Intorno al reddito di base, dal post-fordismo all'economia digitale. Un dibattito costituzionalistico e giuslavoristico

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Intorno al reddito di base, dal post-fordismo all'economia digitale.
                      Un dibattito costituzionalistico e giuslavoristico

                              Paper provvisorio, in bozza, per sola circolazione interna di
                                                      Giuseppe Allegri
                         dottore di ricerca in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparate
                                               Sapienza, Università di Roma
                                                giuseppe.allegri@gmail.com

                                   Convegno internazionale di studio
                            Impresa, lavoro e non lavoro nell'economia digitale

                                            Brescia, 12-13 ottobre 2017

                                                Terza sessione
                                  Lavoro e non lavoro nell'economia digitale

                                                                      Elaborare un'idea chiara dei bisogni sociali e tentare di
                                                                          difenderla significa gettare un grano di lievito nella
                                                                   mentalità comune; significa anche garantirsi la possibilità
                                                                   di modificarla un po' e di influire quindi in qualche misura
                                                                  sul corso degli eventi, che dipendono in ultima analisi dalla
                                                                                                            psicologia umana...

                                                                                                                 Marc Bloch,
                                                                                   La strana disfatta. Testimonianza del 1940

                                                                         L’allocation universelle d’un revenu suffisant ne doit
                                                                   pas être comprise comme une forme d’assistance, ni même
                                                                           de protection sociale, plaçant les individus dans la
                                                                   dépendance de l’Etat-providence. Il faut la comprendre au
                                                                    contraire comme le type même de ce qu’Anthony Giddens
                                                                   appelle une ‘politique générative’ (generative policy). Elle
                                                                   doit donner aux individus des moyens accrus de se prendre
                                                                           en charge, des pouvoirs accrus sur leur vie et leurs
                                                                                                             conditions de vie.

                                                                                                                André Gorz,
                                                                                Pour un revenu inconditionnel suffisant, 2002

    SOMMARIO. 1. In ricordo di André Gorz: al di là della società salariale? 2. Il reddito di base come “solidarietà
riflessiva” e “politica generativa” nell'era digitale. 3. Per l'emersione di un nuovo costituzionalismo sociale e
giuslavorismo garantista. 4. Il reddito di base nella questione sociale europea.

   1. In ricordo di André Gorz: al di là della società salariale?
   Nel decennale della morte volontaria di André Gorz (1923-2007) – insieme con la compagna di
una vita, Dorine, da tempo affetta da un morbo degenerativo e alla loro memoria vorrebbe essere
simbolicamente dedicato questo intervento – continua a rimanere attuale la sua lapidaria, eppure
epocale, affermazione: «usciamo dalla società del lavoro senza sostituirla con nessun'altra: ci
sappiamo, sentiamo, apprendiamo ognuno come disoccupato in potenza, precario, lavoratore a
tempo, a “tempo parziale” in potenza» (A. Gorz, Miserie del presente, ricchezze del possibile, 1997,
74).

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È il nodo ancora non sciolto del ragionare intorno alla “grande trasformazione” al di là della
società salariale che investe l'Europa dell'ultimo trentennio, attraversata da innovazioni sociali e
tecnologiche che dal post-fordismo degli anni Ottanta e Novanta del Novecento giungono alla Gig
Economy del capitalismo digitale di piattaforma (Nick Srnicek, Platform Capitalism, 2016),
mettendo in radicale discussione le forme del lavoro e di produzione, l'assetto della società e delle
istituzioni, quindi i meccanismi di regolazione e gli strumenti pubblici di protezione e sicurezza
sociale. Sono condizioni di vita e di lavoro – dal web alle attività di cura, dalla mobilità e logistica
alla comunicazione – rispetto alle quali risultano inadeguate le garanzie sociali e salariali pensate
nella mediazione tra le tradizionali parti sociali (sindacali e padronali) degli Stati costituzionali,
democratici e pluralistici, rimanendo sospese tra spazi di nuova cooperazione sociale (del Platform
Cooperativism analizzato da Trebor Scholz, tra gli altri) e i ricatti di un lavoro sempre più
individualizzato, impoverito, occasionale, insicuro, precario, intermittente, spesso neanche
retribuito, sicuramente non in modo degno. D'altra parte, al tempo dell'economia digitale dei Social
Media & Network, dei Big Data, dell'Internet of Things, dell'automazione e dell'intelligenza
artificiale, l'intera vita degli esseri umani “in rete” sembra essere messa al lavoro e alla produzione
di ricchezza per i giganti dell'Hi Tech – i “signori del silicio” (Evgeny Morozov, 2015) – in assenza
di una redistribuzione sociale di questa ricchezza prodotta dall'agire collettivo e in rete delle singole
persone.

