Intorno al reddito di base, dal post-fordismo all'economia digitale. Un dibattito costituzionalistico e giuslavoristico
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Intorno al reddito di base, dal post-fordismo all'economia digitale. Un dibattito costituzionalistico e giuslavoristico Paper provvisorio, in bozza, per sola circolazione interna di Giuseppe Allegri dottore di ricerca in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparate Sapienza, Università di Roma giuseppe.allegri@gmail.com Convegno internazionale di studio Impresa, lavoro e non lavoro nell'economia digitale Brescia, 12-13 ottobre 2017 Terza sessione Lavoro e non lavoro nell'economia digitale Elaborare un'idea chiara dei bisogni sociali e tentare di difenderla significa gettare un grano di lievito nella mentalità comune; significa anche garantirsi la possibilità di modificarla un po' e di influire quindi in qualche misura sul corso degli eventi, che dipendono in ultima analisi dalla psicologia umana... Marc Bloch, La strana disfatta. Testimonianza del 1940 L’allocation universelle d’un revenu suffisant ne doit pas être comprise comme une forme d’assistance, ni même de protection sociale, plaçant les individus dans la dépendance de l’Etat-providence. Il faut la comprendre au contraire comme le type même de ce qu’Anthony Giddens appelle une ‘politique générative’ (generative policy). Elle doit donner aux individus des moyens accrus de se prendre en charge, des pouvoirs accrus sur leur vie et leurs conditions de vie. André Gorz, Pour un revenu inconditionnel suffisant, 2002 SOMMARIO. 1. In ricordo di André Gorz: al di là della società salariale? 2. Il reddito di base come “solidarietà riflessiva” e “politica generativa” nell'era digitale. 3. Per l'emersione di un nuovo costituzionalismo sociale e giuslavorismo garantista. 4. Il reddito di base nella questione sociale europea. 1. In ricordo di André Gorz: al di là della società salariale? Nel decennale della morte volontaria di André Gorz (1923-2007) – insieme con la compagna di una vita, Dorine, da tempo affetta da un morbo degenerativo e alla loro memoria vorrebbe essere simbolicamente dedicato questo intervento – continua a rimanere attuale la sua lapidaria, eppure epocale, affermazione: «usciamo dalla società del lavoro senza sostituirla con nessun'altra: ci sappiamo, sentiamo, apprendiamo ognuno come disoccupato in potenza, precario, lavoratore a tempo, a “tempo parziale” in potenza» (A. Gorz, Miserie del presente, ricchezze del possibile, 1997, 74). 1
È il nodo ancora non sciolto del ragionare intorno alla “grande trasformazione” al di là della società salariale che investe l'Europa dell'ultimo trentennio, attraversata da innovazioni sociali e tecnologiche che dal post-fordismo degli anni Ottanta e Novanta del Novecento giungono alla Gig Economy del capitalismo digitale di piattaforma (Nick Srnicek, Platform Capitalism, 2016), mettendo in radicale discussione le forme del lavoro e di produzione, l'assetto della società e delle istituzioni, quindi i meccanismi di regolazione e gli strumenti pubblici di protezione e sicurezza sociale. Sono condizioni di vita e di lavoro – dal web alle attività di cura, dalla mobilità e logistica alla comunicazione – rispetto alle quali risultano inadeguate le garanzie sociali e salariali pensate nella mediazione tra le tradizionali parti sociali (sindacali e padronali) degli Stati costituzionali, democratici e pluralistici, rimanendo sospese tra spazi di nuova cooperazione sociale (del Platform Cooperativism analizzato da Trebor Scholz, tra gli altri) e i ricatti di un lavoro sempre più individualizzato, impoverito, occasionale, insicuro, precario, intermittente, spesso neanche retribuito, sicuramente non in modo degno. D'altra parte, al tempo dell'economia digitale dei Social Media & Network, dei Big Data, dell'Internet of Things, dell'automazione e dell'intelligenza artificiale, l'intera vita degli esseri umani “in rete” sembra essere messa al lavoro e alla produzione di ricchezza per i giganti dell'Hi Tech – i “signori del silicio” (Evgeny Morozov, 2015) – in assenza di una redistribuzione sociale di questa ricchezza prodotta dall'agire collettivo e in rete delle singole persone. 