ABAV ANNUARIO ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA IL DECORO DELL'ORNAMENTO: DUE PAROLE OBSOLETE?

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ABAV ANNUARIO ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA IL DECORO DELL'ORNAMENTO: DUE PAROLE OBSOLETE?
ABAV
                  ANNUARIO
                  ACCADEMIA DI BELLE
                  ARTI DI VENEZIA

2015              IL DECORO DELL’ORNAMENTO:
                  DUE PAROLE OBSOLETE?
                  A CURA DI ALBERTO GIORGIO CASSANI

Editori Laterza
ABAV ANNUARIO ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA IL DECORO DELL'ORNAMENTO: DUE PAROLE OBSOLETE?
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA

               ORGANIGRAMMA ISTITUZIONALE
               Presidente: Luigino Rossi (fino al 30 giugno 2016); Luana Zanella
               Direttore: Carlo Di Raco
               Vicedirettore: Sileno Salvagnini (fino al 18 marzo 2016); Vanni Tiozzo
               Direttore amministrativo f.f.: Paola Spezzaferri (fino al 31 dicembre 2016)
               Direttore dell’ufficio di ragioneria f.f.: Alessio Di Stefano

               CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
               Presidente: Luigino Rossi (fino al 30 giugno 2016); Luana Zanella
               Rappresentante Miur: Giuseppe Della Pietra
               Direttore: Carlo Di Raco
               Rappresentante dei docenti: Marco Tosa
               Rappresentante degli studenti: Rubin Koldashi

               CONSIGLIO ACCADEMICO
               Presidente: Carlo Di Raco
               Consiglieri: Riccardo Caldura, Ivana D’Agostino, Roberto Da Lozzo, Silvia Ferri, Laura Safred,
               Martino Scavezzon, Gloria Vallese, Giuseppe La Bruna
               Rappresentanti degli studenti: Ilaria Fasoli, Matteo Schenkel

               NUCLEO DI VALUTAZIONE
               Presidente: Bruno Giorgio Civello
               Componenti: Ottorino De Lucchi, Roberto Pozzobon

               REVISORI DEI CONTI
               Componenti: Maria Grazia Moroni, Anna Maria Serrentino

               CONSULTA DEGLI STUDENTI
               Componenti: Samuel Hernandez De Luca, Ilaria Fasoli, Gloria Favaro, Rubin Koldashi, Samir
               Sayed Abdellattef, Matteo Schenkel,Valentina Taiariol
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DOCENTI

          Jacopo Abis - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte, Serigrafia
          Giulio Alessandri - Storia dell’Arte Contemporanea, Teoria e Storia dei Metodi di
          Rappresentazione
          Marta Allegri - Tecniche Plastiche Contemporanee, Scultura (Arti Plastiche Contemporanee)
          Alberto Balletti - Editoria d’Arte, Laboratorio di Tecniche dell’Incisione Calcografica
          Elena Barbalich - Regia
          Roberto Barbato - Teoria e Metodo dei Mass Media
          Luca Bendini - Disegno, Disegno per la Pittura
          Maria Bernardone - Disegno
          Paola Bristot - Storia dell’Arte Contemporanea, Linguaggio dell’Arte Contemporanea
          Mirella Brugnerotto - Decorazione
          Riccardo Caldura - Fenomenologia delle Arti Contemporanee, Beni Culturali dell’Età
          Contemporanea
          Claudia Cappello - Pittura
          Alberto Giorgio Cassani - Elementi di Architettura e Urbanistica, Storia dell’Architettura
          Contemporanea
          Gaetano Cataldo - Metodologia della Progettazione
          Maria Causa - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte
          Danilo Ciaramaglia - Plastica Ornamentale
          Paola Cortelazzo - Costume per lo Spettacolo
          Paolo Cossato - Storia dello Spettacolo
          Lorenzo Cutùli - Scenografia
          Nemanja Cvijanović - Tecniche Pittoriche, Tecniche e Tecnologia delle Arti Visive
          Ivana D’Agostino - Storia dell’Arte Contemporanea, Storia del Costume, Storia dell’Arte e della
          Scenografia Contemporanea, Storia della Moda e del Costume
          Gabriella Dalesio - Estetica, Estetica dei Nuovi Media
          Roberto Da Lozzo - Cromatologia, Pittura
          Giuseppe D’Angelo - Tecniche della Scultura
          Alessandro Di Chiara - Pedagogia e Didattica dell’Arte, Antropologia delle Arti
          Carlo Di Raco - Pittura, Progettazione per la Pittura
          Vallj Doni - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte
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Claudia Esposito - Scenotecnica
Diana Ferrara - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte
Silvia Ferri - Anatomia artistica, Anatomia artistica per il Costume
Antonio Fiengo - Anatomia Artistica
Manuel Frara - Pittura, Applicazioni Digitali per le Arti Visive, Progettazione Multimediale
Paolo Fraternali - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte
Gianni Gosdan - Fotografia, Fotografia Digitale
Aldo Grazzi - Tecniche Extramediali
Salvatore Guzzo - Tecniche di Fonderia
Giuseppe La Bruna - Scultura
Igor Lecic - Pittura
Stefano Leopizzi - Laboratorio di Composizione Scenografica per Eventi
Patrizia Lovato - Anatomia Artistica
Gaetano Mainenti - Decorazione
Stefano Mancini - Litografia, Xilografia
Marina Manfredi - Storia dell’Arte Contemporanea, Letteratura Artistica Contemporanea
David Marinotto - Disegno per la Scultura, Scultura (Progettazione per la Scultura)
Stefano Marotta - Metodologie Progettuali della Comunicazione Visiva, Computer Graphic
Raffaella Miotello - Anatomia Artistica, Semiologia del Corpo
Elena Molena - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte
Maria Anna Nagy - Pittura
Marilena Nardi - Illustrazione
Mario Pasquotto - Computer Graphic, Metodologia della Progettazione e della Comunicazione
Visiva, Packaging
Renzo Peretti - Anatomia Artistica, Disegno
Miriam Pertegato - Pittura, Disegno
Dominique Pitoiset - Scenografia
Roberto Pozzobon - Scultura
Elena Ribero - Anatomia Artistica
Fabrizio Rivola - Decorazione
Laura Safred - Storia dell’Arte Moderna, Storia del Disegno e della Grafica d’Arte
Sileno Salvagnini - Storia dell’Arte Contemporanea
Martino Scavezzon - Pittura
Andrea Serafini - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte
Saverio Simi De Burgis - Storia dell’Arte Contemporanea, Storia e Metodologia della Critica
d’Arte
Emanuele Sinisi - Pratica e Cultura dello Spettacolo, Modellistica (Maquette per la Scenografia)
Anna Sostero - Progettazione Multimediale, Installazioni Multimediali, Pittura
Alfredo Tigani - Anatomia Artistica
Vanni Tiozzo - Restauro per la Pittura, Tecniche Pittoriche
Maurizio Tonini - Modellistica
Annalisa Tornabene - Fenomenologia del Corpo, Disegno, Anatomia Artistica
Marco Tosa - Tecnologia del Marmo e delle Pietre Dure, Restauro dei Materiali Lapidei
Cristina Treppo - Decorazione
Barbara Trombetta - Teoria della Percezione e Psicologia della Forma, Psicologia dell’Arte
Gloria Vallese - Storia dell’Arte Contemporanea, Elementi di Iconografia e Iconologia
Laura Zanettin - Disegno
Roberto Zanon - Design, Design del Gioiello
Maurizio Zennaro - Plastica Ornamentale, Tecniche del Mosaico, Laboratorio del Gioiello per il
Teatro
Mauro Zocchetta - Anatomia Artistica

