CALIFORNIA, UNA QUESTIONE DI LIQUIDO - CEVI

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CALIFORNIA, UNA QUESTIONE DI LIQUIDO - CEVI
California, una questione di liquido
- Luca Celada, LOS ANGELES,13.02.2021

Acqua. Dall’inizio dell’anno è quotata in borsa: si profila sullo sfondo della crisi ambientale una
speculazione suicida

Nella California centro-meridionale, dove il deserto è stato irrorato e reso paniere d’America,
nell’arida pianura dove crescono miracolosamente il 50% degli ortaggi del paese, l’acqua è una
risorsa preziosa per definizione. Scarsa da sempre, è un bene ancora più precario a causa di un
mutamento climatico che ha prodotto anni consecutivi di siccità record e alimentato spaventosi
incendi in gran parte dello stato. Condizioni estreme che hanno fatto impennare il costo dell’acqua
sul mercato dell’irrigazione, un’inflazione che ha attirato l’attenzione di Wall street: da quest’anno
l’acqua è ufficialmente quotata in borsa con la sigla «NQH2O». Il prezzo della linfa vitale e non
rinnovabile del pianeta (attualmente attorno ai $500 per acre foot – circa 12000 ettolitri), viene
quotato sull’indice Nasdaq e Matthew Diserio, presidente della Water Asset Management, un fondo
di investimenti specializzato la definisce «un’opportunità da un trilione di dollari».

È noto che le commodity scarse e fortemente richieste – vedi l’oro o il petrolio, ad esempio – sono
strumenti ideali per la speculazione, e la finanziarizzazione dell’acqua promette di essere un caso
paradigmatico. Il prezzo quotato in borsa si basa su quello per l’irrigazione in 5 distretti agricoli
californiani. Ma non si riferisce solo a quello effettivo, pagato dagli agricoltori. Invece «si tratta del
primo derivato finanziario legato all’acqua», come si legge sul sito della Veles Water, un’altra delle
aziende promotrici del listing.

Il business dell’acqua è infatti legato soprattutto al suo uso come strumento speculativo. Mediante
gli algoritmi di mercato, l’acqua destinata a bagnare i campi per produrre nutrimento (in uno stato
in cui il 25% della popolazione vive sotto la soglia della sicurezza alimentare) verrà quotata e resa
bene economico astratto. I titoli che rappresentano il costo dell’acqua, consolidati in pacchetti di
investimento – i «derivati» appunto – verranno immessi nel commercio globale della finanza, veduti e
rivenduti, accorpati a portfolio di fondi di investimento e hedge fund alla pari di altri derivati (fra cui
quelli basati sui mutui spazzatura che, nel 2007, rischiarono di far collassare l’intero impianto
economico).

Speculazione e arbitraggio
Come avviene esattamente la transustanziazione dell’acqua in «strumento finanziario»? I derivati
sono sofismi finanziari che derivano il proprio «valore» non da quello effettivo di un prodotto, un
bene o del lavoro, ma da quello astratto che assegna loro la domanda e l’offerta. Sempre più rimossa
dalla sua funzione vitale, l’acqua, o meglio il suo prezzo astratto, invece che nei canali agricoli,
viaggerà nei bit del casinò della finanza globale: l’etere in cui gli speculatori scommettono sulle
commodity in due principali modalità, la speculazione e «l’arbitraggio».

