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Clade Mundus Plinius Prof. Francesco Fiume già direttore della Sezione di Biologia, Fisiologia e Difesa degli Istituti di Ricerca e Sperimentazione Agraria del MiPAF e dirigente di Ricerca del CRA - Roma L’inquadramento del clade Mundus Plinius da un punto di vista tassonomico e dendrometrico è riportato nella figura 1. Figura 1 – Inquadramento del clade Mundus. Mondus include Caelum, Astra, Particles, Naturalia ed Arctefacta. In particolare, il cielo che si trova al di sopra della superficie terrestre e che tutti possiamo osservare alzando gli occhi è costituito dalle costellazioni. Una costellazione è ognuna delle 88 parti in cui la sfera celeste è convenzionalmente suddivisa per mappare le stelle. I raggruppamenti così formati sono entità prospettiche, a cui la moderna astronomia non riconosce alcun reale significato. Infatti: • nello spazio tridimensionale le stelle possono essere separate anche da distanze enormi, così come diverse possono essere le dimensioni e la luminosità, • viceversa, due o più stelle che sulla sfera celeste appaiono magari lontanissime tra di loro, nello spazio tridimensionale possono essere al contrario separate da distanze minori di quelle che le separano dalle altre stelle della propria costellazione, • durante un ipotetico viaggio interstellare non riusciremmo più ad identificare alcuna costellazione e ogni sosta vicino a qualunque stella ce ne farebbe identificare semmai di nuove, visibili solo da tale nuova prospettiva. • nel corso del tempo sono state definite costellazioni differenti, alcune sono state aggiunte, altre sono state unite tra di loro. L'uomo eccelle nel trovare schemi regolari (pareidolia) e attraverso la storia ha raggruppato le stelle che appaiono vicine in costellazioni.
Con il sostantivo Mundus (figura 2) si usa designare il luogo primigenio degli esseri umani che ne comprende tutti gli abitanti e le cose create. Si distingue dal concetto di Terra in quanto essa ricopre il significato di mera entità fisica, sulla quale gli esseri che popolano il mondo vivono e che è distinta dagli altri pianeti e oggetti fisici o metafisici che costellano l'Universo. Figura 2 – Globo terrestre. Detto anche, impropriamente, mappamondo, è una riproduzione in scala del pianeta Terra, sufficientemente fedele. Il termine indica genericamente un oggetto sferico e, per antonomasia, la Terra stessa. Nonostante questa abbia forma ellissoidale, o, più propriamente, di "geoide", il globo costi- tuisce, infatti, una buona approssimazione. Un globo rappresenta una riproduzione in piccola scala di alcune caratteristiche della Terra; perciò, date le dimensioni, su di esso possono essere riportate solo le caratteristiche generali della superficie del pianeta, indicate con una grafica convenzionale. Il prototipo di globo terrestre, definito "Globo terrestre di Norimberga", venne costruito tra il 1490 ed il 1492 dallo studioso tedesco Martin Behaim, che utilizzò una scala 1:40 milioni (ancor oggi questa è la scala più comune nella costruzione di tale strumento). Esistono tipologie diverse di globi, riportanti, secondo i casi, le caratteristiche fisiche del pianeta, in alcuni esemplari anche in rilievo, o i confini politici, o altre proprietà politico-economiche. Alcuni globi sono luminosi, per effetto di una lampada interna: l'accensione o spegnimento della lampada può rendere possibile la visualizzazione di caratteristiche diverse. I globi, solitamente in materiale plastico, sono generalmente montati su supporto che rende con buona approssimazione l'effettiva inclinazione dell'asse terrestre. L'uso dei globi è per lo più didattico, ma non mancano gli scopi ornamentali. Esistono anche globi antichizzati, che riportano le mappe della terra come si realizzavano in epoche precedenti. Oltre ad essere poco maneggevoli, i globi non consentono di raffigurare la superficie terrestre con quella ricchezza di particolari che è necessaria negli studi geografici, per i quali sono più idonee le carte geografiche di scala più ampia. Tuttavia il globo geografico rimane la rappresentazione più realistica della Terra. La Terra, quindi, rappresenta solo parzialmente il concetto di Mundus, poiché essa è il planisfero, la carta geografica che rappresenta tutta la sua superficie, utilizzando diversi tipi di proiezioni cartografiche. Scopo del planisfero è quello di fornire una rappresentazione piana della superficie sferica della Terra (figura 3). Poiché è impossibile riprodurre su una superficie bidimensionale una superficie tridimensionale come quella sferica della Terra, a seconda che vogliano essere rispettati gli angoli o le superfici o le distanze, vengono usate proiezioni diverse. Nell'antichità quasi tutti pensavano che la terra fosse piatta, solo oggi grazie a sostanziali prove sappiamo che è sferica. La terra presenta uno schiacciamento ai poli perciò assomiglia di più ad un ellissoide di rotazione. Considerando anche le irregolarità superficiali, si nota che la sua forma non coincide con nessun solido geometrico. Si è introdotto quindi il termine geoide ossia il solido costruito dall'insieme degli infiniti piani perpendicolari alla direzione del filo a piombo. Il geoide è quindi la forma che terra avrebbe se fosse ricoperta interametne d'acqua. La prima misurazione della Terra fu realizzata da Eratostene di Cirene, della scuola d'Alessandria, con estrema precisione. Solo nel seicento nacque la geodesia, la scienza che si occupa di misurare le dimensioni della Terra. Esse consentirono di calcolare la circonferenza terrestre, lo schiacciamento polare, e introdussero il metro: unità di misura della lunghezza, inizialmente definita come quarantamilionesima parte del 2
meridiano terrestre. Venne adottato internazionalmente nel 1793 e viene definito come la distanza percorsa dalla luce nel vuoto nel tempo di 1/299.792.458 s. Il reticolato geografico è composto da due serie di linee immaginarie che s'incrociano in angolo retto: sono i meridiani le semicirconferenze, tutte uguali tra loro, che uniscono il polo Nord e il polo Sud, sono 360 (180 est - 180 ovest), la loro numerazione parte dal meridiano zero (meridiano fondamentale) passante per Greenwich. I paralleli sono tutti i circoli, di lunghezza via via decrescente, tracciati parallelamente all'equatore (definito come la circonferenza perpendicolare all'asse terrestre che divide la Terra in due emisferi, Boreale e Australe). Sono 180, 90 a sud, 90 a nord (figura 2). Per definire la posizione di un punto su un piano usiamo gli assi cartesiani, due rette tra loro perpendicolari. Così la posizione di un punto si ricava dall'incrocio di due coordinate geografiche, ascissa e ordinata. Chiamiamo latitudine la distanza angolare, misurata