2. Il reddito di base come “solidarietà riflessiva” e “politica generativa” nell'era digitale Per tutti questi motivi, qui assai sinteticamente enunciati, negli ultimi anni è ripreso un dibattito globale intorno all'introduzione di un reddito universale di base (Universal Basic Income – UBI) declinato in diverse prospettive, da un lato dagli stessi innovatori sociali e tecnologici della Silicon Valley (a partire dalla sperimentazione ad Oakland da parte dell'incubatore di imprese e start up Y Combinator), dall'altra da più o meno ampie amministrazioni locali, regionali, statali (come nel caso del recente progetto dalla durata decennale sul revenu contributif coordinato da Bernard Stiegler in Seine Saint-Denis, zona periferica di Parigi), passando per le oramai più che trentennali analisi sul tema da parte di scienziati politici e sociali, giuristi, economisti. È un frammentato, eppure diffuso, discorso collettivo sul versante del superamento della “individualizzazione dei rischi sociali” (riprendendo la classica formula utilizzata da Ulrich Beck) che sembra coinvolgere diversi soggetti economici, sociali ed istituzionali e che qui si prova ad interrogare nel dialogo tra un costituzionalismo e un giuslavorismo auspicabilmente sempre maggiormente garantistici, ricostruendo l'oramai trentennale dibattito intorno all'introduzione di uno strumento di garanzia del reddito di base – inteso nelle sue diverse forme comprese tra reddito minimo garantito e reddito di esistenza, universale e incondizionato (UBI) – come architrave di un nuovo Welfare e di una inedita cittadinanza sociale, che superi in modo progressivo quella pensata per i soggetti titolari delle forme del lavoro salariato, solo parzialmente maggioritari nel secondo Novecento europeo. Nel solco di una nuova idea di solidarietà, che superi quella meccanica e naturale eretta intorno alla famiglia e quella, organicistica e burocratica, dello Stato sociale, Welfare State, État providence – sempre più in affanno dal punto di vista della regolazione e della sostenibilità economico-fiscale – per poter effettivamente essere un terzo tipo di solidarietà, riflessiva e dialogica1, fondata sulla centralità del reddito di base come architrave di una responsabilità sociale collettiva, circolare, tra tutela della persona nella società – per la promozione dell'autodeterminazione individuale – e istituzioni pubbliche intese come strumenti di protezione collettiva e potenziamento delle singolarità di ciascuno, da istruzione e formazione, ai centri per l'impiego. Perché a quasi venti anni dalla celebre affermazione di Pierre Bourdieu, sul fatto che «la 1 F. Ascher, F. Godard, Vers une troisième solidarité, in «Esprit», n. 11, 1999. 2
precarizzazione generalizzata può essere all’origine di una solidarietà di tipo nuovo» 2, sembra di essere ancora alla ricerca di inedite e adeguate forme di protezione sociale, nel senso di poter pensare, provocatoriamente, il reddito di base universale come «il salario del precariato»3. E l’idea di “solidarietà riflessiva”, intesa come una relazione virtuosa tra promozione dell'autonomia individuale e affermazione di un nuovo garantismo sociale, intorno al reddito di base come vero e proprio Ius Existentiae, permetterebbe di ripensare la società nel quadro di un nuovo rapporto tra persone, territori, regole sociali, norme giuridiche e istituzioni, evitando le scorciatoie naturalistiche, paternalistiche e tradizionalistiche della famiglia, come quelle disciplinanti e sanzionatorie del Welfare State centralizzato, selettivo, categoriale e burocratico, divenuto sempre più Workfare che stigmatizza la persona disoccupata, fino a intenderla come un «buono a nulla»4. Così il reddito di base è da intendersi, tornando all'insegnamento di Gorz, anche come “politica generativa” di nuove relazioni sociali, che investe sull'accrescimento delle condizioni di autonomia e di cooperazione tra le persone, situandosi oltre la tradizionale, antitetica, alternativa tra “Stato” e “mercato”, favorendo gli spazi di economia collaborativa, cooperazione delle attività, socializzazione delle conoscenze, condivisione di buone pratiche di rigenerazione urbana, ecologica, sociale, per sfidare l'attuale “nuova grande trasformazione” dell'economia digitale di piattaforma, dove la condivisione di dati, informazioni, conoscenze diviene il terreno di valorizzazione di ricchezze oligopoliste, dall'alto delle Corporation tecnologiche e finanziarie, e di messa al lavoro relazionale, comunicativa, affettiva, “informazionale” delle singole persone nel basso di una rete globale che diviene un centro per l'impiego temporaneo, precario e intermittente, aperto ed accessibile 24/7 (Crary, Jonathan, 24/7. Il capitalismo all'assalto del sonno, 2015). Perché il tramonto della società salariale novecentesca ci lascia immersi in una condizione ambigua, presentandoci due facce apparentemente speculari, della stessa medaglia: da una parte la progressiva riduzione dell’impiego in forma tradizionale e in generale del tempo di lavoro, con la progressiva digitalizzazione, automatizzazione e robotizzazione di alcuni ambienti produttivi. Dall’altra, anche tramite piattaforme tecnologiche, sembriamo tutti vincolati e/o disponibili a erogare prestazioni lavorative intermittenti, quasi-servili, in assenza di una retribuzione minimamente adeguata: tra “disoccupazione attiva” e “pieno impiego precario”, nella divisione sociale e globale del lavoro, con la certezza che le forme del lavoro sono sempre più informali e sempre meno ascrivibili alla subordinazione tradizionale, ma non per questo riconducibili solo al tradizionale lavoro indipendente e autonomo. È questo il tema, più generale, di ragionare intorno alle possibilità di una nuova cittadinanza sociale, fondata su strumenti universalistici di garanzie sociali, a partire dal reddito di base, nella prospettiva di una società democratica della conoscenza, in cui l'infrastruttura digitale sia occasione di condivisione di piattaforme abilitanti per le persone e per le connesse reti sociali. E le possibilità della “solidarietà riflessiva” e della “politica generativa” sembrano porsi all'altezza di questo inedito mondo, successivo al post-moderno. 2 P. Bourdieu, Per un movimento sociale europeo [1999], in Controfuochi 2. Per un nuovo movimento europeo, manifestolibri, Roma, 2001. Nel dibattito giuslavoristico e costituzionalistico italiano, oltre i volumi citati in bibliografia, si vedano anche S. Giubboni, Solidarietà, in Pol. dir., a. XLIII, n. 4, dicembre 2012, 525 ss., quindi, recentemente, la parte monografica della rivista Costituzionalismo.it, n. 1/2016, titolato Tornare ai fondamentali: la solidarietà, con saggi di Adriana Apostoli, Gianluca Bascherini, Lorenza Carlassare, Ilenia Massa Pinto, Eligio Resta. 3 A. Foti, General Theory of the Precariat. Great Recession, Revolution, Reaction, Institute of Network Cultures, Amsterdam, forthcoming (2017). 4 Così l'amara ricostruzione di Mark Fisher, Buono a nulla (Good for Nothing), in http://theoccupiedtimes.org/? p=12841, March 19, 2014, tradotto in italiano da A. Fumagalli e C. Morini, in http://effimera.org/buono-nulla-good-for- nothing-mark-fisher/: «un doppio legame vizioso del tutto particolare viene imposto ai disoccupati di lunga data nel Regno Unito: per tutta la vita è stato detto loro che sono dei “buoni a nulla” e allo stesso tempo possono fare qualsiasi cosa vogliano». 3
3. Per l'emersione di un nuovo costituzionalismo sociale e giuslavorismo garantista Il dibattito costituzionalistico, giuslavoristico e degli scienziati sociali dell'ultimo ventennio del Novecento è stato solo in parte attraversato dal nesso trasformazioni del lavoro/della società in senso post-fordista e aggiornamento inclusivo dei sistemi di Welfare, a partire dall'esigenza di prevedere diritti sociali universali e uno strumento di garanzia di un reddito di base, avendo come obiettivo anche l'orizzonte istituzionale di un'Europa sociale [dal saggio di Guy Standing, Un reddito di cittadinanza per gli europei, del 1988, agli studi curati da Alain Supiot, Au-delà de l'emploi, 1999 e ried. 2016, quindi nel dibattito italiano sull'aggiornamento delle garanzie al tempo del post-fordismo, si vedano i saggi contenuti in Sergio Bologna e Andrea Fumagalli (a cura di), Il lavoro autonomo di seconda generazione, 1997 e, in ambito giuslavoristico, i classici studi di Massimo D'Antona]. Ma è nel corso dell'ultimo