ABAV ANNUARIO ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA IL DECORO DELL'ORNAMENTO: DUE PAROLE OBSOLETE?
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ABAV ANNUARIO ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA 2015 IL DECORO DELL’ORNAMENTO: DUE PAROLE OBSOLETE? A CURA DI ALBERTO GIORGIO CASSANI Editori Laterza
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA ORGANIGRAMMA ISTITUZIONALE Presidente: Luigino Rossi (fino al 30 giugno 2016); Luana Zanella Direttore: Carlo Di Raco Vicedirettore: Sileno Salvagnini (fino al 18 marzo 2016); Vanni Tiozzo Direttore amministrativo f.f.: Paola Spezzaferri (fino al 31 dicembre 2016) Direttore dell’ufficio di ragioneria f.f.: Alessio Di Stefano CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Presidente: Luigino Rossi (fino al 30 giugno 2016); Luana Zanella Rappresentante Miur: Giuseppe Della Pietra Direttore: Carlo Di Raco Rappresentante dei docenti: Marco Tosa Rappresentante degli studenti: Rubin Koldashi CONSIGLIO ACCADEMICO Presidente: Carlo Di Raco Consiglieri: Riccardo Caldura, Ivana D’Agostino, Roberto Da Lozzo, Silvia Ferri, Laura Safred, Martino Scavezzon, Gloria Vallese, Giuseppe La Bruna Rappresentanti degli studenti: Ilaria Fasoli, Matteo Schenkel NUCLEO DI VALUTAZIONE Presidente: Bruno Giorgio Civello Componenti: Ottorino De Lucchi, Roberto Pozzobon REVISORI DEI CONTI Componenti: Maria Grazia Moroni, Anna Maria Serrentino CONSULTA DEGLI STUDENTI Componenti: Samuel Hernandez De Luca, Ilaria Fasoli, Gloria Favaro, Rubin Koldashi, Samir Sayed Abdellattef, Matteo Schenkel,Valentina Taiariol
DOCENTI Jacopo Abis - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte, Serigrafia Giulio Alessandri - Storia dell’Arte Contemporanea, Teoria e Storia dei Metodi di Rappresentazione Marta Allegri - Tecniche Plastiche Contemporanee, Scultura (Arti Plastiche Contemporanee) Alberto Balletti - Editoria d’Arte, Laboratorio di Tecniche dell’Incisione Calcografica Elena Barbalich - Regia Roberto Barbato - Teoria e Metodo dei Mass Media Luca Bendini - Disegno, Disegno per la Pittura Maria Bernardone - Disegno Paola Bristot - Storia dell’Arte Contemporanea, Linguaggio dell’Arte Contemporanea Mirella Brugnerotto - Decorazione Riccardo Caldura - Fenomenologia delle Arti Contemporanee, Beni Culturali dell’Età Contemporanea Claudia Cappello - Pittura Alberto Giorgio Cassani - Elementi di Architettura e Urbanistica, Storia dell’Architettura Contemporanea Gaetano Cataldo - Metodologia della Progettazione Maria Causa - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte Danilo Ciaramaglia - Plastica Ornamentale Paola Cortelazzo - Costume per lo Spettacolo Paolo Cossato - Storia dello Spettacolo Lorenzo Cutùli - Scenografia Nemanja Cvijanović - Tecniche Pittoriche, Tecniche e Tecnologia delle Arti Visive Ivana D’Agostino - Storia dell’Arte Contemporanea, Storia del Costume, Storia dell’Arte e della Scenografia Contemporanea, Storia della Moda e del Costume Gabriella Dalesio - Estetica, Estetica dei Nuovi Media Roberto Da Lozzo - Cromatologia, Pittura Giuseppe D’Angelo - Tecniche della Scultura Alessandro Di Chiara - Pedagogia e Didattica dell’Arte, Antropologia delle Arti Carlo Di Raco - Pittura, Progettazione per la Pittura Vallj Doni - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte
Claudia Esposito - Scenotecnica Diana Ferrara - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte Silvia Ferri - Anatomia artistica, Anatomia artistica per il Costume Antonio Fiengo - Anatomia Artistica Manuel Frara - Pittura, Applicazioni Digitali per le Arti Visive, Progettazione Multimediale Paolo Fraternali - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte Gianni Gosdan - Fotografia, Fotografia Digitale Aldo Grazzi - Tecniche Extramediali Salvatore Guzzo - Tecniche di Fonderia Giuseppe La Bruna - Scultura Igor Lecic - Pittura Stefano Leopizzi - Laboratorio di Composizione Scenografica per Eventi Patrizia Lovato - Anatomia Artistica Gaetano Mainenti - Decorazione Stefano Mancini - Litografia, Xilografia Marina Manfredi - Storia dell’Arte Contemporanea, Letteratura Artistica Contemporanea David Marinotto - Disegno per la Scultura, Scultura (Progettazione per la Scultura) Stefano Marotta - Metodologie Progettuali della Comunicazione Visiva, Computer Graphic Raffaella Miotello - Anatomia Artistica, Semiologia del Corpo Elena Molena - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte Maria Anna Nagy - Pittura Marilena Nardi - Illustrazione Mario Pasquotto - Computer Graphic, Metodologia della Progettazione e della Comunicazione Visiva, Packaging Renzo Peretti - Anatomia Artistica, Disegno Miriam Pertegato - Pittura, Disegno Dominique Pitoiset - Scenografia Roberto Pozzobon - Scultura Elena Ribero - Anatomia Artistica Fabrizio Rivola - Decorazione Laura Safred - Storia dell’Arte Moderna, Storia del Disegno e della Grafica d’Arte Sileno Salvagnini - Storia dell’Arte Contemporanea Martino Scavezzon - Pittura Andrea Serafini - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte Saverio Simi De Burgis - Storia dell’Arte Contemporanea, Storia e Metodologia della Critica d’Arte Emanuele Sinisi - Pratica e Cultura dello Spettacolo, Modellistica (Maquette per la Scenografia) Anna Sostero - Progettazione Multimediale, Installazioni Multimediali, Pittura Alfredo Tigani - Anatomia Artistica Vanni Tiozzo - Restauro per la Pittura, Tecniche Pittoriche Maurizio Tonini - Modellistica Annalisa Tornabene - Fenomenologia del Corpo, Disegno, Anatomia Artistica Marco Tosa - Tecnologia del Marmo e delle Pietre Dure, Restauro dei Materiali Lapidei Cristina Treppo - Decorazione Barbara Trombetta - Teoria della Percezione e Psicologia della Forma, Psicologia dell’Arte Gloria Vallese - Storia dell’Arte Contemporanea, Elementi di Iconografia e Iconologia Laura Zanettin - Disegno Roberto Zanon - Design, Design del Gioiello Maurizio Zennaro - Plastica Ornamentale, Tecniche del Mosaico, Laboratorio del Gioiello per il Teatro Mauro Zocchetta - Anatomia Artistica DOCENTI A CONTRATTO Maria Alberti - Storia del Teatro contemporaneo, Storia della Scenografia Matteo Alemanno - Arte del Fumetto Corrado Bosi - Elementi di Grafica Editoriale
