liturgica è stata quella di far
partecipare anche i laici, uomini e donne, ai vari ministeri, nella proclamazione delle
letture, nell’animazione della preghiera o del canto, e persino nella distribuzione
dell'Eucaristia.
Possono esistere ministeri “ordinati', “istituiti’, "di fatto’. Il ministero è innanzitutto
"servizio" di un battezzato in seno alla propria famiglia-comunità.

Non si è trattato di una semplice strategia pastorale per coinvolgere maggiormente i
fedeli laici e farli partecipare alla liturgia: al centro di questa necessità è un modello di
Chiesa e di liturgia.
Come si sta dicendo, nella nostra diocesi, circa la nuova organizzazione delle parrocchie
in UP, si tratta di un nuovo modo di essere Chiesa. Nella valorizzazione dei ministeri c’è
in gioco il passaggio irreversibile da un modello di Chiesa clericale, dove tutto è nelle
mani del prete (e ai fedeli laici spetta «obbedire e pregare», come si diceva un po' di
tempo fa), ad un modello di Chiesa sacerdotale, dove il servizio di presidenza del
ministro ordinato e il servizio di alcuni ministri sono a servizio della partecipazione di
tutto il popolo a quanto si celebra.

Cristo-servo principio di ogni ministerialità

C’è una sorgente comune sia al ministero ordinato, sia a quello laicale: Cristo-servo. I
ministri ordinati agiscono in nome di Cristo capo, coloro che svolgono i "ministeri
battesimali" attestano la multiforme articolazione del corpo ecclesiale.
In Mc 10,42-45 Gesù insegna che i discepoli di Cristo sono coloro che ambiscono ai primi
posti nel servizio, e non nel potere. Essi, infatti, sono riconosciuti discepoli nella misura
in cui assomigliano al Maestro: «chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore».
Gesù inaugura un concetto diverso di "potere" rispetto alla concezione umana: «Voi
non fate come i re delle nazioni; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e
chi governa come colui che serve. Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,24-27).
Il modello di qualsiasi tipo di servizio (diaconia) è la lavanda dei piedi. Un gesto che
diventa un mandato a tutta la Chiesa: «Se io ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare
i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a
voi» (Gv 13, 14-15).

Il battesimo: il sacramento che abilita al ministero
Siamo stati abilitati alla ministerialità dal Battesimo. E’ questo anche il senso del piano
pastorale che la nostra diocesi si è data quest’anno: «battezzati per la vita del mondo».
Siamo chiamati a riscoprire la vocazione battesimale di ognuno di noi. Siamo tutti
chiamati a promuovere la comunione ecclesiale e ad operare per l’unità e la dignità
dell’intera famiglia umana.
L'affidamento di particolari ministeri non dovrebbe avvenire in nome della necessità, ma
della corresponsabilità originata dal battesimo. Ciascuno, infatti, come battezzato,
deve sentirsi responsabile o, meglio, co-responsabile di tale servizio nella Chiesa in
genere e nella comunità locale di appartenenza in specie. Il battesimo imprime in noi
stessi l'immagine e somiglianza di Dio, di cui l'icona perfetta è Cristo-servo.

Come ci ricorda un passaggio della II preghiera eucaristica, siamo tutti corresponsabili,
tutti sacerdoti: «Celebrando il memoriale... ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua
presenza a compiere il servizio sacerdotale».
Il «noi» di cui si parla è l'assemblea tutta, a nome della quale prega colui che presiede. Il
servizio di cui si parla è il servizio sacerdotale di chi «sta davanti a Dio» a nome e a favore
di tutta l'umanità. La varietà dei ministeri - presbitero, diacono, lettori, accoliti, coristi,
guida dell'assemblea, ministri straordinari della comunione - è al servizio di questo
«stare (di tutti) davanti» alla presenza di Dio, per riconoscere la sua presenza e la sua
azione.

Se l’assemblea è il luogo dove si dovrebbero veder fiorire i doni dello Spirito, allora è
importante ampliare il più possibile il numero dei diversi ministri.

L'obiettivo di questa ricchezza di ministeri non è tanto quello di far partecipare tutti il
più possibile, ma di «orientare» alla presenza, all'agire del Signore.
La ministerialità deve orientare al Signore. Il coro che rispetta i generi musicali
corrispondenti ai diversi momenti rituali orienta al mistero che si celebra; il coro che si
colloca possibilmente dentro l'assemblea e non di fronte ad essa, orienta non a sè, ma
alla celebrazione; il lettore che legge bene, senza enfasi, con lo sguardo rivolto al libro
più che all'assemblea, orienta alla Parola più che alla sua voce; il ministero di coloro che
preparano l’addobbo floreale orienta ai luoghi importanti della celebrazione; il
sacrestano che prepara tutto in anticipo, orienta l'attenzione evitando ogni motivo di
distrazione successiva; il presidente che guarda i volti dell'assemblea, ma poi si rivolge
all'altare o alla croce quando dice: «preghiamo», orienta tutti alla preghiera; lo spazio
dell'altare, liberato da presenze ingombranti, orienta a Colui che è il centro e il
protagonista dell'azione liturgica, il Signore. Là dove tutto - il volto, lo sguardo,
l'abbigliamento, il gesto, la parola, la posizione del corpo, le cose stesse... - è orientato,
tutto orienta al Signore. Per questo, non è importante che i ministri siano molti o pochi:
l'importante è che siano formati umanamente, spiritualmente, liturgicamente.

Per chiudere proviamo a definire alcuni elementi comuni per una buona attuazione
dei ministeri

  a) L'attività più importante dei laici nella celebrazione liturgica non sono i
ministeri, bensì la loro partecipazione. Per un cristiano è più importante ascoltare la
Parola di Dio, poter pregare e cantare con i fratelli, sintonizzarsi con l'azione di grazie
dell'Eucaristia e partecipare del Corpo e Sangue del Signore, che non essere incaricato di
una lettura o di un canto.

  b) Nella comunità ogni ministero, da quello del presidente fino a quello dell'ultimo
chierichetto, va inteso come servizio e non come privilegio di potere. Non ci sono
«padroni», ma solo «servitori».

  c) I ministeri vanno concepiti in una visione di pastorale d’insieme. Una delle
qualità di ogni buon ministro è la sua capacità di lavorare in gruppo. Inoltre, è bene
che i laici che contribuiscono alla celebrazione con i loro ministeri non limitino il loro
lavoro a questo campo della liturgia.

  d) Per quanto è possibile, i ministeri vengano variamente distribuiti e non
accumulati nella stessa persona.

  e) Ogni ministro deve avere una buona conoscenza tecnica del suo intervento, e
pertanto si richiede una preparazione.

   f) Una formazione biblica e liturgica, renderebbe più efficace il loro servizio alla
comunità. Tutti questi ministeri non sono solo tecnici, ma vanno compiuti con un
atteggiamento di fede e di sensibilità liturgica.

Possiamo immaginare i ministeri liturgici come le perle di una collana attorno al «collo»
che è l'assemblea celebrante. E il «filo» che lega e sostiene le perle è il Signore Gesù,
l'unico Liturgo, che dà senso a tutto e a tutti. A lui ogni servizio fa riferimento, con le
proprie modalità e funzioni: chi presiede e chi legge, chi canta e chi guida. E’ lui il modello
a cui ispirarsi: il vero Presidente, Lettore, Guida, Diacono, Cantore.
Alte Ceccato 20 novembre 2019
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