decennio, anche dinanzi all'acuirsi degli effetti sociali ed economici della crisi finanziaria globale e monetaria europea e all'evolversi della “rivoluzione digitale”, che il confronto intorno alla necessità di garantire strumenti universali di inclusione sociale, a partire da una qualche forma di reddito di base latamente inteso, si diffonde nella dottrina costituzionalistica e giuslavoristica dei Paesi con il Welfare più “familistico” e meno inclusivo, come nel caso italiano, a cominciare da numerosi studi di Luigi Ferrajoli (in particolare l'ampia ricostruzione in Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia. 2. Teoria della democrazia, Roma-Bari, 2007, spec. 404 ss., dove parla di «diritto alla sussistenza, diritto ai minimi vitali e reddito sociale universale»), e per la dottrina costituzionalistica da Filippo Pizzolato (Minimo vitale. Profili costituzionali e processi attuativi, 2004), fino a Chiara Tripodina (Il diritto a un'esistenza libera e dignitosa. Sui fondamenti costituzionali del reddito di cittadinanza, 2013). Si veda quindi il dialogo tra giuslavoristi e costituzionalisti raccolto in: Caruso, Bruno, Fontana, Giorgio (a cura di), Lavoro e diritti sociali nella crisi europea. Un confronto fra costituzionalisti e giuslavoristi, 2015. Ed è proprio in questa tensione dottrinaria, di studiosi sensibili all'affermazione di un nuovo costituzionalismo sociale e favorevoli all'introduzione di una misura universalistica di reddito di base che si lega il tema reddito di esistenza/diritti di cittadinanza sociale, intorno alla necessità di prevedere un “reddito di cittadinanza” inteso come «reddito garantito da una comunità politica per assicurare a tutti il diritto all'esistenza, [...] per consentire a tutti (anche a chi formalmente cittadino non è) un'esistenza “da cittadini”. Non si vive – non si pensa, non si parla, non si agisce, non si partecipa – da cittadini, infatti, se non si ha garantita un'esistenza libera e dignitosa. Essendo libertà e dignità dell'esistenza contenuto minimo essenziale di cittadinanza»5. È l'idea e la pratica di promuovere una piena e sostanziale cittadinanza sociale che recuperi le letture più progressive del dettato costituzionale in tema di diritti sociali, dignità della persona e delle forme e condizioni di lavoro, a partire dalle ricostruzioni proposte già nei primi anni repubblicani da Costantino Mortati e Massimo Severo Giannini, in un dialogo intergenerazionale che tesse un filo rosso tra le interpretazioni più progressive della tradizione costituzionale repubblicana, ponendo al centro dell'assetto istituzionale e delle garanzie sociali la tutela della persona, rileggendo l'art. 4 Cost. e 38, secondo comma, Cost. e attualizzando il dettato degli artt. 2, 3, 36 e 41 Cost., per insistere sull'evoluzione dei sistemi di protezione sociale in Europa, per pensare un sistema di sicurezza sociale che dal «minimo vitale» (Pizzolato), riconosca un reddito di base come «diritto alla sussistenza» della persona, vero e proprio diritto sociale fondamentale, ius existentiae (Luigi Ferrajoli e Giuseppe Bronzini). 5 C. Tripodina, Reddito di cittadinanza come “risarcimento per mancato procurato lavoro”. Il dovere della Repubblica di garantire il diritto al lavoro o assicurare altrimenti il diritto all’esistenza, in Costituzionalismo.it, 25 marzo 2015, http://www.costituzionalismo.it/articoli/497/. 4
Tanto più ora, infatti, dinanzi al diamante frammentato delle forme di produzione e del lavoro, è «sul piano socio-economico, cioè dei luoghi reali, che occorre cercare dove la tutela della persona assume una valenza pluridimensionale» (Lorenzo Zoppoli, 2008), in una prospettiva istituzionale multilivello che lega gli spazi locali e plurali del vissuto quotidiano (città, municipi, scuole, dimensioni collettive di lavoro e del tempo libero, dell'associazionismo culturale, sociale, religioso, etc.) ad una rete sempre più ampia e sovranazionale di integrazione tra le differenze. E in questo senso c'è una parte del giuslavorismo italiano ed europeo più garantista (da Alain Supiot a Silvana Sciarra) che prova da tempo a pensare la dimensione molteplice di uno statuto continentale di tutele sociali che favorisca un'inedita