ABBIATE CURA DI CIÒ CHE VI È STATO DONATO - Storia e storie del patrimonio della Ca' Granda - Fondazione Sviluppo Ca ...
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
ABBIATE CURA DI CIÒ CHE VI È STATO DONATO Storia e storie del patrimonio della Ca’ Granda
Progetto editoriale Achille Lanzarini, Direttore Generale Fondazione Patrimonio Ca’ Granda A cura di Folco Vaglienti, Docente di storia medievale all’Università degli Studi di Milano Testi Folco Vaglienti e Luca Fois Editing Alessandro Pozzetti Progetto grafico e impaginazione Dulcamara Grafica e Comunicazione Stampa Gamedit Si ringraziano ABBIATE CURA Paolo Galimberti, Responsabile Beni Culturali Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico DI CIÒ CHE Barbara Albonico, ufficio sviluppo e raccolta fondi Fondazione Patrimonio Ca’ Granda VI È STATO DONATO Marina Sambusiti, archivista e paleografa Erika Francia, Storia e storie del patrimonio archivista e paleografa della Ca’ Granda Con il contributo di Prima edizione: marzo 2019 Edizione fuori commercio Copyright © 2019 Fondazione Patrimonio Ca’ Granda Via Francesco Sforza, 28 - 20122 Milano fondazionepatrimoniocagranda.it
INDICE CONTRIBUTI ISTITUZIONALI 3.4 Un licenziamento indigesto 69 Abbiate cura di ciò che vi è stato donato 6 3.5 Investigazioni genealogiche 72 Il nostro contributo alla memoria storica di Milano 8 3.6 Di padre in figlio. I muratori di Fallavecchia 75 3.7 Fake news e tesori nella provincia di Fallavecchia 77 INTRODUZIONE 11 4. NOTE STORICHE 1. LA CA’ GRANDA: SULLE CASCINE DI MORIMONDO IL POTERE AL SERVIZIO DELLA CARITÀ 4.1 Coronate 81 1.1 Un ospedale partecipato 13 4.2 Fallavecchia 82 1.2 Indulgenze e Festa del perdono 18 4.3 Basiano 84 4.4 Conca di Basiano 86 2. IL PATRIMONIO: MOTORE DI UN’ECONOMIA 4.5 Ticinello 87 A FILIERA CORTA. L’ESEMPIO DI MORIMONDO 4.6 Caselle 88 2.1 L’eredità di Morimondo 23 4.7 Bugo 90 2.2 La gestione dell’Ospedale Maggiore 25 4.8 Cerine 91 2.3 Il riso 32 4.9 Lasso 93 2.4 Grani, farine, pane 41 4.10 Monte Oliveto 93 2.5 Formaggio e latticini 43 4.11 Cipriana 94 2.6 Il vino 45 4.12 Molinetto 95 2.7 Mattoni e altri materiali da costruzione 47 2.8 Legname, carbone e torba 50 APPENDICE: 2.9 Le rose 53 L’ALIMENTAZIONE DEI MILANESI Il rango va a pranzo: alimenti nobili e vili 97 3. STORIE, PERSONE E LUOGHI Il vino: dalla tavola alla corsia 101 3.1 Una commenda insanguinata 55 3.2 Come diventare agente della Provincia di Fallavecchia 61 3.3 Imporre soggezione ai malintenzionati 65 2 3
Abbiate cura di ciò che vi è stato donato ma anche quello che era il rapporto delle campagne con la città di Milano. La Ca’ Granda - come veniva affettuosamente chiamato dalla cit- In questa pubblicazione sono riportati gli esiti della prima parte tadinanza l’Ospedale Maggiore, oggi noto come Policlinico - rap- del progetto, che riguarda le proprietà nel territorio di Morimon- presenta un’istituzione la cui grandezza trascende il suo indiscusso do. valore assistenziale e scientifico. Fin dalla sua origine, 6 secoli fa, la «Abbiate cura di ciò che vi è stato donato»: questa frase incisa “casa grande dei Milanesi” ha svolto un ruolo decisivo per i citta- in un antico orologio ospedaliero abbiamo voluto adottare come dini dell’intero Ducato, l’attuale Lombardia, dando inizio ad una motto della Fondazione Patrimonio Ca’ Granda, come richiamo realtà esemplare. Il “potere” è stato messo al servizio della carità continuo alla storia di carità e gestione cui apparteniamo dal 1456. e si è così costituito un soggetto il cui prestigio non derivava dal censo degli amministratori, ma dalla capacità di prendersi cura de- gli ammalati poveri: guarendoli, ma anche sfamandoli, accogliendo Marco Giachetti Achille Lanzarini i loro figli e gli orfani. In che modo? I mezzi finanziari necessari (Presidente) (Direttore Generale) erano ottenuti da una gestione efficace e lungimirante del patri- monio. Da qui, sicuri della buona causa e della buona gestione, papi, duchi, nobili e borghesi scelsero di donare i propri beni im- mobiliari alla Ca’ Granda. Da qui, nel corso di 6 secoli, l’ospedale è diventato proprietario del più grande patrimonio rurale d’Italia: 8.500 ettari in 96 comuni di 10 province; 100 cascine; 1 abbazia; 3 chiese; 14 oratori e chilometri di vie d’acqua. La Fondazione Patrimonio Ca’ Granda è nata proprio per racco- gliere una simile eredità e, valorizzando il prezioso capitale immo- biliare affidatole, è riuscita a fornire all’ospedale i mezzi necessari per finanziare progetti di ricerca, di umanizzazione delle cure e di tutela dei beni culturali, ai quali il Fondo Sanitario Regionale non è in grado provvedere. Nei primi 4 anni di attività è stato così ri- sanato il patrimonio, precedentemente caduto in un grave dissesto, garantendo al Policlinico 12 milioni di euro.Tra le prime azioni di valorizzazione, la Fondazione ha scelto di finanziare lo studio degli antichi documenti inerenti il patrimonio rurale e conservati sin dal 1456 nell’archivio storico dell’ospedale. L’intervento, reso pos- sibile anche dal contributo di Fondazione Cariplo, ha permesso di iniziare a scoprire non solo la storia delle cascine, finora inedita, 4 5
Il nostro contributo alla memoria storica di Milano Ca’ Granda perché in essi è contenuta una parte importante della memoria collettiva della città di Milano e dei suoi rapporti con La nostra Banca vive da sempre un rapporto simbiotico con il le comunità circostanti. Un ponte ideale nel quale la Banca di proprio territorio. Siamo nati, oltre un secolo fa, tra le strade an- Credito Cooperativo di Milano si riconosce. Accogliamo come cora sterrate, le piazze sovrastate dai campanili e i campi coltivati un’esortazione il motto della Fondazione «Abbiate cura di ciò che dell’est milanese. Siamo il frutto concreto dell’ispirazione e della vi è stato donato» e forniremo il nostro contributo perché questa lungimiranza di uomini che hanno unito le proprie forze per dare cura porti buoni frutti e lasci in eredità, a Milano e ai milanesi, la vita a un progetto che portasse benefici e sviluppo alle comunità memoria delle proprie radici. locali, facendo leva su valori condivisi come la cooperazione, il mutualismo e la sussidiarietà. Oggi operiamo nel credito e nella finanza con strumenti moderni Giuseppe Maino ed efficienti, ma con gli stessi presupposti di allora, orientando il (Presidente BCC Milano) nostro agire con la bussola dei valori che ci sono propri. Valoriz- zare le radici storiche e sociali che ci collegano al territorio, attua- lizzarle e tenerle vive nell’esercizio del nostro ruolo di propulsore economico delle comunità locali è un compito per noi prioritario. Negli anni il nostro presidio geografico si è ampliato con costanza e coerenza, oggi abbiamo la responsabilità e l’orgoglio di servire un’area che abbraccia l’intera Città Metropolitana e che da sem- pre guarda a Milano come il punto di riferimento in un costante rapporto tra provincia e città che, nei secoli, si è trasformato pro- fondamente, ma che non ha mai indebolito la forza del legame. Lo dimostra in modo esemplare la storia della Ca’ Granda: una realtà che racchiude nel suo viaggio secolare la storia moderna della Città e ne costituisce un elemento caratterizzante. La Fonda- zione, che ne cura da sempre il patrimonio, è il virtuoso esempio di come una sana gestione economica e finanziaria possa garantire risorse preziose e durature a un ente di grande valore sociale, la cui attività incide quotidianamente sulla qualità della vita delle perso- ne. Un obiettivo che persegue anche BCC Milano nelle relazioni con le numerose realtà che sostiene. Affiancheremo e favoriremo con entusiasmo i progetti di valo- rizzazione del patrimonio proposti dalla Fondazione Patrimonio 6 7