   2. Il reddito di base come “solidarietà riflessiva” e “politica generativa” nell'era digitale
   Per tutti questi motivi, qui assai sinteticamente enunciati, negli ultimi anni è ripreso un dibattito
globale intorno all'introduzione di un reddito universale di base (Universal Basic Income – UBI)
declinato in diverse prospettive, da un lato dagli stessi innovatori sociali e tecnologici della Silicon
Valley (a partire dalla sperimentazione ad Oakland da parte dell'incubatore di imprese e start up Y
Combinator), dall'altra da più o meno ampie amministrazioni locali, regionali, statali (come nel
caso del recente progetto dalla durata decennale sul revenu contributif coordinato da Bernard
Stiegler in Seine Saint-Denis, zona periferica di Parigi), passando per le oramai più che trentennali
analisi sul tema da parte di scienziati politici e sociali, giuristi, economisti.

    È un frammentato, eppure diffuso, discorso collettivo sul versante del superamento della
“individualizzazione dei rischi sociali” (riprendendo la classica formula utilizzata da Ulrich Beck)
che sembra coinvolgere diversi soggetti economici, sociali ed istituzionali e che qui si prova ad
interrogare nel dialogo tra un costituzionalismo e un giuslavorismo auspicabilmente sempre
maggiormente garantistici, ricostruendo l'oramai trentennale dibattito intorno all'introduzione di uno
strumento di garanzia del reddito di base – inteso nelle sue diverse forme comprese tra reddito
minimo garantito e reddito di esistenza, universale e incondizionato (UBI) – come architrave di un
nuovo Welfare e di una inedita cittadinanza sociale, che superi in modo progressivo quella pensata
per i soggetti titolari delle forme del lavoro salariato, solo parzialmente maggioritari nel secondo
Novecento europeo. Nel solco di una nuova idea di solidarietà, che superi quella meccanica e
naturale eretta intorno alla famiglia e quella, organicistica e burocratica, dello Stato sociale, Welfare
State, État providence – sempre più in affanno dal punto di vista della regolazione e della
sostenibilità economico-fiscale – per poter effettivamente essere un terzo tipo di solidarietà,
riflessiva e dialogica1, fondata sulla centralità del reddito di base come architrave di una
responsabilità sociale collettiva, circolare, tra tutela della persona nella società – per la promozione
dell'autodeterminazione individuale – e istituzioni pubbliche intese come strumenti di protezione
collettiva e potenziamento delle singolarità di ciascuno, da istruzione e formazione, ai centri per
l'impiego.
     Perché a quasi venti anni dalla celebre affermazione di Pierre Bourdieu, sul fatto che «la
1
    F. Ascher, F. Godard, Vers une troisième solidarité, in «Esprit», n. 11, 1999.