Nevio Cavina - Illuminotecnica, Light Design Dario Cestaro - Tecnologie della Carta Nicola Cisternino - Arti e Musiche contemporanee-Storia della Musica contemporanea, Arti e Musiche contemporanee-Progettazione Spazi sonori Alessia Del Bianco - Storia del Disegno e della Grafica d’Arte Giovanni Federle - Informatica per la Grafica Giovanna Fiorentini - Tecniche ed Elaborazione del Costume, Tecniche Grafiche per il Costume, Taglio del Costume Storico-Tecniche Sartoriali Andrea Franceschini - Metodologie e Tecniche della Comunicazione Andrea Gregori - Arredo Scenico (Tecniche e Materiali Applicati alla Scenografia) Ettore Molon - Ordini e Stili-Elementi di Architettura e Urbanistica Rossano Monti - Tecniche dei Nuovi Media Integrati Paola Moro - Autocad per la Scenografia Stefano Nicolao - Taglio del Costume Storico Fabio Pittarello - Tecniche di Modellazione Digitale 3d, Sistemi Interattivi Tiziano Possamai - Psicologia della Comunicazione Massimo Rossi - Elementi di Produzione Video Roberto Russo - Architettura Virtuale, Fondamenti di Informatica Andrea Solomita - Digital Video Masha Starec - Tecniche di Animazione Digitale, Tecniche di Animazione Digitale-Matte Painting Davide Tiso - Sound Design, Sistemi Interattivi Carlo Tombola - Tecniche di Documentazione Audiovisiva, Tecniche di Montaggio, Tecniche di Ripresa Andrea Trevisi - Web Design, Web Design-Restyling del Sito Web Giovanni Turria - Tecniche dei Procedimenti a Stampa: Tipografia Daniele Franco Venturi - Scenotecnica-Tecniche Applicate alla Produzione Teatrale Marco Visconti Prasca - Inglese, Inglese per la Comunicazione Artistica Milena Zanotelli - Tecniche e Tecnologie della Decorazione ASSISTENTI AMMINISTRATIVI Barbara Brugnaro, Massimo Bianco, Daniela Gianese, Anna Rosa Grasso, Daniela Hopulele, Luciano Maggiulli, Elisabetta Marini, Silvia Spolaor (agenzia umana), Annalisa Zampieri, Rita Zanchi COADIUTORI Roberta Berengo, Manuela Breda, Teresa Brovazzo, Ada Carraro, Giuseppa Farruggia, Silvia Marafin, Graziella Marinoni, Ferruccio Nordio, Mara Oselladore, Elisa Porri, Rosa “Meo Ambrosi” Tiozzo, Mirca Vianello, Viviana Vivardi, Carlo Zaniol MODELLE Savina Bullo, Gabriella Serena, Lorella Serena, Maria Cristina Zanon
ANNUARIO DELL’ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA a cura di Alberto Giorgio Cassani Annuario/Annuary 2015 Anno accademico 2015-2016 Il decoro dell’ornamento: due parole obsolete? COMITATO SCIENTIFICO Gabriella Belli, Alberto Giorgio Cassani, Giuseppina Dal Canton, Martina Frank, Marta Nezzo, Claudio Strinati, Nico Stringa, Giuliana Tomasella, Piermario Vescovo, Guido Vittorio Zucconi REDAZIONE INTERNAZIONALE Laura Safred IL CURATORE Alberto Giorgio Cassani è redattore di «Albertiana», «Anfione e Zeto» e collabora con «Casabella». Tra le sue pubblicazioni: Le Barcellone perdute di Pepe Carvalho (Unicopli 2000); La fatica del costruire. Tempo e materia nel pensiero di Leon Battista Alberti (Unicopli 2000); Figure del ponte. Simbolo e architettura (Pendragon 2014); L’occhio alato. Migrazioni di un simbolo (con uno scritto di Massimo Cacciari, Nino Aragno 2014) PER LA REALIZZAZIONE DI QUESTO NUMERO SI RINGRAZIANO IN PARTICOLARE Atelier teatrale Nicolao, Roberta Battaglia, Angelica Bordon, Matteo Ceriana, Francesca De Luca, Silvia Gomirato, Istituto Centrale per il Restauro di Roma, Giulio Manieri Elia, Elena Marchetto, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Musei Reali di Torino, Giovanna Nepi Scirè, Mariabianca Paris, Giulia Pattaro, Giada Perizzolo, Lidia Rissotto, Ronina Rukonic, Mireia Sabate Balada, Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Venezia, ora Polo Museale, Chiara Troise, Serena Zaccarin, Valentina Zanrosso REFERENZE FOTOGRAFICHE Baldas1950/shutterstock.com, Martin-Emilian Balint, John Berens, Francesco Bortolotti, Gaetano Cataldo, El Anatsui, Chiara Enzo, Stefano Leoni, Marta Naturale, Veronica Piccolo, Laura Safred, Giulia Natalia Salamon, Jack Shainman Gallery (New York), Franco Tagliapietra, Cristina Treppo, John Volpato, Wikimedia Commons, Giulia Maria Zucchetta. Le immagini riprodotte provengono dall’Archivio fotografico dell’Accademia e dagli archivi personali degli Autori, salvo dove diversamente indicato © 2018, Accademia di Belle Arti di Venezia - Gius. Laterza & Figli www.laterza.it Prima edizione aprile 2018 Edizione 1 2 3 4 5 6 Anno 2018 2019 2020 2021 2022 2023 Questo volume è realizzato con il contributo dell’Accademia di Belle Arti di Venezia L’Editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte, là dove non è stato possibile rintracciarli per chiedere la debita autorizzazione Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Bari-Roma Questo libro è stampato su carta amica delle foreste Stampato da Graphica 080 srl - Bari per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-581-3131-2
INDICE 11 Editoriale Alberto Giorgio Cassani 15 Sei anni di impegno con e per l’Accademia Luigino Rossi 17 Presentazione Luana Zanella 19 Presentazione Carlo Di Raco 21 Presentazione Giuseppe La Bruna DOSSIER IL DECORO DELL’ORNAMENTO: DUE PAROLE OBSOLETE? 25 Eὐσχημοσύνη sive Decoro Alessandro Di Chiara 31 Ornamento criminale. La lezione di Louis H. Sullivan, John W. Root e Adolf Loos Elisabetta Di Stefano 43 Ornamento è delitto? Gaetano Cataldo 65 Das Andere des Ornaments. Note sull’ornamento nella Teoria estetica di Adorno Luca Viglialoro 73 Storie di camini. Lanfranco Bombelli e Cadaqués Antonio Pizza
