I poteri sanzionatori dell'Ente Parco - e Giacomo Nicolucci - GognaBlog

Pagina creata da Erica Pugliese
 
CONTINUA A LEGGERE
ISSN 1826-3534

                5 DICEMBRE 2018

I poteri sanzionatori dell’Ente Parco

              di Giampiero di Plinio
     Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico
      Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Pescara

               e Giacomo Nicolucci
      Docente a contratto di Diritto processuale penale
        Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”
I poteri sanzionatori dell’Ente Parco *
         di Giampiero di Plinio                                             e Giacomo Nicolucci
    Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico            Docente a contratto di Diritto processuale penale
     Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Pescara                   Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”

Sommario: 1. Il profilo generale delle sanzioni amministrative. — 2. La disciplina sanzionatoria della
legge quadro sulle aree naturali protette. — 3. Le sanzioni amministrative nella legge quadro:
configurazione e garanzie. — 4. Il vaglio della Suprema corte. — 5. Percorsi motivazionali. — 6. I confini
della sanzione amministrativa. — 7. Questioni eccentriche. — 8. Considerazioni di sintesi

1. Il profilo generale delle sanzioni amministrative
A seguito dell’emanazione della l. 689/1981, la natura giuridica e i lineamenti formali e sostanziali
dell’istituto della sanzione amministrativa configurano un modello speciale delle categorie generali
dell’atto, dell’attività e del procedimento amministrativo, con la conseguenza che la sanzione
amministrativa, in quanto ‘effetto di reazione’ dell’ordinamento alla violazione di norme imperative poste
a tutela di interessi pubblici, è caratterizzata da fini di prevenzione e repressione di tali violazioni e dunque
assume natura punitiva, secondo un modello fisionomicamente simile alla sanzione penale. Ne è prova
empirica il fatto che in regime di coesistenza di sanzione amministrativa e sanzione penale per una stessa
violazione, il principio generale è quello della non cumulabilità, derogabile solo in caso di disposizioni
espresse1. Se sanzione penale e sanzione amministrativa avessero finalità diverse, come ha evidenziato
correttamente la migliore dottrina2, allora il cumulo sarebbe principio generale e ipotesi ‘normale’, non
fattispecie eccezionale. L’identità funzionale tra le due tipologie di sanzioni non implica peraltro una
totale omologazione dei due istituti, che appaiono ben distinti se si considera la sostanziale differenza tra
le categorie di beni su cui grava ciascuna di esse, in quanto, la sanzione penale è in grado di ‘limitare’
libertà fondamentali, richiedendo di conseguenza e perentoriamente, oltre alla riserva di legge, una riserva
di giurisdizione mentre la sanzione amministrativa non può che avere per oggetto ‘prestazioni’ patrimoniali
o personali nel contesto generale del solo art. 23 Cost., e pertanto essere assoggettata alla sola riserva di

* Articolo sottoposto a referaggio. Il presente scritto è stato redatto, per i paragrafi 1-3 da Giampiero di Plinio e i
paragrafi 4-7 da Giacomo Nicolucci. Le riflessioni conclusive sono comuni.
1 Cfr. Cass., sez. I, 22 novembre 2004 n. 21976, che circoscrive in tal modo a ipotesi di espressa eccezione il c.d.

‘cumulo delle sanzioni’.
2 A. Travi, Sanzioni amministrative e pubblica amministrazione, CEDAM, Padova, 1983. V. anche Incertezza delle regole e

sanzioni amministrative, Relazione al Convegno annuale dell’Associazione italiana dei professori di diritto
amministrativo, Napoli, 3 ottobre 2014, in Diritto amministrativo 2014, p. 627

2                                                  federalismi.it - ISSN 1826-3534                           |n. 23/2018
legge, e conseguentemente direttamente applicata dalla pubblica amministrazione, senza la necessità
dell’intervento del giudice.
Dalla natura tipicamente punitiva della sanzione amministrativa e dal suo essere assoggettata alla sola
riserva di legge discendono alcune importanti conseguenze, nella misura in cui questi caratteri intersecano
valori costituzionali quali i principi di legalità, di eguaglianza/ragionevolezza, di favor rei/favor libertatis, con
tutto quel che ne consegue in termini di predeterminazione della sanzione, ragionevolezza della
fattispecie, irretroattività, certezza della misura della sanzione, nonché il mix tra razionalità,
proporzionalità e tutela dell’affidamento nella determinazione e applicazione concreta della sanzione da
parte dell’autorità amministrativa.

2. La disciplina sanzionatoria della legge quadro sulle aree naturali protette
La disciplina generale, sia sostanziale che procedimentale dettata dalla l. 689/1981, è derogabile da fonti
successive di pari grado, sebbene resti ancora problematico se la normativa di principio sia o meno
vincolante per le fonti legislative regionali nelle materie a competenza ‘esclusiva’ delle medesime.
Puntualmente, nella legislazione speciale di settore (codice della strada, acque, disciplina tributaria,
concorrenza, comunicazioni, responsabilità delle persone giuridiche e altro) successiva alla suddetta legge,
sono state variamente introdotte deroghe e variazioni anche rilevanti al modello della legge 689. Non
sembra peraltro sostenibile la tesi del superamento totale del suddetto modello, anche perché la stessa
legge 689 è costellata di fattispecie che hanno essenzialmente caratteri applicativi o estrinsecativi di norme
e principi di diritto costituzionale positivo3.
La disciplina sanzionatoria della legge quadro sulle aree naturali protette 394/1991 non pare, a prima
lettura, discostarsi sensibilmente dal modello generale della legge 689/1981, ma, se la si legge nel contesto
del modello complessivo — di protezione della natura e del patrimonio naturale mediante aree
territorialmente delimitate — strutturato sul principio di specialità dell’intero ‘ordinamento sezionale’
attivato nella legge quadro, essa assume profonde sfumature di differenziazione, e da ciò derivano, come
vedremo, conseguenze in relazione alla legalità di sanzioni e alla integrazione degli strumenti complessivi
di reazione e controllo, disponibili per la gestione delle aree naturali protette.
Alludo alla ricostruzione teorica del sistema giuridico di protezione del patrimonio naturale in zone
territorialmente definite (le aree protette) avviata in via seminale dalla dottrina immediatamente dopo
l’emanazione della legge quadro 394/1991, come ordinamento sezionale/speciale fondato sul principio

3In questo senso le varie pronunce della Corte costituzionale, richiamate adesivamente da CERBO, Le sanzioni
amministrative, in Dizionario di diritto pubblico, a c. di S. Cassese, Giuffrè, Milano, 2006, in part. p. 5426 ss.