DOCENTI A CONTRATTO
Maria Alberti - Storia del Teatro contemporaneo, Storia della Scenografia
Matteo Alemanno - Arte del Fumetto
Corrado Bosi - Elementi di Grafica Editoriale
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Nevio Cavina - Illuminotecnica, Light Design
Dario Cestaro - Tecnologie della Carta
Nicola Cisternino - Arti e Musiche contemporanee-Storia della Musica contemporanea, Arti e
Musiche contemporanee-Progettazione Spazi sonori
Alessia Del Bianco - Storia del Disegno e della Grafica d’Arte
Giovanni Federle - Informatica per la Grafica
Giovanna Fiorentini - Tecniche ed Elaborazione del Costume, Tecniche Grafiche per il Costume,
Taglio del Costume Storico-Tecniche Sartoriali
Andrea Franceschini - Metodologie e Tecniche della Comunicazione
Andrea Gregori - Arredo Scenico (Tecniche e Materiali Applicati alla Scenografia)
Ettore Molon - Ordini e Stili-Elementi di Architettura e Urbanistica
Rossano Monti - Tecniche dei Nuovi Media Integrati
Paola Moro - Autocad per la Scenografia
Stefano Nicolao - Taglio del Costume Storico
Fabio Pittarello - Tecniche di Modellazione Digitale 3d, Sistemi Interattivi
Tiziano Possamai - Psicologia della Comunicazione
Massimo Rossi - Elementi di Produzione Video
Roberto Russo - Architettura Virtuale, Fondamenti di Informatica
Andrea Solomita - Digital Video
Masha Starec - Tecniche di Animazione Digitale, Tecniche di Animazione Digitale-Matte Painting
Davide Tiso - Sound Design, Sistemi Interattivi
Carlo Tombola - Tecniche di Documentazione Audiovisiva, Tecniche di Montaggio, Tecniche di
Ripresa
Andrea Trevisi - Web Design, Web Design-Restyling del Sito Web
Giovanni Turria - Tecniche dei Procedimenti a Stampa: Tipografia
Daniele Franco Venturi - Scenotecnica-Tecniche Applicate alla Produzione Teatrale
Marco Visconti Prasca - Inglese, Inglese per la Comunicazione Artistica
Milena Zanotelli - Tecniche e Tecnologie della Decorazione

ASSISTENTI AMMINISTRATIVI
Barbara Brugnaro, Massimo Bianco, Daniela Gianese, Anna Rosa Grasso, Daniela Hopulele,
Luciano Maggiulli, Elisabetta Marini, Silvia Spolaor (agenzia umana), Annalisa Zampieri, Rita
Zanchi

COADIUTORI
Roberta Berengo, Manuela Breda, Teresa Brovazzo, Ada Carraro, Giuseppa Farruggia, Silvia
Marafin, Graziella Marinoni, Ferruccio Nordio, Mara Oselladore, Elisa Porri, Rosa “Meo Ambrosi”
Tiozzo, Mirca Vianello, Viviana Vivardi, Carlo Zaniol

MODELLE
Savina Bullo, Gabriella Serena, Lorella Serena, Maria Cristina Zanon
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ANNUARIO DELL’ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA
a cura di Alberto Giorgio Cassani
Annuario/Annuary 2015
Anno accademico 2015-2016
Il decoro dell’ornamento: due parole obsolete?
COMITATO SCIENTIFICO
Gabriella Belli, Alberto Giorgio Cassani, Giuseppina Dal Canton,
Martina Frank, Marta Nezzo, Claudio Strinati, Nico Stringa,
Giuliana Tomasella, Piermario Vescovo, Guido Vittorio Zucconi
REDAZIONE INTERNAZIONALE
Laura Safred
IL CURATORE
Alberto Giorgio Cassani è redattore di «Albertiana», «Anfione e Zeto» e collabora con
«Casabella». Tra le sue pubblicazioni: Le Barcellone perdute di Pepe Carvalho (Unicopli 2000);
La fatica del costruire. Tempo e materia nel pensiero di Leon Battista Alberti (Unicopli 2000);
Figure del ponte. Simbolo e architettura (Pendragon 2014); L’occhio alato. Migrazioni di un
simbolo (con uno scritto di Massimo Cacciari, Nino Aragno 2014)
PER LA REALIZZAZIONE DI QUESTO NUMERO SI RINGRAZIANO IN PARTICOLARE
Atelier teatrale Nicolao, Roberta Battaglia, Angelica Bordon, Matteo Ceriana, Francesca De
Luca, Silvia Gomirato, Istituto Centrale per il Restauro di Roma, Giulio Manieri Elia, Elena
Marchetto, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Musei Reali di Torino,
Giovanna Nepi Scirè, Mariabianca Paris, Giulia Pattaro, Giada Perizzolo, Lidia Rissotto, Ronina
Rukonic, Mireia Sabate Balada, Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Venezia, ora Polo
Museale, Chiara Troise, Serena Zaccarin, Valentina Zanrosso
REFERENZE FOTOGRAFICHE
Baldas1950/shutterstock.com, Martin-Emilian Balint, John Berens, Francesco Bortolotti,
Gaetano Cataldo, El Anatsui, Chiara Enzo, Stefano Leoni, Marta Naturale, Veronica Piccolo,
Laura Safred, Giulia Natalia Salamon, Jack Shainman Gallery (New York), Franco Tagliapietra,
Cristina Treppo, John Volpato, Wikimedia Commons, Giulia Maria Zucchetta.
Le immagini riprodotte provengono dall’Archivio fotografico dell’Accademia e dagli archivi
personali degli Autori, salvo dove diversamente indicato

© 2018, Accademia di Belle Arti di Venezia - Gius. Laterza & Figli
www.laterza.it
Prima edizione aprile 2018

Edizione
1     2     3      4     5     6
Anno
2018    2019     2020     2021     2022     2023

Questo volume è realizzato con il contributo dell’Accademia di Belle Arti di Venezia

L’Editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte,
là dove non è stato possibile rintracciarli per chiedere la debita autorizzazione
Proprietà letteraria riservata
Gius. Laterza & Figli Spa, Bari-Roma

Questo libro è stampato su carta amica delle foreste
Stampato da Graphica 080 srl - Bari
per conto della Gius. Laterza & Figli Spa

ISBN 978-88-581-3131-2
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INDICE

         11   Editoriale
              Alberto Giorgio Cassani
         15   Sei anni di impegno con e per l’Accademia
              Luigino Rossi
         17   Presentazione
              Luana Zanella
         19   Presentazione
              Carlo Di Raco
         21   Presentazione
              Giuseppe La Bruna

              DOSSIER
              IL DECORO DELL’ORNAMENTO: DUE PAROLE OBSOLETE?
         25   Eὐσχημοσύνη sive Decoro
              Alessandro Di Chiara
         31   Ornamento criminale. La lezione di Louis H. Sullivan, John W. Root e Adolf Loos
              Elisabetta Di Stefano
         43   Ornamento è delitto?
              Gaetano Cataldo
         65   Das Andere des Ornaments.
              Note sull’ornamento nella Teoria estetica di Adorno
              Luca Viglialoro
         73   Storie di camini. Lanfranco Bombelli e Cadaqués
              Antonio Pizza
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83   Oro e decoro. Ricognizioni contemporanee a Venezia
      Cristina Treppo

      SAGGI E STUDI
105   Le stelle i viaggi. Un ciclo astronomico nel portale centrale
      della Basilica di San Marco a Venezia (parte seconda)
      Gloria Vallese
127   A Umberto Boccioni caduto da cavallo. Gli anni estremi 1914-1916.
      Dalle manifestazioni interventiste alla svolta cézanniana
      Franco Tagliapietra
147   El Anatsui. Per una concezione alternativa del contemporaneo
      Saverio Simi de Burgis

      DIPARTIMENTI
171   La protesta in stile Déco delle tribù indiane “vicine alla grande collina”.
      Una possibile chiave di lettura per Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi
      Ivana D’Agostino
183   Bianca/volta. Un’idea di libro
      Mario Pasquotto