in gradi, primi e secondi, di un punto dall'equatore. Chiamiamo longitudine la distanza angolare di un punto dal meridiano fondamentale. Definiamo altitudine (o profondità quando siamo in acqua) la distanza verticale dal punto al livello medio del mare. La direzione in cui sorge apparentemente il sole si chiama levante od oriente (est) mentre quella del tramonto ponente od occidente (ovest). Nord (quando il sole è a metà della sua traiettoria) mezzogiorno, sud settentrione. La terra compie un movimento di rotazione su se stessa, da ovest verso est, avendo come perno una linea immaginaria, l'asse terrestre, che passa dal suo centro ed emerge al polo Nord e al polo Sud. La rotazione avviene con una velocità angolare, uguale a tutte le latitudini pari a 15° il giorno. Figura 3 – Planisfero. Rappresentazione politica della terra. La crosta terrestre (chiamata comunemente superficie terrestre), in geologia e in geofisica, è uno degli involucri concentrici di cui è costituita la Terra: per la precisione, si intende lo strato più esterno della Terra solida, limitata inferiormente dalla Discontinuità di Mohorovičić, avente uno spessore medio variabile fra 4 (crosta oceanica) e 70 chilometri (crosta continentale). Il nostro pianeta è formato da gusci concentrici di materiale diverso: la Crosta terrestre, suddivisibile in continentale e oceanica, costituisce lo strato più esterno; al di sotto c'è il mantello terrestre, che si estende fino a 2890 km di profondità; ancora al di sotto, e fino al centro della Terra (6371 km dalla superficie) è il nucleo. Il mantello litosferico, la parte più superficiale del mantello, è saldato alla crosta e la crosta terrestre, unita al mantello litosferico, costituisce quella che viene definita litosfera. Fra la litosfera e il mantello inferiore (detto mesosfera) vi è l'astenosfera: uno strato sottile di mantello parzialmente fuso che permette alla litosfera sovrastante di muoversi, alla velocità di pochi centimetri l'anno. 3
Il limite superiore è dato dalla superficie terrestre che la mette in contatto con l'atmosfera o l'idrosfera. Il limite inferiore della crosta terrestre è una superficie ben definita e marcata da cambiamenti sia fisici (cambiamenti di proprietà meccaniche) che chimici (cambiamenti nella composizione). L'interfaccia crosta-mantello viene definita, da un punto di vista petrografico, come il passaggio tra rocce che contengono feldspati (sopra) e quelle che non ne contengono (sotto). Il limite non è netto, ma sfumato e in rocce di crosta oceanica è doppio, in quanto la seconda superficie è data dal passaggio tra cumuli ultramafici e hartzburgiti, osservabile direttamente in alcune ofioliti, ad esempio, in Italia, nel complesso Ivrea-Verbano. La crosta si distingue, perciò, dal mantello perché le sue rocce cristalline sono prevalentemente acide o basiche, mentre quelle del mantello sono ultrabasiche. La crosta è, ovviamente, l'unica parte della Terra a contenere rocce sedimentarie. Esiste anche una discontinuità fisica che separa la crosta dal mantello: si tratta di una zona di transizione tra rocce a bassa velocità di propagazione delle onde sismiche (nella crosta) e rocce ad elevata velocità (nel mantello); tale discontinuità è denominata discontinuità di Mohorovičić, spesso abbreviata in Moho. La crosta terrestre è l'unico strato del pianeta a possedere una marcata eterogeneità laterale. Fondamentale è la distinzione tra: • crosta continentale, con spessori che sono generalmente attorno ai 35 km (per la crosta stabile) ma che possono raggiungere anche 70 o addirittura 90 km in corrispondenza delle catene montuose. La sua caratteristica fondamentale, dal punto di vista geodinamico, è la sua relativa bassa densità rispetto a quella del mantello sottostante, poiché le sue rocce cristalline sono prevalentemente granitiche; • una crosta oceanica con spessori che variano da zero a 10 km e con una densità uguale, se non superiore a quella del mantello sottostante, in quanto costituita prevalentemente da rocce ultrabasiche e basiche. Tabella 1 – Percentuali in peso dei principali È da notare che l'estensione (areale) della crosta composti della crosta terrestre. continentale è maggiore dell'estensione delle terre emerse, in quanto comprende anche tutti i territori sommersi a profondità inferiori ai 2500 metri. Il gradino morfologico che marca il passaggio tra crosta continentale e crosta oceanica è detto scarpata continentale. La gran maggioranza delle rocce che compongono la crosta terrestre sono ossidi; le sole eccezioni rilevanti sono i cloruri, i solfuri e i fluoruri, in quantità che nella gran parte delle rocce non supera l'1 %. Il 47 % della crosta terrestre è costituita da ossigeno e silicio, presente sotto forma di ossidi, di cui i principali sono la silice (SiO2), l'ossido di alluminio (Al2O3), l'ossido di calcio (CaO), l'ossido di potassio (K2O), l'ossido di ferro (FeO) e l'ossido di sodio (Na2O). Dopo aver analizzato 1.672 tipi di rocce e tenendo conto della loro diffusione, F. W. Clarke ha ottenuto per la crosta terrestre le seguenti percentuali in peso (tabella 1). Interessante è il concetto di discontinuità di Conrad che corrisponde ad un piano sub-orizzontale che si trova nella crosta continentale dove la velocità delle onde sismiche aumenta in modo discontinuo. Questo piano è osservato in varie regioni continentali ad una profondità che va da 15 a 4
20 km, ma non è stato trovato nelle regioni della crosta oceanica. La velocità di propagazione delle onde sismiche P, nella crosta superiore, oscilla tra 5,6 e 7,6 km/s mentre, al di sotto della discontinuità di Conrad, l'intervallo di oscillazione passa a 6,5-7,6 km/s. Tale variazione è dovuta ad un lieve incremento della densità del materiale roccioso della crosta inferiore. Esiste anche una discontinuità fisica che separa la crosta dal mantello: si tratta di una zona di transizione tra rocce a bassa velocità di propagazione delle onde sismiche (nella crosta) e rocce ad elevata velocità (nel mantello); tale discontinuità è denominata discontinuità di Mohorovičić, spesso abbreviata in Moho. La discontinuità di Conrad (così chiamata dal nome del sismologo austriaco Victor Conrad) non è così espressiva come la discontinuità di Mohorovičić ed è assente in alcune regioni continentali (Lowrie, 1997). Si pensa che la discontinuità si trovi al confine tra la crosta continentale superiore e quella inferiore. Fino alla metà del XX secolo, si ipotizzava che nelle regioni continentali, la crosta superiore fosse costituita da rocce felsiche come il granito, cosiddette SiAl (formate da silicio e alluminio) mentre quella inferiore fosse formata da rocce mafiche come il basalto, il cosiddetto SiMa (silicio e magnesio). I sismologi del tempo ritenevano che la discontinuità di Conrad corrispondesse al brusco contatto tra i due strati chimicamente distinti, vale a dire, SiAl e SiMa (Kearey et al., 2009). A partire dagli anni '60 tra i geologi cominciarono a sorgere forti dubbi verso questa supposizione, anche se l'esatto significato geologico della discontinuità di Conrad non è stato ancora chiarito. La possibilità che rappresenti la transizione dalla facies anfibolitica a quella granulitica ha ricevuto qualche supporto dal sollevamento della parte centrale del cratere di Vredefort e il circostante cratone di Kaapvaal.