3                                            federalismi.it - ISSN 1826-3534                            |n. 23/2018
della ‘protezione integrale’ e sulla supremazia, nel territorio protetto, dell’interesse naturalistico su
qualsiasi altro interesse privato o pubblico4.
Per sintetizzare tale modello teorico, si può partire dall’evidenza che in tutti i modelli giuridici di
protezione della natura vi è una costante, un elemento invariante, cioè la specialità delle norme sulla protezione
rispetto alle norme comuni che disciplinano l’uso del territorio e delle risorse naturali. In altre parole, le
forme giuridiche delle aree protette si concretizzano in regolazioni, regimi, sistemi e, talora, ordinamenti,
che fanno sempre eccezione alle regolazioni, ai regimi, agli ordinamenti di carattere generale. La ragione di
queste discipline di eccezione è sempre la stessa, perché costituisce il core, l’essenza intima dell’istituzione
di parchi e riserve naturali: si tratta del principio di conservazione degli equilibri naturali, almeno di quelli
non modificati in modo irreversibile dalle attività umane, e ove possibile del loro ripristino.
L’evidenza empirica mostra anche che nell’adempimento di tali finalità la struttura di gestione si trova in
continuo rapporto, spesso in conflitto, con privati e pubblici poteri che hanno interessi altrettanto
personalizzati alla trasformazione del territorio protetto. Il problema di fondo della tutela giuridica della
natura è appunto in questo passaggio cruciale: in caso di conflitto, in ultima istanza, prevalgono le ragioni
della natura oppure quelle dell’economia e della politica? La teoria giuridica della protezione integrale si
fonda sulla premessa che debbano prevalere le prime e disegna conseguentemente una tecnica giuridica
adeguata, suggerendo, semplicemente, che la struttura tecnico-scientifica deputata alla tutela e gestione
della natura nel territorio protetto sia dotata di strumenti in grado di bloccare trasformazioni del territorio
decise da qualsiasi altro potere, pubblico o privato, difformi da quelle consentite dal piano di assetto
naturalistico e dalla sua regolamentazione attuativa.
Seppure non sempre compresa, e meno che mai effettivamente garantita, nella prassi amministrativa, la
natura peculiare della legge quadro è stata ampiamente accolta in giurisprudenza, che ha spesso trasposto,
nelle sentenze, intere pagine tratte dalla dottrina della protezione integrale5.

4 G. DI PLINIO, Diritto pubblico dell’ambiente e aree naturali protette. Il dualismo giuridico dell'ambiente fra tutela comparativa
e protezione integrale, Utet, Torino, 1994, è l’autore al quale generalmente si accredita, in via adesiva o critica, la
formulazione compiuta e articolata di questa teoria, sulla scorta della risalente, e mai sviluppata, intuizione di M.S.
GIANNINI, Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1/1973, p. 15 e ss., quasi vent’anni
prima della emanazione della legge 394.
5 «E’ stato notato in dottrina, con efficacia, che la protezione della natura mediante il parco, è la forma più alta ed efficace tra i vari

possibili modelli di tutela dell’ambiente, il cui peggior nemico è senza dubbio la produzione economica moderna. Le idee di parco in
senso moderno ... appaiono legate ad una filosofia di protezione integrale della natura, intesa come isola protetta, riserva integrale,
concezione di tipo radicalmente conservativo, mirante alla cristallizzazione nel tempo del quadro paesistico e dell’ecosistema globale del
territorio. Fin dall’origine il parco è legato all’idea di spazio pubblico protetto, integralmente controllato, in modo da escludere forme di
interesse economico e lucrativo incompatibili con la missione di protezione integrale della natura affidata al parco .... non v’è dubbio
che ogni volontà di utilizzazione economica delle aree tutelate come parchi naturali debba fare i conti con le esigenze di salvaguardia
delle caratteristiche essenziali del bene tutelato, spostandosi il centro di gravità dalla protezione integrale allo sviluppo equilibrato ed
eco-compatibile dell’are protetta. Non può in sostanza porsi in dubbio che la ragione d’essere della delimitazione dell’area protetta
risieda nell’esigenza di protezione integrale del territorio e dell’eco-sistema e che, conseguentemente, ogni attività umana di trasformazione

4                                                      federalismi.it - ISSN 1826-3534                                        |n. 23/2018
Dai principi di separazione e specialità la giurisprudenza ha fatto in genere derivare la prevalenza
dell’interesse naturalistico su tutti gli altri interessi, pubblici e privati, insistenti sul territorio, così che la
sentenza prima citata del Consiglio di Stato che privilegia la protezione della natura rispetto alla tutela
ambientale costituisce, altro che una isolata eccezione, la conferma di un trend giudiziale che viene da
lontano6. E che va lontano, se si considera che la Corte Costituzionale7 ha più recentemente rafforzato,
dal punto di vista della ripartizione costituzionale di competenze tra Stato e Regioni, la centralità del
principio di protezione come regola da un lato non disponibile ai livelli locali e dall’altro dotata di
supremazia formale nei confronti degli altri interessi presenti sul territorio dell’area protetta.
Si deve, peraltro, anche rilevare che, se il “diritto vivente” della giurisprudenza ha contribuito alla
costruzione della nuova cultura giuridica dei territori protetti, al contrario, le forze politiche, i “poteri”
del territorio, ma anche le stesse burocrazie dei parchi, hanno smantellato, spesso ciecamente, i
meccanismi e le dinamiche della protezione naturalistica integrale. Malgrado la forza giuridico-formale
delle tecniche di protezione, sul piano concreto la legge quadro è stata abbandonata agli errori e alle
omissioni, o ai calcoli deliberati, o peggio alla stupidità, delle varie istituzioni e organismi che avevano
l’obbligo di attuarla rapidamente ed efficientemente, ma si sono ben guardati dal farlo, con la conseguenza
che errori e orrori dei poteri che hanno maneggiato le aree protette in questi vent’anni hanno scarnificato
la 394, e, un pezzo alla volta, hanno lavorato alla devitalizzazione della protezione integrale8.

3. Le sanzioni amministrative nella legge quadro: configurazione e garanzie
Coniugando insieme i principi generali dell’azione sanzionatoria amministrativa con i principi di specialità
dell’ordinamento del parco, e con il complessivo toolkit di strumenti di cui dispone il sistema della
protezione integrale, si ottiene un modello interpretativo semplice ed efficiente.

dell’ambiente all’interno di un’area protetta, vada valutata in relazione alla primaria esigenza di tutelare l’interesse naturalistico, da
intendersi preminente su qualsiasi indirizzo di politica economica o ambientale di diverso tipo, sicché in relazione all’utilizzazione
economica delle aree protette non dovrebbe parlarsi di sviluppo sostenibile ossia di sfruttamento economico dell’eco-sistema compatibile
con esigenza di protezione, ma, con prospettiva rovesciata, di protezione sostenibile, intendendosi con tale terminologia evocare i vantaggi
economici che la protezione in sé assicura senza compromissione di equilibri economici essenziali per la collettività, ed ammettere il
coordinamento fra interesse alla protezione integrale ed altri interessi solo negli stretti limiti in cui l’utilizzazione del parco non alteri
in modo significativo il complesso dei beni compresi nell’area protetta»: Cons. Stato, Sez. VI, 16 novembre 2004, n. 7472, in
Riv. giur. edil., 2005, I, p. 524. I passi qui riportati sono stati tratti direttamente dal libro citato nella precedente nota.
6 Cfr. variamente, Cass. pen. Sez. III, del 19 ottobre 1995 n. 10407, Di Felice; Cass. Pen., Sez. III, 11 dicembre