      FONDO STORICO, ARCHIVIO, BIBLIOTECA, PROGETTO TESI, PROGETTI EUROPEI
193   La buona stella di Manuzio
      Tiziana Plebani
201   Fra Repubblica, Napoleone e Impero Austriaco.
      Pietro Edwards Ispettore Generale alle Belle Arti di Venezia
      Giovanni Mazzaferro
217   Dieci anni di attività nel Fondo librario dell’Accademia di Belle Arti di Venezia
      Angela Munari
221   Riordino del Fondo librario antico dell’Accademia
      Chiara Gasparini
225   Le incisioni del Fondo Associazione Incisori Veneti
      Francesca Giancotti
229   «Per unire le forze». Le carte d’archivio dell’Associazione Incisori Veneti
      (1954-2012) conservate all’Accademia di Belle Arti di Venezia.
      Una prima ricognizione
      Alessia Del Bianco
243   L’intervento di riordino del Fondo Elena Bassi
      Mario Rosso, Piero Santin
249   Il risveglio editoriale a Venezia nell’Ottocento con i nuovi processi
      d’illustrazione grafica di Ferdinando Ongania
      Dino Chinellato, con presentazione di Marina Manfredi
277   Mobilità europea in ambito artistico: specificità e dati di efficacia.
      ESU e Accademia di Belle Arti di Venezia per l’inserimento professionale
      dei diplomati. Con un’indagine d’impatto
      Anna Tortorella
EVENTI
285   Eventi 2014-2016

      APPENDICI
321   Riassunti
331   Abstracts
345   Autori
347   Indice dei nomi
Gaetano Cataldo
Ornamento è delitto?                                              1_L’ornamento
                                                             L’ornamento è delitto? La domanda
                                                             parafrasa il celebre saggio del 1908 di
                                                             Adolf Loos1 ed è volutamente posta
                                                             in termini interrogativi rispetto al ti-
                                                             tolo originale, assertivo, cercando di
                                                             aggiungere qualche riflessione allo
                  storico dibattito sul complesso tema della rilevanza dell’ornamento. È noto
                  il ruolo avuto sulla formazione dell’architetto viennese del triennio trascorso
                  negli Stati Uniti d’America e la sua opinione sul diffuso atteggiamento dei
                  designers europei dell’epoca che, considerando la superficie come un campo
                  libero per l’invenzione, la ricoprivano con intarsi, curve, linee e ornamenti:
                  egli, al contrario, nel ricercare istintivamente la superficie liscia senza rilievi
                  e scanalature, si rallegrava del fatto che l’assennata borghesia viennese re-
                  spingesse le fantasiose decorazioni dell’epoca così popolari in Francia e Ger-
                  mania.
                       Nel predetto saggio Loos porta all’estremo la riflessione fra il tatuaggio,
                  considerato da Gottfried Semper come espressione artistica2, e la degenera-
                  zione sociale: così come il Papua è un uomo che non si è evoluto e non ha

                      1
                        ADOLF LOOS, Ornament und Verbrechen, 1908, in ID., Sämtliche Schriften, In Zwei
                  bänden, Herausgegeben von Franz Glück, Herster Band: Ins Leere gesprochen 1897-1900;
                  Trotzdem 1900-1930, Verlag Herold, Wien-München 1962, pp. 276-288, trad. it. di Sonia Ges-
                  sner, Ornamento e delitto, in ID., Parole nel vuoto, Adelphi, Milano 1972, 19823, pp. 217-228.
                      2
                        Tralascio l’attuale ruolo antropologico del tatuaggio, diffusissimo soprattutto fra le
                  nuove generazioni e fra la gente di spettacolo, inteso più come elemento di riconoscibilità
                  e appartenenza che come forma d’arte.

                                                                                            Ornamento è delitto?   43
raggiunto la morale e la civiltà dell’uomo moderno ed è, pertanto, giustifi-
                       cato se uccidesse i suoi nemici, l’uomo moderno se dovesse commettere un
                       omicidio sarebbe considerato come un delinquente o un degenerato. Per lo
                       stesso motivo il Papua può coprire
                           di tatuaggi la propria pelle, la sua barca, il suo remo, in breve ogni cosa che trovi
                           a portata di mano. Non è un delinquente, ma l’uomo moderno che si tatua è un
                           delinquente o un degenerato. [...] Gli individui tatuati che non sono in prigione
                           sono delinquenti latenti o aristocratici degenerati3.

                           Ovviamente il sarcasmo di Loos estremizza un concetto basilare che indi-
                       rizza verso l’implicita conclusione che l’eliminazione di qualsiasi ornamento,
                       inteso come stile, da tutti gli oggetti d’uso, riesca a caratterizzare l’evoluzione
                       di una civiltà. Le valenze formali, soprattutto nell’architettura, sono delegate
                       alla tipicità dei materiali utilizzati e il cui linguaggio è specifico per ognuno di
                       essi, tanto che nessun materiale può avocare a sé le forme corrispondenti a
                       un altro materiale. Il materiale va utilizzato evidenziando la decorazione na-
                       turale della specifica texture che la natura ha donato a esso. Le forme si sono
                       sviluppate partendo dalla possibilità di applicazione di un dato materiale e
                       dal procedimento costruttivo che deriva dal suo utilizzo: non c’è ombra di
                       dubbio che la configurazione di un’opera prodotta con uno specifico mate-
                       riale sia condizionata da quest’ultimo; non può essere altrimenti. Cercare di
                       forzarne l’utilizzo dissimulando i materiali con altri simili crea distonie che,
                       prima o poi, verranno svelate.
                           Loos esprime parole positive verso l’uso del cemento, materiale che ha
                       caratterizzato in maniera diffusa l’edilizia dell’ultimo quarto dell’Ottocento e,
                       soprattutto, il secolo successivo, ma nel suo rigore intellettuale egli ammette
                       quanto questa conquista sia stata così innovativa, economica e formalmente
                       coerente da lasciarlo completamente disarmato di fronte alla sua bellezza:
                       Loos riconosce che il principio a cui ci si attiene per valorizzarlo è proprio
                       quello che viene riproposto ogni volta che si inizia ad applicare un nuovo
                       materiale. Ma nella deformazione tipica dei parvenu, generalmente caratte-
                       rizzata da scarsa coerenza intellettuale, anche il cemento, per le sue implicite
                       qualità tra le quali, non ultima, l’economicità, è stato utilizzato anche come
                       surrogato della pietra per realizzare tutta una serie di ornati, scorniciati e
                       paramenti bugnati neogotici o neorinascimentali. Ovviamente Loos era con-
                       sapevole che, paradossalmente, sarebbe stato possibile realizzare anche il
                       medievale campanile di Santo Stefano in cemento e sistemarlo da qualche
                       altra parte della capitale austriaca, ma è indubbio che non si sarebbe mai
                       trattato di un’opera d’arte; «e quanto si è detto per la torre di S. Stefano vale
                       anche per il palazzo Pitti, e ciò che vale per il palazzo Pitti vale anche per il
                       palazzo Farnese. E con quest’ultimo edificio ci troveremmo nel bel mezzo
                       dell’architettura che vediamo sul nostro Ring»4.
                           Al contrario, la capacità di utilizzare nel passato un linguaggio coerente
                       con i proprî tempi sia nella progettazione che nella realizzazione degli edi-

                           3
                            A. LOOS, Ornamento e delitto, cit., p. 218.
                           4
                            ADOLF LOOS, Das Prinzip der Bekleidund, 1898, in ID., Sämtliche Schriften, cit., pp.
                       105-112, trad. it. cit. Il principio del rivestimento, in ID., Parole nel vuoto, cit., pp. 79-86: 81.