(Muundjua et al., 2007). I cratoni sono le parti più rigide, antiche e stabili della crosta continentale. Le zone a fusione parziale disseminate nella crosta continentale potrebbero fornire un'altra spiegazione. La discontinuità di Conrad, proprio perché non sempre identificabile al passaggio tra crosta superiore e crosta inferiore, tra le quali il passaggio è spesso di tipo "transizionale", viene definita discontinuità di "seconda specie". La crosta terrestre (chiamata comunemente superficie terrestre), in geologia e in geofisica, è uno degli involucri concentrici di cui è costituita la Terra: cioè, lo strato più esterno della Terra solida, limitata inferiormente dalla discontinuità di Mohorovičić, avente uno spessore medio variabile fra 4 (crosta oceanica) e 70 chilometri (crosta continentale). Il nostro pianeta è formato da gusci concentrici di materiale diverso (figura 4): • la crosta terrestre, suddivisibile in continentale e oceanica, costituisce lo strato più esterno; • al di sotto c'è il mantello terrestre, che si estende fino a 2890 km di profondità; • ancora al di sotto e fino al centro della Terra (6371 km dalla superficie) è il nucleo. Il mantello litosferico, la parte più superficiale del mantello, è saldato alla crosta e la crosta terrestre, unita al mantello litosferico, costituisce quella che viene definita litosfera. Fra la litosfera e il mantello inferiore (detto mesosfera) vi è l'astenosfera: uno strato sottile di mantello parzialmente fuso che permette alla litosfera sovrastante di muoversi, alla velocità di pochi cm l'anno. Il limite superiore è dato dalla superficie terrestre che la mette in contatto con l'atmosfera o l'idrosfera. Il limite inferiore della crosta terrestre è una superficie ben definita e marcata da cambiamenti sia fisici (cambiamenti di proprietà meccaniche), sia chimici (cambiamenti nella composizione). L'interfaccia crosta-mantello viene definita, da un punto di vista petrografico, come il passaggio tra rocce che contengono feldspati (nella parte superiore) e quelle che non ne contengono (nella parte inferiore). Il limite non è netto, ma sfumato nelle rocce della crosta oceanica è doppio, in quanto la seconda superficie è data dal passaggio tra cumuli ultramafici e hartzburgiti (intrusioni basiche stratificat), osservabile direttamente in alcune ofioliti ad esempio, in Italia, nel complesso Ivrea- Verbano. Per inciso, laa sezione di crosta profonda della zona Ivrea-Verbano (Alpi occidentali) è uno dei migliori esempi di sottorivestimento magmatico continentale. Recenti studi hanno 5
evidenziato la presenza di una "zona tipo-Sesia" (l’area centrale) e di una "zona tipo-Finero" (l’area settentrionale), che hanno subito evoluzioni magmatiche e tettoniche diverse. Nella zona tipo-Sesia, l'enorme plutone gabbroico (complesso basico), si è intruso in età Permiana all’interno della crosta profonda del sudalpino formata da una sequenza di paragneiss e di corpi intercalati di peridotiti di mantello fertile (lherzoliti). Il contesto magmatico dell’intrusione è rimasto poco chiaro, fino a quando è stato dimostrato che la messa in posto del complesso basico era coeva con un vulcanismo acido superficiale, comprendente estesi depositi di caldera e, con la crescita, di plutoni acidi nella crosta superiore dell’adiacente "serie dei laghi". Il sistema magmatico del Sesia costituisce un’esposizione senza precedenti del sistema di alimentazione di una caldera dalla superficie, ad una profondità di circa 25 km. In questo quadro, il complesso basico registra i processi che avvengono nella crosta profonda al di sotto della caldera. La zona tipo-Finero è caratterizzata dalla presenza dell’unico esempio al mondo di un corpo di mantello meta somatizzato, costituito da rocce ultramafiche contenenti flogopite. L'unità di mantello è circondata da un’intrusione stratiforme femica-ultrafemica ricca in anfibolo, il complesso basico di Finero, che mostra caratteristiche litologiche, geochimiche, strutturali e geocronologiche diverse da quello della Val Sesia. Recenti datazioni U-Pb su zirconi indicano un età di intrusione medio-triassica per il complesso basico di Finero, che quindi non può essere più considerato come parte del complesso basico Permiano affiorante nell’area della Val Sesia. Diversamente, zirconi di orizzonti cromititici del corpo peridotitico di mantello forniscono età U-Pb del Giurassico Inferiore. Questa marcata differenza di età suggerisce che il complesso basico di Finero ed il corpo di mantello associato hanno subito una diversa evoluzione geodinamica, almeno fino al Giurassico Inferiore. L’escursione intende così illustrare la sequenza pressoché completa di crosta continentale della zona tipo-Sesia muovendosi dai settori crostali profondi prossimi al mantello fino alla caldera del supervulcano e mostrare le differenze litologiche e strutturali che intercorrono fra la zona tipo-Sesia e quella tipo-Finero. Ritornando allo studio sulla crosta terrestre, essa si distingue dal mantello perché le sue rocce cristalline sono prevalentemente acide o basiche, mentre quelle del mantello sono ultrabasiche. La crosta è, ovviamente, l'unica parte della Terra a contenere rocce sedimentarie. Struttura interna della Terra La Terra non ha una struttura omogenea: la densità della crosta terrestre è di circa 2,7-2,8 g/cm3 e quella media del pianeta è di 5,52 g/cm3: dunque l'interno della Terra deve avere una densità ben maggiore dell'involucro esterno. La struttura interna della Terra, simile ad altri pianeti terrestri, ha una disposizione a strati che possono essere definiti sia da proprietà chimiche che reologiche. La Terra ha una crosta esterna solida di silicati, un mantello estremamente viscoso, un nucleo esterno liquido che è molto meno viscoso del mantello e un nucleo solido. La comprensione scientifica della struttura interna della Terra è basata sulle estrapolazioni di evidenza fisica scaturita dai primi pochi chilometri distanti dalla superficie terrestre, dai campioni portati alla superficie dalle più remote profondità tramite l'attività vulcanica e dalle analisi delle onde sismiche che l'hanno attraversata (figura 4). La forza esercitata dalla gravità della Terra può essere usata per calcolare la sua massa e stimare il volume del pianeta, oltre a poter calcolare la sua densità media. L'astronomia può calcolare anche la massa della Terra in base alla sua orbita e agli effetti prodotti sui vicini corpi planetari. L'osservazione di rocce, masse d'acqua e atmosfera permette di fare una stima della sua massa, volume e densità delle rocce a una certa profondità. La massa rimanente deve trovarsi negli strati più profondi. Con l'aumentare della profondità aumenta la temperatura, mediamente, in una litosfera continentale stabile e a partire dalla superficie, la temperatura aumenta di 3° ogni 100 metri (circa 30° ogni chilometro); questo aumento rimane costante più o meno fino all'isoterma 1300 °C, a profondità 6
