HIV/AIDS diagnostica e la tutela del minore - (di ANTONIO BUBICI - Abogado - Avvocato stabilito)

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HIV/AIDS diagnostica e la tutela del minore
(di ANTONIO BUBICI – Abogado - Avvocato stabilito)

La condizione del minore nell’ambito della famiglia ha subito una radicale
trasformazione nel corso degli ultimi anni. Se nel codice civile del 1942 il
minore era assoggettato all’assoluta autorità dei genitori, in particolare del
padre, con la Dichiarazione Universale dei diritti dei diritti dell’uomo del
1948, la Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959 e, più recentemente,
con la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo approvata a New
York il 20 novembre 1989 (ratificata in Italia con la L. 176/1991), nonché
con la Carta fondamentale dell’Unione europea, il minore è diventato il
centro di una serie di diritti autonomi rispetto alla famiglia e alla società, al
punto che diventa preminente il “diritto del bambino” rispetto a quello
degli adulti 1.
E’ con l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana (1948)
che l’ordinamento inverte la propria rotta nella gestione del rapporto tra
genitori e figli. La potestà, infatti, non è più un diritto ma una “funzione”
da esercitarsi con “responsabilità” e volta alla promozione dello sviluppo
della personalità del figlio. La Riforma del diritto di famiglia del 1975
consolida la nuova concezione del minore all’interno della famiglia, sia
all’interno del rapporto di coniugio che al di fuori di esso. Questo processo
evolutivo matura ulteriormente con il D.Lgs. 154/2013 entrato in vigore il
14 febbraio 2014 dove, in particolare, all’art. 39 (che modifica l’art. 316 del
codice civile) cambia nella sostanza, prima ancora che
terminologicamente, il potere dei genitori sui figli passando dalla vecchia e
consunta “potestà” genitoriale, alla più attuale e stringente
“responsabilità” genitoriale esercitata non più dal “capo famiglia” bensì di
comune accordo da entrambi i genitori.
Questa evoluzione normativa, però, non ha dipanato tutti i dubbi e non lo
ha fatto certamente per quanto riguarda la capacità del minore di agire in

1
 Art. 24 della CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UNIONE EUROPEA (2010/C 83/02)IT 30.3.2010 Gazzetta
ufficiale dell’Unione europea C 83/389

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autonomia o in via riservata rispetto ai genitori nella fase diagnostica di
infezioni sessualmente trasmesse (IST), come può essere l’HIV.
Certamente nessuno può essere sottoposto, senza il proprio consenso, ad
analisi tendenti ad accertare l’infezione da HIV se non in queste eccezioni
previste da norme positive o frutto di elaborazioni giurisprudenziali:
    1) motivi di necessità clinica nel suo interesse 2;
    2) per l’espletamento di attività che comportino rischi per la salute di
       terzi 3.

2
  ART. 5 L. 135/1990
Accertamento dell'infezione.
1. L'operatore sanitario e ogni altro soggetto che viene a conoscenza di un caso di AIDS, ovvero di un caso di infezione
da HIV, anche non accompagnato da stato morboso, è tenuto a prestare la necessaria assistenza e ad adottare ogni
misura o accorgimento occorrente per la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali dell'interessato, nonché della
relativa dignità (1) .
2. Fatto salvo il vigente sistema di sorveglianza epidemiologica nazionale dei casi di AIDS conclamato e le garanzie ivi
previste, la rilevazione statistica della infezione da HIV deve essere comunque effettuata con modalità che non
consentano l'identificazione della persona. La disciplina per le rilevazioni epidemiologiche e statistiche è emanata con
decreto del Ministro della salute, sentito il Garante per la protezione dei dati personali che dovrà prevedere modalità
differenziate per i casi di AIDS e i casi di sieropositività (2).
3. Nessuno può essere sottoposto, senza il suo consenso, ad analisi tendenti ad accertare l'infezione da HIV se non per
motivi di necessità clinica nel suo interesse. Sono consentite analisi di accertamento di infezione da HIV, nell'ambito di
programmi epidemiologici, soltanto quando i campioni da analizzare siano stati resi anonimi con assoluta impossibilità
di pervenire alla identificazione delle persone interessate (3).
4. La comunicazione di risultati di accertamenti diagnostici diretti o indiretti per infezione da HIV può essere data
esclusivamente alla persona cui tali esami sono riferiti.
5. L'accertata infezione da HIV non può costituire motivo di discriminazione, in particolare per l'iscrizione alla scuola,
per lo svolgimento di attività sportive, per l'accesso o il mantenimento di posti di lavoro (3).
(1) Comma sostituito dall'articolo 178 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2004.
(2) Comma modificato dall'articolo 178 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2004.
(3) La Corte costituzionale, con sentenza 2 giugno 1994, n. 218, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente
comma, nella parte in cui non prevede accertamenti sanitari dell'assenza di sieropositività all'infezione da HIV come
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condizione per l'espletamento di attività che comportano rischi per la salute dei terzi.