44   Gaetano Cataldo
fici è nettamente apprezzata da Loos che esprime parole di elogio per un
grande protagonista dell’architettura viennese, Johann Bernhard Fischer von
Erlach, che non ha mai avuto bisogno del granito per esprimersi:
    Egli ha costruito con argilla, calce e sabbia opere che suscitano in noi profonda
    emozione, non meno delle grandi architetture realizzate con materiali di lavora-
    zione difficile. Il suo spirito, il suo senso artistico dominavano il materiale più vile.
    Egli sapeva dare alla polvere vile la nobiltà dell’arte. Un re nel regno dei materiali5.

    Concetto che può essere esteso anche ai progetti di Andrea Palladio che,
per le architetture civili, è riuscito, con le sue numerosissime opere realizzate
con mattoni di terracotta, sabbia e calce, a progettare opere insuperate e
che hanno fatto scuola sia in Europa che nelle colonie inglesi dell’America
del Nord: per Palladio, come per Leon Battista Alberti, nel rapporto fra tipo
architettonico e decorazione, dove la decorazione chiarisce gli scopi dell’ar-
chitettura, la decorazione stessa è architettura, non decor.
    Non sono quindi i materiali più ricercati a favorire la produzione di buone
opere architettoniche ma il linguaggio della progettazione. La rincorsa dei
suoi contemporanei viennesi, che Loos definisce parvenu, è, in fondo, quella
che ha caratterizzato la massima parte della produzione edilizia non di qua-
lità: si pensi all’affannosa ricerca della presunta immortalità degli edifici6
perseguita con materiali di rivestimento costosi, ma avulsi da qualsiasi con-
testo di coerenza linguistica, prodotta dalla globalizzazione dei materiali e
fenomenologicamente situata in controtendenza rispetto alla coerenza del
passato, quando si costruiva con i materiali naturali del posto che si pote-
vano acquisire molto più facilmente. Solo davanti al cemento, vera conquista
tecnologica e formale, si può restare disarmati quando è utilizzato nella sua
schiettezza di materiale realmente artificiale. È questa una lezione che ha in-
dirizzato la grande architettura del Novecento prodotta dai quei Maestri che
hanno saputo dare forma a un materiale che, di là delle capacità strutturali,
si prestava alle massime espressioni formali.
    Il principio della rigorosa coerenza e riconoscibilità del materiale in tutta
la sua forza linguistica, non a caso, è stato recepito dai protagonisti dell’in-
novazione linguistica architettonica del Novecento: si pensi alla cappella di
Notre-Dame du Haut a Ronchamp o l’Eglise de St. Pierre a Firminy, entrambe
di Le Corbusier7, nelle quale la sincerità del cemento, inteso come materiale
strutturale e finitura/rivestimento monocromatico, caratterizza il gioco delle
masse punteggiate da piccoli inserti colorati8, presenti in corrispondenza delle
aperture, e colloca questi manufatti ai vertici di tutta la storia della progetta-
zione architettonica. O ai progetti di Carlo Scarpa nei quali il calcestruzzo è un
pattern da plasmare conservando la sua integrità cromatica e materica.

      5
        ADOLF LOOS, Die Baumaterialen, 1898, in ID., Sämtliche Schriften, cit., pp. 99-104, trad.
it. cit. I materiali da costruzione, in ID., Parole nel vuoto, cit., pp. 73-78: 75.
      6
        Un dato è nella mausoleizzazione dell’edilizia civile dei centri antichi invasi, prima
della regolamentazione normativa, da rivestimenti lapidei incoerenti e profilati di alluminio
per gli infissi.
      7
        Concluse rispettivamente nel 1955 e nel 2006, quest’ultima molti anni dopo la morte
dell’architetto.
      8
        Giallo, verde, rosso e azzurro.

                                                                            Ornamento è delitto?    45
Oppure al Padiglione di Barcellona9 di Ludwig Mies van der Rohe, risul-
                       tato di un sistema di assenze nel quale ogni materiale, dal marmo alla pietra
                       al metallo o al cristallo ha una sua precisa funzione linguistica, cromatica
                       e anche strutturale: dall’economico Travertino romano, utilizzato per il pa-
                       vimento, le pareti, le sedute e per il rivestimento di parte della sostruzione;
                       al pregiato Marmo e al raro Onice per le pareti, sino al lucido acciaio per i
                       profili degli infissi e i pilastri cruciformi: è sintesi di orizzontalità e vertica-
                       lità, di piastre e di lastre, di trasparenze e di chiusure coerenti con la luce e
                       l’ombra (fig. 1). Oppure alla berlinese Neue Nationalgalerie, sempre di Mies10,
                       con il suo rigore nella disposizione delle masse sull’alta sostruzione classica
                       rivestita in pietra e la snella struttura metallica, completamente trasparente,
                       che sostiene una trabeazione in grado di dialogare idealmente con l’Altes
                       Museum di Karl Friedrich Schinkel.
                            Per Loos, se l’ornamento dev’essere assolutamente rimosso dagli oggetti
                       d’uso, non può essere eliminato dall’architettura, va solo usato secondo prin-
                       cipî di coerenza, così come avevano fatto gli architetti nel passato quando,
                       di secolo in secolo, di anno in anno, erano riusciti a emanciparsi dall’orna-
                       mento. È nota la sua avversione nei confronti delle correnti artistiche d’inizio
                       Novecento, prima fra tutte il Deutscher Werkbund, che, nel cercare di saldare
                       il legame fra arti applicate e industria, cercava di imporre un presunto stile
                       del tempo11, uno Zeitstil che conformasse in chiave di riconoscibilità decora-
                       tiva ogni oggetto anche di uso comune. Utilizzare il veicolo della decorazione
                       per conferire una valenza artistica, più che funzionale, a qualsiasi prodotto
                       estremizza uno dei concetti basilari del design che s’incardina sulla dico-
                       tomia tra forma e contenuto/funzione. Loos considerava quest’atteggiamento
                       come degenerazione non solo del singolo individuo ma dell’intera società a
                       cui l’uomo moderno rispondeva con la consapevolezza che l’umiliazione più
                       grande alla quale poteva essere soggetta l’arte era data dalla confusione fra
                       oggetto d’uso e arte in senso lato: nel citare Goethe, vero uomo moderno,
                       fa sua un’acuta affermazione del grande intellettuale: «L’arte, che ha pavi-
                       mentato agli antichi la terra e ha restituito ai cristiani la volta del cielo nelle
                       loro chiese, viene oggi dissipata fra vasetti e monili. Questi tempi sono assai
                       peggiori di quanto si creda»12.
                            L’assenza di ornamento o, meglio, l’etica anti-ornamentale per Loos coin-
                       cide con la tendenza complessiva alla razionalizzazione dei principî economi-
                       co-sociali del capitalismo: il concetto di ornamento «va ben oltre la “facciata”
                       – si tratta di un discorso sui fini della costruzione, della produzione, della
                       comunicazione; [...] [Ornamento] è ogni parola che superi le sue condizioni

                             9
                                Realizzato nel 1929 per l’Esposizione Universale, demolito l’anno seguente e rico-
                       struito fra il 1983 e il 1986 per iniziativa del sindaco Pasqual Maragall e di Oriol Bohigas
                       sotto la direzione di Ignasi de Solà-Morales, Fernando Ramos, Cristian Cirici e Isabel Bachs.
                       Quest’anno si celebrano i trent’anni dall’evento, con una mostra all’aperto davanti al padi-
                       glione.
                             10
                                Completato nel 1968.
                             11
                                Gli obiettivi dell’Associazione si potevano sintetizzare nel binomio buon lavoro e
                       creazione dello stile del nostro tempo.
                             12
                                ADOLF LOOS, Kulturentartung, 1908, in ID., Sämtliche Schriften, cit., pp. 271-275, trad.
                       it. cit. Degenerazione della civiltà, in ID., Parole nel vuoto, cit., pp. 211-215: 215.