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precarizzazione generalizzata può essere all’origine di una solidarietà di tipo nuovo» 2, sembra di
essere ancora alla ricerca di inedite e adeguate forme di protezione sociale, nel senso di poter
pensare, provocatoriamente, il reddito di base universale come «il salario del precariato»3. E l’idea
di “solidarietà riflessiva”, intesa come una relazione virtuosa tra promozione dell'autonomia
individuale e affermazione di un nuovo garantismo sociale, intorno al reddito di base come vero e
proprio Ius Existentiae, permetterebbe di ripensare la società nel quadro di un nuovo rapporto tra
persone, territori, regole sociali, norme giuridiche e istituzioni, evitando le scorciatoie
naturalistiche, paternalistiche e tradizionalistiche della famiglia, come quelle disciplinanti e
sanzionatorie del Welfare State centralizzato, selettivo, categoriale e burocratico, divenuto sempre
più Workfare che stigmatizza la persona disoccupata, fino a intenderla come un «buono a nulla»4.
   Così il reddito di base è da intendersi, tornando all'insegnamento di Gorz, anche come “politica
generativa” di nuove relazioni sociali, che investe sull'accrescimento delle condizioni di autonomia
e di cooperazione tra le persone, situandosi oltre la tradizionale, antitetica, alternativa tra “Stato” e
“mercato”, favorendo gli spazi di economia collaborativa, cooperazione delle attività,
socializzazione delle conoscenze, condivisione di buone pratiche di rigenerazione urbana,
ecologica, sociale, per sfidare l'attuale “nuova grande trasformazione” dell'economia digitale di
piattaforma, dove la condivisione di dati, informazioni, conoscenze diviene il terreno di
valorizzazione di ricchezze oligopoliste, dall'alto delle Corporation tecnologiche e finanziarie, e di
messa al lavoro relazionale, comunicativa, affettiva, “informazionale” delle singole persone nel
basso di una rete globale che diviene un centro per l'impiego temporaneo, precario e intermittente,
aperto ed accessibile 24/7 (Crary, Jonathan, 24/7. Il capitalismo all'assalto del sonno, 2015).
   Perché il tramonto della società salariale novecentesca ci lascia immersi in una condizione
ambigua, presentandoci due facce apparentemente speculari, della stessa medaglia: da una parte la
progressiva riduzione dell’impiego in forma tradizionale e in generale del tempo di lavoro, con la
progressiva digitalizzazione, automatizzazione e robotizzazione di alcuni ambienti produttivi.
Dall’altra, anche tramite piattaforme tecnologiche, sembriamo tutti vincolati e/o disponibili a
erogare prestazioni lavorative intermittenti, quasi-servili, in assenza di una retribuzione
minimamente adeguata: tra “disoccupazione attiva” e “pieno impiego precario”, nella divisione
sociale e globale del lavoro, con la certezza che le forme del lavoro sono sempre più informali e
sempre meno ascrivibili alla subordinazione tradizionale, ma non per questo riconducibili solo al
tradizionale lavoro indipendente e autonomo.
   È questo il tema, più generale, di ragionare intorno alle possibilità di una nuova cittadinanza
sociale, fondata su strumenti universalistici di garanzie sociali, a partire dal reddito di base, nella
prospettiva di una società democratica della conoscenza, in cui l'infrastruttura digitale sia occasione
di condivisione di piattaforme abilitanti per le persone e per le connesse reti sociali. E le possibilità
della “solidarietà riflessiva” e della “politica generativa” sembrano porsi all'altezza di questo inedito
mondo, successivo al post-moderno.

2
  P. Bourdieu, Per un movimento sociale europeo [1999], in Controfuochi 2. Per un nuovo movimento europeo,
manifestolibri, Roma, 2001. Nel dibattito giuslavoristico e costituzionalistico italiano, oltre i volumi citati in
bibliografia, si vedano anche S. Giubboni, Solidarietà, in Pol. dir., a. XLIII, n. 4, dicembre 2012, 525 ss., quindi,
recentemente, la parte monografica della rivista Costituzionalismo.it, n. 1/2016, titolato Tornare ai fondamentali: la
solidarietà, con saggi di Adriana Apostoli, Gianluca Bascherini, Lorenza Carlassare, Ilenia Massa Pinto, Eligio Resta.
3
  A. Foti, General Theory of the Precariat. Great Recession, Revolution, Reaction, Institute of Network Cultures,
Amsterdam, forthcoming (2017).
4
  Così l'amara ricostruzione di Mark Fisher, Buono a nulla (Good for Nothing), in http://theoccupiedtimes.org/?
p=12841, March 19, 2014, tradotto in italiano da A. Fumagalli e C. Morini, in http://effimera.org/buono-nulla-good-for-
nothing-mark-fisher/: «un doppio legame vizioso del tutto particolare viene imposto ai disoccupati di lunga data nel
Regno Unito: per tutta la vita è stato detto loro che sono dei “buoni a nulla” e allo stesso tempo possono fare qualsiasi
cosa vogliano».