Per «speculazione» si intende, tecnicamente, una scommessa monetaria fatta in base all’aspettativa
che il valore di un bene cambi nel tempo, nel «futuro». E come sa ogni appassionato di Una poltrona
per due, il giro di affari dei futures, implica l’acquisto di una commodity ad un prezzo prefissato
nella speranza di guadagnare sulle fluttuazioni future del mercato. Così dovrebbe funzionare anche
quello dell’acqua che Diserio (della Wam) definisce entusiasta: «il maggior mercato emergente al
mondo»: io compro una fornitura di acqua da ricevere fra sei mesi a $300/l’ettolitro. Se poi
interviene una forte siccità che farà scarseggiare le riserve e levitare i prezzi, potrò guadagnare
rivendendo l’acqua ad un prezzo doppio.
Per arbitraggio si intende l’operazione che realizza guadagni acquistando un bene in una località e
rivendendolo altrove con profitto. All’origine occorre acquistare i campi agricoli che danno diritto ad
acquistare l’acqua per irrigarla. Si spiega così l’improvviso interesse di alcune aziende e banche ad
acquistare terreni coltivabili, specie nell’arido sudovest, col solo scopo di controllare le quote idriche
e rivenderle al maggior offerente. La Water Asset Management, ad esempio, basata in grattacieli di
Manhattan e San Francisco, si specializza nell’acquisizione di terreni ed annessi diritti di irrigazione
in stati aridi come il Colorado e l’Arizona. Una volta assicurati, l’acqua non verrà usata per coltivare
i campi bensì rivenduta al miglior offerente con lucroso guadagno. In questa regione l’operazione
non è certo una novità.

Breve storia idrica del West
Per produrre il 98% dei broccoli, il 97% delle mandorle, il 89% delle prugne e quasi la metà delle
frutte e ortaggi per il resto della nazione, la California dipende da una mastodontica rete di
irrigazione che è vanto di ingegneria ambientale. Una volta conquistato per «grazia divina» (e con
una fruttuosa aggressione al Messico) il territorio del maestoso ma arido Ovest si è subito posto
infatti il problema di come irroralo della linfa vitale necessaria a trasformarlo in terra promessa.
«Con l’aggiunta di acqua», dichiarò a inizio del ’900 il ministro degli interni di Herbert Hoover, Ray
Lyman Wilbur, «la conquista del Sudovest, assicurerà la crescita di una grande e stabile civiltà».

La California è spesso funestata da terribili incendi durante i mesi più caldi. Qui una foto del 2017

Iniziata a fine ’800, la bonifica idrica è stata principalmente incentrata sullo sfruttamento del
Colorado. Il grande corso d’acqua che gli indiani chiamavano Lapay’ha, «acqua rossa» è scorso per
milioni di anni indisturbato dalle Montagne Rocciose fino al Golfo di Cortez, scavando nel tragitto il
solco del Grand Canyon. Oggi è dirottato in centinaia di acquedotti e prese d’acqua che lo hanno
ridotto a poco più di una conduttura idraulica. La storia è raccontata bene da Marc Reisner in
Cadillac Desert

L’acqua distolta dai canali è stata ripartita fra i primi coloni arrivati, stabilendo diritti di prelazione
su quote idriche successivamente codificate nel Colorado River Compact, sottoscritto nel 1922 da
California, Wyoming, Nevada, Arizona, Colorado e Nuovo Messico, il trattato che stipula la
ripartizione a seconda del fabbisogno di ogni stato.

La California, già all’epoca potenza politica regionale ebbe la meglio sui vicini quasi disabitati con la
quota di gran lunga più consistente di acqua per i propri campi ed agrumeti a cui poté destinare 4,4
milioni di acre feet all’anno (ognuno dei quali denota la quantità necessaria a coprire un acro con 30
cm d’acqua). In seguito ci sono state revisioni e numerose recriminazioni in cui tutti sono comunque
stati generalmente d’accordo su una cosa: dare il meno possibile al Messico. Da anni il fiume si
spegne molti chilometri prima di raggiungere quello che era stato il suo florido estuario nel Golfo di
California.

Il grande furto
In sostanza l’atto fondativo della California (e del Sud Ovest americano) è stato il commissariamento
e la privatizzazione delle acque. Il conflitto attorno alla risorsa scarsa ed essenziale al progresso, si è
acuito con la impressionante urbanizzazione e la crescita di città come San Diego, Las Vegas,
Phoenix e Los Angeles. Lo sviluppo di quest’ultima è stato notoriamente predicato sull’importazione
massiccia di acque da centinaia di chilometri di distanza. Soprattutto dalla Owens Valley, alle
pendici della Sierra Nevada da dove negli anni 20 è stato costruito un canale lungo 674 km. Il flusso
di acqua della Owens Valley ha alimentato la speculazione edilizia su cui è predicata la città (la
premessa della trama di Chinatown di Polanski).