46   Gaetano Cataldo
di senso, le regole formali della sua grammatica e della sua sintassi, i limiti
della sua funzione»13.
    È noto l’approccio di Loos al tema dell’ornamentazione improduttiva con-
siderata come tempo perso nelle fasi di realizzazione degli oggetti d’uso e
il cui impegno aggiuntivo alla loro formalizzazione non era assolutamente
quantificabile in termini economici e, pertanto, era inteso come spreco. L’or-
namento, pertanto, non aggiunge qualità all’oggetto che deve conservare, a
priori, il suo valore rispondendo alle funzioni e alle esigenze del modo di pro-
duzione; Loos sembra così applicare, involontariamente e solo per coerenza
di pensiero, alla produzione artigianale i principî metodologici espressi nel
rasoio di Ockham rivisti in termini di ottimizzazione economica con l’elimi-
nazione di tutto ciò che è superfluo14.
    Il processo di semplificazione e razionalizzazione, che interessa l’evolu-
zione loosiana del concetto stesso di artigianato, è strettamente funzionale
alle economie sul lavoro necessario da impiegare, con il materiale da utiliz-
zare e con gli stessi capitali investiti: la sua sintesi si traduce nella qualità del
prodotto che, infine, s’identifica nel suo valore d’uso perfettamente coerente
in termini morfologici con le richieste del mercato. Egli era perfettamente
consapevole che questa forma di organizzazione lavorativa, caratterizzata
da forti denotazioni materialistiche, non avrebbe avuto un grande futuro e
sarebbe stata rapidamente superata dalla produzione di massa industriale.
È fuor di dubbio che la qualità di un oggetto non sia assolutamente astrai-
bile dal tempo necessario richiesto per la sua produzione, cioè dal suo costo
di realizzazione. Solo abbassando i tempi di produzione si possono ridurre
i costi, ma unicamente all’interno di un processo di progressiva massifica-
zione, semplificazione e funzionalizzazione dell’organizzazione del lavoro e
della produzione stessa. Ed è quello che è avvenuto durante tutto il Nove-
cento e, con una drammatica accelerazione, in tempi relativamente recenti
sotto la spinta della globalizzazione, con la conseguente delocalizzazione
delle aree produttive e un abbassamento verticale sia dei costi che della qua-
lità finale degli oggetti15.

2_La casa in Michaelerplatz
Negli ultimi anni si è molto discusso sul termine moderno, travisando spesso
l’autentico significato dell’eredità del Movimento Moderno, che non può es-
sere semplicisticamente considerato un sistema di forme responsabile dei
mali della città contemporanea, ma deve essere valutato per il metodo che
propugnava, riassumibile nella costante ricerca di un rapporto con la realtà
storica, sociale e culturale del proprio ambiente e del proprio tempo: solo

    13
       MASSIMO CACCIARI, Loos-Wien, in FRANCESCO AMENDOLAGINE, MASSIMO CACCIARI, Oikos. Da
Loos a Wittgenstein, Officina Edizioni, Roma 1975, pp. 11-60: 15.
    14
       In senso lato si possono applicare a questo concetto alcuni dei principî del filosofo
inglese che ammoniva di non moltiplicare gli elementi più del necessario o di quanto sia
inutile fare qualcosa con più elementi invece che con meno.
    15
       Di là della distanza temporale, è un mondo totalmente opposto per metodi e risultati
a quello ricompreso tra la fine dell’800 e il primo quarto del secolo scorso.

                                                                        Ornamento è delitto?   47
con esso si riuscirà a superare la contraddizione fra arti applicate e industria
                       assumendo la cultura industriale come elemento centrale della produzione
                       artistica, proprio perché «il prodotto industriale non ha bisogno di agget-
                       tivazioni stilistiche, esso ha valore in quanto nuda espressione del proprio
                       tempo»16. La consapevolezza che l’industria è il propellente dell’innovazione
                       colloca Loos nello stesso filone di pensiero di Le Corbusier e Gropius e ne
                       anticipa, parzialmente e sotto certi aspetti, i risultati.
                           La Looshaus è l’espressione più autentica dell’assenza di qualità della
                       città industriale, che Loos interpreta come inevitabile, ma non negativa, con-
                       seguenza del progresso.
                           Conosciamo lo scandalo e la gratuita ironia che suscitò, nella conformista
                       società viennese, all’epoca ancora non in grado di apprezzare la carica di
                       drastica innovazione del linguaggio architettonico utilizzato, la realizzazione
                       dell’edificio di fronte alla Hofburg: l’opera si fonda sulla consapevolezza che
                       la civiltà s’incardina sul riconoscimento dell’inarrivabile grandezza dell’an-
                       tichità classica, con particolare riferimento a quella romana verso la quale,
                       secondo Loos, siamo debitori per la coscienza sociale e la disciplina dell’a-
                       nima. Chi era in grado di risolvere i grandi problemi della progettazione non
                       pensava all’invenzione di nuovi elementi decorativi o nuove modanature,
                       come per la civiltà greca: «I Greci sprecarono la loro forza inventiva negli
                       ordini delle colonne, i romani applicarono la loro nel progettare gli edifici»17.
                           L’insegnamento della cultura classica, di là delle differenze di confini e
                       lingue, ha creato l’unità della civiltà occidentale e rinunciare a essa equi-
                       varrebbe a distruggerne l’ultimo elemento unificatore: la nostra educazione
                       si radica, indubbiamente, sui principî linguistici classici e per tale motivo
                       Loos può affermare che «non solo bisogna coltivare l’ornamento classico.
                       Ma si devono studiare anche gli ordini e le modanature»18. Altro è utilizzarli
                       senza capacità di reinterpretazione lessicale in maniera pedissequa. Il ricorso
                       all’ornamento in architettura è sintomo del regresso dell’umanità alla fase
                       degli stadî primordiali, al Papua, in evidente contraddizione con l’avanzata
                       cultura industriale. Ma l’eliminazione dell’ornamento non dev’essere letta
                       come depauperamento della tradizione culturale occidentale, alla quale egli
                       credeva profondamente cogliendone sia il fascino che il significato: «la sua
                       polemica si fonda sulla distinzione fra l’architettura come arte e l’architettura
                       che rinuncia alla condizione di arte per farsi strumento della realtà dell’uomo
                       senza deformazioni ed equivoci»19.
                           È quanto può essere detto per la Looshaus che risolve in maniera precisa
                       il complesso problema della soluzione d’angolo20, difficilissima per ogni pro-

                           16
                                GIOVANNI DENTI, Adolf Loos. La casa in Michaelerplatz, Alinea Editrice, Firenze 1990,
                       p. 5.
                           17
                               ADOLF LOOS, Architektur, 1910, in ID., Sämtliche Schriften, cit., pp. 302-318, trad. it. cit.
                       Architettura, in ID., Parole nel vuoto, cit., pp. 241-256: 256.
                            18
                               ADOLF LOOS, Ornament und Erzieung, 1924, in ID., Sämtliche Schriften, cit., pp. 391-
                       398, trad. it. cit. Ornamento ed educazione, in ID., Parole nel vuoto, cit., pp. 325-332: 330.
                            19
                               G. DENTI, Adolf Loos, cit., p. 7.
                            20
                               L’edifico è situato in testata a un isolato pentagonale posto all’incrocio di due strade,
                       la direttrice viaria romana dell’Augustinerstrasse-Herrengasse con l’asse Burgtor-Kohlmar-
                       kt-Tuchlauber, che confluiscono nella Michaelerplatz di fronte alla Hofburg.