INTRODUZIONE L’Ospedale Maggiore di Milano e la vasta e complessa rete del suo patrimonio immobiliare sono sin dalla fondazione dell’en- te (1456) profondamente interconnessi al tessuto storico, sociale, economico e culturale di cui sono espressione da oltre sei secoli. Le donne e gli uomini che hanno lavorato nel e per l’antico noso- comio, entro le sue mura o nelle cascine più periferiche, così come i pazienti stessi dell’ospedale, erano tutti partecipi del loro tempo e ne condividevano tensioni, aspirazioni, linguaggi e categorie men- tali. Separare la storia del patrimonio ospedaliero dal flusso della grande Storia, di cui è stato peraltro protagonista di rilievo, pri- verebbe la ricostruzione del suo passato, di quella linfa vitale che ne ha invece costantemente nutrito le radici, permettendo all’ente di resistere alla temperie dei secoli, adattandosi al nuovo e, molto spesso, anticipandolo. Premesso quindi che la narrazione prende spunto dagli episodi e dalle suggestioni di questa microstoria, per collocarli e valorizzarli nel più ampio contesto delle vicende lombarde, nazionali e trans- nazionali che hanno visto l’Ospedale - e l’universo di persone che vi gravitava attorno - di volta in volta protagonista, comprimario, comparsa o semplice spettatore, ci si prefigge nel contempo, da un lato, di dissipare preconcetti sull’età medievale e moderna che ostinatamente pervadono l’immaginario comune, dall’altro, di ri- spettare il più possibile il dettato del pensiero dell’epoca, evitando di giudicarlo a posteriori o di sovrapporgli categorie mentali alie- ne al periodo considerato. Folco Vaglienti 8 9
1. LA CA’ GRANDA: IL POTERE AL SERVIZIO DELLA CARITÀ 1. Un ospedale partecipato Folco Vaglienti «Francesco [Sforza] - sintetizzava Machiavelli (1469-1527) - per li debiti mezzi e con una sua gran virtù, di privato diventò duca di Milano; e quello che con mille affanni aveva acquistato, con poca fatica mantenne»1. Invero, non con così poca fatica. Maestro nel creare consenso, mantenendo in precario ma efficace equilibrio le componenti politiche e sociali di una realtà comples- sa, alla riedificazione del Castello, indigesta ai milanesi, lo Sforza oppose la fondazione dell’Ospedale Maggiore (oggi sede centrale dell’Università Statale), lo “Spedale di Poveri”, la cui prima pietra fu posta solennemente il 12 aprile 1456, ma la cui ideazione risale almeno al 14512. Prima, il duca si era dedicato a riformare l’intero 1 Niccolò Machiavelli, Il principe, cap.VII, 6, p. 42. 2 La Ca’ Granda dei Milanesi. Itinerario interdisciplinare nel fulcro di una metropoli multiculturale, a cura di F. Vaglienti, Università degli Studi di Milano, Milano 2014, p. 4. 10 11
sistema sanitario di Milano e delle città soggette. Nulla di strano, dunque, nell’interesse espresso dalle autorità co- Gli ospedali sono istituzioni caritativo-assistenziali tipiche del Me- munali prima, e signorili poi, di tutelare e di proteggere gli ospe- dioevo, che per secoli erano stati fondati e gestiti da ordini religiosi, dali. dipendenti da canoniche o da monasteri, con funzioni di centro Lasciti testamentari e donazioni avevano fatto crescere, talvolta as- di ricovero, di ente distributore di elemosine. Sino all’alba dell’età sai rapidamente, i patrimoni ospedalieri che, col tempo, eguaglia- moderna, le cure mediche ne rappresentavano l’aspetto meno im- rono e spesso superarono quelli di enti ecclesiastici di più antica portante. La plurifunzionalità era uno degli elementi caratterizzanti origine e di più solidi legami con i centri di potere. Strettamente e solo nel corso del XV secolo si giunse a una sorta di specializza- connesso con la gestione dei patrimoni, oltre che con l’ambiguità zione, fatta eccezione per il ricovero dei malati di lebbra e di pe- di enti contesi tra secolare e spirituale, si fece pressante il problema ste, la cui elevata contagiosità era sin troppo evidente. Gli ospedali della nomina dei rettori. Le norme emanate dai concili (Ravenna, rimasero per lungo tempo comunità religiose in cui convivevano 1311; Vienne, 1312) non erano state risolutive, ma avevano aper- poveri, malati, pellegrini, bambini, fratres, sorores, conversi e servi: to la via all’intervento diretto della curia romana, che si inserì gruppi di persone, di origine sociale, età e sesso diversi, i cui ruoli nel complesso quadro delle nomine. I limiti tra autonomia degli spesso non erano ben definiti. ospedali e interventi delle autorità erano assai incerti, mancava Come dettagliatamente ricostruito da Giuliana Albini in anni di chiarezza persino sul carattere laico o religioso del rettore (mi- studio dedicati al tema3, tra XIII e XIV secolo emerse nei laici nistro) e sulle sue funzioni: ancora nel 1452, Niccolò V avrebbe una forte volontà di esprimere la loro devozione in una “religio- accusato i rettori degli ospedali milanesi di arrogarsi, pur essendo sità delle opere”, che si coniugò, nell’Italia centro-settentrionale, laici, prerogative religiose quali la predicazione, la celebrazione di con le istanze della politica comunale. Numerosi ospedali sorsero e messe, la confessione. Ciò nonostante, il laicato continuò a essere operarono così, almeno inizialmente, al di fuori di regole stabilite, protagonista della fondazione di enti caritativo-assistenziali e agli senza legami e rapporti istituzionalizzati né con gli ordini religiosi ospedali si aggiunsero, e sovente si sovrapposero, i consorzi elemo- né con le autorità ecclesiastiche, per subire poi, con forme e in sinieri, assai attivi in una realtà sociale diversa, quando emerse, con tempi diversi, un comune processo di disciplinamento attraverso un’urgenza prima sconosciuta, la “povertà economica”. l’adozione, o l’imposizione, di una regola.Vescovi e papato rivendi- Con la rinascita dei centri urbani erano mutate infatti radicalmen- cavano infatti, sempre e ovunque, il proprio primato sugli ospedali, te le condizioni economico-sociali e la società basso medievale ma il fenomeno delle fondazioni spontanee continuò, sostenuto da si era trovata costretta a riconsiderare e a ridefinire la povertà e un “cristianesimo civico”, in un clima di “emancipazione spirituale l’assistenza: una povertà che acquistò sempre più connotati urbani del laicato”, espressione di ambienti agiati e colti: giudici, notai, e che, comunque, tardava a distinguersi dalla malattia, considerato mercanti e artigiani, riuniti in consorzi, confraternite, scuole4. che spesso la condizione di povero e quella di malato tendevano, in situazioni di crisi, a coincidere. Ampie fasce della popolazione 3 G. Albini, Città e ospedali nella Lombardia medievale, Editrice CLUEB, cittadina vivevano in uno stato di bisogno o sussistevano ai li- Bologna 1993, pp. 17-127. 4 miti della povertà: piccoli artigiani, salariati, lavoranti a cottimo, La carità a Milano nei secoli XII-XV, a cura di M.P. Alberzoni e O. Grassi, manodopera di recente immigrazione, vedove che una malattia, Milano 1989. 12 13