83 Oro e decoro. Ricognizioni contemporanee a Venezia Cristina Treppo SAGGI E STUDI 105 Le stelle i viaggi. Un ciclo astronomico nel portale centrale della Basilica di San Marco a Venezia (parte seconda) Gloria Vallese 127 A Umberto Boccioni caduto da cavallo. Gli anni estremi 1914-1916. Dalle manifestazioni interventiste alla svolta cézanniana Franco Tagliapietra 147 El Anatsui. Per una concezione alternativa del contemporaneo Saverio Simi de Burgis DIPARTIMENTI 171 La protesta in stile Déco delle tribù indiane “vicine alla grande collina”. Una possibile chiave di lettura per Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi Ivana D’Agostino 183 Bianca/volta. Un’idea di libro Mario Pasquotto FONDO STORICO, ARCHIVIO, BIBLIOTECA, PROGETTO TESI, PROGETTI EUROPEI 193 La buona stella di Manuzio Tiziana Plebani 201 Fra Repubblica, Napoleone e Impero Austriaco. Pietro Edwards Ispettore Generale alle Belle Arti di Venezia Giovanni Mazzaferro 217 Dieci anni di attività nel Fondo librario dell’Accademia di Belle Arti di Venezia Angela Munari 221 Riordino del Fondo librario antico dell’Accademia Chiara Gasparini 225 Le incisioni del Fondo Associazione Incisori Veneti Francesca Giancotti 229 «Per unire le forze». Le carte d’archivio dell’Associazione Incisori Veneti (1954-2012) conservate all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Una prima ricognizione Alessia Del Bianco 243 L’intervento di riordino del Fondo Elena Bassi Mario Rosso, Piero Santin 249 Il risveglio editoriale a Venezia nell’Ottocento con i nuovi processi d’illustrazione grafica di Ferdinando Ongania Dino Chinellato, con presentazione di Marina Manfredi 277 Mobilità europea in ambito artistico: specificità e dati di efficacia. ESU e Accademia di Belle Arti di Venezia per l’inserimento professionale dei diplomati. Con un’indagine d’impatto Anna Tortorella
EVENTI 285 Eventi 2014-2016 APPENDICI 321 Riassunti 331 Abstracts 345 Autori 347 Indice dei nomi
Gaetano Cataldo Ornamento è delitto? 1_L’ornamento L’ornamento è delitto? La domanda parafrasa il celebre saggio del 1908 di Adolf Loos1 ed è volutamente posta in termini interrogativi rispetto al ti- tolo originale, assertivo, cercando di aggiungere qualche riflessione allo storico dibattito sul complesso tema della rilevanza dell’ornamento. È noto il ruolo avuto sulla formazione dell’architetto viennese del triennio trascorso negli Stati Uniti d’America e la sua opinione sul diffuso atteggiamento dei designers europei dell’epoca che, considerando la superficie come un campo libero per l’invenzione, la ricoprivano con intarsi, curve, linee e ornamenti: egli, al contrario, nel ricercare istintivamente la superficie liscia senza rilievi e scanalature, si rallegrava del fatto che l’assennata borghesia viennese re- spingesse le fantasiose decorazioni dell’epoca così popolari in Francia e Ger- mania. Nel predetto saggio Loos porta all’estremo la riflessione fra il tatuaggio, considerato da Gottfried Semper come espressione artistica2, e la degenera- zione sociale: così come il Papua è un uomo che non si è evoluto e non ha 1 ADOLF LOOS, Ornament und Verbrechen, 1908, in ID., Sämtliche Schriften, In Zwei bänden, Herausgegeben von Franz Glück, Herster Band: Ins Leere gesprochen 1897-1900; Trotzdem 1900-1930, Verlag Herold, Wien-München 1962, pp. 276-288, trad. it. di Sonia Ges- sner, Ornamento e delitto, in ID., Parole nel vuoto, Adelphi, Milano 1972, 19823, pp. 217-228. 2 Tralascio l’attuale ruolo antropologico del tatuaggio, diffusissimo soprattutto fra le nuove generazioni e fra la gente di spettacolo, inteso più come elemento di riconoscibilità e appartenenza che come forma d’arte. Ornamento è delitto? 43
raggiunto la morale e la civiltà dell’uomo moderno ed è, pertanto, giustifi- cato se uccidesse i suoi nemici, l’uomo moderno se dovesse commettere un omicidio sarebbe considerato come un delinquente o un degenerato. Per lo stesso motivo il Papua può coprire di tatuaggi la propria pelle, la sua barca, il suo remo, in breve ogni cosa che trovi a portata di mano. Non è un delinquente, ma l’uomo moderno che si tatua è un delinquente o un degenerato. [...] Gli individui tatuati che non sono in prigione sono delinquenti latenti o aristocratici degenerati3. Ovviamente il sarcasmo di Loos estremizza un concetto basilare che indi- rizza verso l’implicita conclusione che l’eliminazione di qualsiasi ornamento, inteso come stile, da tutti gli oggetti d’uso, riesca a caratterizzare l’evoluzione di una civiltà. Le valenze formali, soprattutto nell’architettura, sono delegate alla tipicità dei materiali utilizzati e il cui linguaggio è specifico per ognuno di essi, tanto che nessun materiale può avocare a sé le forme corrispondenti a un altro materiale. Il materiale va utilizzato evidenziando la decorazione na- turale della specifica texture che la natura ha donato a esso. Le forme si sono sviluppate partendo dalla possibilità di applicazione di un dato materiale e dal procedimento costruttivo che deriva dal suo utilizzo: non c’è ombra di dubbio che la configurazione di un’opera prodotta con uno specifico mate- riale sia condizionata da quest’ultimo; non può essere altrimenti. Cercare di forzarne l’utilizzo dissimulando i materiali con altri simili crea distonie che, prima o poi, verranno svelate. Loos esprime parole positive verso l’uso del cemento, materiale che ha caratterizzato in maniera diffusa l’edilizia dell’ultimo quarto dell’Ottocento e, soprattutto, il secolo successivo, ma nel suo rigore intellettuale egli ammette quanto questa conquista sia stata così innovativa, economica e formalmente coerente da lasciarlo completamente disarmato di fronte alla sua bellezza: Loos riconosce che il principio a cui ci si attiene per valorizzarlo è proprio quello che viene riproposto ogni volta che si inizia ad applicare un nuovo materiale. Ma nella deformazione tipica dei parvenu, generalmente caratte- rizzata da scarsa coerenza intellettuale, anche il cemento, per le sue implicite qualità tra le quali, non ultima, l’economicità, è stato utilizzato anche come surrogato della pietra per realizzare tutta una serie di ornati, scorniciati e paramenti bugnati neogotici o neorinascimentali. Ovviamente Loos era con- sapevole che, paradossalmente, sarebbe stato possibile realizzare anche il medievale campanile di Santo Stefano in cemento e sistemarlo da qualche altra parte della capitale austriaca, ma è indubbio che non si sarebbe mai trattato di un’opera d’arte; «e quanto si è detto per la torre di S. Stefano vale anche per il palazzo Pitti, e ciò che vale per il palazzo Pitti vale anche per il palazzo Farnese. E con quest’ultimo edificio ci troveremmo nel bel mezzo dell’architettura che vediamo sul nostro Ring»4. Al contrario, la capacità di utilizzare nel passato un linguaggio coerente con i proprî tempi sia nella progettazione che nella realizzazione degli edi- 3 A. LOOS, Ornamento e delitto, cit., p. 218. 4 ADOLF LOOS, Das Prinzip der Bekleidund, 1898, in ID., Sämtliche Schriften, cit., pp. 105-112, trad. it. cit. Il principio del rivestimento, in ID., Parole nel vuoto, cit., pp. 79-86: 81. 44 Gaetano Cataldo