maggiori, nel mantello convettivo, la temperatura rimane quasi costante risentendo solo dell'aumento adiabatico (correlato all'aumento di pressione). Dal limite del nucleo - mantello (segnato dalla discontinuità di Gutenberg) in giù la temperatura ricomincia ad aumentare fino a raggiungere i circa 6000 °C nel centro del pianeta, ma gli elementi sono allo stato solido a causa della pressione. Anche la pressione aumenta con la profondità, anche se l'andamento non è ancora bene conosciuto ed è, comunque, variabile da luogo a luogo: proprio questo gradiente pressorio tende a opporsi al passaggio di stato (da solido a liquido, da liquido a gassoso) indotto dall'aumento di temperatura. Figura 4 - Rappresentazione schematica degli strati concentrici di cui è fatta la terra. Non potendo osservare direttamente la struttura dei livelli interni del pianeta (le maggiori profondità raggiunte con miniere, gallerie, perforazioni o carotaggi non superano i 20 km - risultato raggiunto solo nel 2007 - cioè meno di 1/400 del raggio terrestre). Partendo dal nucleo centrale, che ha un raggio di 1216 km, si trova il nucleo esterno, fino a 2270 km, una zona convettiva dove lo spostamento di materia avviene per convezione, ovvero per movimenti del materiale fluido e caldo. Poi vi è la zona di subduzione, il mantello, l'astenosfera, la litosfera, il mantello superiore, la crosta oceanica e infine la crosta continentale. Molto spesso, soprattutto dopo lo sviluppo della teoria della tettonica globale, anziché distinguere tra crosta e mantello terrestre, si preferisce parlare di "litosfera", strato superficiale solido, rigido comprendente tutta la crosta e parte del sottostante mantello sino a una profondità di circa 100 km, "astenosfera", allo stato plastico, viscoso sulla quale la litosfera "galleggerebbe" mentre il mantello vero e proprio viene suddiviso in superiore e inferiore. Il nucleo esterno della Terra è uno strato fluido di circa 2300 km di spessore composto prevalentemente di ferro e solfuro di ferro (FeS2) che si trova tra il nucleo solido della Terra ed il mantello. Il suo confine esterno si trova approssimativamente 2900 km al di sotto della superficie terrestre. Anche zolfo ed ossigeno potrebbero essere presenti nel nucleo esterno, ma in percentuali minime. 7
La temperatura del nucleo esterno oscilla da circa 3000 °C nelle regioni più esterne fino a circa 6000 °C vicino al nucleo interno. Sebbene abbia una composizione simile a quella del nucleo interno la pressione nel nucleo esterno non è abbastanza alta per lo stato solido della lega, così esso rimane fluido, sede di correnti di eddy (correnti parassite o correnti di Foucault), legate alla variazione del campo magnetico terrestre. Nel nucleo esterno risiede la sorgente principale del campo magnetico terrestre: si tratta, infatti, di una fonte di energia che mantiene in moto il metallo fuso, generando così un sistema di correnti elettriche che alimentano il campo geomagnetico. Discontinuità della terra. Dentro il globo terrestre, esistono zone dove si osservano alcune modificazioni brusche della velocità di propagazione delle onde sismiche; queste zone corrispondono a dei cambiamenti fisici del mezzo percorso. Le discontinuità fisiche delimitano i differenti grandi involucri della Terra. Le principali discontinuità individuate sono (figura 5): • la discontinuità di Conrad, corrispondente a un piano sub-orizzontale nella crosta continentale ad una profondità che va da 15 a 20 km • la discontinuità di Mohorovičić (normalmente abbreviata in Moho), situata ad una profondità compresa fra 5 e 90 km, che segna il limite fra la crosta (oceanica o continentale) ed il mantello, e mostra una variazione della natura dei materiali. La Moho è compresa fra 0 e 15 km sotto la crosta oceanica, 30 km sotto una crosta continentale di tipo zoccolo e ad una più grande profondità (fino a 80 km) sotto le catene di montagne recenti. • la discontinuità di Gutenberg, situata a 2900 km, marca il limite fra il mantello inferiore e il nucleo esterno - che si comporta come un liquido. • la discontinuità di Lehmann, situata a 5100 km di profondità, delimita il nucleo esterno e il nucleo interno (detto anche "seme solido"). Oltre a queste, sono state identificate altre discontinuità minori, per lo più localizzate in qualche specifica zona su un ambito territoriale regionale o relativamente ristretto. Figura 5 – Discontinuità della Terra, con i principali strati concentrici che ne formano il profili. 8
Gli anelli concentrici ed altre caratteristiche profonde (figura 6), superficiali ed esterne del Mundus sono di seguito indicate in maniera dettagliata: 1. Crosta continentale, solida, costituita da rocce essenzialmente granitiche in profondità e da rocce sedimentarie in superficie. La crosta oceanica è la più spessa (da 30 km a 100 km, al di sotto delle catene montuose). Essa rappresenta circa 1,5% del volume della terra. Precedentemente nota come SiAl (silicio + alluminio). 2. Crosta oceanica, solida, composta principalmente da rocce basaltiche. Relativamente sottile (circa 5 km) e chiamato anche SiMa (silicio + di magnesio ). 3. Zona subduzione (è quella dove una placca oceanica scivola e va sotto un altra placca oceanica), dove una piastra affonda a volte fino a diverse centinaia di chilometri nel mantello. 4. Mantello superiore che è più viscoso del mantello inferiore. Consiste essenzialmente di rocce come la peridotite, costituite per il 60% in volume da peridoto, i cui minerali sono l'olivina, i pirosseni, il granito . Il contatto tra la crosta e mantello superiore a volte può scoprire una zona chiamata LVZ (Low Velocity Zone). 5. Eruzioni sulle aree di vulcanismo attivo. Due tipi di vulcanismo sono indicati, il più profondo dei due si chiama "punto di conflitto". Sarebbe costituito da magma di vulcani che proviene dalle profondità del mantello, vicino al confine con la roccia liquida di base. Questi vulcani, poiché non sono collegati a placche tettoniche e seguendo così i movimenti della crosta terrestre, sarebbero quasi immobili sulla superficie del globo, formando gli arcipelaghi di isole come Tahiti. 