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3. Per l'emersione di un nuovo costituzionalismo sociale e giuslavorismo garantista
   Il dibattito costituzionalistico, giuslavoristico e degli scienziati sociali dell'ultimo ventennio del
Novecento è stato solo in parte attraversato dal nesso trasformazioni del lavoro/della società in
senso post-fordista e aggiornamento inclusivo dei sistemi di Welfare, a partire dall'esigenza di
prevedere diritti sociali universali e uno strumento di garanzia di un reddito di base, avendo come
obiettivo anche l'orizzonte istituzionale di un'Europa sociale [dal saggio di Guy Standing, Un
reddito di cittadinanza per gli europei, del 1988, agli studi curati da Alain Supiot, Au-delà de
l'emploi, 1999 e ried. 2016, quindi nel dibattito italiano sull'aggiornamento delle garanzie al tempo
del post-fordismo, si vedano i saggi contenuti in Sergio Bologna e Andrea Fumagalli (a cura di), Il
lavoro autonomo di seconda generazione, 1997 e, in ambito giuslavoristico, i classici studi di
Massimo D'Antona].

    Ma è nel corso dell'ultimo decennio, anche dinanzi all'acuirsi degli effetti sociali ed economici
della crisi finanziaria globale e monetaria europea e all'evolversi della “rivoluzione digitale”, che il
confronto intorno alla necessità di garantire strumenti universali di inclusione sociale, a partire da
una qualche forma di reddito di base latamente inteso, si diffonde nella dottrina costituzionalistica e
giuslavoristica dei Paesi con il Welfare più “familistico” e meno inclusivo, come nel caso italiano, a
cominciare da numerosi studi di Luigi Ferrajoli (in particolare l'ampia ricostruzione in Principia
iuris. Teoria del diritto e della democrazia. 2. Teoria della democrazia, Roma-Bari, 2007, spec. 404
ss., dove parla di «diritto alla sussistenza, diritto ai minimi vitali e reddito sociale universale»), e per
la dottrina costituzionalistica da Filippo Pizzolato (Minimo vitale. Profili costituzionali e processi
attuativi, 2004), fino a Chiara Tripodina (Il diritto a un'esistenza libera e dignitosa. Sui fondamenti
costituzionali del reddito di cittadinanza, 2013). Si veda quindi il dialogo tra giuslavoristi e
costituzionalisti raccolto in: Caruso, Bruno, Fontana, Giorgio (a cura di), Lavoro e diritti sociali
nella crisi europea. Un confronto fra costituzionalisti e giuslavoristi, 2015.

   Ed è proprio in questa tensione dottrinaria, di studiosi sensibili all'affermazione di un nuovo
costituzionalismo sociale e favorevoli all'introduzione di una misura universalistica di reddito di
base che si lega il tema reddito di esistenza/diritti di cittadinanza sociale, intorno alla necessità di
prevedere un “reddito di cittadinanza” inteso come «reddito garantito da una comunità politica per
assicurare a tutti il diritto all'esistenza, [...] per consentire a tutti (anche a chi formalmente cittadino
non è) un'esistenza “da cittadini”. Non si vive – non si pensa, non si parla, non si agisce, non si
partecipa – da cittadini, infatti, se non si ha garantita un'esistenza libera e dignitosa. Essendo libertà
e dignità dell'esistenza contenuto minimo essenziale di cittadinanza»5.

    È l'idea e la pratica di promuovere una piena e sostanziale cittadinanza sociale che recuperi le
letture più progressive del dettato costituzionale in tema di diritti sociali, dignità della persona e
delle forme e condizioni di lavoro, a partire dalle ricostruzioni proposte già nei primi anni
repubblicani da Costantino Mortati e Massimo Severo Giannini, in un dialogo intergenerazionale
che tesse un filo rosso tra le interpretazioni più progressive della tradizione costituzionale
repubblicana, ponendo al centro dell'assetto istituzionale e delle garanzie sociali la tutela della
persona, rileggendo l'art. 4 Cost. e 38, secondo comma, Cost. e attualizzando il dettato degli artt. 2,
3, 36 e 41 Cost., per insistere sull'evoluzione dei sistemi di protezione sociale in Europa, per
pensare un sistema di sicurezza sociale che dal «minimo vitale» (Pizzolato), riconosca un reddito di
base come «diritto alla sussistenza» della persona, vero e proprio diritto sociale fondamentale, ius
existentiae (Luigi Ferrajoli e Giuseppe Bronzini).