1998, n. 12917, Adorno; Cass. Pen., Sez. III, 11 gennaio 2000, n. 83, De Rosa; Cass. Pen., Sez. III, 12 maggio 2003,
n. 20738, Fechino; Cass. Pen., Sez. III, 20 giugno 2003, n. 26863, Pasca ed altri; Cass. Pen., Sez. III, 15 dicembre
2003, n. 47706, Messere; Cass. Pen., Sez. III, 12 luglio 2006, n. 33966, Salvemini, Prima della legge quadro, cfr. in
part. Corte cost., sentenze 1029, 1031, 1108/1988.
7 Corte Cost., 26 maggio 2010, n. 193.
8 G. di Plinio, Aree protette vent’anni dopo. L’inattuazione “profonda” della legge 394/1991, in Riv. Quad. Dir. Amb., 3/2011,

p. 29 ss., al quale si rinvia per ulteriori fonti e riferimenti.

5                                                      federalismi.it - ISSN 1826-3534                                        |n. 23/2018
L’art. 30 della legge quadro dispone una forbice sanzionatoria nettamente inferiore nei valori massimi a
quella prevista dalla legge 689/81, e conseguentemente il principio del favor libertatis impone la scelta della
sanzione più favorevole, e a favore di tale soluzione militano anche i principi di specialità
dell’ordinamento delle aree protette e la posteriorità temporale della legge quadro. Il massimo edittale di
cui all’art. 30, sembrerebbe costituire pertanto un limite invalicabile non solo per l’azione sanzionatoria
concreta dell’amministrazione dell’Ente Parco, ma anche per le fonti normative interne, piano e
regolamento le quali, pur essendo caratterizzate dalla natura piena di fonti del diritto ‘sui generis’ in quanto
espressione di un ordinamento sezionale, non possono che soggiacere a principi di diretta derivazione
costituzionale.
In secondo luogo, e alla luce dei medesimi principi, il tenore formale del suddetto art. 30 l. 394/1991 non
consente, come correttamente ha sostenuto la giurisprudenza di merito, l’introduzione per via
regolamentare di un modello sanzionatorio proporzionale in grado di produrre, per ciascuna violazione,
una sanzione di misura superiore al massimo edittale, con la conseguenza che un sistema sanzionatorio
eventualmente proporzionale ─ sanzione standard, predeterminata, di calcolo e coefficiente di
moltiplicazione variabile in relazione al caso concreto ─ sarebbe in ogni caso illegittima.
A diversa valutazione condurrebbe la problematica della graduazione, che in generale non necessita di
uno specifico atto di predeterminazione delle fattispecie da graduare al fine di auto-vincolare l’esercizio
della funzione amministrativa, venendo in applicazione il principio generale di cui all’art. 11 della legge
689 del 1981. Tuttavia, l’amministrazione del Parco, anche al di fuori della fonte regolamentare, ben può
con atto amministrativo generale procedere ad una preventiva autolimitazione della discrezionalità
amministrativa disciplinata in via generale dal sopracitato articolo 11, l. 689/81, ma sempre e soltanto
entro i limiti massimi e minimi previsti dall’art. 30, per ciascuna infrazione.
Quello che non può fare in assoluto l’amministrazione è manipolare le fattispecie degli illeciti, cioè la
tipologia, la quantità, la natura, la configurazione, la qualificazione delle violazioni che daranno origine al
procedimento e al provvedimento sanzionatorio.
A questo punto, sviluppando le anticipazioni di possibili conseguenze sulla disciplina sanzionatoria della
peculiarità dell’ordinamento delle aree protette, come promesso nel precedente paragrafo, corre l’obbligo
di chiedersi se il potere conformativo delle fattispecie sanzionatorie, escluso come si è visto in sede di
gestione amministrativa dell’Ente, sia invece disponibile per il Regolamento del Parco, come fonte del
diritto, seppure sui generis. Qui i caratteri di specialità della disciplina delle are protette possono giocare un
ruolo peculiare e, ad avviso di chi scrive, integrare e conformare le disposizioni di cui all’art. 6 e 11 terzo
comma.

6                                           federalismi.it - ISSN 1826-3534                          |n. 23/2018
Vi è un espresso richiamo legislativo: il comma 4 dell’art. 6 della legge quadro, disponendo che
«dall'istituzione della singola area protetta sino all'approvazione del relativo regolamento operano i divieti e le
procedure per eventuali deroghe di cui all'articolo 11» lascia inequivocabilmente intendere che il
regolamento non solo è richiamato quale fonte di fattispecie di violazioni, ma può introdurre ulteriori
divieti (e configurare le relative sanzioni entro i limiti dell’art. 30) e financo deroghe, cioè eccezioni, alle
previsioni del comma 3 dell’art. 11.
In tale contesto, va subito precisato che proprio il modello ‘speciale’ di ordinamento sezionale del Parco
consente l’adattamento del principio di legalità del ‘reato’/infrazione e della relativa sanzione. A parte
l’ovvia osservazione che ogni forma concreta di ecosistema (patrimonio naturale) è diversa dalle altre e
necessita di regolazioni (di derivazione tecnico-scientifica) e divieti ad hoc, va osservato che il sistema di
protezione naturalistica funziona attraverso un meccanismo di sospensione ex lege, nella zona protetta,
dei diritti inerenti le attività ‘umane’, e la loro riemersione, in forme e configurazioni ‘funzionali’,
attraverso il meccanismo di azione di Piano, Regolamento e Nullaosta9. La conseguenza della specialità
della struttura ordinamentale della protezione naturalistica è una estensione della sfera di autonomia del
Regolamento nella configurazione e anche determinazione di infrazioni-sanzioni rispetto agli elenchi delle
misure di salvaguardia e della stessa legge quadro, con un dubbio e una precisazione. Il dubbio attiene
alla collocazione delle disposizioni regolamentari integrative degli elenchi legislativi di divieti/infrazioni,
se nel comma 1 del suddetto art. 30 o nel comma 2, che fa riferimento, prevedendo una forbice
sanzionatoria di entità inferiore, alla «violazione delle disposizioni emanate dagli organismi di gestione delle aree
protette»; data la forma ministeriale del decreto di approvazione del regolamento, si ritiene valida la prima
alternativa.
Tuttavia, è appena il caso di sottolinearlo, attraverso la configurazione regolamentare delle infrazioni, è
possibile rendere più efficace, e deterrente, una forbice sanzionatoria di misura ‘debole’ quale quella
dell’art. 30, comma 2 la quale in fondo trova giustificazione, al di là dei limiti materiali e pratici di ogni
sistema sanzionatorio, nei ben più affilati meccanismi di risarcimento ambientale e ripristino dello stato
dei luoghi previsti dalla legge quadro10.