6. Mantello inferiore, che ha le proprietà di un solido elastico . Il mantello non è liquido come si potrebbe pensare guardando la lava che fluisce dalle eruzioni vulcaniche, ma meno "duro" rispetto agli altri livelli. Il mantello rappresenta 84% del volume della Terra. 7. Superficie della terra più calda che ha origine dal confine con il nucleo parzialmente fuso e produce vulcanismo in punti contrastanti. 8. Nucleo esterno liquido (NiFe), composto principalmente da ferro (circa 80%) e nichel più alcuni elementi più leggeri. La viscosità di questo nucleo è simile a quella dell'acqua, la temperatura media raggiunge i 4000 °C ed una densità di 10. Questa enorme quantità di metallo fuso viene rimossa (per convezione, ma anche in risposta ai vari movimenti quali la rotazione e precessione del mondo). La precessione è la rotazione dell'asse di rotazione di un corpo attorno ad un asse; esistono due tipi di precessione, qulla torque-free e quella giroscopica (o torque- induced). Variazioni di ferro liquido sono in grado di generare correnti elettriche che danno origine a campi magnetici. La massa liquida del nucleo è dunque l'origine del campo magnetico terrestre. 9. Nucleo interno, solido, essenzialmente composto da progressiva cristallizzazione del nucleo esterno. La pressione mantiene tale nucleo allo stato solido, nonostante una temperatura superiore a 5000 °C e una densità di circa 13. Il nucleo interno ed esterno rappresentano il 15% in volume della Terra. 10. Cellule del mantello di convezione che si muove lentamente. Il mantello è sede di correnti di convezione che trasferiscono la maggior parte dell'energia termica dal nucleo della Terra alla superficie. Queste correnti provocano la deriva dei continenti, ma le loro caratteristiche precise (velocità, ampiezza, localizzazione) sono ancora poco conosciute. 11. Litosfera, costituita da crosta ( placche tettoniche ) ed una parte del mantello superiore. Il limite inferiore della litosfera giace ad una profondità compresa tra 100 e 200 km, il limite dove le peridotiti sono vicine al loro punto di fusione. Tale limite, talvolta, si trova alla base della litosfera, in una zona chiamata LVZ o Low Velocity Zone, dove la diminuzione della velocità e attenuazione delle onde sismiche è marcato. Questo fenomeno è dovuto alla parziale fusione delle peridotiti e comporta una maggiore fluidità. LVZ è generalmente presente nelle radici delle gamme di crosta continentale di montagna. 12. Astenosfera, si trova sotto mantello superiore, sotto la litosfera. 13. Discontinuità di Gutenberg , è la zona di transizione dal mantello al nucleo. 9
14. Discontinuità di Mohorovicic è la zona di transizione tra la crosta ed il mantello, è, quindi, parte della litosfera. Figura 6 - Anelli concentrici ed altre caratteristiche profonde, superficiali ed esterne della Terra Campo magnetico terrestre. Già nel 1600, si sosteneva che "tutta la Terra fosse un grosso magnete", che genera un campo magnetico che fa sentire i suoi effetti sul piccolo magnete dell'ago della bussola, così da allinearlo secondo l'asse nord-sud. Oggi la maggioranza degli studiosi crede che il campo magnetico terrestre possa essere paragonato a quello di una sfera uniformemente magnetizzata, caratterizzata da due poli magnetici, che non coincidono, però, con i due poli Nord e Sud geografici (figura 7). La struttura del campo magnetico terrestre mostra che esso può considerarsi generato prevalentemente da un dipolo magnetico, situato nel centro della Terra e inclinato di 11° 30' rispetto all'asse terrestre. I punti in cui l'asse del dipolo incontra la superficie terrestre sono detti poli geomagnetici. Il polo geomagnetico situato nell'emisfero boreale si indica convenzionalmente con B e si trova a 78° 30' N, 69° W; il polo geomagnetico situato nell'emisfero australe si indica convenzionalmente con A e si trova a 78° 30' S, 111° E. In realtà, l'origine del campo magnetico non è ancora del tutto chiarita e attualmente si ipotizza che esso possa essere generato dal movimento di Figura 7 – Campo magnetico terrestre. cariche elettriche (ipotesi della dinamo ad autoeccitazione). Si può applicare alla Terra il modello della dinamo, immaginando: a. la presenza iniziale di un debole campo magnetico non uniforme; b. la presenza di un nucleo fuso, buon conduttore; c. la possibilità di movimenti nel nucleo stesso. 10
I movimenti nel nucleo fuso inducono una corrente che produce un campo magnetico nuovo, che a sua volta induce una nuova corrente nel nucleo, che da parte sua provoca un nuovo campo magnetico e così via. Date queste caratteristiche, il modello è stato chiamato della "dinamo ad autoeccitazione". Si pensa che le sorgenti di energia più probabili per mantenere il movimento all'interno del nucleo siano dei movimenti di calore all'interno del nucleo, paragonabili a quelli che si sviluppano in un liquido messo a bollire (moti convettivi). Il paleomagnetismo. Studi compiuti negli anni Cinquanta evidenziarono che in passato si sono verificate variazioni dell'intensità e anche inversioni di polarità del campo magnetico terrestre. Lo studio di tali cambiamenti prende il nome di paleomagnetismo, o magnetismo fossile, e ha contribuito in modo rilevante alla scoperta dell'espansione dei fondali oceanici e alla formulazione della teoria della tettonica a placche. In particolare, si sono fatte alcune scoperte. • Il campo magnetico della Terra si è invertito varie volte rispetto a quello attuale, come se i poli si fossero scambiati di posto; le inversioni di polarità si riconoscono quando, in colate basaltiche successive, in corrispondenza delle dorsali medio-oceaniche (sorta di fessure sul fondale oceanico, da cui fuoriesce magma proveniente dall'astenosfera), si riscontrano direzioni del campo magnetico divergenti di 180°. Tale fenomeno è una prova utilizzata a favore dell'espansione dei fondi oceanici. • Il campo magnetico ha subito rilevanti migrazioni rispetto alla crosta terrestre, suffragando così l'ipotesi della migrazione dei poli. Così sembrerebbe che il polo nord magnetico si sia spostato verso nord per un lungo periodo di tempo a partire dal Permiano (circa 320 milioni di anni fa), quando si trovava alla latitudine di 5° N. • Le interpretazioni paleomagnetiche tratte da rocce coeve in diversi continenti hanno indicato diverse posizioni dei poli, suggerendo la probabilità di una deriva dei continenti da quando le rocce si sono formate. Informazioni riguardo al magnetismo fossile si ottengono dallo studio di molte rocce ignee (lave basaltiche) e sedimentarie (arenarie rosse), contenenti