3
 Il legislatore, avendo riconosciuto l'esistenza di attività e servizi che comportano rischi per la salute dei terzi, quando
gli operatori addetti siano portatori di una malattia diffusiva quale l'aids, non può non disporre, a tutela del diritto alla
salute, l'obbligo degli addetti ai servizi di sottoporsi ad accertamenti preventivi, che rientrano negli accertamenti
sanitari, previsti dall'art. 32 cost.; pertanto, è costituzionalmente illegittimo l'art. 5 comma 3 e 5 l. 5 giugno 1990 n. 135,
per violazione dell'art. 32 cost., nella parte in cui non prevede che gli accertamenti sanitari dell'assenza di sieropositività
dell'infezione da h.i.v. debbano essere compiuti, anche senza l'assenso dell'interessato, quando l'operatore debba
esplicare attività che comportino rischi per la salute dei terzi.
Corte Costituzionale, 02/06/1994, n. 218
Cons. Stato 1994, II, 837
Giur. cost. 1994, 1812
Giust. civ. 1994, I,2096
Mass. giur. lav. 1994, 469
Notiziario giur. lav. 1994, 506
Riv. giur. lav. 1994, II, 840 (nota FASSINA)
Orbene, la necessità di un consenso impone di regola al minore, privo ex
art. 2 del codice civile della “capacità di agire” 4, di farsi coadiuvare dal
genitore (titolare della responsabilità genitoriale) o, in mancanza, da un
tutore. Negli ultimi anni, anche in ragione della sopra richiamata
normativa, questa regola assai stringente è stata molto moderata. Questo
stemperamento è dovuto alla distinzione ormai invalsa in dottrina tra la
capacità di agire e la capacità naturale dove quest’ultima è da intendersi
come valida esternazione della volontà del soggetto in un ambito diverso
da quello negoziale. Pertanto, sebbene l’ordinamento imponga la
maggiore età affinché vengano posti in essere atti giuridici negoziali in
grado di incidere sulla sfera patrimoniale, lo stesso ordinamento riconosce
l’esistenza di attività che, non ricadendo nella spera patrimoniale, possono
essere validamente esercitate da un minore. Per la dottrina, quindi, tutti i
diritti ad una “prestazione medica” sarebbero esercitabili dai minori poiché
manifestazioni della capacità naturale.
Il legislatore italiano, invero, riguardo al valore da dare alle scelte del
minore, proprio in materia di IST ed in particolare in materia di
accertamenti diagnostici qualora vi siano sintomi di insorgenza di una
malattia venerea, ha fatto veri e propri passi indietro, lasciando, quindi,
come d’obbligo, ampio spazio sia alla dottrina, proprio nei termini sopra
esposti, sia alla giurisprudenza.
Difatti, la L. 837/1956 (Riforma della legislazione vigente per la profilassi
delle malattie veneree) facultava il medico curante, riscontrata una
malattia venerea su un minore, seppure maggiore di anni 18 (nel 1956 la
maggiore età si raggiungeva a 23 anni), a dare notizia ai genitori 5. Tale
norma è stata abrogata nel 2008. Come anticipato, la dottrina, proprio in
4
  Si intende per capacità di agire l’idoneità a compiere validamente atti giuridici che consentano al soggetto di acquisire
ed esercitare diritti o di assumere e adempiere obblighi. Convenzionalmente la capacità di agire (da non confondere
con la “capacità giuridica” che si acquista in quanto persona dalla nascita) si acquisisce con la maggiore età.
5
  Art. 4. Il sanitario che, comunque nell'esercizio professionale, riscontri una persona affetta da malattia venerea, e'
tenuto a renderla edotta della natura e della contagiosita' della malattia, della obbligatorieta' della cura radicale
e delle facilitazioni concesse a tale fine dalla presente legge, delle responsabilita' alle quali va
incontro nel caso che trasmetta il contagio e della punibilita' degli atti contemplati dagli articoli 554 e 555 del Codice
penale. Quando trattasi di minore che non abbia compiuto i 18 anni o di interdetto, il medico deve avvertire
immediatamente la persona, cui compete l'obbligo di far curare il malato ai sensi del secondo comma dell'articolo 2.
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Per il minore che abbia compiuto gli anni 18, e' in facolta' del sanitario di avvertire, quando lo ritenga opportuno, la
persona cui compete l'obbligo di far curare il malato.
base alla citata disposizione, ha ritenuto esistente nell’ordinamento il
principio dell’autonomia del consenso del minore al trattamento
diagnostico. Tale principio, a dire il vero, sembrerebbe trovare riscontro
anche nelle convenzioni internazionali a cui l’Italia ha aderito. L’art. 12 della
Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, approvata a New York
il 20 novembre 1989, stabilisce che al fanciullo, capace di discernimento, è
garantito “il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni
questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente
prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di
maturità”. Altresì all’art. 25 della stessa Convenzione si stabilisce che al
fanciullo deve essere data “una protezione oppure una terapia fisica o
mentale” nonché “il diritto a una verifica periodica di detta terapia e di ogni
altra circostanza relativa alla sua collocazione”. Anche l’art. 6 della
Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere
umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina, firmata ad
Oviedo nel 19976 recita: “Quando, secondo la legge, un minore non ha la
capacità di dare consenso a un intervento, questo non può essere
effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o
di una persona o di un organo designato dalla legge. Il parere di un minore
è preso in considerazione come un fattore sempre più determinante, in
funzione della sua età e del suo grado di maturità.”.
Anche il legislatore italiano ha dato segni di voler dare valore autonomo
alla “volontà del minore” in aggiunta a quella genitoriale e ciò è stato fatto
sicuramente con la L. 194/78 (legge sull’interruzione volontaria della
gravidanza – aborto). Stabilisce l’art. 12: “La richiesta di interruzione della
gravidanza secondo le procedure della presente legge è fatta
personalmente dalla donna. Se la donna è di età inferiore ai diciotto anni,
per l'interruzione della gravidanza è richiesto lo assenso di chi esercita sulla
donna stessa la responsabilita' genitoriale o la tutela. Tuttavia, nei primi
novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino
la consultazione delle persone esercenti la responsabilita' genitoriale o la