9 Sia consentito ancora il rinvio a DI PLINIO, Diritto pubblico dell’ambiente, cit, p.234, cui adde Id., Il nulla osta dell'ente
parco, in Revista de Direitos Difusos, 2001, p. 1525 ss. (pubbl. anche in Diritto & Diritti, ottobre 2001,
www.diritto.it/materiali/ambiente/plinio.html). Va comunque precisato che una siffatta natura ‘forte’ del
Regolamento è tutt’altro che pacifica in dottrina.
10 Che non incontrano, stranamente ma non troppo, molta popolarità tra gli enti gestori dei parchi, per ragioni

molto più banali di quanto si possa immaginare

7                                                federalismi.it - ISSN 1826-3534                                 |n. 23/2018
4. Il vaglio della Suprema corte
I Giudici di Piazza Cavour hanno, molto recentemente, affrontato un caso particolarmente emblematico
in relazione al potere degli enti parco di irrogare sanzioni amministrative ai sensi dell’art. 30 l. 394/1991.
Il dato storico di partenza è costituito dalla circostanza per cui l’Ente parco nazionale della Maiella, nelle
more dell’approvazione del Regolamento del Parco, ha deciso di costruire un sistema tabellare di
graduazione delle sanzioni pecuniarie amministrative.
L’intento perseguito poteva dirsi conforme alle esigenze di cui all’art. 11 l. 689/1981, in maniera da
orientare gli uffici nella determinazione della sanzione al momento della pronuncia dell’ordinanza-
ingiunzione.
Purtuttavia, oltre ad altri aspetti critici da subito evidenziati, come la mancanza di tassatività di alcune
fattispecie ivi descritte ex novo (e che magari avrebbero dovuto meglio trovar sede, appunto, nello
strumento regolamentare), sono stati introdotti con un mero provvedimento amministrativo dei
meccanismi moltiplicatori della sanzione in ragione di specifici parametri di misura: metri cubi, metri
quadri, metri lineari (ad esempio: nel caso di realizzazione di cavidotti, elettrodotti, o di impianti a fune,
o di siepi, o di costruzione di muretti a secco, ecc.), litri al secondo, o loro “frazioni”. Oppure in forza di
criteri di commisurazione per “singolo esemplare”, ad esempio: di specie vegetali raccolte o danneggiate,
o di specie alloctone introdotte o di esemplare di minerale asportato. Ma anche per ogni pianta recisa, nel
caso di taglio di boschi e piante. Nel caso di campeggio non autorizzato, la sanzione veniva commisurata
per: tenda, caravan, roulotte, o “mezzi simili”, per ogni giorno.
Anche le attività sportive svolte in assenza di nulla osta o in difformità da questo sono state ricomprese
nella tabella sanzionatoria in parola, ma con due pesanti elementi di criticità. Da un lato, invero, è stato
formulato un elenco non esaustivo di condotte rilevanti («attività sportive: deltaplano, parapendio, canoismo,
arrampicata libera etc.»), con una fattispecie “aperta”11 a qualsiasi ulteriore esegesi applicativa da parte
dell’interprete (o, meglio, ad opera degli organi deputati al controllo ed all’accertamento). Dall’altro, la
parametrazione della sanzione da irrogarsi è stata definita «per unità». E, certamente, è difficile da
comprendere quale sia la “unità” da rilevarsi anche per le attività sportive menzionate a titolo di
esemplificazione non esaustiva.
In altri casi, il criterio moltiplicatore stabilito appare addirittura estremamente complesso. Poteva dirsi
così per l’«inquinamento di corpi idrici superficiali e sotterranei», punito con la sanzione amministrativa di €
200,00, «in relazione alla portata/giorno del corpo idrico (portata secondo l/s x 60 s (secondi per minuto) x 60 mm
(minuti per ore) x 24 h; 1000 = mc) per mc e frazione di mc».

11   In forza dell’impiego della locuzione “et coetera”.

8                                                 federalismi.it - ISSN 1826-3534                     |n. 23/2018
Al di là della distonia recata dal fatto che una fattispecie di “inquinamento” di corpi idrici, nonostante sia
stata descritta sotto la rubrica degli «interventi, impianti, opere ed attività eseguite in assenza di nulla-osta dell’ente
parco o in difformità del nulla-osta rilasciato», non potrebbe mai trovare assenso procedimentale (nulla osta)
nel sistema della l. 394/1991, vi è che, come percepibile anche per le altre condotte sin qui campionate
dalla citata “tabella sanzionatoria”, il risultato finale ottenuto è sempre quello del notevole travalicamento
dei limiti edittali di cui alla forbice legislativa di cui all’art. 30 comma 2 l. 394/1991.
E ciò sin dal momento dell’accertamento della violazione, e dunque con un innegabile condizionamento
anche per la possibilità di accedere al pagamento in misura ridotta ai sensi dell’art. 16 l. 689/1981.
Per vero, dovendo gli organi deputati al controllo accertare sin dal verbale di contestazione, ad esempio,
il numero di alberi recisi nel taglio di un bosco, oppure, allo stesso modo, il numero di specie vegetali
raccolte, o i metri lineari di un demolito e ricostruito impianto di risalita, o di un elettrodotto, o di una
linea telefonica, anche solo quali interventi eseguiti in difformità dal nulla-osta rilasciato, è facile
comprendere come tanto l’importo finale della sanzione da irrogarsi quanto il semplice minimo da
impiegarsi secondo la formula di cui all’art. 16 l. 689/1981 raggiungano facilmente picchi ben più elevati
del massimo edittale di legge, pari soltanto ad € 1.032,00 (benché elevabile sino al triplo in forza del
disposto di cui all’art. 8 l. 689 cit.).
Tutto questo con buona pace per l’obbligo di commisurazione della sanzione ispirato ai criteri penalistici
ci cui all’art. 133 c.p. e per l’indicazione di cui alla circolare della Presidenza del consiglio dei ministri del
19 dicembre 198312 sull’entità delle sanzioni amministrative13.
Ed è su questo terreno che è giunta all’attenzione della Suprema corte14 l’opposizione ad un’ordinanza
ingiunzione emessa nel 2011 recante l’irrogazione di una sanzione pari ad € 15.350,00, per “la violazione