o l’aumento del carico familiare, o un momento di congiuntura ordini, alla gestione degli ospedali cittadini e foresi (di campagna). economica negativa, di carestia, di epidemia, sospingevano tra gli La figura del gubernator et rector istituita dal duca era senza dub- indigenti, neppure in grado di provvedere al sostentamento quo- bio innovativa e avrebbe rivoluzionato la realtà ospedaliera mila- tidiano. nese, anche se la tradizione era in parte rispettata: il funzionario Ogni città si trovò allora, al momento del suo massimo sviluppo, conservava molti tratti in comune con l’antecedente ministro. Era a essere dotata di numerosissimi ospedali, in genere di piccole e invece assolutamente nuova la volontà del duca di accentrare in medie dimensioni, ai quali, senza un disegno razionale, erano af- una sola persona, di sua nomina, la carica di amministratore di fidati l’assistenza ai poveri, il ricovero dei malati, l’accoglienza ai enti non solo con origini e tradizioni molto diverse, ma anche e pellegrini e agli stranieri. Gli ospedali, da piccole comunità di laici soprattutto non legati fra loro da alcun vincolo di dipendenza, se devoti con a disposizione un numero limitato di letti, si andarono non il riconoscimento generico di un comune referente, la Chiesa trasformando in luoghi di ricovero sempre più ambìti da coloro milanese. In parallelo, dovendo affrontare in quello stesso periodo che non potevano provvedere al proprio sostentamento, desiderosi le emergenze sanitarie legate a una recrudescenza dell’epidemia di essere accolti non solo tra le fila degli assistiti, ma anche assunti di peste, il duca procedette alla nomina di un proprio officiale, come conversi o famuli (servi) al servizio dell’ente. Giovanni Rosselli, incaricato di una nuova funzione di “polizia A partire soprattutto dal basso Medioevo, le autorità cittadine e sanitaria” (offitium perquirendi et exequendi expedientia circa proto statali incominciano dunque a dimostrare un rinnovato in- conservationem sanitatis civitatis nostre Mediolani). Il decreto di teresse per i problemi dell’assistenza. Quando, nel Quattrocento, Gian Galeazzo in materia di amministrazione unitaria degli ospe- si giunse un po’ ovunque in Italia alla riforma degli ospedali, l’in- dali non divenne mai operativo, per la morte improvvisa del duca tervento dei poteri civili si manifestò prepotentemente, ma senza (parrebbe proprio di peste), ma costituì l’esempio di una soluzione intaccare formalmente il principio che l’ospedale era innanzitutto innovativa del problema ospedaliero. un “luogo religioso”, sottoposto al controllo delle autorità eccle- A metà Quattrocento, la riforma promossa da Francesco Sforza e siastiche. Per converso, si andarono precisando sperimentazioni attuata - pur con modalità diverse - in tutte le città lombarde die- istituzionali volte ad affermare la legittimità di un controllo sugli de corpo al decreto del primo duca di Milano e costituì indubbia- ospedali esercitato dalle autorità civili: il comune di Siena, non mente un momento di trasformazione profonda, sancendo la fine senza contrasti, era riuscito sin dal XIII secolo ad assicurarsi capa- della realtà ospedaliera “medievale”. Si trattò di un’occasione per cità di intervento nella gestione dell’ospedale di S.Maria della Sca- ridefinire ruoli, rapporti, funzioni degli ospedali esistenti, ma an- la, allo scopo di garantire una corretta amministrazione dei beni che per creare strutture caritativo-assistenziali nuove: gli “ospedali dell’ente e degli altri che ad esso si erano via via aggregati. grandi”, o “maggiori”, spesso edificati ex novo secondo modelli Richiamandosi esplicitamente all’esperienza senese, il 6 novem- architettonici profondamente innovativi, attorno ai quali si orga- bre 1401 il duca di Milano Gian Galeazzo Visconti informava il nizzò e si definì un sistema che tendeva a un’organicità e a una Vicario e i XII di Provvisione del Comune ambrosiano di avere razionalizzazione mai sperimentate in precedenza, con l’emergere incaricato Enrico da Caresana, suo familiare e già amministratore di caratteri più strettamente sanitario-terapeutici. In tutte le città generale delle possessioni ducali, di provvedere, secondo i suoi rimasero attivi ospedali anche di antica fondazione, ma l’ospedale 14 15
grande divenne il fulcro di un nuovo modo di concepire l’assi- dell’ospedale. stenza e furono elaborati organismi di gestione che tendevano, Il sito offriva poi un ulteriore vantaggio. Considerato l’impegno pur nelle diversità locali, a prescindere dalla figura tradizionale del finanziario profuso dal duca Francesco nella ricostruzione del Ca- ministro-rettore, privilegiando una gestione collegiale. I capitoli stello di Porta Giovia, gli sarebbe risultato impossibile investire di- ospedalieri divennero appannaggio di quei nobiluòmini laici ai rettamente altro denaro nel progetto del nosocomio: per la fortez- quali le opere di carità, esercitate non già in prima persona ma za, solo nel 1451, erano stati stanziati 36.000 ducati7. In quell’area, tramite l’amministrazione di ospedali e consorzi elemosinieri ric- però, lo Sforza vantava il recente possesso di beni di proprietà già chi ed efficienti, apparivano strumento idoneo di prestigio socia- viscontea, acquisiti con il titolo ducale, che concesse in dono per le, oltre che di difesa degli elementi più deboli del proprio ceto l’edificazione dell’ospedale: si trattava, nello specifico, di alcune (pauperes verecundi, poveri vergognosi)5. Nel corso dei secoli e case e di un antico palazzo, già residenza del conte Guido Torelli principalmente nei periodi di più pesante oppressione esercitata (1379-1449), situati tra il fossato interno e la chiesa di S.Nazaro da governi stranieri, si operò così un capovolgimento nella men- in Brolo8. talità del patriziato ambrosiano di più antica tradizione che, da ra- L’avvio del cantiere prevedeva tuttavia spese vive che la donazione pace accaparratore di commende, privilegi e investiture fondiarie, ducale non copriva. Ancora una volta, a soccorrere il duca fu la laiche ed ecclesiastiche, in città e nel contado, si trasformò invece Chiesa di Roma, complici Gabriele, fratellastro del condottiero e spesso in strenuo difensore del patrimonio della Ca’ Granda, con- arcivescovo di Milano, e papa Pio II. Il 9 dicembre 1458, il pon- tribuendo a gestirlo con oculatezza e a incrementarlo con dovizia. tefice promulgò la bolla di approvazione dell’erigendo ospedale, prescrivendo che fosse fornito di chiesa, dedicata alla Vergine An- 2. Indulgenze e Festa del perdono nunziata, cui concedeva la prerogativa di parrocchia con