minerali magnetici che registrano fedelmente la direzione del campo magnetico presente al momento della loro formazione. Quando la temperatura di un magma scende al di sotto di un valore detto punto di Curie (diverso a seconda del minerale), i minerali magnetizzabili (per esempio, la magnetite) cristallizzano, magnetizzandosi secondo la direzione del campo magnetico esistente in quel momento. Ciò può avvenire sia quando un magma solidifica in profondità, dando origine a una roccia intrusiva, sia quando una lava effusa si raffredda sulla superficie terrestre. Nel caso di rocce sedimentarie clastiche, quando avviene la deposizione del materiale detritico sul fondo di un bacino sedimentario (per esempio, un lago), le particelle di minerali magnetizzabili presenti si orientano secondo la direzione del campo magnetico presente in quel momento sulla Terra. Dagli studi effettuati, si è potuto stabilire che l'inversione dei poli magnetici sia avvenuta circa ogni 500.000-600.000 anni; tuttavia, non sono ancora state chiarite le cause e le modalità del fenomeno. Alcuni scienziati ipotizzano che l'inversione dei poli magnetici abbia una grande importanza per la sopravvivenza di interi gruppi di organismi. Infatti, nei momenti di inversione la schermatura magnetica, che normalmente protegge la Terra da alcune radiazioni solari, è meno efficace e quindi aumentano d'intensità gli effetti nocivi di alcune radiazioni solari su interi gruppi di organismi viventi. Proprio per ciò, molti studiosi collegano le estinzioni di intere famiglie faunistiche, come i dinosauri o le ammoniti, con momenti di inversione del campo magnetico terrestre. La Terra è sede di un campo magnetico la cui origine, e soprattutto il suo mantenimento, è dovuta alla dinamica del ferro fluido presente nel nucleo esterno del pianeta. Il campo magnetico terrestre non si espande liberamente nello spazio interplanetario ma è confinato dal vento solare entro una precisa regione di spazio che prende il nome di magnetosfera terrestre. Conseguenza dell’interazione tra il vento solare e la magnetosfera è la formazione di un complesso sistema di correnti magnetosferiche responsabili della generazione di campi magnetici secondari. Il campo magnetico misurato sulla superficie del nostro pianeta è pertanto la sovrapposizione di campi di origine interna alla Terra, come quelli prodotti nel nucleo e nella crosta terrestre, e campi 11
di origine esterna, come quelli dovuti alle correnti elettriche che circolano nella ionosfera e nella magnetosfera. La registrazione continua degli elementi del campo magnetico terrestre consente quindi da un lato, di comprendere le proprietà fondamentali del campo e, dall’altro, di studiare le diverse sorgenti all’origine del campo stesso. L’obiettivo principale del gruppo di geomagnetismo dell’INGV è di monitorare il campo magnetico terrestre tanto su territorio italiano quanto su quello antartico e di utilizzare i dati raccolti per studi scientifici. Elementi del campo magnetico. Il campo magnetico terrestre è un campo vettoriale rappresentato da un vettore, funzione del punto di osservazione e del tempo, generalmente indicato con F. Introducendo una terna cartesiana levogira con origine nel luogo di osservazione e assi orientati come in figura, si definiscono i seguenti elementi magnetici (figura 8): Figura 8 – Rappresentazione vettoriale del campo magnetico terrestre. L’unità di misura del campo magnetico terrestre per convenzione internazionale è abitualmente espressa in termini del vettore d’induzione. La sua unità nel Sistema Internazionale (SI) è il tesla (T), ma nella pratica viene usato un suo sottomultiplo (nT) pari a 10-9 T. Sulla superficie terrestre, il valore del campo varia in intensità, dall’equatore ai poli, da circa 20.000 nT a 70.000 nT. Un modo comune di descrivere il campo magnetico terrestre è quello di riportare su delle mappe i valori che gli elementi magnetici hanno sulla superficie terrestre. Si ottengono in questo modo le carte isomagnetiche, cioè mappe in cui punti di uguale intensità sono uniti attraverso delle linee chiuse. Il nome di queste carte varia ovviamente a seconda dell’elemento magnetico considerato, si 12
parla di carte isocline nel caso in cui vengano riportati i valori dell’inclinazione I, di carte isodinamiche, qualora sia graficata una qualunque componente intensiva (X, Y, Z, H, F) del campo (figura 9) ed, infine, di carte isogone nel caso della declinazione D. Figura 9 - Carta isodinamica dell’intensità totale (F) del campo magnetico terrestre (espressa in nT), relativa all’anno 2005. Riscaldamento globale. L'espressione riscaldamento globale (dall'inglese global warming, tradotto talvolta con riscaldamento climatico o surriscaldamento climatico) indica il mutamento del clima terrestre sviluppatosi nel corso del XX secolo e tuttora in corso. Tale mutamento è attribuito in larga misura alle emissioni in atmosfera di crescenti quantità di gas serra e ad altri fattori comunque dovuti all'attività umana. Nel corso della storia della Terra si sono registrate diverse variazioni del clima che hanno condotto il pianeta ad attraversare diverse ere glaciali, alternate a periodi più caldi detti ere interglaciali. Queste variazioni sono riconducibili principalmente a mutamenti periodici dell'assetto orbitale del nostro pianeta (cicli di Milanković), con perturbazioni dovute all'andamento periodico dell'attività solare ed alle eruzioni vulcaniche, per emissione di CO2 e di polveri. Per riscaldamento globale s'intende invece un fenomeno di incremento delle temperature medie della superficie della Terra non riconducibile a cause naturali e riscontrato a partire dall'inizio del XX secolo. Secondo il quarto rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change del 2007, la temperatura media della superficie terrestre è aumentata di 0,74 ± 0,18 °C durante il XX secolo (IPCC, 2007). La maggior parte degli incrementi di temperatura sono stati osservati a partire dalla metà del XX secolo e sono attribuiti all'incremento della concentrazione atmosferica dei gas serra, in particolare dell'anidride carbonica (riscaldamento globale). Questo incremento è il risultato dell'attività umana, in particolare della generazione di energia per mezzo di combustibili fossili e della deforestazione, e genera a sua volta un incremento dell'effetto serra (The National Academies, 2008). L'oscuramento globale, causato dall'incremento della concentrazione in atmosfera di aerosol, blocca i raggi del sole, per cui, in parte, potrebbe mitigare gli effetti del riscaldamento globale. I reports dell'IPCC (IPCC, 2014) suggeriscono che durante il XXI secolo la temperatura media della Terra potrà aumentare ulteriormente rispetto ai valori attuali, da 1,1 a 6,4 °C in più, a seconda del modello climatico utilizzato e dello scenario di emissione (figura 10). 13