Allora gli agenti del Department of Water and Power azienda delle acque di LA, cominciarono ad
acquisire terreni e relativi diritti di irrigazione dagli agricoltori della Owens Valley sotto le mentite
spoglie di investitori agricoli. Quando, con proditorietà ante-litteram da insider trader, ebbero in
mano i diritti d’uso delle acque annessi ai terreni, e venne annunciata il dirottamento nel canale
verso Los Angeles, era ormai tardi perché i turlupinati coloni del luogo potessero opporsi al grande
furto d’acqua che avrebbe condannato la loro ridente vallata a trasformarsi in polveroso deserto.

Nel 1924, 700 famiglie di agricoltori occuparono le chiuse e tentarono di dirottare il flusso
nuovamente verso i campi moribondi. Los Angeles inviò centinaia di agenti di polizia mentre gli
sceriffi del luogo presero la parte dei ribelli. Lo scontro armato venne evitato in extremis solo da un
accordo che avrebbe restituito una parte delle acqua ma che non fu mai rispettato da Los Angeles.
Una campagna di attentati dinamitardi contro l’acquedotto – 17 in tutto sarebbe continuata per
diversi anni fin quando la rivolta dell’acqua non venne sedata con la legge marziale e l’istituzione di
guarnigioni con mitragliatrici ad intervalli regolari lungo il percorso della tubatura. Una forma di
arbitraggio militarizzato che ha permesso la costruzione dell’ enorme (e insostenibile) benessere
della Caliorna meridionale.

Acqua in dollari
Torniamo ora al presente e la nuova «monetizzazione» dell’acqua. Le storiche tensioni fra città e
campagne non si sono mai del tutto sopite. Anzi, con la maggiore scarsità determinata dal
mutamento climatico, l’insicurezza idrica è aumentata. Ad un certo punto la domanda delle città ha
determinato un prezzo di offerta dei distretti agricoli detentori dei diritti di irrigazione che hanno
realizzato maggiori guadagni rivendendo le proprie scorte liquide alle aziende delle acque urbane
piuttosto che a destinarle alle coltivazioni. Già negli anni 90 piccoli enti come la Imperial Water
District, che fino ad allora ripartivano irrigazione agli agricoltori locali, hanno assunto un potere
enorme come broker corteggiato dalle città.
Ma ora con la quotazione su un vero e proprio indice telematico, si apre la prospettiva della
speculazione velocizzata dei day trade le operazioni di compravenduta fulminee fra computer delle
banche. Riciclata in titoli derivati, «l’acqua californiana» sarà destinata a rimbalzare nel casinò della
finanza globale sotto forma pacchetti azionari e fondi di investimento. E come in ogni casinò gli
elementi fondamentali della speculazione sono l’imprevedibilità e il rischio. Nell’incertezza, le
scommesse vincenti possono produrre favolose ricchezze del tutto avulse dalla creazione di valore
reale (ci si può ad esempio arricchire scommettendo sul fallimento di un raccolto). L’importante,
come in ogni gioco d’azzardo, è che ci sia un rischio capace di creare vincitori e perdenti (e – quasi
sempre una banca che non perde mai).

Nel «paniere» californiano che vacilla perennemente sull’orlo della catastrofe ambientale, prezzo
acqua è determinato dalla sua disponibilità su cui a sua volta influiscono le condizioni ambientali.
Dal punto di vista del mercato più c’è incertezza, e maggiori sono le opportunità di guadagno.
Secondo le brochure patinate offerte agli investitori, la compravendita dei titoli basati sul costo
dell’acqua si avvarrà «dei più sofisticati algoritmi per la predizione delle condizioni ambientali e
climatiche».