relativi Folco Vaglienti diritti di oblazione, affidandola alla cura proprio del presule am- brosiano. Non solo, il 5 dicembre dell’anno seguente9, concesse al Il sito scelto per l’edificazione del nuovo ospedale era ottimistica- duca Francesco il privilegio di celebrare a Milano annualmente, mente denominato Montagna perché coincideva con la modesta e per vent’anni, un giubileo dalle modalità complesse, ma visibil- altura formatasi con l’accumulo del materiale di scavo del vicino mente lucrose: per i primi tre anni, infatti, sarebbe stato celebrato Naviglio. Posto al confine con l’abitato, si rivelava propizio sia per- nel cantiere dell’ospedale e i proventi devoluti alla sua fabbrica; nei ché più arioso della sottostante piana urbana, sia per la vicinanza successivi diciassette anni, la sede giubilare e le relative offerte si al Naviglio stesso e alla darsena (Laghetto), cui già approdavano i sarebbero alternate tra ospedale e Duomo. materiali da costruzione dell’erigendo Duomo e che avrebbe ser- I proventi derivanti dalle offerte dei fedeli sarebbero stati ripartiti vito in contemporanea prima la fabbrica6 e in seguito i magazzini 7 B. Viviano, Ospedali e organizzazione della beneficienza a Milano dal 1277 al 1535, in Civiltà di Lombardia, p. 72. 5 8 G. Ricci, Povertà, vergogna, superbia. I declassati fra Medioevo e Età Moderna, L. Grassi, Lo ‘Spedale di poveri’, p. 13. 9 il Mulino, Bologna 1996. La bolla giubilare Virgini gloriosae di papa Pio II, datata Mantova 5 dicembre 6 GL. Grassi, Lo ‘Spedale di poveri’ del Filarete, Storia e restauro. La sede dell’Univer- 1459, è conservata a Milano, presso l’Archivio Storico della Veneranda Fabbri- sità degli Studi di Milano, Milano 1972, p. 18. ca del Duomo, c. 126, fasc. 13. 16 17
sempre a metà con la Camera Apostolica, ma si trattava comunque Grazie ai proventi del primo giubileo, il 12 gennaio 1461 venne di un gran bell’affare, sotto molti punti di vista. Lo Sforza, infatti, finalmente avviato il cantiere, iniziando dalla costruzione dell’in- oltre ai chiari vantaggi economici, diretti e indiretti, che un giu- fermeria14, ossia del porticato con direttrice E-O. bileo immancabilmente comporta, si vedeva riconosciuto a pie- Quando il ventennio giubilare giunse a conclusione, con la tipi- no titolo signore di una città a cui veniva concesso un privilegio ca intraprendenza lombarda, supportata dal forte sentimento di spirituale addirittura superiore a quello sino ad allora riservato a autonomia da sempre espresso dalla Chiesa ambrosiana e da du- Roma stessa. chi perennemente in bolletta, l’Ospedale Maggiore continuò la Il primo giubileo venne celebrato il 25 marzo 1460, giorno che celebrazione, cambiando l’intitolazione della cerimonia in Festa commemorava sia la Vergine Annunziata sia la trionfale investitura del Perdono e la frequenza, da annuale a biennale, che papa Pio dello Sforza al ducato di Milano, e fruttò in un sol giorno 8.656 IV (nato Giovanni Angelo Medici di Marignano, 1499-1565), nel lire imperiali10 (circa 410 mila euro), per limitarsi alle elemosine 1560, finì per riconoscere in perpetuo e decretò si tenesse il 25 raccolte nella cassa dell’Ospedale e poi divise a metà con la Ca- marzo degli anni dispari15. mera Apostolica11, ma senza contare l’indotto goduto dalla città e dall’erario signorile anche nei giorni precedenti e successivi all’e- vento. Una cifra ragguardevole, tenuto conto che il potere d’ac- quisto era maggiore rispetto all’attuale: si consideri, ad esempio, che l’affitto annuo di una bottega nella centralissima piazza Mer- canti poteva variare dalle 10 alle 32 lire imperiali12. Curioso notare poi che, in assenza di una chiesa ospedaliera ancora da completare nel 1469, la cassa delle offerte per il giubileo era conservata nella dimora della contessa vedova di Gaspare da Vimercate e dotata di ben quattro serrature, le cui chiavi erano custodite separatamente una dalla duchessa consorte, in questo caso Bona di Savoia, una dal presbitero erogatario, Giovanni Gerardo, una dal priore e una dal luogotenente del Capitolo dei Deputati dell’Ospedale13, rispetti- vamente Giovanni da Melzo e Cicco Simonetta. 10 Un ducato milanese valeva circa 2 lire imperiali e pesava 3,44 grammi d’oro a 24 carati, con un valore odierno stimato intorno ai 94,8 euro. 11 V. Bevacqua, Milano & la Ca’ Granda.Vita e personaggi dell’Ospedale Maggiore, Terre di mezzo editore, Acqui Terme 2010, pp. 21-26. 12 E. Saita, Case e mercato immobiliare a Milano in età visconteo-sforzesca (secoli XIV- XV), CUEM, Milano 1997, p. 102. 14 13 B.Viviano, Ospedali e organizzazione della beneficienza, p. 72. Materiali per la storia dell’Ospedale Maggiore, pp. 280-281. 15 V. Bevacqua, Milano & la Ca’ Granda, p. 26. 18 19
2. IL PATRIMONIO: MOTORE DI UN’ECONOMIA A FILIERA CORTA. L’ESEMPIO DI MORIMONDO Sino all’epoca contemporanea, il problema principale dell’Ospe- dale Maggiore era fondamentalmente di duplice natura: da un lato, “ospitare” e nutrire poveri, degenti, personale di servizio, parame- dici e medici con le loro famiglie; dall’altro, curare efficacemente i malati che necessitavano di assistenza infermieristica, chirurgica, pre e post operatoria. Se si considera che, già sul finire del Quat- trocento, le persone che gravitavano quotidianamente sul noso- comio, in condizioni socio-sanitarie ordinarie (esclusi quindi i frequentissimi periodi di guerre, carestie, epidemie), erano stimate in circa 2000 unità (e che ai degenti e al personale ospedaliero erano assicurati tre pasti al giorno), si comprende come l’entità delle derrate alimentari che dovevano essere reperite, e di cibo che le cucine e le botteghe dell’ospedale dovevano essere in grado di somministrare, fosse ragguardevole. Per sopperire alle necessità di approvvigionamento, prima che al ricco mercato cittadino (talvolta insufficiente a soddisfare la do- manda dell’ospedale, come nel caso di polli e uova), era ovvio 20 21
che la Ca’ Granda si rivolgesse alle cascine di proprietà dell’ente, ma che per posizione geografica e varietà di prodotti consentiva a cominciare da quelle che potrebbero essere definite di “prossi- la realizzazione di un modello circolare di gestione delle risorse mità”, ossia insistenti nel contado milanese, ricomprese nel raggio tra l’Ospedale e le sue cascine in grado di abbattere i costi di re- di qualche decina di chilometri di distanza, in grado quindi di perimento di molte delle merci necessarie al funzionamento in fornire prodotti altamente deperibili, che dovevano essere raffinati economia del nosocomio, e di sostentare le popolazioni contadine (petali di rose) o cucinati e consumati (uova, latte, carni, pesci) dipendenti, nei frequenti momenti di crisi. entro poche ore o giorni, oppure molto pesanti (sacchi di cereali, botti di vino, legname, mattoni) che il costo di trasporto su lunghe 2.1 L’eredità di Morimondo distanze avrebbe reso altrimenti proibitivi. Folco Vaglienti Sulla formazione del vasto patrimonio immobiliare della Ca’ Granda in città, nel contado milanese e financo nelle più sper- I monaci che costituirono il primo nucleo della comunità cister- dute