6
 Ratifica e ordine di esecuzione in Italia dati con legge n. 145 del 28 Marzo 2001 (Gazzetta Ufficiale n. 95 del 24 aprile
2001)

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tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano
pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il
medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di cui all'articolo 5 e
rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del
proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera. Il giudice
tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua
volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può
autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la
interruzione della gravidanza.”. Aggiunge il secondo comma del medesimo
articolo: “Qualora il medico accerti l'urgenza dell'intervento a causa di un
grave pericolo per la salute della minore di diciotto anni,
indipendentemente dall'assenso di chi esercita la responsabilita'
genitoriale o la tutela e senza adire il giudice tutelare, certifica l'esistenza
delle condizioni che giustificano l'interruzione della gravidanza. Tale
certificazione costituisce titolo per ottenere in via d'urgenza l'intervento e,
se necessario, il ricovero. Ai fini dell'interruzione della gravidanza dopo i
primi novanta giorni, si applicano anche alla minore di diciotto anni le
procedure di cui all'articolo 7, indipendentemente dall'assenso di chi
esercita la responsabilita' genitoriale o la tutela 7”.
Anche una norma endoassociativa come il “codice deontologico medico”
agli artt. 33 e 34 dà rilevanza all’informazione ed al consenso del minore.
L’art. 33 impone al medico di garantire al minore elementi di informazione
utili affinché lo stesso comprenda la sua condizione di salute e gli interventi
diagnostici programmati al fine di coinvolgerlo nel processo decisionale,
altresì, l’art. 34 impone al professionista l’obbligo di informazione a terzi
previo consenso esplicito della persona assistita, allorché sia in grave
pericolo la salute o la vita del soggetto stesso.
Ebbene il “principio di autodeterminazione debole del minore”, oppure,
come chiamato da taluni “capacità di discernimento” o anche “capacità

7
 Articolo modificato dall'articolo 99 del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154 a decorrere dal 7 febbraio 2014 come indicato
dall' articolo 108, comma 1, del citato decreto.