12 In Gazz. Uff., Suppl. ord., n. 22 del 23 gennaio 1984.
13 Espressamente, vi si legge: «sembra opportuno richiamare l'attenzione sulla necessità che l'entità della sanzione
sia mantenuta entro limiti non eccessivamente onerosi, quand'essa si riferisca a leciti di per sé non rilevatori di una
sicura capacità patrimoniale del trasgressore (o degli eventuali obbligati in solido). Infatti, poiché la sanzione
amministrativa è - come già ricordato - insuscettibile di conversione, ne consegue che l'insolvibilità del trasgressore,
oltre a frustrare il significato della sanzione, imporrebbe all'amministrazione di procedere a regolari atti interruttivi
della prescrizione, nonché ad accertamenti periodici della situazione economica dell'obbligato». Quest’ultima
affermazione è certamente, oggi, in parte superata dalla riscossione a mezzo ruolo esattoriale.
14 Cass., sez. II, 7 maggio 2018 n. 10893, in www.italgiure.giustizia.it. In senso conforme e sempre in relazione alla

medesima “tabella sanzionatoria del Parco Nazionale della Maiella: Id, 9 luglio 2018 n. 18026 (nella cui motivazione
si legge anche che « nell'ipotesi in cui i motivi di opposizione investano comunque la verifica della legittimità della
sanzione irrogata, anche sotto il profilo della sua determinazione quantitativa, rientri nei doveri di ufficio del giudice
adito quello di riscontrare anche la rispondenza della norma sanzionatoria al principio di legalità di cui all'art. 1
della legge n. 689/1981, ed anche per ragioni diverse da quelle espressamente prospettate dalla parte, laddove,
come nel caso di specie, si ravvisi un'evidente illegittimità del provvedimento amministrativo che abbia fissato la
misura delle sanzioni applicate, in quanto adottato illegittimamente in maniera tale da imporne la disapplicazione»)
e Id, 2 agosto 2018 n. 20430, ibidem.

9                                               federalismi.it - ISSN 1826-3534                              |n. 23/2018
del combinato disposto degli artt. 13 della l. 394/1991 ed art. 4 co. 3 delle norme di attuazione emanate
dallo stesso Ente parco”.
Per quanto qui interessa, è solo una nota di colore il precisare che la somma ingiunta conseguiva ad una
sostanziale moltiplicazione dell’importo dedotto come da “irrogarsi” nella tabella sanzionatoria de qua
adottata dall’Ente parco, rapportata al numero di metri cubi interessati da un’attività di scavo.
Secondo la sequenza processuale, la sanzione era stata confermata in primo grado, ma ricondotta nella
forbice di legge dalla Corte di appello di L’Aquila, rispetto alla cui decisione l’Ente parco ha inteso
frapporre ricorso per cassazione, sostenendo l’illegittima disapplicazione della delibera presidenziale
recante, appunto, la sanzione proporzionata al quantitativo di materiale fatto oggetto di sbancamento.

5. Il percorso motivazionale
I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto inaccoglibili i motivi di diritto sviluppati dalla difesa dell’Ente
parco circa la legittima previsione di sanzioni proporzionali, assunta nel rinvio generale operato dall’art.
30 comma 5 l. 394/1991 alla l. 689/1981, fra cui doveva ritenersi ricompreso anche il richiamo all’art. 10
l. 689 cit. nella parte relativa all’inesistenza di un massimo per le sanzioni proporzionali.
La costruzione della parte motiva diparte dall’affrontare i rapporti tra legislazione statale e regionale ed
eventuale potestà regolamentare, ai fini della determinazione delle sanzioni amministrative.
In questo senso si è affermato che il principio di legalità posto dall’art. 1 l. 689/1981 consente di dichiarare
inibito alle norme primarie di demandare a fonti secondarie la determinazione della sanzione. Le norme
secondarie possono solo integrare il precetto contenuto nella norma primaria15.
Dunque, «le disposizioni regolamentari dovranno limitarsi ad enunciazioni di carattere tecnico, o
comunque tali da non incidere sulla individuazione del disvalore del fatto e tanto meno sulla
determinazione della sanzione»16.

15 La decisione richiama Cass., Sez. II, 1° giugno 2010, n. 13344, in Giust. civ. Mass. 2010, 6, p. 859, secondo cui:
«In tema di illecito amministrativo, se è compatibile con il principio di legalità la previsione di norme secondarie
integrative del precetto contenuto nella norma primaria, è, invece, in ogni caso inibito alle norme primarie di
demandare a fonti secondarie la determinazione della sanzione. E’ pertanto illegittimo, e va disapplicato, l'art. 55
del regolamento della regione Lombardia 23 febbraio 1993 n. 1, in materia di prescrizioni di massima e di polizia
forestale, che prevede sanzioni proporzionali al danno cagionato al territorio dall'illecito amministrativo, atteso che
la norma primaria (art. 27 l. reg. Lombardia 5 aprile 1976 n. 8), nel fare rinvio a tali prescrizioni, non ha previsto
entro quale ambito, tra un minimo e un massimo, avrebbe potuto essere determinato il danno cui parametrare la
sanzione; ne consegue che ratione temporis rimangono applicabili le sanzioni stabilite, in via transitoria, dal citato art.
27». Sul principio di legalità in tema di sanzioni amministrative, si veda già Cass., sez. II, 22 maggio 2007, n. 11826,
ivi, 2007, p. 5.
16 E’ citata Cass., sez. I, 27 gennaio 2005, n. 1696, in Giust. civ. mass. 2005, p. 1, la cui decisione è così massimata

«poiché alla disposizione dettata dall'art. 1 della legge n. 689 del 1981 deve essere riconosciuto il rango di "principio
generale dell'ordinamento" vincolante per l'esercizio della potestà legislativa regionale ai sensi dell'art. 117 cost., la
riserva di legge è applicabile anche in riferimento alle sanzioni previste dalle leggi regionali. Ne consegue che le

10                                              federalismi.it - ISSN 1826-3534                              |n. 23/2018
Il kern decisionale può, poi, dirsi così dipanato: «l'art. 10 della legge n. 689/81, nel dettare i limiti edittali
minimo e massimo per le sanzioni pecuniarie, precisando che tuttavia le sanzioni di carattere
proposizionale non hanno limite massimo, presuppone che in ogni caso, alla luce dell'interpretazione che
è stata offerta del principio di legalità in tale ambito, la determinazione delle sanzioni avvenga ad opera
di una fonte primaria, laddove nel caso in esame il vizio della Delibera del Presidente dell'Ente, che ne ha
determinato la disapplicazione, è costituito dal fatto di avere autonomamente introdotto delle ipotesi di
sanzioni proporzionali, in assenza di una previsione in tal senso nell'art. 30 della legge n. 394/91».
La statuizione, ancorché sintetica, è precisa e di agevole lettura: l’introduzione di ipotesi di sanzioni
proporzionali da parte dell’Ente parco non poteva dirsi legittima. E ciò, a prescindere dallo strumento
impiegato (delibera presidenziale piuttosto che regolamento del parco).
Ciò, come detto, in ragione del principio di legalità ex art. 1 l. 689/1991, per cui alle norme secondarie
(regolamentari)17 non è consentito né modificare il precetto sanzionatorio, né intervenire sulla
determinazione della sanzione18; ma anche per via dell’assenza di una qualsiasi delega in tal senso da parte
del titolare della potestà legislativa primaria in favore degli enti parco.
Il rinvio alle disposizioni della l. 689/1991, a mente della Suprema corte, deve infatti intendersi limitato
al rispetto delle norme procedimentali che in via generale regolano la potestà sanzionatoria
amministrativa.
Quale corollario, i giudici di legittimità hanno aggiunto che la valutazione di carattere essenzialmente
discrezionale operata dal legislatore nel momento in cui ha individuato l'entità della sanzione
ammnistrativa all'interno dello stesso art. 30 l. 394/1991, non appare suscettibile, per quanto detto, di