vallate del dominio lombardo, derivante da lasciti testamen- cense nella bassa pianura milanese, stanziatisi a partire dal 1134 tari e donazioni di ogni entità e provenienza nei suoi sei secoli nel borgo di Coronate, provenivano dall’abbazia di Morimond in di esistenza, è stato scritto in abbondanza. In questa sede preme Borgogna. Due anni più tardi, è attestato il loro trasferimento a piuttosto evidenziare che la maggiore difficoltà incontrata dal go- Faruciola - piccola fara - che fu ribattezzata Morimondo in onore verno dell’Ospedale, all’indomani della annessione dei principali e in ricordo dell’abbazia madre17. Diversi i motivi che stanno alla nosocomi milanesi - con le loro dotazioni - prima decretata e poi base del trasferimento dei monaci. Coronate era stata - come poi realizzata dallo Sforza (1458), fu di organizzare efficacemente un anche Morimondo in tempi successivi - centro dei conflitti che patrimonio abitativo e agricolo immenso ma disomogeneo, spesso coinvolsero pavesi e milanesi. In particolar modo Coronate si tro- discontinuo e parcellizzato, che, per rendere, doveva essere o mo- vò al centro degli scontri sia nel 1134, anno dell’arrivo dei monaci, netizzato o razionalizzato. La seconda opzione, peraltro, si traduce- sia nel 1136, anno della loro partenza. Faruciola rappresentava un va in obbligo nel caso di investiture di beni ecclesiastici, per loro punto di difesa più efficace: situata su un pendio, era circondata e natura inalienabili e, dunque, oggetto solo di eventuali permute e protetta a sud da una valle incolta che si protendeva fino al Ticino, affittanze per trasformarli da un onore a un cespite di reddito. Non a est dal bosco di Guado e dal Castello di Rosate, e a ovest dal è dunque un caso se, ancor oggi, una delle aree più coese del patri- Castello di Ozzero. monio dell’Ospedale Maggiore insiste nel contado di Milano, nel- In breve tempo i cistercensi riuscirono ad aggiudicarsi molte delle le adiacenze ormai immediate di una metropoli urbanisticamente terre attigue a Morimondo, che andarono a costituire un ricco esplosa, frutto di una concessione pontificia che, nel 1561, coin- patrimonio fondiario: si trattava soprattutto di terre i cui frutti volse i beni della prestigiosa abbazia cistercense di Morimondo16, servivano per sopperire alle spese necessarie per la costruzione del monastero e della chiesa, per le opere di carità e per il sostenta- 16 Prodromi e conseguenze, ampiamente dibattute in letteratura, sono state mento della comunità. ben sintetizzate da E. Poli, Il patrimonio rurale morimondese dell’antico Ospedale 17 Maggiore di Milano (1576-1785), elaborato triennale in Scienze dei Beni Cul- P. Calliari, L’abbazia cistercense di Morimondo. Mille anni di storia religiosa civile turali, Relatore F.Vaglienti, Università degli Studi di Milano, a.a. 2014-2015. della bassa milanese, Pavia 1991, p. 56, 144. 22 23
Nei trent’anni che seguirono la fondazione del monastero, campi, secolo, mentre riso, mais e granturco sarebbero stati introdotti tra prati, boschi e vigneti divennero di proprietà esclusiva dei mo- il XV e il XVI secolo. naci, non solo grazie a donazioni spontanee, ma numerosi furo- Negli anni che videro l’affermazione della famiglia Visconti alla no anche gli atti di acquisto e di affitto con conduzione a lunga guida della città di Milano, il centro abbaziale subì gravi danni. scadenza (contratti livellari)18. Un ingente patrimonio fondiario, Forte risultò essere la mancanza di liquidità per ridare luce alle come quello concentratosi nelle mani dei monaci bianchi di Mo- terre e ai fabbricati distrutti durante le incessanti lotte tra Tor- rimondo, necessitava di un’oculata gestione. I religiosi riuscirono riani e Visconti, pur restando inalterate le ingenti possessioni. Il a organizzare un attento sfruttamento fondiario19: unità base del potere e le mire del governo signorile su Morimondo divennero sistema di gestione del patrimonio terriero divenne la grangia, perciò sempre più tangibili. Il controllo dei nuovi duchi sulla vita centro di attività agricole ed economiche20. Le grange - dipen- ecclesiastica passò attraverso l’esercizio del diritto di placitazione denti dall’abbazia madre - erano unità rurali che constavano in un e dell’assegnazione dei benefici vacanti; affidando tali cariche a insieme di edifici adibiti ad abitazione, al riparo di animali e alla esponenti di famiglie alleate, i Visconti prima e gli Sforza poi cre- conservazione dei prodotti raccolti nelle terre circostanti. Le più arono baluardi sicuri entro il loro dominio22. antiche e grandi grange di fondazione cistercense nella bassa mila- Obbiettivo di entrambe le casate fu di assicurarsi il favore del cen- nese si ricordano essere quattro: Fallavecchia, Coronate, Castellet- tro monastico attraverso la figura dell’abate commendatario. L’of- to e Farabasiliana. Nel divenire dei secoli, il numero delle grange ficio della commenda si era sviluppato nel periodo franco. I beni facenti capo all’abbazia di Morimondo aumentò in rapporto alle ecclesiastici definiti vacanti - cioè privi di un titolare - venivano successive acquisizioni territoriali da parte del monastero. dati in commenda, ossia affidati a terzi, laici o chierici. Il titolo del- All’alba dell’XIII secolo il patrimonio fondiario gestito dell’ab- la commenda era inizialmente affidato temporaneamente, poiché bazia risultava essere di circa 28.000 pertiche milanesi destinate il beneficio decadeva qualora un nuovo titolare fosse stato eletto in a terre coltivate e di circa 17.000 pertiche occupate da boschi modo definitivo: differente era quindi la concezione del beneficio e pascoli21. La pertica è un antica unità di misura italiana ancora avuto in commendam da quello avuto in titulum. La temporaneità oggi in uso in Lombardia, di valore variabile a seconda della zona dell’officio dava la possibilità a un beneficiario di accumulare nelle ove è impiegata: la pertica milanese corrisponde nello specifico a sue mani innumerevoli commende. Affidare ricche commende a 654,5179 m2. uomini di fiducia in una data circoscrizione, significava intessere Le fertili terre morimondesi davano innumerevoli frutti: frumen- una fitta rete di legami, nonché un mezzo per assicurarsi ricche to, miglio, segale, biada e rape furono coltivati per tutto il XII rendite e un controllo capillare sul territorio. La commenda, dive- 18 nuta perpetua nel corso del tempo, risultò vantaggiosa per chi ne E. Occhipinti, Fortuna e crisi di un patrimonio monastico: Morimondo e le sue era investito, spesso a discapito del monastero da essa dipendente: grange fra XII e XIV secolo, in «Studi Storici», II, Pisa 1985, p. 316. 19 G. PENCO, Storia del monachesimo in Italia. Dalle origini alla fine del medioevo, obbiettivo degli abati commendatari era l’accumulo dei benefici e Milano 1983, pp. 367-392. scarso interesse dimostravano per il buon funzionamento globale 20 L.J. LEKAI, Cistercensi, in Dizionario degli istituti di perfezione, vol. II, Milano 22 1975, pp. 1067-1068. M. Cavallera, Morimondo. Un’abbazia lombarda tra ‘400 e ‘500, Milano 1990, 21 P. Calliari, L’abbazia cistercense di Morimondo, p. 64. pp. 16-21. 24 25