È l’uovo di Colombo: se per ‘uovo’ intendete un pianeta in balia di una incipiente apocalisse causata
dalla crescita insostenibile ed un clima squilibrato, e per ‘Colombo’, gli speculatori che nella
catastrofe ambientale ravvisano un’ottima opzione di investimento. «La nostra azienda si specializza
nella creazione di strumenti finanziari customizzati», dichiara, il sito della Veles, «la cui esclusiva
formula di quotazione porta trasparenza e liquidità al mercato globale dell’acqua». Sotto forma di
titoli di borsa e derivati, invece che negli acquedotti i flussi d’acqua confluiranno nei laghi
sotterranei di denaro nell’arcipelago occulto del denaro offshore non rintracciabile, lontano dal fisco
e dal bene pubblico. Un furto più raffinato ma non meno efferato di quelli del secolo scorso.

«(L’acqua) è strettamente legata alla vita ed alla sopravvivenza ed è una risorsa la salute pubblica»
ha avvertito Pedro Arrojo Arudo, il relatore speciale dell’ONU per i diritti umani e la sanità, per il
quale la notizia «dimostra come un fondamentale valore umano come l’acqua sia ora sotto minaccia
diretta.» D’altronde non è la prima risorsa di prima necessità a venire presa di mira dal capitalismo
finanziario. Agli inizi degli anni 2000 la Enron famigerata corporation di Houston riuscì a
manipolare il mercato dell’energia per realizzare profitti miliardari. La speculazione si basò allora
sul mercato dell’elettricità che sempre in California era da poco stato deregolato. I trader della
multinazionale texana riuscirono a generare artificiali crisi nell’approvvigionamento, esportando
energia verso altri stati per fare impennare i prezzi e provocando una serie di blackout che spinsero
la California sull’orlo del collasso industriale. Mentre i cittadini ricorrevano alle candele e gli
ospedali ai generatori i broker di Hosuton realizzavano favolosi utili su fulminei day-trade i cui in un
batter d’occhio, con lo scambio di byte via internet, cambiavano di mano milioni di dollari. L’apoteosi
della speculazione sulla pelle dei cittadini si concluse allora con la bancarotta fraudolenta della
Enron (che nel frattempo aveva tentato operazioni analoghe perfino sulla la rete idrica di Buenos
Aires!).

I broker dell’acqua piazzeranno le loro scommesse seduti davanti a monitor lontani migliaia di
chilometri dai campi della Imperial e Central Valley californiane su cui sgobbano precari eserciti di
campesinos e giornalieri. In questa perversa, definitiva versione di disaster capitalism, la perdita di
un raccolto o una carestia sarebbero semplici danni collaterali del business. Ai fini della
realizzazione di un guadagno infatti raccolto siccità o inondazione si equivalgono – a patto di avere
fatto la scommessa giusta. Non è un caso che i mercati finanziari trattino anche direttamente la
meteorologia. Sul Chicago Mercantile Exchange dalla fine degli anni ‘90 è diventato possibile
acquistare weather futures e realizzare utili scommettendo su fenomeni meteorologico dalle ondate
di caldo agli uragani (sì, esiste il CME hurricane index che offre contratti derivati su velocità del
vento, località di approdo o raggio complessivo di un uragano). L’azienda pioniere nei «derivati
climatici»?

La Enron
Se mai dovesse servire un esempio di ’incompatibilità fra capitalismo e sopravvivenza, e dell’infinito
hybris dei finanzieri, certo sarebbe questa folle speculazione in una arida regione dove negli ultimi
100 anni si sono insediate, senza riguardo per le risorse naturali, 60 milioni di persone. Una
colonizzazione, arbitraria, senza logica geografica, avvenuta in luoghi dove oltretutto esiste
un’ampia documentazione archeologica di civiltà indigene la cui scomparsa viene attribuita proprio a
cause climatiche e insostenibilità delle risorse naturali – come le civiltà indiane Anasazi.

Ora, sullo sfondo di livelli marittimi in rialzo e incendi boschivi sempre più catastrofici – di un clima
sempre più imprevedibile il mercato mette le mani sul bene più prezioso. Chissà che i posteri non
debbano un giorno rilevare le tracce di una civiltà che messa di fronte alla prospettiva della propria
estinzione, invece di cercare soluzioni, decise di specularvi sopra.

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