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naturale” del minore è ampiamente riconosciuto sul piano dottrinale a
condizione, quindi, che vengano rispettati due elementi essenziali:
       1) che la volontà del minore sia espressa da un minore capace di
          rendersi conto delle conseguenze del proprio atto di volontà;
       2) che la volontà del minore corrisponda al suo miglior interesse.
In giurisprudenza la magistratura minorile ha identificato nel principio
dell’autodeterminazione dei minorenni un criterio di orientamento
importante nella risoluzione dei conflitti in ordine al diritto alla salute del
minore ed ai trattamenti sanitari che lo riguardano. Le decisioni giudiziarie
danno rilievo alla volontà di minori dai 16 anni in su (i cosiddetti “grandi
minori”). Motivano succintamente o non motivano affatto sul punto della
capacità. Tali pronunce sembrano dare per scontato che si tratti di una
volontà efficace, anche se si ha l’impressione che valga perché esprime il
bisogno di mantenere una relazione di totale sintonia con i genitori 8,
soprattutto nella fase successiva ai test in caso di riscontro positivo.
Nonostante tutte queste considerazioni, a tutt’oggi, sul sito del Ministero
della Salute, nelle FAQ – Hiv e AIDS, alla domanda: “27. Un minore di 18
anni può eseguire il test HIV senza il consenso dei genitori o di chi eserciti
la tutela?”, questa è la risposta: “Allo stato attuale, l'ordinamento non
consente al minore di accedere al test senza il consenso dei soggetti
esercenti la potestà o l'autorizzazione del giudice tutelare appositamente
adito. È molto discussa l'opportunità di permettere ai c.d. "grandi minori"
(16 - 17 anni) di eseguire il test senza il consenso dei genitori. Tali proposte
di modifica delle norme vigenti sono volte a consentire l'accesso al test al
"grande minore", qualora dal colloquio preliminare emerga che ci siano
stati comportamenti a rischio. Nel caso di esito positivo del test HIV è
previsto un percorso di accompagnamento del minore alla comunicazione
del risultato ai soggetti esercenti la potestà genitoriale.”9

8
    Confr. Cassazione civile, sez. I, 05/03/2014, n. 5237; Tribunale Messina, sez. I, 10/05/2005
9
    http://www.salute.gov.it/portale/p5_1_1.jsp?lingua=italiano&id=164

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CONCLUSIONI
In materia di diagnosi di malattie sessualmente trasmesse (IST) ed in
particolare per l’HIV (test non invasivo e del tutto inidoneo a alterare
permanentemente l’integrità psico-fisica del paziente) quando la richiesta
al medico è formulata da un minore non è sempre necessario richiedere il
consenso del genitore. In base alla recente elaborazione dottrinale,
confortata da una giurisprudenza che in larga parte ha fatto proprio il
“principio di autodeterminazione del minore”, ritenuto che il test per l’HIV
può considerarsi uno strumento utilmente tempestivo per contrastare
l’evoluzione della malattia, il medico può validamente dare corso alla
diagnosi quando ritiene il minore sufficientemente maturo ed in grado di
comprendere le conseguenze della propria scelta.

BIBLIOGRAFIA E APPROFONDIMENTI
  1. Piccinini M. - Il consenso al trattamento medico dl minore – Cedam;
  2. Bertolotti e Massaglia – La comunicazione del percorso terapeutico
     del minore malato – in Minorigiustizia 2005;
  3. Stanzione P. – Capacità e minore età nella problematica della persona
     umana – Jovene 1975;
  4. Rescigno P. – I minori tra famiglia e società – Dir. di famiglia 1982;
  5. Giardina F. – La maturità del minore nel diritto civile – Nuova giur. Civ.
     2004;
  6. Fernando G. – Incapacità e consenso al trattamento medico – Pol. Dir.
     1999;
  7. Prestileo – Argo – Triolo – Zerbo – Procaccianti- Il consenso informato
     per l’effettuazione del test per la diagnosi di infezione da HIV: come
     comportarsi in caso di minori – Le infezioni in Medicina, 2008;
  8. Bianca F. - Diritto di famiglia – Edizioni Giuridiche Simone

                                                                                  7
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