dell’abbazia23. Gli abati posti alla guida di importanti commende Dopo il Castiglioni - ultimo abate a occuparsi fattivamente di per volere dei duchi dovevano però essere almeno formalmente Morimondo -, i commendatari scelti non furono più di origine «uomini di chiesa di indiscusso prestigio morale, di provata espe- lombarda: estranei al contesto entro il quale vennero chiamati a rienza politica ed amministrativa e che dimostrassero nel contem- operare, scarsa fu la loro conoscenza del territorio e degli uomini po dedizione e fedeltà alla causa del principe»24. Ne è esempio che costituivano la commenda affidatagli. Obiettivo principe dei l’assegnazione della commenda di Morimondo agli esponenti del- successivi abati commendatari - tutti scelti tra le più strette file la famiglia Castiglioni. Potente e influente casato milanese, grazie parentali di uomini illustri e papi - non fu più quello di preoccu- a un abile avo, il cardinale Branda Castiglioni, vantava forti legami parsi della cura delle anime e della buona conduzione del cenobio, all’estero - in Francia in particolar modo - e con la Chiesa di quanto piuttosto l’accumulo di numerosi e ingenti benefici nelle Roma. Godendo di prestigio presso la Curia, ma anche presso i proprie mani. Fu a causa della smisurata corruzione degli ultimi duchi di Milano, divennero ben presto ottimi intermediari tra le abati commendatari che, nel 1561, i beni della mensa abbaziale di due realtà. In quest’ottica va ascritta l’assegnazione del cenobio Morimondo - di cui titolare era in quell’anno il cardinal Innocen- morimondese al già citato vescovo di Como, Branda Castiglioni zo del Monte - si legarono in modo perpetuo, per volere di Papa iunior.25 Per Morimondo, Branda Castiglioni lottò al fine di ri- Pio IV, all’Ospedale Maggiore di Milano, affinché contribuissero a vendicare antichi diritti - come la riscossione delle decime nelle sostenere i fini assistenziali dell’ente. terre di giurisdizione del monastero lasciate in concessione a colo- Innocenzo del Monte fu costretto infatti alla rinunzia della com- ni - e per recuperare quei redditi provenienti da beni immobiliari menda: nel 1560 era sta aperta su di lui un’inchiesta e, condan- trattenuti da terzi, conseguenza di numerose appropriazioni illeci- nato dal Tribunale ecclesiastico nel 1561 dopo aver confessato un te26. Sotto di lui, il monastero e le sue terre ripresero produttività. omicidio e aver ammesso di ospitare nella sua abitazione due con- A fine Quattrocento, la più grande novità fu la divisione tra mensa cubine, fu privato di rendite e benefici. Venne in seguito graziato monacale, composta da piccoli appezzamenti di terra destinati al nel 1570, con l’obbligo di risiedere a Montecassino, in piena so- solo uso dei monaci per un ammontare di circa 5.000 pertiche, e litudine, per poi essere riammesso in Curia con un nuovo papa, la mensa abbaziale, di proprietà esclusiva del commendatario, cor- Gregorio XIII27. rispondente a un’area di 34.000 pertiche milanesi, comprensiva La commenda di Morimondo fu invece soppressa e i suoi beni de- anche delle grandi e produttive grange di Bugo e Fallavecchia con stinati all’Ospedale Maggiore. Le ragioni di questa cessione sono boschi, campi, risaie e prati di loro competenza. da ricercarsi nel rinnovato spirito della Chiesa seguito alle rifles- sioni mosse a partire dai decreti emanati dal Concilio Lateranense 23 G. Picasso, Commenda, in Dizionario degli istituiti di perfezione, vol. II, Roma V in materia beneficiaria, dalle disposizioni tridentine e dalle pre- 1975, pp. 1246-1250. cedenti donazioni a vantaggio dell’Ospedale Maggiore, delibera- 24 M. Cavallera, Morimondo, p. 30. 25 F.M.Vaglienti, Tra Chiesa e Stato, tra Lombardia ed Europa, tra Seprio e Milano. te spontaneamente dai commendatari dell’abbazia di S. Donato a Il cardinale Branda e il casato Castiglioni (sec. XV), in Cairati, Castiglioni, Martignoni Sesto Calende e del priorato di S. Gemolo in Valganna. ed altri casati locali nel Medioevo, a cura di C. Tallone,Varese 1998, pp. 80-83; M. 27 Cavallera, Morimondo, pp. 63-70. P. Messina, Del Monte Innocenzo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol.38, 26 M. Cavallera, Morimondo, pp. 70-79, 104-109. Roma 1990, pp. 138-141. 26 27
Durante la IX sessione del Concilio Lateranense V, tenutasi nel beni e rendite di commende soppresse «era un mezzo per sottoli- 1514, venne stabilito - al fine di porre rimedio all’annoso pro- neare come ogni opera di natura assistenziale, riguardasse lo spirito blema dell’accumulo dei benefici - che tutti i redditi, ricavabili come il corpo, rientrasse nella sfera di competenza ecclesiastica»32. dall’usufrutto di benefici ecclesiastici che avessero superato i 200 Queste le motivazioni che sottesero il passaggio dei beni compo- ducati d’oro annui, non potevano più convergere nelle mani di nenti la mensa abbaziale di Morimondo all’Ospedale Maggiore una sola persona28. I redditi avrebbero invece dovuto essere im- di Milano, reso ufficiale mediante un decreto pontificio emanato piegati per finanziare e sovvenzionare istituti assistenziali, quali, tra da Pio IV il 15 ottobre 1561. Il nosocomio, grazie a questa bolla, i tanti, gli ospedali, anche di fondazione laica29. I decreti emanati vantò la possibilità di beneficiare di tutte quelle rendite e di tutti nel Lateranense V non videro mai applicazione; tuttavia, alcuni ec- quei profitti che fino a quel momento erano destinati ai grandi clesiastici - molti dei quali presero parte al Concilio stesso - nella affittuari. La Chiesa non rinunciò però a tutto il patrimonio mori- prima metà del Cinquecento scelsero di farsi promotori dello spi- mondese: si riservò il diritto di percepire annualmente un canone rito riformato.Tra questi occorre ricordare Nicolao di Schomberg di 3.000 scudi d’oro da reinvestire presso istituzioni lombarde, ec- che decise di rinunziare alla sua commenda presso S. Donato di clesiastiche e laiche. Una piccola parte di queste rendite si destinò Sesto Calende e di cedere i beni che la componevano all’Ospedale al nipote di Pio IV, l’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo. Fu Maggiore di Milano: la donazione fu sancita da decreto pontificio Carlo Borromeo a sovraintendere al passaggio di proprietà dive- emanato da Paolo III Farnese, nel 153430. nuto esecutivo solo nel 1563. Nell’agosto 1556 un’altra significativa concessione perpetua si Durante la transizione molteplici risultarono le parti lese: i mona- realizzò in favore della Ca’ Granda. Chi rinunziò alla commenda ci, non più in grado di esercitare i diritti feudali e di giurisdizione del priorato di S. Gemolo in Valganna fu il cardinale milanese Gio- civile sul territorio, ma soprattutto la famiglia Marino, preceden- vanni Angelo de Medici che, tre anni dopo, sarebbe stato eletto al temente investita dei beni della mensa abbaziale di Morimondo in soglio pontificio con il nome di Pio IV31. modo perpetuo. Il nosocomio, per poter trarre profitto dalle nu- L’Ospedale Maggiore, investito della proprietà