visione e ibridazione di autonomia e solidarietà, per uno statuto delle attività nell'economia post-fordista e digitale: «non livellare, espropriando gli esiti dell'autonomia individuale, ma garantire che l'autonomia individuale si svolga entro ambiti protetti» (Massimo D'Antona, 1998). E in questo solco si inserì il Forum curato dal compianto Sergio Mattone, Dibattito. Il reddito garantito: verso un nuovo Welfare (in Questione Giustizia, 4/2010, pp. 67-90), cui parteciparono giuslavoristi, economisti e sociologi (Giuseppe Bronzini, Andrea Fumagalli, Luciano Gallino, Massimo Roccella) nel tentativo di ragionare intorno all'affermazione di un nuovo sistema di Welfare più inclusivo ed universalistico, a partire dalla garanzia di un reddito di base. Per recuperare da un lato una tutela effettiva, concreta ed emancipatrice, della dignità umana e dall'altra l'autodeterminazione dei propri tempi di vita e lavoro, come possibilità di non sottostare ai ricatti della povertà e dell'esclusione sociale, né del lavoro povero e della sua mancanza, e poter tornare a pensare e finalmente praticare la “società delle pluri-multi-attività” e “dei tempi di lavoro liberamente scelti” sulla quale sempre André Gorz insisteva a lungo già dinanzi all'incremento della disoccupazione di massa e alle possibilità di cooperazione mutualistica nella società della conoscenza degli anni Ottanta e Novanta del Novecento. E proprio in quegli anni si ricorda come si provasse a ribaltare la persistente condizione di disoccupazione di ampie masse di cittadini con una lettura del reddito di base/di cittadinanza come strumento di investimento collettivo, istituzionale, sulle potenzialità inespresse delle persone, contro il pericolo di marginalizzazione ed esclusione sociale (C. Offe, A. Vatta, Il reddito di cittadinanza: una strategia inevitabile per contrastare la disoccupazione, in Stato e mercato, n. 56 (2), agosto 1999, pp. 213-241). E quasi venti anni dopo, il reddito di base torna ad essere pensato come diritto sociale fondamentale all'esistenza e misura adatta alla tutela della dignità e dell'autodeterminazione dell'essere umano in un'epoca in cui la moltiplicazione e divisione sociale e globale della forza lavoro apre orizzonti quotidiani di vita messa al lavoro (sempre più scarsamente remunerato), sulle piattaforme digitali del “capitalismo cognitivo”, e disoccupazione di masse in movimento alla ricerca di una vita degna6. Con gli effetti dell'innovazione tecnologica che potrebbero amplificare ulteriormente la riduzione dei posti di lavoro e impiego tradizionale a fronte della robotica evoluta, stando al celebre rapporto nel quale il World Economic Forum prevede la riduzione di milioni di posti di lavoro a fronte di digitalizzazione e robotizzazione di molti mestieri 7. Perciò diviene sempre più necessario immaginare un dividendo sociale, un reddito di esistenza nell'era digitale, che riconosca un «diritto sulla ricchezza prodotta, presente e futura, in rapporto alle condizioni reali entro cui detta produzione di ricchezza effettivamente si sviluppa», grazie alla cooperazione sociale 6 Presentano una nuova cartografia e genealogia della divisione sociale e internazionale del lavoro nel capitalismo globalizzato S. Mezzadra, B. Neilson, Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale, Bologna, 2014 [2013]. Ripensa gli spazi di un reddito garantito nel capitalismo immateriale e cognitivo Y. Moulier-Boutang, Le capitalisme cognitif. La Nouvelle Grande Transformation, Paris, 2007. In un piccolo effervescente e provocatorio pamphlet, riprende il tema della fine dell'impiego tradizionale, per ripensare le forme della libertà attiva e dell'operosità, B. Stiegler, L'emploi est mort, vive le travail! Entretiens avec Ariel Kyrou, Paris, 2015, già autore di studi intorno a La Société automatique. 1. L’avenir du travail, Paris, 2015. 7 World Economic Forum, The Future of Jobs Report: http://reports.weforum.org/future-of-jobs-2016/. 5