regioni possono delineare fattispecie sanzionatorie e fissare le relative pene amministrative solo con legge formale
e che lo spazio lasciato ai regolamenti deve essere circoscritto entro i limiti derivanti dalla riserva assoluta di legge,
nel senso che le disposizioni regolamentari dovranno limitarsi ad enunciazioni di carattere tecnico, o comunque
tali da non incidere sulla individuazione del disvalore del fatto e tanto meno sulla determinazione della sanzione.
Violano, pertanto, il principio di legalità le disposizioni regionali che demandino a norme regolamentari il compito
di definire gli ambiti della fattispecie sanzionata, ovvero di specificare, rispetto a categorie di fattispecie illecite, la
misura della sanzione da irrogare (nella specie la S.C. - premesso che al suddetto principio di legalità non si è
uniformata la l. reg. Lombardia 5 aprile 1976 n. 8, così come modificata e integrata dalla l. reg. 22 dicembre 1989
n. 80, la quale all'art. 27, commi 1 e 4, prevede, per le violazioni alle norme in essa contenute, oltre a sanzioni
graduate fra un minimo e un massimo, un modello di sanzione "proporzionale all'eventuale danno cagionato al
territorio ed al patrimonio boschivo", che non configura in termini sufficientemente definiti, demandandone la
determinazione alle prescrizioni di massima e di polizia forestale introdotte successivamente con norma
regolamentare - ha cassato la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto legittimi gli art. 8 e 55 del
regolamento n. 1 del 1993 della regione lombarda che, fissando direttamente sanzioni amministrative per la
violazione alle norme dello stesso regolamento, si pongono invece in contrasto con l'art. 1 della legge n. 689 del
1981 e vanno, perciò, disapplicati ai sensi dell'art. 5 l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. E)».
17 Sull’apporto delle fonti sublegislative, specie regolamentari, nell’integrazione del precetto, si veda M. ROMANO,

Commentario sistematico del codice penale, I, Milano, 1987, p. 34.
18 Salvo, beninteso, il potere dell’amministrazione di “quantificare” la somma dovuta al momento di ingiungerne il

pagamento con l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione.

11                                              federalismi.it - ISSN 1826-3534                               |n. 23/2018
un'autonoma modificazione da parte dell'organismo di gestione e (ovviamente) con un atto avente rango
normativo secondario.

6. I confini della sanzione amministrativa
La disposizione di cui all’art. 30 comma 2 l. 394/1991 appare superficialmente chiara: “la violazione delle
disposizioni emanate dagli organismi di gestione delle aree protette è [altresì] punita con la sanzione amministrativa del
pagamento …”. Ma, ad un più attento esame, si rileva fonte di gravi incertezze interpretative ed applicative.
Preliminarmente, va sgombrato il campo da tutto ciò che residua essere, ai sensi dell’art. 30 comma 1 l.
394/1991, fonte di responsabilità penale.
E, dunque, si tratta della violazione “delle disposizioni di cui all’art. 6 e 13”, per cui è comminata la pena
congiunta dell’arresto fino a dodici mesi e dell’ammenda.
L’art. 6 l. 394/1991 disciplina le «misure di salvaguardia», previste nella misura minima ex lege (comma 3)
sino all’istituzione delle singole aree protette e, di poi, meglio stabilite dal Ministero dell’ambiente (o dalle
Regioni) con il provvedimento istitutivo delle singole aree protette.
L’efficacia delle misure di salvaguardia dovrebbe ritenersi venir meno con l’approvazione del piano e del
regolamento. Aiuta in tal senso la formulazione del comma 4 della medesima norma, secondo cui:
«all'istituzione della singola area protetta sino all'approvazione del relativo regolamento operano i divieti
e le procedure per eventuali deroghe di cui all'articolo 11».
Se, in estrema sintesi, il piano, anche sulla base della zonazione, individua le attività consentite ed il
regolamento ne disciplina l’esecuzione, nonché provvede a disciplinare le altre attività di cui all’art. 11
comma 2 l. 394/1991 e così, anche, ad individuare le deroghe ad i divieti di carattere generale di cui al
comma 3 della medesima disposizione, le misure di salvaguardia cesserebbero di compatibilità giuridica
e teleologica con la piena operatività degli strumenti di azione dell’ente parco.
Rimane da risolvere il problema della situazione di stallo di quei parchi nazionali (pochi, in verità) ancora
privi di regolamento, ma con il piano già approvato ai sensi dell’art. 12 comma 4 l. 394 cit. In tal caso
l’esegesi più appropriata, alternativa all’eventualità di far sopravvivere le misure di salvaguardia sino anche
all’approvazione del regolamento (sembrerebbe essere quella che suggerisce una valutazione
contenutistica tra piano e misure di salvaguardia, per cui queste ultime si applicano in via residuale
soltanto per quelle opere, attività ed interventi consentiti di svolgimento dal piano, ma non ancora
disciplinati nelle modalità di esecuzione dal regolamento e, invece, che trovano modalità di disciplina
proprio nelle misure di salvaguardia.