5
  C. Tripodina, Reddito di cittadinanza come “risarcimento per mancato procurato lavoro”. Il dovere della Repubblica
di garantire il diritto al lavoro o assicurare altrimenti il diritto all’esistenza, in Costituzionalismo.it, 25 marzo 2015,
http://www.costituzionalismo.it/articoli/497/.

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Tanto più ora, infatti, dinanzi al diamante frammentato delle forme di produzione e del lavoro, è
«sul piano socio-economico, cioè dei luoghi reali, che occorre cercare dove la tutela della persona
assume una valenza pluridimensionale» (Lorenzo Zoppoli, 2008), in una prospettiva istituzionale
multilivello che lega gli spazi locali e plurali del vissuto quotidiano (città, municipi, scuole,
dimensioni collettive di lavoro e del tempo libero, dell'associazionismo culturale, sociale, religioso,
etc.) ad una rete sempre più ampia e sovranazionale di integrazione tra le differenze. E in questo
senso c'è una parte del giuslavorismo italiano ed europeo più garantista (da Alain Supiot a Silvana
Sciarra) che prova da tempo a pensare la dimensione molteplice di uno statuto continentale di tutele
sociali che favorisca un'inedita visione e ibridazione di autonomia e solidarietà, per uno statuto delle
attività nell'economia post-fordista e digitale: «non livellare, espropriando gli esiti dell'autonomia
individuale, ma garantire che l'autonomia individuale si svolga entro ambiti protetti» (Massimo
D'Antona, 1998).
    E in questo solco si inserì il Forum curato dal compianto Sergio Mattone, Dibattito. Il reddito
garantito: verso un nuovo Welfare (in Questione Giustizia, 4/2010, pp. 67-90), cui parteciparono
giuslavoristi, economisti e sociologi (Giuseppe Bronzini, Andrea Fumagalli, Luciano Gallino,
Massimo Roccella) nel tentativo di ragionare intorno all'affermazione di un nuovo sistema di
Welfare più inclusivo ed universalistico, a partire dalla garanzia di un reddito di base. Per
recuperare da un lato una tutela effettiva, concreta ed emancipatrice, della dignità umana e dall'altra
l'autodeterminazione dei propri tempi di vita e lavoro, come possibilità di non sottostare ai ricatti
della povertà e dell'esclusione sociale, né del lavoro povero e della sua mancanza, e poter tornare a
pensare e finalmente praticare la “società delle pluri-multi-attività” e “dei tempi di lavoro
liberamente scelti” sulla quale sempre André Gorz insisteva a lungo già dinanzi all'incremento della
disoccupazione di massa e alle possibilità di cooperazione mutualistica nella società della
conoscenza degli anni Ottanta e Novanta del Novecento. E proprio in quegli anni si ricorda come si
provasse a ribaltare la persistente condizione di disoccupazione di ampie masse di cittadini con una
lettura del reddito di base/di cittadinanza come strumento di investimento collettivo, istituzionale,
sulle potenzialità inespresse delle persone, contro il pericolo di marginalizzazione ed esclusione
sociale (C. Offe, A. Vatta, Il reddito di cittadinanza: una strategia inevitabile per contrastare la
disoccupazione, in Stato e mercato, n. 56 (2), agosto 1999, pp. 213-241).

   E quasi venti anni dopo, il reddito di base torna ad essere pensato come diritto sociale
fondamentale all'esistenza e misura adatta alla tutela della dignità e dell'autodeterminazione
dell'essere umano in un'epoca in cui la moltiplicazione e divisione sociale e globale della forza
lavoro apre orizzonti quotidiani di vita messa al lavoro (sempre più scarsamente remunerato), sulle
piattaforme digitali del “capitalismo cognitivo”, e disoccupazione di masse in movimento alla
ricerca di una vita degna6. Con gli effetti dell'innovazione tecnologica che potrebbero amplificare
ulteriormente la riduzione dei posti di lavoro e impiego tradizionale a fronte della robotica evoluta,
stando al celebre rapporto nel quale il World Economic Forum prevede la riduzione di milioni di
posti di lavoro a fronte di digitalizzazione e robotizzazione di molti mestieri 7. Perciò diviene sempre
più necessario immaginare un dividendo sociale, un reddito di esistenza nell'era digitale, che
riconosca un «diritto sulla ricchezza prodotta, presente e futura, in rapporto alle condizioni reali
entro cui detta produzione di ricchezza effettivamente si sviluppa», grazie alla cooperazione sociale