fici è nettamente apprezzata da Loos che esprime parole di elogio per un grande protagonista dell’architettura viennese, Johann Bernhard Fischer von Erlach, che non ha mai avuto bisogno del granito per esprimersi: Egli ha costruito con argilla, calce e sabbia opere che suscitano in noi profonda emozione, non meno delle grandi architetture realizzate con materiali di lavora- zione difficile. Il suo spirito, il suo senso artistico dominavano il materiale più vile. Egli sapeva dare alla polvere vile la nobiltà dell’arte. Un re nel regno dei materiali5. Concetto che può essere esteso anche ai progetti di Andrea Palladio che, per le architetture civili, è riuscito, con le sue numerosissime opere realizzate con mattoni di terracotta, sabbia e calce, a progettare opere insuperate e che hanno fatto scuola sia in Europa che nelle colonie inglesi dell’America del Nord: per Palladio, come per Leon Battista Alberti, nel rapporto fra tipo architettonico e decorazione, dove la decorazione chiarisce gli scopi dell’ar- chitettura, la decorazione stessa è architettura, non decor. Non sono quindi i materiali più ricercati a favorire la produzione di buone opere architettoniche ma il linguaggio della progettazione. La rincorsa dei suoi contemporanei viennesi, che Loos definisce parvenu, è, in fondo, quella che ha caratterizzato la massima parte della produzione edilizia non di qua- lità: si pensi all’affannosa ricerca della presunta immortalità degli edifici6 perseguita con materiali di rivestimento costosi, ma avulsi da qualsiasi con- testo di coerenza linguistica, prodotta dalla globalizzazione dei materiali e fenomenologicamente situata in controtendenza rispetto alla coerenza del passato, quando si costruiva con i materiali naturali del posto che si pote- vano acquisire molto più facilmente. Solo davanti al cemento, vera conquista tecnologica e formale, si può restare disarmati quando è utilizzato nella sua schiettezza di materiale realmente artificiale. È questa una lezione che ha in- dirizzato la grande architettura del Novecento prodotta dai quei Maestri che hanno saputo dare forma a un materiale che, di là delle capacità strutturali, si prestava alle massime espressioni formali. Il principio della rigorosa coerenza e riconoscibilità del materiale in tutta la sua forza linguistica, non a caso, è stato recepito dai protagonisti dell’in- novazione linguistica architettonica del Novecento: si pensi alla cappella di Notre-Dame du Haut a Ronchamp o l’Eglise de St. Pierre a Firminy, entrambe di Le Corbusier7, nelle quale la sincerità del cemento, inteso come materiale strutturale e finitura/rivestimento monocromatico, caratterizza il gioco delle masse punteggiate da piccoli inserti colorati8, presenti in corrispondenza delle aperture, e colloca questi manufatti ai vertici di tutta la storia della progetta- zione architettonica. O ai progetti di Carlo Scarpa nei quali il calcestruzzo è un pattern da plasmare conservando la sua integrità cromatica e materica. 5 ADOLF LOOS, Die Baumaterialen, 1898, in ID., Sämtliche Schriften, cit., pp. 99-104, trad. it. cit. I materiali da costruzione, in ID., Parole nel vuoto, cit., pp. 73-78: 75. 6 Un dato è nella mausoleizzazione dell’edilizia civile dei centri antichi invasi, prima della regolamentazione normativa, da rivestimenti lapidei incoerenti e profilati di alluminio per gli infissi. 7 Concluse rispettivamente nel 1955 e nel 2006, quest’ultima molti anni dopo la morte dell’architetto. 8 Giallo, verde, rosso e azzurro. Ornamento è delitto? 45
Oppure al Padiglione di Barcellona9 di Ludwig Mies van der Rohe, risul- tato di un sistema di assenze nel quale ogni materiale, dal marmo alla pietra al metallo o al cristallo ha una sua precisa funzione linguistica, cromatica e anche strutturale: dall’economico Travertino romano, utilizzato per il pa- vimento, le pareti, le sedute e per il rivestimento di parte della sostruzione; al pregiato Marmo e al raro Onice per le pareti, sino al lucido acciaio per i profili degli infissi e i pilastri cruciformi: è sintesi di orizzontalità e vertica- lità, di piastre e di lastre, di trasparenze e di chiusure coerenti con la luce e l’ombra (fig. 1). Oppure alla berlinese Neue Nationalgalerie, sempre di Mies10, con il suo rigore nella disposizione delle masse sull’alta sostruzione classica rivestita in pietra e la snella struttura metallica, completamente trasparente, che sostiene una trabeazione in grado di dialogare idealmente con l’Altes Museum di Karl Friedrich Schinkel. Per Loos, se l’ornamento dev’essere assolutamente rimosso dagli oggetti d’uso, non può essere eliminato dall’architettura, va solo usato secondo prin- cipî di coerenza, così come avevano fatto gli architetti nel passato quando, di secolo in secolo, di anno in anno, erano riusciti a emanciparsi dall’orna- mento. È nota la sua avversione nei confronti delle correnti artistiche d’inizio Novecento, prima fra tutte il Deutscher Werkbund, che, nel cercare di saldare il legame fra arti applicate e industria, cercava di imporre un presunto stile del tempo11, uno Zeitstil che conformasse in chiave di riconoscibilità decora- tiva ogni oggetto anche di uso comune. Utilizzare il veicolo della decorazione per conferire una valenza artistica, più che funzionale, a qualsiasi prodotto estremizza uno dei concetti basilari del design che s’incardina sulla dico- tomia tra forma e contenuto/funzione. Loos considerava quest’atteggiamento come degenerazione non solo del singolo individuo ma dell’intera società a cui l’uomo moderno rispondeva con la consapevolezza