12                                             federalismi.it - ISSN 1826-3534                              |n. 23/2018
L’art. 6 comma 4 l. 394/1991 consente agli enti parco, anche in assenza di regolamento, di concedere
deroghe ai divieti secondo la sequenza di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 11 l. cit. 19
Assunto il confine di rilevanza penale della violazione delle disposizioni ascrivibili al sintagma delle
“misure di salvaguardia”, il richiamo letterale all’art. 13 l. 394/1991 lascia l’interprete in balia delle onde,
non già allorché venga eseguita un’attività in assenza di nulla osta ma per i casi in cui l’attività assentita
con nulla osta sia eseguita in difformità dallo stesso. Nel silenzio della legge, non potendosi attingere a
norme analoghe a quelle di cui al testo unico dell’edilizia20 - al fine di distinguere i confini della
responsabilità penale all’interno della dimensione della difformità dal titolo di assenso - e non potendosi,
più in
generale, darsi ricorso ad interpretazioni analogiche in malam partem21, non sembra che dinanzi ad opere
od interventi sì assentiti con nulla osta, ma eseguiti in difformità dal titolo si possa procedere alla
comunicazione di reato per la fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 30 comma 1 l. 394/1991, stante
la indiscutibile formulazione letterale dell’art. 13 l. 394 cit.
Un’elevata problematica affligge anche il secondo periodo dell’art. 30 comma 1 l. 394/1991. Limitando
la disamina al richiamo ai divieti recati dall’art. 11 comma 3 l. 394 cit., dunque tralasciando la disposizione
non del tutto dissimile stabilita per le aree protette marine, è la stessa formulazione parossistica della
norma invocata a creare spazi dilatati di applicazione.
L’art. 11 comma 3 cit., invero, contiene previsioni totalizzanti. E’ vietata: «la cattura, l'uccisione, il
danneggiamento, il disturbo delle specie animali; la raccolta e il danneggiamento delle specie vegetali,
salvo nei territori in cui sono consentite le attività agro-silvo-pastorali, nonché l'introduzione di specie
estranee, vegetali o animali, che possano alterare l'equilibrio naturale».
Ora, solo un’interpretazione di buon senso, prima ancora che l’invocare l’eventuale irrilevanza o la tenuità
di alcune condotte, con riferimento all’offesa al bene giuridico protetto, mette al riparo dall’azione penale
il cittadino che, nel territorio del parco, uccida un insetto (innegabilmente “specie animale” ai sensi
dell’art. 11 comma 3 lett. a) l. 394/1991), colga un fiore o esponga un vaso di gerani (pianta originaria

19 In forza del tenore letterale dell’art. 9 comma 8 la competenza spetterebbe al consiglio direttivo o al presidente
nei casi di urgenza ed indifferibilità, salvo la successiva ratifica dell’organo collegiale.
20 Si vedano, ad esempio, gli artt. 34 e 35 (ma anche l’art. 36) d.p.r. 380/2001, nella parte in cui distinguono tra

interventi ed opere eseguiti in totale o parziale difformità dal titolo edilizio, descrivendo in termini qualitativi e
quantitativi la dimensione della difformità. La conseguenza, in termini di cesello della conseguente responsabilità
penale corrobora l’assunto secondo cui la difformità dal nulla osta rilasciato ex art. 13 l. 394/1991 non può essere
sanzionata penalmente, ma rientra senz’altro nel migliore strumento di cui ai poteri di riduzione in pristino di cui
all’art. 29 l. cit., dove si parla esattamente di «difformità» (dal piano, dal regolamento o dal nulla osta).
21 Si veda, per tutti, F. BRICOLA, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, Rapporti civili (Art. 24-26),

Bologna-Roma, 1981, sub art. 25 commi 2 e 3, p. 227 s.

13                                            federalismi.it - ISSN 1826-3534                            |n. 23/2018
dell’Africa australe e certamente non autoctona nelle aree protette italiane). E, non aiuta la costruzione
dell’elemento soggettivo: trattandosi di contravvenzione si risponde anche a titolo di colpa.
E, nemmeno, si può pensare, che il regolamento, per legge chiamato ad individuare le deroghe ai siffatti
divieti, possa scendere così nel particolare, trasformandosi in un elenco sconfinato.
La conseguenza è che l’ampiezza della generalità dei comportamenti astrattamente riconducibili alla
previsione di cui all’art. 30 comma 1 secondo periodo l. 394/1991, per la scarsa tassatività delle condotte
astrattamente punibili, potrebbe erodere il campo di applicazione della sanzione amministrativa di cui al
comma 2 che, per vero, appare più legata alla spicciola violazione di regole di condotta stabiliti ad hoc
dall’ente parco22.
E’ sensato immaginare che la repressione delle violazioni punite dall’art. 30 comma 1 secondo periodo
attenga a palesi violazioni dei divieti generali ed astratti di cui all’art. 11 comma 3 della legge quadro. E,
invece, che la sanzione amministrativa del comma 2 dell’art. 30 l. 394/1991 debba applicarsi, invece, a
specifiche fattispecie appositamente stabilite dall’ente parco, come ad esempio l’abbandono dei sentieri,
l’accesso in aree vietate o lungo percorsi temporaneamente chiusi, grida e schiamazzi23.
Ancora, residua l’impossibilità, condivisa anche dalla decisione della Suprema corte in commento, per le
norme di natura regolamentare, di integrare il precetto senza limitarsi ad enunciazioni di carattere tecnico,
o comunque tali da non incidere sulla individuazione del disvalore del fatto24.
Sembra, così, di trovarsi dinanzi, più che altro, ad una norma sanzionatoria c.d. «in bianco»25.
Il caso appare assimilabile alla previsione di cui all’art. 77 comma 1 n. 16 d.p.r. 30 giugno 2000 n. 230,
recante la possibilità di infliggere sanzioni disciplinari ai detenuti e agli internati che si siano resi
responsabili della «inosservanza di ordini o prescrizioni o ingiustificato ritardo nell'esecuzione di essi».
Sul punto, la Suprema corte ha sancito la legittimità della disposizione sanzionatoria “in bianco” a
condizione che la previsione sia espressamente contemplata da una disposizione del regolamento
“connotata da chiarezza e precisione”26.

22 Nemmeno, appare utile invocare l’art. 9 l. 689/1981, definita una norma di «difficile interpretazione e di dubbia
opportunità» da C.E PALIERO – A. TRAVI, voce Sanzioni amministrative, in Enc. dir., XLI, Milano 1989, p. 409.
23 Ma, se ben si bada, anche molti di questi modesti esempi è ben possibile ricondurli con una spinta azione logica

di astrazione, non infrequente nella prassi, nella previsione di cui al divieto dell’art. 11 comma 3 l. 394/1991.
24 Così anche C.E PALIERO – A. TRAVI, op. cit., p. 379: il regolamento può fornire soltanto un «apporto tecnico»

di concretizzazione di una fattispecie già perfettamente individuata nel suo disvalore.
25 Si veda Cass., sez. un., 12 novembre 1994, B., in Cass. pen., 1994, secondo cui la disposizione recata dalla l. 28

febbraio 1985 n. 47, art. 4, comma 4 “configura una ipotesi di norma penale in bianco, atteso che per la
determinazione del precetto viene fatto rinvio a dati prescrittivi, tecnici e provvedimentali, di fonte extrapenale”.
26 Cass. pen., sez. I, 12 ottobre 2017 n. 113, in Ced Cass., 2018.