di questi beni, do- merose e fertili terre affidategli, dovette non solo introdurre mol- vette far fronte ai problemi mossi dai grandi affittuari che rivendi- teplici migliorie nei poderi, ma soprattutto liberarsi degli affittuari cavano il diritto di risiedere e lavorare quelle terre per le quali ver- precedentemente investiti. Nel contempo, l’Ospedale Maggiore, savano un canone al monastero. La soppressione delle commende gestito prevalentemente da amministratori laici, era determinato risultò essere tuttavia ottimale soluzione ideata dalla Chiesa rifor- nel sottrarsi all’obbligo - imposto dai decreti tridentini rigidamen- mata, al fine di interrompere quei dissidi intercorsi tra potere laico te applicati da Carlo Borromeo - della visita pastorale, che avreb- e potere ecclesiastico in materia beneficiaria. Dotare l’Ospedale be dovuto garantire il controllo ecclesiastico sull’amministrazione Maggiore di Milano - istituto assistenziale di fondazione laica - di centrale dei beni donati in modo perpetuo all’ente ospedaliero. I 28 Conciliorum oecumenicorum decreta, a cura di J. Alberigo, J. A. Dossetti Perikle, Deputati avrebbero inoltre dovuto controllare scrupolosamente i P. Joannou, C. Leonardi, P. Prodi, Bologna 1973, pp. 609-625. possedimenti, monitorandone costantemente la qualità della con- 29 M. Cavallera, Morimondo, pp. 183-184. 30 S. Spinelli, La Ca’ Granda:1456-1956, Milano 1956, pp. 139-143. 32 31 M. Cavallera, Morimondo, pp. 200. M. Cavallera, Morimondo, pp. 192-199. 28 29
duzione da parte dei fittabili investiti.33 numero delle pertiche componenti i poderi, sovente riportato nei documenti. 2.2 La gestione dell’Ospedale Maggiore Seguono poi lunghi elenchi di regole dettagliatamente redatte, Folco Vaglienti che concernono diversi aspetti relativi alla conduzione della ca- scina e delle terre a essa annesse. Molti gli obblighi cui il con- L’ingente entità di beni entrati a far parte delle proprietà dall’Ospe- duttore avrebbe dovuto attenersi nel corso della sua novennale dale Maggiore comportò una loro attenta e oculata gestione. Ogni locazione. Ricorrenti e sempre presenti in tutte le investiture fittabile si legava alla Ca’ Granda mediante un’investitura ufficiale analizzate sono, ad esempio, i vincoli legati alla gestione delle in cui venivano precisati obblighi, divieti e doveri atti al buon piante da cima e delle piante fruttifere. Il patrimonio arboreo di funzionamento e al miglioramento dei beni. Ciascun podere dato Morimondo non era più infatti costituito solo da piante cresciu- in locazione dall’Ospedale Maggiore era inoltre accompagnato e te spontaneamente nel bosco; venne incrementata, a partire dal dettagliatamente descritto dagli atti di consegna e riconsegna. A 1544, la piantumazione di alberi di maggior pregio da impiegarsi partire dalla fine del Cinquecento sono pertanto conservati, nel- per usi specifici34. Si annoverano tra questi i gelsi - nei docu- la sezione storica dell’Archivio dell’Ospedale, diversi documenti menti chiamati moroni - per l’allevamento dei bachi da seta; le che attestano in concreto la precisione nella registrazione e nella gabbe, con la funzione di segnalare i confini dei poderi e atte al regolamentazione di contratti relativi alle cascine e ai poderi di consolidamento degli argini; gli olmi usati per la costruzione di proprietà del nosocomio. Numerose le cartelle riguardanti i fitta- carri e attrezzi agricoli; i roveri impiegati nell’edilizia come travi bili che conservano atti di investitura, di consegna e di riconsegna, da costruzione; i pioppi per la legna da ardere35 e infine piante dai quali si possono ricostruire le migliorie, l’estensione delle terre da frutto come peri, pomi e noci. Così l’Ospedale Maggiore e delle coltivazioni nel corso del tempo su una data possessione. definiva: «che detti conduttori non possano tagliare, stirpare, re- Le investiture sono atti di concessione e assegnazione redatti da mondare, gabbare né scalvare le rovere, noci né altra sorta d’ar- notai per volere del priore del Venerando Ospedale di Milano, in bori da cima d’alcuna sorta senza particolar licenza in scritto del occasione di una nuova nomina di affittuari. È l’investitura che detto Venerando Capitolo sotto pena del quadruplo del valore ed sancisce in modo tangibile il legame tra l’Ospedale Maggiore, pro- estimazione d’esse piante36», e ancora che «siano obbligati detti prietario del podere, e i suoi fittabili. Con la sottoscrizione di conduttori piantare il primo e il secondo anno della presente tale documento gli affittuari accettavano di attenersi a obblighi e locazione piantoni di pobbia da cima n° trecento se ci sarà luogo doveri imposti dal nosocomio, al fine di mantenere e migliorare nell’arbitrio del detto Ingegner e, non essendovi loco, piantino in la qualità del podere stesso. In ogni atto d’investitura venivano 34 M. Cavallera, Morimondo, p. 157. elencati i termini entro i quali si sarebbe compiuta la locazione 35 E. Cantù, Un viaggio nei ricordi, in Le terre delle Cascine a Milano e in Lombardia, per assegnazione di fitto semplice, e venivano altresì definiti i pa- p. 60. 36 rametri e le scadenze relative ai pagamenti, stabiliti in relazione al Archivio Storico dell’Ospedale Maggiore di Milano (d’ora innanzi AOM- Mi), Fondo: Patrimonio attivo, Classe IV: Case e poderi, cart. 116 «Bugo- 33 G. Cosmacini, La Ca’ Granda dei milanesi. Storia dell’Ospedale Maggiore, Roma fittabili»: investitura Antonio Stracchi e fratelli e Pietro Piatti e fratelli, 1 marzo 1999, p. 96. 1666; E. Poli, Il patrimonio rurale morimondese, p. 38. 30 31
loco d’esse pobbie, gabbe n° quattrocento»37. Numerose anche le menzioni relative ai diritti sulle acque e al Grande attenzione era dedicata anche alla cura delle viti e alla loro sfruttamento per l’irrigazione dei campi. Fu la sviluppata rete produzione del vino38. L’affittuario era tenuto a «piantare a sue di canali artificiali, insieme all’utilizzo del Naviglio di Bereguar- spese le viti che mancheranno per li fili delle vigne e riconsegnarle do, che permise l’introduzione del riso e delle marcite nella bassa ridotte a vino nel fine della presente locazione […]»39. La vite, sep- milanese. Le marcite, attestate in Lombardia a partire dal tardo pur già attestata nel periodo precedente alla colonizzazione roma- medioevo, resero possibile l’aumento della produzione del forag- na, può essere definita come coltura tipica dell’età medievale che gio e permisero uno sviluppo consistente dell’allevamento bovino si diffuse ampiamente nell’Italia padana a partire dal XIII secolo. su vasta scala. La loro caratteristica era infatti di corrispondere a Considerato come elemento indispensabile nel momento del sa- terreni leggermente in declivio, ove acque provenienti da risorgive crificio eucaristico, definito come elemento qualificante e quindi scorrevano in modo continuativo e a una temperatura costante, di status per chi lo produce e chi lo consuma, era anche un gene- impedendo al suolo di gelare anche nei mesi più freddi42. re a uso alimentare altamente nutritivo40 e quindi indispensabile In merito alla gestione