che l’umiliazione più grande alla quale poteva essere soggetta l’arte era data dalla confusione fra oggetto d’uso e arte in senso lato: nel citare Goethe, vero uomo moderno, fa sua un’acuta affermazione del grande intellettuale: «L’arte, che ha pavi- mentato agli antichi la terra e ha restituito ai cristiani la volta del cielo nelle loro chiese, viene oggi dissipata fra vasetti e monili. Questi tempi sono assai peggiori di quanto si creda»12. L’assenza di ornamento o, meglio, l’etica anti-ornamentale per Loos coin- cide con la tendenza complessiva alla razionalizzazione dei principî economi- co-sociali del capitalismo: il concetto di ornamento «va ben oltre la “facciata” – si tratta di un discorso sui fini della costruzione, della produzione, della comunicazione; [...] [Ornamento] è ogni parola che superi le sue condizioni 9 Realizzato nel 1929 per l’Esposizione Universale, demolito l’anno seguente e rico- struito fra il 1983 e il 1986 per iniziativa del sindaco Pasqual Maragall e di Oriol Bohigas sotto la direzione di Ignasi de Solà-Morales, Fernando Ramos, Cristian Cirici e Isabel Bachs. Quest’anno si celebrano i trent’anni dall’evento, con una mostra all’aperto davanti al padi- glione. 10 Completato nel 1968. 11 Gli obiettivi dell’Associazione si potevano sintetizzare nel binomio buon lavoro e creazione dello stile del nostro tempo. 12 ADOLF LOOS, Kulturentartung, 1908, in ID., Sämtliche Schriften, cit., pp. 271-275, trad. it. cit. Degenerazione della civiltà, in ID., Parole nel vuoto, cit., pp. 211-215: 215. 46 Gaetano Cataldo
di senso, le regole formali della sua grammatica e della sua sintassi, i limiti della sua funzione»13. È noto l’approccio di Loos al tema dell’ornamentazione improduttiva con- siderata come tempo perso nelle fasi di realizzazione degli oggetti d’uso e il cui impegno aggiuntivo alla loro formalizzazione non era assolutamente quantificabile in termini economici e, pertanto, era inteso come spreco. L’or- namento, pertanto, non aggiunge qualità all’oggetto che deve conservare, a priori, il suo valore rispondendo alle funzioni e alle esigenze del modo di pro- duzione; Loos sembra così applicare, involontariamente e solo per coerenza di pensiero, alla produzione artigianale i principî metodologici espressi nel rasoio di Ockham rivisti in termini di ottimizzazione economica con l’elimi- nazione di tutto ciò che è superfluo14. Il processo di semplificazione e razionalizzazione, che interessa l’evolu- zione loosiana del concetto stesso di artigianato, è strettamente funzionale alle economie sul lavoro necessario da impiegare, con il materiale da utiliz- zare e con gli stessi capitali investiti: la sua sintesi si traduce nella qualità del prodotto che, infine, s’identifica nel suo valore d’uso perfettamente coerente in termini morfologici con le richieste del mercato. Egli era perfettamente consapevole che questa forma di organizzazione lavorativa, caratterizzata da forti denotazioni materialistiche, non avrebbe avuto un grande futuro e sarebbe stata rapidamente superata dalla produzione di massa industriale. È fuor di dubbio che la qualità di un oggetto non sia assolutamente astrai- bile dal tempo necessario richiesto per la sua produzione, cioè dal suo costo di realizzazione. Solo abbassando i tempi di produzione si possono ridurre i costi, ma unicamente all’interno di un processo di progressiva massifica- zione, semplificazione e funzionalizzazione dell’organizzazione del lavoro e della produzione stessa. Ed è quello che è avvenuto durante tutto il Nove- cento e, con una drammatica accelerazione, in tempi relativamente recenti sotto la spinta della globalizzazione, con la conseguente delocalizzazione delle aree produttive e un abbassamento verticale sia dei costi che della qua- lità finale degli oggetti15. 2_La casa in Michaelerplatz Negli ultimi anni si è molto discusso sul termine moderno, travisando spesso l’autentico significato dell’eredità del Movimento Moderno, che non può es- sere semplicisticamente considerato un sistema di forme responsabile dei mali della città contemporanea, ma deve essere valutato per il metodo che propugnava, riassumibile nella costante ricerca di un rapporto con la realtà storica, sociale e culturale del proprio ambiente e del proprio tempo: solo 13 MASSIMO CACCIARI, Loos-Wien, in FRANCESCO AMENDOLAGINE, MASSIMO CACCIARI, Oikos. Da Loos a Wittgenstein, Officina Edizioni, Roma 1975, pp. 11-60: 15. 14 In senso lato si possono applicare a questo concetto alcuni dei principî del filosofo inglese che ammoniva di non moltiplicare gli elementi più del necessario o di quanto sia inutile fare qualcosa con più elementi invece che con meno. 15 Di là della distanza temporale, è un mondo totalmente opposto per metodi e risultati a quello ricompreso tra la fine dell’800 e il primo quarto del secolo scorso. Ornamento è delitto? 47
con esso si riuscirà a superare la contraddizione fra arti applicate e industria assumendo la cultura industriale come elemento centrale della produzione artistica, proprio perché «il prodotto industriale non ha bisogno di agget- tivazioni stilistiche, esso ha valore in quanto nuda espressione del proprio tempo»16. La consapevolezza che l’industria è il propellente dell’innovazione colloca Loos nello stesso filone di pensiero di Le Corbusier e Gropius e ne anticipa, parzialmente e sotto certi aspetti, i risultati. La Looshaus è l’espressione più autentica dell’assenza di qualità della città industriale, che Loos interpreta come inevitabile, ma non negativa, con- seguenza del progresso. Conosciamo lo scandalo e la gratuita ironia che suscitò, nella conformista società viennese, all’epoca ancora non in grado di apprezzare la carica di drastica innovazione del linguaggio architettonico utilizzato, la realizzazione dell’edificio di fronte alla Hofburg: l’opera si fonda sulla consapevolezza che la civiltà s’incardina sul riconoscimento dell’inarrivabile grandezza dell’an- tichità classica, con particolare riferimento a quella romana verso la quale, secondo Loos, siamo debitori per la coscienza sociale