14                                           federalismi.it - ISSN 1826-3534                            |n. 23/2018
E quindi, nonostante la previsione di cui al paragrafo 3.2.1 della circolare della Presidenza del consiglio
dei ministri del 19 dicembre 198327, secondo cui è «in ogni modo sconsigliabile una formulazione della
fattispecie di illecito [amministrativo] mediante elementi che implichino valutazioni quantitative o
qualitative ampiamente discrezionali»; malgrado la presa di posizione assunta dal Giudice delle leggi con
la decisione n. 174/201728 circa la necessità per la norma primaria di «stabilire, anche se non nel dettaglio,
i contenuti ed il modo dell’azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini», la
legittimità della previsione di cui all’art. 30 comma 2 l. 394 cit. può essere corrisposta (?) solo se il precetto
sia integrato con una individuazione tassativa delle «disposizioni emanate dagli organismi di gestione delle
aree protette», sia per tipicità normativa (e cioè che trovino luogo esattamente nei poteri attribuiti agli
enti gestori dalla legge quadro) che per teleologia.
Beninteso, trattandosi di integrazioni eteronome del precetto sanzionatorio, le stesse non solo devono
essere contraddistinte da “chiarezza e precisione”, come più sopra ricordato dalla Suprema corte29, ma
dovrebbero ispirarsi quantomeno all’astratto rispetto delle profonde indicazioni contenute nella circolare
della Presidenza del consiglio dei ministri del 5 febbraio 198630.
Va da sé che il luogo elettivo per la collocazione di siffatte “disposizioni” sembra essere il regolamento31,
giacché in questo si provvede tanto alla disciplina dell’esercizio delle attività “consentite” dal piano per il
parco32, quanto alla enucleazione delle deroghe di cui all’art. 11 comma 3 l. 394 cit.

27 Cfr. supra nt. 12.
28 Corte cost., 13 luglio 2017 n. 174, in Foro it., 2018, 5, I, p. 1449: il carattere relativo della riserva di legge prevista
dall'art. 23 Cost. permette di ritenere che spetta all'autorità amministrativa un ampio margine nella delimitazione
della fattispecie impositiva e, tuttavia, resta ferma la necessità della fonte primaria, che non può essere relegata
«sullo sfondo», né essere formulata quale prescrizione normativa «in bianco» (cfr. anche Corte cost., 15 maggio
2015 n. 83, in Giur. cost., 2015, 3, p. 724 con nota nota di SORRENTINO, nonché Id., 7 aprile 2017 n. 69, ivi, 2017,
2, p. 701). La norma primaria deve dunque stabilire, anche se non in dettaglio, i contenuti e i modi «dell'azione
amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini» (cfr. Corte cost., 7 aprile 2011 n. 115, in Giur.
cost., 2011, 2, p. 1581). La riserva di legge dell'art. 23 Cost. esige che la norma rechi la fissazione di «sufficienti criteri
direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa» (cfr. Corte cost. 26 ottobre 2007
n. 350, in Giur. cost,. 2007, 5 e Id., 1° aprile 2003 n. 105, in Foro it., 2003, I, p.1301) e definisca chiaramente «la
concreta entità della prestazione imposta».
29 Cass. pen., sez. I, 12 ottobre 2017 n. 113, cit.
30 In Gazz. Uff., Serie gen., n. 64 del 18 marzo 1986.
31 Il “regolamento”, del resto, caratterizza il sistema di funzionamento di tutte le aree protette, essendo richiamato

anche per i parchi regionali e per le riserve naturali.
32 Il regolamento, ai sensi dell’art. 11 comma 2 l. 39471991 disciplina, in particolare:

a) la tipologia e le modalità di costruzione di opere e manufatti;
b) lo svolgimento delle attività artigianali, commerciali, di servizio e agro-silvo-pastorali;
c) il soggiorno e la circolazione del pubblico con qualsiasi mezzo di trasporto;
d) lo svolgimento di attività sportive, ricreative ed educative;
e) lo svolgimento di attività di ricerca scientifica e biosanitaria;
f) i limiti alle emissioni sonore, luminose o di altro genere, nell'ambito della legislazione in materia;
g) lo svolgimento delle attività da affidare a interventi di occupazione giovanile, di volontariato, con particolare riferimento alle comunità
terapeutiche, e al servizio civile alternativo;

15                                                     federalismi.it - ISSN 1826-3534                                        |n. 23/2018
In mancanza, dovendosi tener conto dello stato di (in)attuazione della legge quadro, potrebbero ritenersi
legittime disposizioni di tipo regolamentare volte a conferire disciplina alle attività possibili di svolgimento
nel territorio delle aree protette, rispettando i criteri di tassatività per giungere alla migliore distinzione
fra la condotta lecita, permessa, e quella vietata sanzionata.

7. Questioni eccentriche
L’art. 16 l. 689/1981 consente sempre, entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione33, il
pagamento di una somma in misura ridotta, pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per
la violazione commessa, o, se più favorevole e qualora sia stato stabilito il minimo della sanzione edittale,
pari al doppio del relativo importo (oltre le spese del procedimento).
Nel caso che ci occupa, e cioè, per le violazioni alle disposizioni emanate dagli organismi di gestione delle
aree protette, il pagamento in misura ridotta (di sole cinquanta euro), qualora azionato dal trasgressore,
vanificherà ogni criterio di commisurazione nella forbice legislativa, se non nelle residuali ipotesi di
ignoranza, trascuratezza dello stesso trasgressore, o qualora questi abbia inteso far pervenire scritti
difensivi o richiesta di audizione, provando così a contestare la sanzione, per cui in caso di non
accoglimento dei motivi di doglianza, l’autorità competente dovrà emanare l’ordinanza ingiunzione.
Questa agevolazione di sistema, che potrebbe risultare eccessiva solo allorché letta in un contesto di una
norma sanzionatoria “in bianco”34, ha portato, a volte, a situazioni oggettive e volute di frazionamento
della condotta illecita al fine di moltiplicare le contestazioni e, così, gli importi da corrispondere35.
Per vero, il dato normativo richiama il meccanismo penalistico del concorso formale (e del reato
continuato36).
L’art. 8 l. 689 cit. invero, prevede che chi con una azione od omissione viola diverse disposizioni che
prevedono sanzioni amministrative o commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla
sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo.
Si applica il cumulo giuridico e non vi è spazio per un’esegesi che recuperi analogia con il reato continuato
ex art. 81 comma 2 c.p., nel caso di chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno

h) l'accessibilità nel territorio del parco attraverso percorsi e strutture idonee per disabili, portatori di handicap e anziani.
33 Immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione, che deve avvenire entro

novanta o trecentosessanta giorni dall’accertamento, a seconda che gli interessati risiedano nel territorio della
Repubblica o all’estero.
34 Non integrabile diversamente nella determinazione della sanzione, come appunto stabilito dalla decisione in

commento.
35 Qualora, addirittura, non si invochino altre normative sanzionatorie, diverse dall’art. 30 comma 2 l. 394/1991,

in quanto recanti importi più elevati. Sulla competenza sanzionatoria degli enti gestori di aree protette, si veda
Cass., sez. II, 10 gennaio 2017 n. 337, in www.italgiure.giustizia.it.
36 Con il limite alla materia della previdenza ed assistenza obbligatorie.

16                                                federalismi.it - ISSN 1826-3534                                 |n. 23/2018
Puoi anche leggere