Figura 10 - La maggior parte dell'aumento delle temperature medie globali osservate dalla metà del XX secolo, molto probabilmente, è causato dall'aumento, di origine antropica, delle concentrazioni di gas in serra. L'aumento delle temperature sta causando importanti perdite di ghiaccio e l'aumento del livello del mare. Sono visibili anche conseguenze sulle strutture e intensità delle precipitazioni, con modifiche di conseguenti nella posizione e nelle dimensioni dei deserti subtropicali (Lu et al., 2007). La maggioranza dei modelli previsionali prevede che il riscaldamento sarà maggiore nella zona artica e comporterà una riduzione dei ghiacciai, del permafrost e dei mari ghiacciati, con possibili modifiche alla rete biologica e all'agricoltura. Il riscaldamento climatico avrà effetti diversi da regione a regione e le sue influenze a livello locale sono molto difficili da prevedere (IPCC, 2007, a) Come risultato dell'incremento nell’atmosfera dell’anidride carbonica, gli oceani potrebbero diventare più acidi (EPA, Environmental Protection Agency, 2010; NOAA – ,2010) La comunità scientifica è sostanzialmente concorde nel ritenere che la causa del riscaldamento globale sia di origine antropica (Oreskes, 2004; Joint Science Academies' Statement, 2010; The National Academies, 2008). Ciò nonostante è in essere un ampio dibattito scientifico e politico che coinvolge anche l'opinione pubblica. Il protocollo di Kyoto vuole mirare alla riduzione dei gas serra prodotti dall'uomo. Alla data di novembre 2009 187 paesi avevano sottoscritto e ratificato il protocollo (Kyoto Protocol, 2009). I cambiamenti recenti del clima sono stati analizzati più in dettaglio solo a partire dagli ultimi 50 anni, cioè da quando le attività umane sono cresciute esponenzialmente ed è diventata possibile l'osservazione dell'alta troposfera. Tutti i principali fattori ai quali è attribuito il cambiamento climatico sono legati alle attività dell'uomo. In particolare questi sono (IPCC; 2007): • incremento della concentrazione di gas serra nell'atmosfera; • cambiamenti sulla superficie terrestre come la deforestazione; • incremento degli aerosol; • allevamento intensivo. Un rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) conclude che la maggior parte degli incrementi di temperatura osservati dalla metà del XX secolo è, con molta probabilità, da imputare all'incremento di gas serra prodotti dall'uomo; mentre è molto improbabile (si stima 14
sotto il 5%) che le variazioni climatiche possano essere spiegate ricorrendo solo a cause naturali. Il riscaldamento interessa sia l'oceano sia l'atmosfera. Influenza della variazione dell'attività solare ed altri fattori cosmici. Variazioni nelle emissioni solari sono state concausa, in passato, dei cambiamenti climatici (National Research Council, 1994). Gli effetti sul clima dei cambiamenti delle emissioni solari negli ultimi decenni sono incerti (Lockwood e Fröhlich, 2008) d'altro canto alcuni studi suggeriscono che tali effetti siano minimi (Phillips T., 2013; DuffyP.B., Santer B.D. e Wigley T.M.L., 2009; Hansen., 2002; 2005). Gas serra e raggi solari incidono sulle temperature in modo diverso. Sebbene entrambi tendano a riscaldare la superficie terrestre e l'immediata porzione di troposfera che poggia su di essa, l'incremento dell'attività solare dovrebbe riscaldare la stratosfera mentre i gas serra la dovrebbero raffreddare. Le osservazioni della stratosfera mostrano come la temperatura si è andata abbassando a partire dal 1979, da quando è possibile la misurazione della stessa tramite i satelliti. Le stesse radiosonde, usate prima dei satelliti, mostrano un raffreddamento della stratosfera a partire dal 1958 sebbene vi siano alcuni dubbi sulle prime misurazioni effettuate con questi dispositivi (Randel et al., 2009). Un'ipotesi correlata, proposta da Henrik Svensmark, è che l'attività magnetica del sole devii i raggi cosmici che possono così influenzare la formazione di nubi di condensa e causare quindi degli effetti sul clima (Marsh. e Svensmark, 2000). Altre ricerche invece non rilevano legami tra il riscaldamento climatico e i raggi cosmici (Lockwood e Fröhlich, 2007; Sloan e Wolfendale, 2008). L'influenza dei raggi cosmici sulle nubi ha tuttavia un'incidenza cento volte più bassa di quella necessaria a spiegare i cambiamenti osservati nelle masse nuvolose o per contribuire significativamente al riscaldamento climatico (Pierce e Adams, 2009). Influenza dei gas serra nell'atmosfera. L'effetto serra è l'insieme dei meccanismi che rende la temperatura superficiale di un pianeta superiore a quella che si avrebbe per puro equilibrio radiattivo, calcolato secondo la legge di Stefan-Boltzmann. Tale concetto è stato proposto per la prima volta da Joseph Fourier nel 1827 ed è stato studiato poi da Svante Arrhenius nel 1896 (Weart, 2008). L'effetto serra produce sulla superficie terrestre un aumento di temperatura di circa 33 °C, dato calcolato considerando la temperatura media terrestre nel 1850 (IPCC, 2007). I principali gas serra sono: il vapore acqueo, responsabile dell'effetto serra in una percentuale variabile tra il 36–70%; l'anidride carbonica (CO2), che incide per il 9-26%; il metano (CH4), che incide per il 4-9%; l'ozono (O3), che incide tra il 3-7% (Kiehl e Trenberth, 1997; Schmidt, 2005; Russell, 2007). L'attività dell'uomo, già dalla rivoluzione industriale, ha incrementato l'ammontare di gas serra nell'atmosfera modificando l'equilibrio radiativo e la partizione energetica superficiale (atmosfera radiativa-convettiva). La concentrazione di CO2 e metano ha subito un incremento rispettivamente del 36% e del 148% dal 1750 (EPA, 2007). Queste concentrazioni sono tra le più alte degli ultimi 650.000 anni, periodo che è misurabile in base ai dati estratti da carotaggi nel ghiaccio (Spahni et al., 2005; Siegenthaler et al., 2005; Petit et al.,1999). Tale incremento di circa 2 ppm all'anno è legato principalmente all'uso di combustibili fossili che durante il periodo carbonifero (tra 345 e 280 milioni di anni fa) avevano fissato la CO2 nel sottosuolo, trasformandola dalla forma gassosa a quella solida o liquida di petrolio, carbone o gas naturale. Negli ultimi 150- 200 anni, a partire dalla rivoluzione industriale, la combustione dei giacimenti fossili ha invertito il processo avvenuto durante il periodo carbonifero liberando grandi quantità di anidride carbonica pari a circa 27 miliardi di tonnellate all'anno. Secondo le stime, il pianeta riuscirebbe oggi a riassorbire, mediante la fotosintesi clorofilliana e l'azione delle alghe degli oceani, meno della metà di tali emissioni, anche a causa della deforestazione (Working Group I to the Third Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, 2001). Alcuni indizi di carattere geologico indicano che gli attuali valori di CO2 sono più alti di quelli di 20 milioni di anni fa (Pearson e Palmer, 2000). Il bruciare i combustibili fossili ha prodotto circa 3/4 dell'incremento di anidride carbonica negli ultimi 20 anni. La restante parte di incremento è largamente dovuta all'uso 15