e la disciplina dell’a- nima. Chi era in grado di risolvere i grandi problemi della progettazione non pensava all’invenzione di nuovi elementi decorativi o nuove modanature, come per la civiltà greca: «I Greci sprecarono la loro forza inventiva negli ordini delle colonne, i romani applicarono la loro nel progettare gli edifici»17. L’insegnamento della cultura classica, di là delle differenze di confini e lingue, ha creato l’unità della civiltà occidentale e rinunciare a essa equi- varrebbe a distruggerne l’ultimo elemento unificatore: la nostra educazione si radica, indubbiamente, sui principî linguistici classici e per tale motivo Loos può affermare che «non solo bisogna coltivare l’ornamento classico. Ma si devono studiare anche gli ordini e le modanature»18. Altro è utilizzarli senza capacità di reinterpretazione lessicale in maniera pedissequa. Il ricorso all’ornamento in architettura è sintomo del regresso dell’umanità alla fase degli stadî primordiali, al Papua, in evidente contraddizione con l’avanzata cultura industriale. Ma l’eliminazione dell’ornamento non dev’essere letta come depauperamento della tradizione culturale occidentale, alla quale egli credeva profondamente cogliendone sia il fascino che il significato: «la sua polemica si fonda sulla distinzione fra l’architettura come arte e l’architettura che rinuncia alla condizione di arte per farsi strumento della realtà dell’uomo senza deformazioni ed equivoci»19. È quanto può essere detto per la Looshaus che risolve in maniera precisa il complesso problema della soluzione d’angolo20, difficilissima per ogni pro- 16 GIOVANNI DENTI, Adolf Loos. La casa in Michaelerplatz, Alinea Editrice, Firenze 1990, p. 5. 17 ADOLF LOOS, Architektur, 1910, in ID., Sämtliche Schriften, cit., pp. 302-318, trad. it. cit. Architettura, in ID., Parole nel vuoto, cit., pp. 241-256: 256. 18 ADOLF LOOS, Ornament und Erzieung, 1924, in ID., Sämtliche Schriften, cit., pp. 391- 398, trad. it. cit. Ornamento ed educazione, in ID., Parole nel vuoto, cit., pp. 325-332: 330. 19 G. DENTI, Adolf Loos, cit., p. 7. 20 L’edifico è situato in testata a un isolato pentagonale posto all’incrocio di due strade, la direttrice viaria romana dell’Augustinerstrasse-Herrengasse con l’asse Burgtor-Kohlmar- kt-Tuchlauber, che confluiscono nella Michaelerplatz di fronte alla Hofburg. 48 Gaetano Cataldo
gettista, in un contesto urbano di grande significato simbolico21 e collettivo, caratterizzato proprio da quell’enfasi decorativa contro cui il geniale archi- tetto ha sempre combattuto (fig. 2). L’alto basamento rivestito in marmo naturalmente decorato dalle vena- ture del materiale, che si estende ai primi due piani applicando la triparti- zione dei moderni grattacieli della Scuola di Chicago, dialoga con coerenza e per dimensione con gli altri edifici tardo-eclettici della piazza fondati su ba- samenti bugnati di analoga altezza: il radicamento dell’opera al suolo, frutto di una sapiente rimodulazione del linguaggio classico in chiave moderna, è dato dal pronao tetrastilo realizzato con colonne doriche monolitiche dello stesso marmo, non strutturalmente portanti22, appoggiate sul crepidoma, unica concessione e sutura con la classicità, evocata in senso astratto. Tutto il resto è di una modernità strabiliante, a cominciare dalla destinazione ti- pologica mista commerciale e residenziale23, compresa la citazione del bow- window anglosassone a lui caro (fig. 3): è la reimpaginazione della tradizione viennese della teoria di finestre regolari aperte nella pelle muraria trattata a stucco bianco e dell’attico inclinato con finitura in lastre di rame, qui reso evidente e non celato dietro facciate modanate. L’icastica definizione dei prospetti, pur se definiti nel dettaglio, non an- ticipa la raffinata determinazione degli spazî interni curati nel dettaglio sia materico24 che nell’articolazione spaziale che sfrutta totalmente il volume dell’edificio con l’incastro di ambienti di diversa altezza, il Raumplan: è quasi uno scavo in un volume definito con precisione e con grande sensibi- lità, in grado d’inventare l’economia spaziale sì da poter parlare, con Zevi, di «progettazione spaziale»25. E nel gioco dell’articolazione degli spazî non va dimenticato il profilo curvilineo delle vetrine sulla piazza, all’interno del pronao, che fa da pendant al prospetto curvilineo della Hofburg riflesso in esse. Il muro diventa forma, quasi un elemento spazio-temporale calcolato con precisione sino a diventare astratto e non in grado di entrare assoluta- mente in rapporto con l’interno, negando proprio il legame interno/esterno: l’assenza di trasparenza cela l’unità dell’abitazione confermando la pluralità dei linguaggi necessarî a configurarla; sono linguaggi che non dialogano e parlano ognuno con il proprio alfabeto: l’esterno è altro rispetto all’interno26. La Looshaus, situata nel cuore dell’antica Vienna «traduce realmente in pietra le complessità di una società nella quale convivevano tradizioni asbur- giche e nuove classi dirigenti, nobili e “uomini senza qualità”, valzer e musica 21 L’assetto finale della piazza, generatasi con la demolizione degli edifici necessaria al completamento della facciata curvilinea della Hofburg (1891), si definirà proprio nel 1910 con la realizzazione della Looshaus. 22 Quasi un prodotto di alto e rifinito artigianato, come lo intendeva Loos, anche se non coerente con le proporzioni classiche. 23 All’epoca inesistente in Europa. 24 Progettati con la consueta grande attenzione artigianale utilizzando legno, marmo, cuoio, ottone. 25 BRUNO ZEVI, Storia dell’architettura moderna, Einaudi Editore, Torino 1950, 19755, p. 88. 26 Si rifletta proprio sul dualismo architettonico nihilistico dell’edificio, razionale e ica- stico all’esterno, ricco di spazî articolati, materiali pregiati e forme significanti all’interno. Ornamento è delitto? 49