48   Gaetano Cataldo
gettista, in un contesto urbano di grande significato simbolico21 e collettivo,
caratterizzato proprio da quell’enfasi decorativa contro cui il geniale archi-
tetto ha sempre combattuto (fig. 2).
    L’alto basamento rivestito in marmo naturalmente decorato dalle vena-
ture del materiale, che si estende ai primi due piani applicando la triparti-
zione dei moderni grattacieli della Scuola di Chicago, dialoga con coerenza e
per dimensione con gli altri edifici tardo-eclettici della piazza fondati su ba-
samenti bugnati di analoga altezza: il radicamento dell’opera al suolo, frutto
di una sapiente rimodulazione del linguaggio classico in chiave moderna, è
dato dal pronao tetrastilo realizzato con colonne doriche monolitiche dello
stesso marmo, non strutturalmente portanti22, appoggiate sul crepidoma,
unica concessione e sutura con la classicità, evocata in senso astratto. Tutto
il resto è di una modernità strabiliante, a cominciare dalla destinazione ti-
pologica mista commerciale e residenziale23, compresa la citazione del bow-
window anglosassone a lui caro (fig. 3): è la reimpaginazione della tradizione
viennese della teoria di finestre regolari aperte nella pelle muraria trattata a
stucco bianco e dell’attico inclinato con finitura in lastre di rame, qui reso
evidente e non celato dietro facciate modanate.
    L’icastica definizione dei prospetti, pur se definiti nel dettaglio, non an-
ticipa la raffinata determinazione degli spazî interni curati nel dettaglio sia
materico24 che nell’articolazione spaziale che sfrutta totalmente il volume
dell’edificio con l’incastro di ambienti di diversa altezza, il Raumplan: è
quasi uno scavo in un volume definito con precisione e con grande sensibi-
lità, in grado d’inventare l’economia spaziale sì da poter parlare, con Zevi,
di «progettazione spaziale»25. E nel gioco dell’articolazione degli spazî non
va dimenticato il profilo curvilineo delle vetrine sulla piazza, all’interno del
pronao, che fa da pendant al prospetto curvilineo della Hofburg riflesso in
esse. Il muro diventa forma, quasi un elemento spazio-temporale calcolato
con precisione sino a diventare astratto e non in grado di entrare assoluta-
mente in rapporto con l’interno, negando proprio il legame interno/esterno:
l’assenza di trasparenza cela l’unità dell’abitazione confermando la pluralità
dei linguaggi necessarî a configurarla; sono linguaggi che non dialogano e
parlano ognuno con il proprio alfabeto: l’esterno è altro rispetto all’interno26.
    La Looshaus, situata nel cuore dell’antica Vienna «traduce realmente in
pietra le complessità di una società nella quale convivevano tradizioni asbur-
giche e nuove classi dirigenti, nobili e “uomini senza qualità”, valzer e musica

    21
       L’assetto finale della piazza, generatasi con la demolizione degli edifici necessaria al
completamento della facciata curvilinea della Hofburg (1891), si definirà proprio nel 1910
con la realizzazione della Looshaus.
    22
       Quasi un prodotto di alto e rifinito artigianato, come lo intendeva Loos, anche se non
coerente con le proporzioni classiche.
    23
       All’epoca inesistente in Europa.
    24
       Progettati con la consueta grande attenzione artigianale utilizzando legno, marmo,
cuoio, ottone.
    25
       BRUNO ZEVI, Storia dell’architettura moderna, Einaudi Editore, Torino 1950, 19755,
p. 88.
    26
       Si rifletta proprio sul dualismo architettonico nihilistico dell’edificio, razionale e ica-
stico all’esterno, ricco di spazî articolati, materiali pregiati e forme significanti all’interno.

                                                                             Ornamento è delitto?    49
dodecafonica»27. L’edificio si può considerare un vero faro urbano, un testi-
                       mone del nuovo linguaggio che inizia ad affermarsi contro la Vienna della
                       Secessione, che irrompe nella statica, consolidata e tatuata Capitale.
                           Il progetto si attua attraverso il disegno che è quella «scrittura dell’anima
                       che forma la materia dell’abitare. La supremazia del disegno afferma: l’archi-
                       tetto inventa linguaggi»28.
                           In tal senso si può comprendere anche la lucida follia del progetto di
                       Loos per la nuova sede del Chicago Tribune (1922), l’invenzione di un vero
                       linguaggio delineato come provocatoria esasperazione dell’ordine classico,
                       anche qui evocato in chiave astratta e non come citazione, con una gigan-
                       tesca colonna dorica poggiata su alto basamento. La forma classica pura
                       dell’edificio, che ribalta la visione tardo-romana della grecità che aveva carat-
                       terizzato molti dei suoi edifici ritornando alla classicità greca, va intesa come
                       clamorosa provocazione: il fusto, nel quale erano previsti ventuno piani di
                       uffici, avrebbe sottratto l’edificio dall’effimero flusso delle mode rendendolo
                       imperituro e universale, tanto da poter essere costruito in qualsiasi altra città
                       del mondo. Il gigantesco fuori-scala vorrebbe comunicare un appello all’in-
                       tramontabilità dei valori, ma nella realtà, come «i giganti di Kandinsky in Das
                       gelbe Klange, il gigantesco fantasma loosiano non riesce a significare che la
                       propria patetica volontà di esistenza. Patetica perché [...] rende tragicamente
                       inattuale quella colonna, quella volontà di comunicare significati assoluti»29.

                       3_La Casa di Wittgenstein
                       «È una casa di grande bellezza spirituale, nobile, austera, senza alcun or-
                       namento. (Vi sono numerose affinità con l’opera di Adolf Loos, col quale
                       intratteneva rapporti amichevoli, ma, a mio parere, l’impostazione è più ri-
                       gorosa!)»30. Sono le parole di un caro amico di Wittgenstein, Ludwig Hansel,
                       scritte per il necrologio del 1951 e, in assoluto, prima citazione dell’edificio
                       (fig. 4).
                           La casa progettata dal Filosofo, vero unicum di un processo mentale
                       estremamente complesso caratterizzato da rapporti e contraddizioni storica-
                       mente determinati, non può essere letta come semplice elemento architetto-
                       nico, tali e tante sono le domande che essa pone. L’impegno totale che egli vi
                       profuse per quasi due anni, dal 1926 al 192831, tralasciando ogni altra attività
                       intellettuale32, e l’attenzione quasi scientifica dedicata alla scelta e alla posa
                       in opera nel dettaglio dei materiali, rientrano in un ambito che ricomprende

                           27
                               G. DENTI, Adolf Loos, cit., p. 13.
                           28
                               M. CACCIARI, Loos-Wien, cit., p. 26.
                            29
                               MANFREDO TAFURI, La montagna disincantata, Il grattacielo e la City, in GIORGIO
                       CIUCCI, FRANCESCO DAL CO, MARIO MANIERI ELIA, MANFREDO TAFURI, La città americana dalla
                       guerra civile al New Deal, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 415-550: 432.
                            30
                               In PAUL WIJDEVELD, Ludwig Wittgenstein. Architekt, Amsterdam, The Pepin Press,
                       1993, trad. it. Ludwig Wittgenstein, architetto, Electa, Milano 2000, p. 11. È il testo più
                       completo dedicato all’opera architettonica del Filosofo, soprattutto per lo sviluppo e analisi
                       dell’opera e per l’ampio apparato documentario.
                            31
                               Subito dopo, Wittgenstein si trasferì a Cambridge.
                            32
                               Sono note le multiformi esperienze che hanno caratterizzato la vita del filosofo.