6
  Presentano una nuova cartografia e genealogia della divisione sociale e internazionale del lavoro nel capitalismo
globalizzato S. Mezzadra, B. Neilson, Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale, Bologna,
2014 [2013]. Ripensa gli spazi di un reddito garantito nel capitalismo immateriale e cognitivo Y. Moulier-Boutang, Le
capitalisme cognitif. La Nouvelle Grande Transformation, Paris, 2007. In un piccolo effervescente e provocatorio
pamphlet, riprende il tema della fine dell'impiego tradizionale, per ripensare le forme della libertà attiva e dell'operosità,
B. Stiegler, L'emploi est mort, vive le travail! Entretiens avec Ariel Kyrou, Paris, 2015, già autore di studi intorno a La
Société automatique. 1. L’avenir du travail, Paris, 2015.
7
  World Economic Forum, The Future of Jobs Report: http://reports.weforum.org/future-of-jobs-2016/.

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in rete, tra diversi8. Un reddito di base che permetta a ciascuno di accedere alla redistribuzione della
ricchezza collettiva prodotta da tutti. Nella prospettiva di pensare il reddito di base come
assicurazione sociale adatta al tempo dell'economia dei robot e dell'intelligenza artificiale prossima
ventura.

    4. Il reddito di base nella questione sociale europea.
    Può essere infatti la previsione di un reddito di base (inteso come dividendo sociale, basic
income, allocation universelle, reddito di cittadinanza, reddito minimo garantito, etc., per
riprendere le tipologie indagate nel tempo da Philippe Van Parijs), garantito al di là del lavoro
tradizionale, vero e proprio ius existentiae e fondamento di un nuovo droit social continentale e
garanzia di base nell'epoca dell'economia digitale, lo strumento attraverso il quale immaginare il
superamento della società salariale e dare una risposta positiva alle osservazioni di André Gorz
riportate all'inizio. E la sfida è proprio quella di ripensare princìpi e pratiche di solidarietà
continentale, per innescare la creazione di un'Europa sociale e un sistema di Welfare europeo che
garantisca accesso ai servizi pubblici essenziali di qualità e protezioni sociali universali per provare
a risolvere la questione del diritto alla sussistenza delle cittadinanze d’Europa e di tutti coloro che vi
risiedono legalmente, attualmente schiacciati tra grande recessione globale, impoverimento del
lavoro e possibilità sopite dell'innovazione tecnologica e digitale.
    Alla ricerca di un nuovo diritto costituzionale, sociale e del lavoro in chiave continentale, di
quello che potremmo chiamare a European common floor of fundamental social rights e che il
Parlamento europeo ha definito in una recente, importante, risoluzione in favore dell'adozione di un
«pilastro europeo dei diritti sociali» (EPSR) come la soluzione che «consenta di attuare
efficacemente i diritti sociali esistenti e che ne definisca di nuovi, ove giustificato dai nuovi sviluppi
tecnologici e socio-economici»9. E questo auspicato pilastro sociale europeo fa leva su alcuni profili
tra loro interconnessi: la garanzia di diritti sociali per il lavoro latamente inteso, al tempo delle
attività lavorative nella economia digitale di piattaforma, a partire dalla definizione di un salario
minimo legale; quindi la previsione di un reddito minimo garantito e la tutela della dignità umana,
senza condizioni10.

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Diritto della Sicurezza Sociale, n. 1/2014, 204.
9
  Risoluzione del Parlamento europeo del 19 gennaio 2017 su un pilastro europeo dei diritti sociali, (2016/2095(INI)),
spec. 11.
10
   Per un primo, rapido, commento di questa risoluzione si rinvia a Comitato scientifico Basic Income Network – Italia
(a cura di), Il Parlamento europeo in favore di un “pilastro europeo dei diritti sociali”, a partire dal reddito minimo
garantito, 23 gennaio 2017: http://www.bin-italia.org/europa-sociale-nuova-risoluzione-reddito-garantito/.

                                                                                                                           6
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