dodecafonica»27. L’edificio si può considerare un vero faro urbano, un testi- mone del nuovo linguaggio che inizia ad affermarsi contro la Vienna della Secessione, che irrompe nella statica, consolidata e tatuata Capitale. Il progetto si attua attraverso il disegno che è quella «scrittura dell’anima che forma la materia dell’abitare. La supremazia del disegno afferma: l’archi- tetto inventa linguaggi»28. In tal senso si può comprendere anche la lucida follia del progetto di Loos per la nuova sede del Chicago Tribune (1922), l’invenzione di un vero linguaggio delineato come provocatoria esasperazione dell’ordine classico, anche qui evocato in chiave astratta e non come citazione, con una gigan- tesca colonna dorica poggiata su alto basamento. La forma classica pura dell’edificio, che ribalta la visione tardo-romana della grecità che aveva carat- terizzato molti dei suoi edifici ritornando alla classicità greca, va intesa come clamorosa provocazione: il fusto, nel quale erano previsti ventuno piani di uffici, avrebbe sottratto l’edificio dall’effimero flusso delle mode rendendolo imperituro e universale, tanto da poter essere costruito in qualsiasi altra città del mondo. Il gigantesco fuori-scala vorrebbe comunicare un appello all’in- tramontabilità dei valori, ma nella realtà, come «i giganti di Kandinsky in Das gelbe Klange, il gigantesco fantasma loosiano non riesce a significare che la propria patetica volontà di esistenza. Patetica perché [...] rende tragicamente inattuale quella colonna, quella volontà di comunicare significati assoluti»29. 3_La Casa di Wittgenstein «È una casa di grande bellezza spirituale, nobile, austera, senza alcun or- namento. (Vi sono numerose affinità con l’opera di Adolf Loos, col quale intratteneva rapporti amichevoli, ma, a mio parere, l’impostazione è più ri- gorosa!)»30. Sono le parole di un caro amico di Wittgenstein, Ludwig Hansel, scritte per il necrologio del 1951 e, in assoluto, prima citazione dell’edificio (fig. 4). La casa progettata dal Filosofo, vero unicum di un processo mentale estremamente complesso caratterizzato da rapporti e contraddizioni storica- mente determinati, non può essere letta come semplice elemento architetto- nico, tali e tante sono le domande che essa pone. L’impegno totale che egli vi profuse per quasi due anni, dal 1926 al 192831, tralasciando ogni altra attività intellettuale32, e l’attenzione quasi scientifica dedicata alla scelta e alla posa in opera nel dettaglio dei materiali, rientrano in un ambito che ricomprende 27 G. DENTI, Adolf Loos, cit., p. 13. 28 M. CACCIARI, Loos-Wien, cit., p. 26. 29 MANFREDO TAFURI, La montagna disincantata, Il grattacielo e la City, in GIORGIO CIUCCI, FRANCESCO DAL CO, MARIO MANIERI ELIA, MANFREDO TAFURI, La città americana dalla guerra civile al New Deal, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 415-550: 432. 30 In PAUL WIJDEVELD, Ludwig Wittgenstein. Architekt, Amsterdam, The Pepin Press, 1993, trad. it. Ludwig Wittgenstein, architetto, Electa, Milano 2000, p. 11. È il testo più completo dedicato all’opera architettonica del Filosofo, soprattutto per lo sviluppo e analisi dell’opera e per l’ampio apparato documentario. 31 Subito dopo, Wittgenstein si trasferì a Cambridge. 32 Sono note le multiformi esperienze che hanno caratterizzato la vita del filosofo. 50 Gaetano Cataldo
l’architettura nella scienza del costruire, intesa essenzialmente come pro- blema di conoscenza e di logica, ben al di là di come è intesa nell’accezione comune. In tal senso è evidente perché Paul Engelmann, il progettista inca- ricato dalla sorella di Ludwig Wittgenstein per realizzare la casa in Kund- manngasse, dopo dieci versioni del progetto, fu mentalmente sopraffatto dall’ingombrante presenza del filosofo/architetto e si fece progressivamente e ragionevolmente da parte33. Il presunto dilettantismo del Filosofo non ha ragion d’essere in relazione alla mancanza di una specifica formazione di carattere architettonico, ma sono noti l’impegno, la cura e l’attenzione che egli poneva in ogni attività34; anche la limitata, nel tempo, pratica architettonica fu portata avanti con quel perfezionismo intransigente e quell’indipendenza di fini che già si erano ma- nifestati in precedenza nel suo pensiero filosofico e che lo caratterizzeranno in seguito: la casa è un’operazione filosofica essenziale, un esercizio este- tico35 e formale di grande spessore al pari degli altri interessi che hanno con- traddistinto la vita e il rigore mentale di Wittgenstein. Non è casuale che la sua costruzione si collochi fra i due momenti so- stanziali della sua vita, la pubblicazione nel 1922 del Tractatus Logico-Philo- sophicus e il suo trasferimento a Cambridge, agli inizî del 1929, individuan- dosi anche come spartiacque filosofico rispetto alla seconda fase del pen- siero di Wittgenstein: in questa egli ripensò quasi totalmente il suo approccio logico, anche contraddicendo quanto già asserito, ma è indubbio che la si- stematizzazione logica, quasi di congegno meccanico o perfetta macchina in movimento in grado di affrontare temi complessi, con cui è stato organizzato il Tractatus, abbia trovato nell’esperienza della Haus una concreta verifica. I sette enunciati assiomatici indimostrabili, simili ai sistemi geometrici eu- clidei e spinoziani del more geometrico, partendo da un approccio inizial- mente fenomenologico, sono gli ingranaggi principali di questa macchina logica che danno il moto agli altri meccanismi dentati subordinati che, atti- vando a loro volta il sistema, renderanno evidente tutta la logica d’insieme. A ogni proposizione principale è assegnata l’unità, mentre alle altre, intese come “ingranaggi minori”, sono assegnate numerazioni per sottolivelli che consentono il funzionamento di questo meccanismo entropico in grado di evidenziare la complessa logica del tutto: l’approccio ingegneristico è del tutto evidente anche applicato a un concetto di logica relazionato alla feno- menologia degli accadimenti del mondo. «L’architettura “muta”, priva di ornamenti, risponde alla logica di un im- 33 Engelmann, allievo di Loos e unico superstite di una famiglia ebrea di origine mol- dava, emigrò nel 1934 in Palestina: a lui, e ad altri architetti tedeschi ebrei emigrati prima della Shoah, si deve la realizzazione degli oltre 4.000 edifici razionalisti che caratterizzano per numero e diffusione l’insolita morfologia di Tel Aviv, città fondata con il Masterplan redatto tra il 1925 e il 1929 da Patrick Geddes. 34 Sia come giardiniere nel convento viennese dei frati Ospitalieri di Hütteldorf che come maestro elementare in una scuola pubblica rurale, incarico bruscamente interrotto proprio nel 1926; dopo la conclusione della casa, nel 1929 si trasferisce a Cambridge, invi- tato dall’economista John Maynard Keynes, per conseguire il dottorato in filosofia. 35 Wittgenstein non ha mai sistematizzato la sua teoria estetica filosofica della quale re- stano solo le lezioni e conversazioni tenute dal 1938 a Cambridge e raccolte dai suoi allievi. Ornamento è delitto? 51