50   Gaetano Cataldo
l’architettura nella scienza del costruire, intesa essenzialmente come pro-
blema di conoscenza e di logica, ben al di là di come è intesa nell’accezione
comune. In tal senso è evidente perché Paul Engelmann, il progettista inca-
ricato dalla sorella di Ludwig Wittgenstein per realizzare la casa in Kund-
manngasse, dopo dieci versioni del progetto, fu mentalmente sopraffatto
dall’ingombrante presenza del filosofo/architetto e si fece progressivamente
e ragionevolmente da parte33.
    Il presunto dilettantismo del Filosofo non ha ragion d’essere in relazione
alla mancanza di una specifica formazione di carattere architettonico, ma
sono noti l’impegno, la cura e l’attenzione che egli poneva in ogni attività34;
anche la limitata, nel tempo, pratica architettonica fu portata avanti con quel
perfezionismo intransigente e quell’indipendenza di fini che già si erano ma-
nifestati in precedenza nel suo pensiero filosofico e che lo caratterizzeranno
in seguito: la casa è un’operazione filosofica essenziale, un esercizio este-
tico35 e formale di grande spessore al pari degli altri interessi che hanno con-
traddistinto la vita e il rigore mentale di Wittgenstein.
    Non è casuale che la sua costruzione si collochi fra i due momenti so-
stanziali della sua vita, la pubblicazione nel 1922 del Tractatus Logico-Philo-
sophicus e il suo trasferimento a Cambridge, agli inizî del 1929, individuan-
dosi anche come spartiacque filosofico rispetto alla seconda fase del pen-
siero di Wittgenstein: in questa egli ripensò quasi totalmente il suo approccio
logico, anche contraddicendo quanto già asserito, ma è indubbio che la si-
stematizzazione logica, quasi di congegno meccanico o perfetta macchina in
movimento in grado di affrontare temi complessi, con cui è stato organizzato
il Tractatus, abbia trovato nell’esperienza della Haus una concreta verifica.
I sette enunciati assiomatici indimostrabili, simili ai sistemi geometrici eu-
clidei e spinoziani del more geometrico, partendo da un approccio inizial-
mente fenomenologico, sono gli ingranaggi principali di questa macchina
logica che danno il moto agli altri meccanismi dentati subordinati che, atti-
vando a loro volta il sistema, renderanno evidente tutta la logica d’insieme.
A ogni proposizione principale è assegnata l’unità, mentre alle altre, intese
come “ingranaggi minori”, sono assegnate numerazioni per sottolivelli che
consentono il funzionamento di questo meccanismo entropico in grado di
evidenziare la complessa logica del tutto: l’approccio ingegneristico è del
tutto evidente anche applicato a un concetto di logica relazionato alla feno-
menologia degli accadimenti del mondo.
    «L’architettura “muta”, priva di ornamenti, risponde alla logica di un im-

    33
       Engelmann, allievo di Loos e unico superstite di una famiglia ebrea di origine mol-
dava, emigrò nel 1934 in Palestina: a lui, e ad altri architetti tedeschi ebrei emigrati prima
della Shoah, si deve la realizzazione degli oltre 4.000 edifici razionalisti che caratterizzano
per numero e diffusione l’insolita morfologia di Tel Aviv, città fondata con il Masterplan
redatto tra il 1925 e il 1929 da Patrick Geddes.
    34
       Sia come giardiniere nel convento viennese dei frati Ospitalieri di Hütteldorf che
come maestro elementare in una scuola pubblica rurale, incarico bruscamente interrotto
proprio nel 1926; dopo la conclusione della casa, nel 1929 si trasferisce a Cambridge, invi-
tato dall’economista John Maynard Keynes, per conseguire il dottorato in filosofia.
    35
       Wittgenstein non ha mai sistematizzato la sua teoria estetica filosofica della quale re-
stano solo le lezioni e conversazioni tenute dal 1938 a Cambridge e raccolte dai suoi allievi.

                                                                           Ornamento è delitto?   51
1. Il Padiglione
                       Barcellona di
                       Ludwig Mies van
                       der Rohe (foto
                       Gaetano Cataldo,
                       2007).

                       2. La Looshaus in
                       Michaelerplatz,
                       totale (foto Laura
                       Safred, 2015).

52   Gaetano Cataldo
3. Il bow-window della Looshaus
(foto Laura Safred, 2015).

                                  4. Il prospetto sud-ovest della Haus
                                  Wittgenstein (foto Laura Safred,
                                  2015).

                                                  Ornamento è delitto?   53
piego “tecnico” dei materiali»36, ed è lo specchio di quell’uomo senza qualità
                       che è il vero protagonista della nuova realtà urbana. È un’architettura si-
                       lenziosa, scarna, priva di ornamenti, che sembra la trasposizione, dalla lo-
                       gica al materiale, della settima e ultima proposizione del Tractatus, la più
                       celebre: «Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere»37. Il linguaggio,
                       anche quello architettonico, per Wittgenstein è uno strumento che bisogna
                       saper adoperare con grande cura e coerenza utilizzando gli attrezzi adatti;
                       quando si costruiscono case, noi parliamo e scriviamo e dobbiamo anche
                       riuscire a distinguere una persona che sa certamente cosa di cui sta parlando
                       da un’altra che non lo sa:
                           Ho spesso paragonato il linguaggio a una cassetta di attrezzi, contenente un mar-
                           tello, uno scalpello, fiammiferi, chiodi, viti, colla. Tutte queste cose non sono
                           state messe insieme a caso, ma vi sono differenze notevoli tra i diversi strumenti
                           – sono usati in un contesto di modi – benché tra scalpello e colla non potrebbe
                           esserci nulla di più diverso38.

                           È una riflessione ex post, rispetto al progetto della casa di Kundmann-
                       gasse; risale agli anni di Cambridge, ma è coerente anche con i precedenti
                       assunti e connota la stringente logica che ne ha caratterizzato progetto e
                       realizzazione: «La logica è un meccanismo fatto di un materiale infinitamente
                       duro, la logica non può piegarsi»39.
                           La progettazione di un manufatto architettonico, un’attività strettamente
                       tecnica40, è anche un procedimento logico che va affrontato, però, con gli
                       strumenti mentali adatti: non vanno dimenticati, da un lato, i suoi interessi
                       verso la meccanica e l’ingegneria41, dall’altro il suo rigoroso approccio men-
                       tale indipendente da fini e il perfezionismo intransigente, tanto da poter para-
                       gonare la progettazione della casa a quella di una macchina, una machine à
                       habiter, parafrasando il termine da Le Corbusier ma non lo stesso significato;
                       o un meccanismo logico42, o meglio ancora, una macchina “celibe” priva di
                       uno scopo o un fine43, un esemplare unico di un organismo meccanico, pro-

                           36
                              G. DENTI, Adolf Loos, cit., p. 7.
                           37
                              LUDWIG WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, with an introduction by Ber-
                       trand Russell, Kegan Paul, Trench, Trubner & Co., London 1922 e Routledge & Kegan Paul,
                       1961, trad. it. di Amedeo Giovanni Conte, Tractatus Logico-Philosophicus e Quaderni
                       1914-1916, Einaudi, Torino 1964, 19836, p. 82.
                           38
                              LUDWIG WITTGENSTEIN, Lectures on Æstetic, in Lectures and conversation on Æstetic,
                       Psychology and Religious Belief, Basil Blackwell, Oxford 1966, trad. it. Lezioni sull’este-
                       tica, in ID., Lezioni e conversazioni sull’etica, l’estetica, la psicologia e la credenza reli-
                       giosa, a cura di Michele Ranchetti, Adelphi, Milano 1967, 19804, pp. 49-107: 52.
                           39
                              Ivi, p. 75.
                           40
                              Oltre alla collaborazione iniziale con Engelmann va ricordato il contributo tecnico de-
                       terminante di Jacques Groag, assistente di Loos e direttore lavori in molti cantieri, soprat-
                       tutto per la parte strutturale dell’edificio, conforme alle più innovative tecniche costruttive
                       del tempo. Questo non impedì tensioni anche con Wittgenstein in merito a scelte formali
                       spesso contraddittorie rispetto a quelle tecniche.
                           41
                              Suo è il progetto giovanile di un prototipo di motore a reazione, brevettato, che sarà
                       perfezionato e applicato in aeronautica.
                           42
                              FRANCESCO AMENDOLAGINE, La casa di Wittgenstein, in F. AMENDOLAGINE, M. CACCIARI,
                       Oikos, cit., pp. 61-105: 91.
                           43
                              Oltre a quello di realizzare l’abitazione per la sorella Margaret ma che avrebbe potuto
                       avere una connotazione più scontata.