in rete, tra diversi8. Un reddito di base che permetta a ciascuno di accedere alla redistribuzione della ricchezza collettiva prodotta da tutti. Nella prospettiva di pensare il reddito di base come assicurazione sociale adatta al tempo dell'economia dei robot e dell'intelligenza artificiale prossima ventura. 4. Il reddito di base nella questione sociale europea. Può essere infatti la previsione di un reddito di base (inteso come dividendo sociale, basic income, allocation universelle, reddito di cittadinanza, reddito minimo garantito, etc., per riprendere le tipologie indagate nel tempo da Philippe Van Parijs), garantito al di là del lavoro tradizionale, vero e proprio ius existentiae e fondamento di un nuovo droit social continentale e garanzia di base nell'epoca dell'economia digitale, lo strumento attraverso il quale immaginare il superamento della società salariale e dare una risposta positiva alle osservazioni di André Gorz riportate all'inizio. E la sfida è proprio quella di ripensare princìpi e pratiche di solidarietà continentale, per innescare la creazione di un'Europa sociale e un sistema di Welfare europeo che garantisca accesso ai servizi pubblici essenziali di qualità e protezioni sociali universali per provare a risolvere la questione del diritto alla sussistenza delle cittadinanze d’Europa e di tutti coloro che vi risiedono legalmente, attualmente schiacciati tra grande recessione globale, impoverimento del lavoro e possibilità sopite dell'innovazione tecnologica e digitale. Alla ricerca di un nuovo diritto costituzionale, sociale e del lavoro in chiave continentale, di quello che potremmo chiamare a European common floor of fundamental social rights e che il Parlamento europeo ha definito in una recente, importante, risoluzione in favore dell'adozione di un «pilastro europeo dei diritti sociali» (EPSR) come la soluzione che «consenta di attuare efficacemente i diritti sociali esistenti e che ne definisca di nuovi, ove giustificato dai nuovi sviluppi tecnologici e socio-economici»9. E questo auspicato pilastro sociale europeo fa leva su alcuni profili tra loro interconnessi: la garanzia di diritti sociali per il lavoro latamente inteso, al tempo delle attività lavorative nella economia digitale di piattaforma, a partire dalla definizione di un salario minimo legale; quindi la previsione di un reddito minimo garantito e la tutela della dignità umana, senza condizioni10. Prima bibliografia di riferimento Aa. Vv., La democrazia del reddito universale, manifestolibri, Roma, 1996 Aa. Vv., Economia politica della promessa, manifestolibri, Roma, 2016 Allegri, Giuseppe, La nuova grande trasformazione. Il reddito garantito al di là del lavoro, in Basic Income Network (a cura di), Reddito per tutti. Un'utopia concreta per l'era globale, manifestolibri, Roma, 2009, p. 58-71 Id., Per un nuovo garantismo sociale. Una rilettura costituzionale oltre la società salariale, in «Rivista Critica del Diritto Privato», anno XXXIII, 4, dicembre 2015, 613-624 Id., Reddito di base, innovazione e inclusione sociale. A margine di alcune iniziative legislative, in M. D'Onghia, E. Zaniboni (a cura di), Tutela dei soggetti deboli e trasformazioni del lavoro tra diritti e libertà. Prospettive nazionali e internazionali, Editoriale Scientifica, Napoli, 2017, pp. 13-31 Allegri Giuseppe, Roberto Ciccarelli, La furia dei cervelli, manifestolibri, Roma, 2011 Id., Il quinto stato. Perché il lavoro indipendente è il nostro futuro. Precari, autonomi, free lance per una nuova società, Ponte alle Grazie, Milano, 2013 Allegri Giuseppe, Bronzini, Giuseppe, Sogno europeo o incubo?, Fazi editore, Roma, 2014 Id., Libertà e lavoro dopo il Jobs Act. Per un nuovo garantismo sociale, oltre la subordinazione, DeriveApprodi, Roma, 2015 8 Così l'analisi del giuslavorista F. Martelloni, Il reddito di cittadinanza nel discorso giuslavoristico, in Rivista di Diritto della Sicurezza Sociale, n. 1/2014, 204. 9 Risoluzione del Parlamento europeo del 19 gennaio 2017 su un pilastro europeo dei diritti sociali, (2016/2095(INI)), spec. 11. 10 Per un primo, rapido, commento di questa risoluzione si rinvia a Comitato scientifico Basic Income Network – Italia (a cura di), Il Parlamento europeo in favore di un “pilastro europeo dei diritti sociali”, a partire dal reddito minimo garantito, 23 gennaio 2017: http://www.bin-italia.org/europa-sociale-nuova-risoluzione-reddito-garantito/. 6
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