delle acque era peraltro il nosocomio ad per l’Ospedale Maggiore, che lo impiegava in alcune delle diete avere degli obblighi nei confronti degli affittuari: spettava infatti personalizzate elaborate per i suoi degenti. Nel 1695 si stabiliva, a all’Ospedale il compito di concedere la possibilità di godimento titolo di esempio, che si somministrasse «per gli uomini ammalati, dell’acqua. Insieme ai beni della commenda di Morimondo erano che mangiano zuppa in vino e zuppa e carne, una misura d’un confluiti all’Ospedale Maggiore anche tutti quei diritti che in pas- quarto di boccale. Per uomini ammalati, che mangiano pane e sato erano stati concessi ai monaci, soprattutto da parte dei grandi carne, una misura d’un mezzo boccale per pasto. Per le donne am- imperatori: la facoltà di pieno utilizzo delle acque e la possibilità di malate, che mangiano zuppa in carne, una misura d’once cinque modificarne il corso per fini viabilistici, di pesca e di irrigazione. Si di vino. Per le donne ammalate, che mangiano pane e carne, una definiva per esempio che: «il Venerando Ospedale dà a detti con- misura d’once nove di vino»41. duttori per adacquare detta possessione del Lasso una bocca d’acqua […] continua estratta dalla roggia appellata il Rile […]»43. Tuttavia, 37 AOMMi, Fondo: Patrimonio attivo, Classe IV: Case e poderi, cart. 266 «Las- anche i fittabili era tenuti «a loro spese far spazzare ogni anno a tem- so-fittabili»: investitura Bernardo Rosa, 27 novembre 1635; E. Poli, Il patrimo- pi debiti tutte le rogge, roggette, fossi e scolatori che sono sopra det- nio rurale morimondese, p. 38. ti beni […]a fine che l’acqua possa avere il suo libero corso […]»44. 38 Norme pratiche per bilanci di consegna e riconsegna e memoria sulla stima dei terreni, Milano 1825, dalla tipografia di Carlo Viscontini, nella contrada della Madonnina vicino al Carmine, n. 1879, p. 57; E. Poli, Il patrimonio rurale 42 Mostra Acque e Terre di Lombardia, Milano, Biblioteca Braidense, Sala Maria morimondese, p. 38. Teresa (30 settembre-29 ottobre 2015), a cura di P. Bianchi, M. C. Brunati, G. 39 AOMMi, Fondo: Patrimonio attivo, Classe IV: Case e poderi, cart. 116 «Bu- Sassi, coordinamento M. Bascapè, P. Caccia. go-fittabili»: investitura Giovanni Trantola e Fratelli, 14 marzo 1624; E. Poli, Il 43 AOMMi, Fondo: Patrimonio attivo, Classe IV: Case e poderi, cart. 266 patrimonio rurale morimondese, p. 38. «Lasso-fittabili»: investitura Bartolomeo Morsello, 6 maggio 1626; E. Poli, Il 40 A.I. Pini, Vite e vino nel medioevo, Bologna 1989, pp. 31-34, 60-61. patrimonio rurale morimondese, p. 40. 41 AOMMi, Fondo: Uffici e Officine, Classe III: Distinta A-Z, cart. 65 «Can- 44 AOMMi, Fondo: Patrimonio attivo, Classe IV: Case e poderi, cart. 266 «Las- tina», ordinazione capitolare, 26 agosto 1695; E. Poli, Il patrimonio rurale mori- so-fittabili»: investitura Giovanni e Domenico De Goi, 12 giugno 1690; E. mondese, p. 39. Poli, Il patrimonio rurale morimondese, p. 40. 32 33
Fondamentale, soprattutto per la buona riuscita dei commerci, il ria, erano consegnati alla Ca’ Granda - fino a venti coppie - per la mantenimento delle strade facenti capo al podere. Si stabiliva «che festa di san Martino. L’allevamento di polli, del resto, rappresentava il conduttore sia obbligato a sue spese durante la presente loca- un’importante fonte di integrazione anche nella dieta dei fittabili zione ad acconciare e tener ben acconce le strade sopra detti beni e dei lavoranti nei poderi dell’Ospedale. Ogni località aveva molti […]45». Sovente, viene anche ricordato che il fittabile è tenuto a pollai, in genere posti al centro della corte o discosti dagli edifici di mantenere e a riconsegnare in perfette condizioni gli edifici e i abitazione. L’Ospedale teneva infatti particolarmente al rispetto di prati affidatigli e che, ogni qualvolta si fossero rese necessarie delle elementari norme igieniche nei suoi possessi e a partire dalla metà riparazioni, le spese necessarie sarebbero state a carico dell’affit- del Settecento i fittabili erano obbligati per contratto a vigilare af- tuario stesso. Era inoltre stabilito, in ogni investitura, che in caso di finché i pigionanti non tenessero polli, conigli e maiali all’interno guerre o epidemie «li conduttori non potranno pretendere ristoro, delle abitazioni. A volte però si dovette intervenire per far spostare compenso, o diminuzione di fitto di sorta alcuna»46 e che non i pollai che, nonostante espliciti divieti, venivano collocati in posti sarebbero stati accettati ritardi nei pagamenti, pena la nullità del non idonei e poco salubri, come ad esempio i sottoscala. contratto. Tutti i contratti agricoli scadevano e si rinnovavano in occasione 2.3 Il riso della festa di san Martino. La festa in onore del santo, che si te- Eleonora Poli, Luca Fois neva ogni anno nel giorno 11 di novembre - secondo tradizione giorno dei funerali di Martino a Tours - era considerato momento La storia che lega l’Italia e la Lombardia in particolare alla colti- propizio per il rinnovo delle investiture poiché situata in un mo- vazione del riso è controversa e ancora da definire: cereale dalla mento di cambiamento climatico corrispondente al periodo della tradizione secolare, nato e cresciuto nelle lontane terre asiatiche, conclusione dei raccolti e della svinatura. L’Ospedale pretendeva sarebbe arrivato nel bacino del Mediterraneo solo dopo la con- il pagamento di alcuni canoni accessori al fitto in denaro, in cap- quista dell’Asia da parte di Alessandro Magno. L’Egitto fu la prima poni e uova utili non solo a rinnovare la dipendenza dei fittavoli tappa della diffusione del riso nel Mediterraneo; con l’avvento dall’ente ospedaliero, ma anche al regime dietetico dei degenti: della colonizzazione araba il riso sarebbe poi giunto nelle terre di in particolare, molte dozzine di uova (ad esempio 20 dozzine per Spagna e d’Italia probabilmente poco dopo il 1000 d.C.47. Questa Caselle e 30 per Cerina di Sotto) dovevano essere consegnate a l’ipotesi sinora più accreditata. Pasqua, quando forse erano donate ai pazienti o utilizzate per pre- Certo è che il riso era conosciuto in Italia molto prima che se parare qualche piatto speciale. E i capponi, di manzoniana memo- ne iniziasse la coltivazione: era rinomato come spezia e utilizzato 45 prettamente per scopi terapeutici. Mentre nel mondo orientale il AOMMi, Fondo: Patrimonio attivo, Classe IV: Case e poderi, cart. 116 «Bu- riso rappresentava una delle basi fondamentali per l’alimentazione, go-fittabili»: investitura Francesco Maria Albini, 10 Agosto 1651; E. Poli, Il patrimonio rurale morimon- in Occidente era invece considerato esclusivamente, fino all’età dese, p. 40. medievale, prodotto di lusso acquistabile a caro prezzo da mercanti 46 AOMMi, Fondo Patrimonio attivo, classe IV: Case e poderi, cart. 267 «Las- so-Fittabili»: investitura Fratelli Sesia, 5 settembre 1777; E. Poli, Il patrimonio 47 M. Montanari, Storie di un chicco di riso, in Colture e Culture del riso: una pro- rurale morimondese, p. 40. spettiva storica, a cura di S. Cinotto,Vercelli 2002, p. 46. 34 35
Puoi anche leggere