che l'uomo ha fatto della superficie terrestre, come nel caso della deforestazione (IPCC, 2001). L'attività umana ha, infatti, ridotto la biomassa vegetale in grado di assorbire la CO2 fin dalla rivoluzione agricola neolitica, trasformando i boschi in campi o città. Oggi la deforestazione (in particolare in Amazzonia) continua ad aumentare ed aggrava ulteriormente la situazione. A contribuire ulteriormente vi è la maggior produzione di metano dovuto a fermentazione tipico dell'allevamento anch'esso cresciuto in modo significativo e delle colture a sommersione (ad esempio il riso). Secondo il comitato di esperti delle Nazioni Unite (Intergovernmental Panel on Climate Change) l'attuale riscaldamento non può essere spiegato se non attribuendo un ruolo significativo anche a questo aumento di concentrazione di CO2 nell'atmosfera (Anthropogenic teory, Global Warming). Nell'arco degli ultimi tre decenni del XX secolo, la crescita del PIL procapite e la crescita della popolazione sono stati i volani dell'aumento dell'emissione di gas serra (Rogner et al. (2007; National Research Council, 2008; World Bank, World Development Report, 2010). Alla luce di questi studi sono stati creati degli strumenti per prevedere gli scenari futuri. Gli Special Report on Emissions Scenarios redatti dall'IPCC disegnano il possibile scenario per il 2100: la concentrazione di CO2 in atmosfera potrebbe variare tra 541 e 970 ppm.(Prentice et al., 2001). Questo significa un incremento del 90-250% di concentrazione di anidride carbonica rispetto al 1750. Le riserve di combustibile fossile sono sufficienti per raggiungere questi livelli e andare anche oltre il 2100 (Nakicenovic et al., 2001). Ozono. La distruzione dell'ozono presente nella stratosfera a causa dei clorofluorocarburi svolge un ruolo importante in relazione al riscaldamento globale (figura 11 e figura 12). Figura 11 - Le emissioni di superficie dei precursori dell'ozono e l’andamento della quantità di metano in funzione del tempo (sopra). La media annua globale delle emissioni dei precursori (asse a sinistra) e l’andamento del metano sono mostrati (asse di destra). Le emissioni regionali medie annuali di NOx, un esempio di quelle usate per i vari precursori (sotto). Le emissioni sono basate sul lavoro di van Aardenne et al., 2001 nei Tg/anno: N per NOx, CO per monossido di carbonio e C per idrocarburi non metanici. Il metano è stato previsto in superficie con la media globale totale indicata sopra ed una variante con la latitudine simile alle osservazioni attuali, creando un gradiente interemisferico del 5,5% in più in NH rispetto ai valori medi di SH. Nella legenda, CSI è il Commonwealth degli Stati indipendenti (ex Unione Sovietica) e Dey è l’area dell’Asia in via di sviluppo. I simboli sono dati per anni. Nelle ordinate, i valori sono espressi in Tg/anno, teragrammi/anno (1 Tg = 1012 g), mentre in ascissa si riporta il tempo in anni. 16
Figura 12 - Cambiamento di ozono troposferico calcolato secondo il modello chimico- climatico (in alto). Conseguenze istantanee della forzatura della tropopausa radiativa utilizzata nelle simulazioni climatiche transitorie, che sono guidate da imposti andamenti dell’ozono troposferico (in basso). I cambiamenti di ozono sono dati sia dalla colonna della media globale troposferica (> 150 ppb di ozono), sia dal carico troposferico (inferiore a 150 millibar). L’ozono nell’asse delle ordinate a sinistra in alto è misurato in unità di Dobson (DU), per cui unità di Dobson equivale ad uno strato di ozono puro dello spessore di 0,01 mm alla densità che questo gas possiede alla pressione esistente all’altezza del suolo. La quantità di ozono che ci sovrasta alle latitudini temperate è pari a circa 350 DU. Per effetto delle correnti stratosferiche, l’ozono viene trasportato dalle regioni tropicali a quelle polari. Nell’asse delle ordinate, a destra in alto, l’ozono è misurato in Teragrammi (Tg) pari a 1012 grammi. Nell’asse delle ordinate, nel grafico in basso, si riporta l’emittenza radiante o emittenza energetica (radiant exitance) che è il flusso radiante emesso da una sorgente estesa per unità di area che, nel sistema internazionale, si misura in W/m2 (watt per metro quadrato). Tuttavia il legame non è così forte, poiché la riduzione della fascia di ozono ha effetti raffreddanti (Ramaswamy, 1992). L'ozono presente nella troposfera (cioè nella parte più bassa dell'atmosfera terrestre) contribuisce invece al riscaldamento della superficie della Terra. (Shindell et al, 2006). Le tendenze di forcing radiativo erano non lineare nel tempo. Poi si separano in due periodi quasi lineari: prima e dopo il 1950. Pertanto, le analisi del riscaldamento terrestre sono concentrate in gran parte sulle tendenze durante la prima e la seconda metà del XX secolo. Il modello spaziale dei cambiamenti di ozono durante questi due periodi, ciascuno di 50 anni, riguarda la superficie, un 17
livello vicino alla tropopausa, e la colonna totale nella figura 13. La superficie mostra la maggior parte della distribuzione disomogenea, con aumenti di ozono chiaramente localizzati vicino le regioni industrializzate (e in misura minore per la combustione di biomasse), in particolare durante la prima metà del il secolo. Gli aumenti sono più uniformemente distribuiti in direzione delle aree con livelli più alti, come ci si aspetterebbe dalla prevalente circolazione e dai tempi chimici più lunghi a queste altitudini. Sia la superficie sia il livello di ozono della tropopausa, nonché la colonna, mostrano gli incrementi maggiori nelle latitudini del centro nord. Oltre l’Africa, tuttavia, gli aumenti sono grandi quasi tutti fino all'equatore. Negli oceani, gli aumenti sono stati di grandi dimensioni sopra l'Atlantico e, soprattutto, sopra l'Oceano Indiano, ma minori sopra il Pacifico. Figura 13 - Cambiamenti di ozono prima e dopo il 1950. I valori sono presentati (in alto), per il livello di superficie (ppb), (al centro) per il livello centrale intornoa 280 hPa (ppb), e (in basso) per la colonna troposferico (DU). Nota che le prime due righe condividono la stessa barra di colore e che le scale delle parcelle sulla destra sono il doppio di quelle a sinistra. I valori in alto a destra di ogni parcella danno il valore medio globale nelle stesse unità. 18
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