54   Gaetano Cataldo
gettato con estrema precisione soprattutto per i dettagli: come per i mirabili
caloriferi angolari44, che devono apparire per quello che sono senza essere
dissimulati per sembrare altro e, in particolare, per le parti mobili come i ser-
ramenti, i meccanismi di fissaggio di porte e finestre, maniglie, cardini, scher-
mature a contrappeso e fissaggio dei vetri; da un lato estrema semplicità,
dall’altro estrema funzionalità guidata dai principî, già accennati, del rasoio
di Ockham e dall’assunto per il quale Simplex sigillum veri, la semplicità è
il suggello della verità. Quel suggello che egli esplicita nel Tractatus con la
sotto-proposizione 5.4541:
    Le risoluzioni dei problemi logici devon essere semplici, poiché son esse a porre
    il canone della semplicità. Gli uomini hanno sempre presentito che vi debba
    essere un campo di questioni le cui risposte – a priori – sian simmetriche e unite
    in conformazione conclusa, regolare. Un campo ove valga la proposizione: Sim-
    plex sigillum veri45.

    Un canone comune sia all’etica che all’estetica che si evidenzia quando
entrambi i principî sono soddisfatti dall’aver realizzato un’opera in perfetta
coerenza di comportamento morale.
    Wittgenstein asseriva che le parti meccaniche ed elettriche della Haus
dovevano essere considerate sullo stesso piano della progettazione delle de-
corazioni e dell’arredamento. La progettazione diventa un’elegante dimostra-
zione matematica sostenuta dai principî razionali della stessa matematica
e della logica, unici in grado di migliorare il giudizio estetico: i meccanismi
di una «macchina ben progettata e ben funzionante, dovevano essere mo-
strati in una sorta di visione tecnica trascendentale»46. La scala che conduce
ai piani superiori ha una presenza molto forte nella pianta dell’edificio ri-
chiamando l’immagine di un elemento meccanico assolutamente unico nei
percorsi verticali47: anche in questo caso l’idea di macchina limpidamente
funzionale è evidente, «macchina come simbolo del suo modo di funzionare:
la macchina – potrei dire a tutta prima – sembra già avere in sé il suo modo
di funzionare»48.
    Siamo di fronte a una raffinata palestra di pratica mentale che si col-
loca, non a caso, tra i due periodi salienti del suo pensiero, un momento di
passaggio essenziale, quasi un aforisma49 fatto di materia e che resta, pur
sempre, una delle pietre miliari dell’architettura viennese della prima metà
del secolo scorso. Etica ed estetica vanno di pari passo avvicinando il buono

    44
       Forse è la prima volta che in un edificio un calorifero assume valenza di cardine
progettuale, tenendo conto anche dei tempi; l’elemento sarà riproposto da Carlo Scarpa
nel progetto del piano terra della Fondazione Querini Stampalia, a Venezia, ma in chiave
linguistica monumentale.
    45
       L. WITTGENSTEIN, Tractatus Logico-Philosophicus, cit., p. 51.
    46
       P. WIJDEVELD, Ludwig Wittgenstein, architetto, cit., p. 156.
    47
       Cfr. le piante originali del primo e secondo piano in Haus Wittgenstein. Eine Do-
kumentation, Text von Otto Kapfinger, Kulturabteilung der Botschaft der Volksrepublik
Bulgarien, Wien 1984, p. 16.
    48
       LUDWIG WITTGENSTEIN, Philosophische Untersuchungen / Philosophical investiga-
tions, Translated by G[ertrude] E[lizabeth] M[argaret] Anscombe, Basil Blackwell, Oxford
1953, trad. it. di Renzo Piovesan e Mario Trinchero, Ricerche filosofiche, edizione italiana a
cura di Mario Trinchero, Einaudi, Torino 1967, 19835, p. 103.
    49
       F. AMENDOLAGINE, La casa di Wittgenstein, cit., p. 65.

                                                                          Ornamento è delitto?   55
al bello, così come nell’unica sotto-proposizione del Tractatus dedicata a
                       quest’analogia, la 6.421: «È chiaro che l’etica non può formularsi. L’etica è
                       trascendentale. (Etica ed estetica son uno)»50.
                           Nonostante questo, la sua apparente semplicità intesa come banale, ha
                       rischiato di metterne in crisi la sopravvivenza e solo le proteste di architetti,
                       storici e filosofi ne hanno impedito l’alienazione51: questo, purtroppo, non
                       ha impedito la realizzazione nell’originario giardino di un edificio52, esempio
                       del più deteriore International Style, che ha completamente alterato il con-
                       testo originario con la sua incombente presenza a pochi metri dalla Haus,
                       tagliando l’originario viale d’accesso, così come si vede nel confronto tra
                       la planimetria originaria53, con il suo ampio giardino funzionale al progetto
                       nella sua interezza, e la situazione attuale (fig. 5).
                           La mutilazione spaziale ne ha anche alterata la comprensione linguistica,
                       come ha osservato Cacciari:
                           Il silenzio della casa, la sua impenetrabilità e anti-espressività, si sostanzia dell’i-
                           neffabile dello spazio circostante. Così è nel classico: l’architettura classica è
                           simbolo (nel senso etimologico) dell’in-finito (a-peiron) che l’avvolge. [...] In
                           ciò risiede la dimensione autenticamente classica della casa di Wittgenstein: la
                           non “espressività” dello spazio calcolato dell’edificio ne è la sostanza fondamen-
                           tale. L’unico rapporto dell’edificio con il “resto” è l’apparire dell’edificio stesso.
                           Questa presenza del classico in Wittgenstein rappresenta uno degli eccezionali
                           momenti nei quali lo sviluppo dell’ideologia contemporanea ne ha ricompreso la
                           problematica autentica54.

                            L’edificio è indubbiamente classico nel senso che è a-temporale nella sua
                       razionalità formale e per l’assenza di qualsiasi elemento decorativo ricondu-
                       cibile sia alla stessa texture del materiale, marmo o legno, che a un periodo
                       storico in particolare, anche se è desunto, per impostazione generale, dalla
                       koinè barocca viennese55: gli interventi di purificazione dell’ultimo progetto
                       di Engelmann attuati dal Filosofo56, che eliminò anche i minimi residui di or-
                       namento, si riesumano nello spostamento dell’ingresso57 che egli riposiziona
                       nel corpo basso lievemente aggettante tipico del palazzo barocco viennese.
                       Il lieve aggetto è desunto proprio dal modello del portale barocco che sporge
                       della dimensione determinata dall’accostamento di un pilastro aggiunto a
                       una colonna, o come suggerito da Wijdeveld, sempre per la Kundmanngasse,
                       nell’accentuare, così come per prassi negli edifici classicisti, «l’indipendenza

                           50
                               L. WITTGENSTEIN, Tractatus Logico-Philosophicus, cit., p. 79.
                           51
                               Bisogna dare atto allo sforzo fatto dall’Ambasciata della Bulgaria che ne ha garantito
                       la sopravvivenza destinandola a Istituto di Cultura.
                            52
                               L’edifico, costituito da due blocchi a forma di “L” di diversa altezza, realizzati in me-
                       tallo e cristallo, è la sede della Hauptverband der österreichischen Sozialversicherung-
                       sträger, Federazione di enti previdenziali austriaci per la sicurezza sociale.
                            53
                               Pubblicata in Haus Wittgenstein. Eine Documentation, cit., p. 15.
                            54
                               M. CACCIARI, Loos-Wien, cit., p. 43.
                            55
                               È noto l’apprezzamento di Wittgenstein per le opere di Johann Bernhard Fischer von
                       Erlach, in questo vicino a Loos.
                            56
                               Di cui però mantenne la tripartizione originaria connessa alla lettura volumetrica
                       totale della casa.
                            57
                               Nel progetto di Engelmann originariamente inserito nel prospetto del corpo princi-
                       pale.

56   Gaetano Cataldo
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