1. Il Padiglione Barcellona di Ludwig Mies van der Rohe (foto Gaetano Cataldo, 2007). 2. La Looshaus in Michaelerplatz, totale (foto Laura Safred, 2015). 52 Gaetano Cataldo
3. Il bow-window della Looshaus (foto Laura Safred, 2015). 4. Il prospetto sud-ovest della Haus Wittgenstein (foto Laura Safred, 2015). Ornamento è delitto? 53
piego “tecnico” dei materiali»36, ed è lo specchio di quell’uomo senza qualità che è il vero protagonista della nuova realtà urbana. È un’architettura si- lenziosa, scarna, priva di ornamenti, che sembra la trasposizione, dalla lo- gica al materiale, della settima e ultima proposizione del Tractatus, la più celebre: «Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere»37. Il linguaggio, anche quello architettonico, per Wittgenstein è uno strumento che bisogna saper adoperare con grande cura e coerenza utilizzando gli attrezzi adatti; quando si costruiscono case, noi parliamo e scriviamo e dobbiamo anche riuscire a distinguere una persona che sa certamente cosa di cui sta parlando da un’altra che non lo sa: Ho spesso paragonato il linguaggio a una cassetta di attrezzi, contenente un mar- tello, uno scalpello, fiammiferi, chiodi, viti, colla. Tutte queste cose non sono state messe insieme a caso, ma vi sono differenze notevoli tra i diversi strumenti – sono usati in un contesto di modi – benché tra scalpello e colla non potrebbe esserci nulla di più diverso38. È una riflessione ex post, rispetto al progetto della casa di Kundmann- gasse; risale agli anni di Cambridge, ma è coerente anche con i precedenti assunti e connota la stringente logica che ne ha caratterizzato progetto e realizzazione: «La logica è un meccanismo fatto di un materiale infinitamente duro, la logica non può piegarsi»39. La progettazione di un manufatto architettonico, un’attività strettamente tecnica40, è anche un procedimento logico che va affrontato, però, con gli strumenti mentali adatti: non vanno dimenticati, da un lato, i suoi interessi verso la meccanica e l’ingegneria41, dall’altro il suo rigoroso approccio men- tale indipendente da fini e il perfezionismo intransigente, tanto da poter para- gonare la progettazione della casa a quella di una macchina, una machine à habiter, parafrasando il termine da Le Corbusier ma non lo stesso significato; o un meccanismo logico42, o meglio ancora, una macchina “celibe” priva di uno scopo o un fine43, un esemplare unico di un organismo meccanico, pro- 36 G. DENTI, Adolf Loos, cit., p. 7. 37 LUDWIG WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, with an introduction by Ber- trand Russell, Kegan Paul, Trench, Trubner & Co., London 1922 e Routledge & Kegan Paul, 1961, trad. it. di Amedeo Giovanni Conte, Tractatus Logico-Philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, Torino 1964, 19836, p. 82. 38 LUDWIG WITTGENSTEIN, Lectures on Æstetic, in Lectures and conversation on Æstetic, Psychology and Religious Belief, Basil Blackwell, Oxford 1966, trad. it. Lezioni sull’este- tica, in ID., Lezioni e conversazioni sull’etica, l’estetica, la psicologia e la credenza reli- giosa, a cura di Michele Ranchetti, Adelphi, Milano 1967, 19804, pp. 49-107: 52. 39 Ivi, p. 75. 40 Oltre alla collaborazione iniziale con Engelmann va ricordato il contributo tecnico de- terminante di Jacques Groag, assistente di Loos e direttore lavori in molti cantieri, soprat- tutto per la parte strutturale dell’edificio, conforme alle più innovative tecniche costruttive del tempo. Questo non impedì tensioni anche con Wittgenstein in merito a scelte formali spesso contraddittorie rispetto a quelle tecniche. 41 Suo è il progetto giovanile di un prototipo di motore a reazione, brevettato, che sarà perfezionato e applicato in aeronautica. 42 FRANCESCO AMENDOLAGINE, La casa di Wittgenstein, in F. AMENDOLAGINE, M. CACCIARI, Oikos, cit., pp. 61-105: 91. 43 Oltre a quello di realizzare l’abitazione per la sorella Margaret ma che avrebbe potuto avere una connotazione più scontata. 54 Gaetano Cataldo
gettato con estrema precisione soprattutto per i dettagli: come per i mirabili caloriferi angolari44, che devono apparire per quello che sono senza essere dissimulati per sembrare altro e, in particolare, per le parti mobili come i ser- ramenti, i meccanismi di fissaggio di porte e finestre, maniglie, cardini, scher- mature a contrappeso e fissaggio dei vetri; da un lato estrema semplicità, dall’altro estrema funzionalità guidata dai principî, già accennati, del rasoio di Ockham e dall’assunto per il quale Simplex sigillum veri, la semplicità è il suggello della verità. Quel suggello che egli esplicita nel Tractatus con la sotto-proposizione 5.4541: Le risoluzioni dei problemi logici devon essere semplici, poiché son esse a porre il canone della semplicità. Gli uomini hanno sempre presentito che vi debba essere un campo di questioni le cui risposte – a priori – sian simmetriche e unite in conformazione conclusa, regolare. Un campo ove valga la proposizione: Sim- plex sigillum veri45. Un canone comune sia all’etica che all’estetica che si evidenzia quando entrambi i principî sono soddisfatti dall’aver realizzato un’opera in perfetta coerenza di comportamento morale. Wittgenstein asseriva che le parti meccaniche ed elettriche della Haus dovevano essere considerate sullo stesso piano della progettazione delle de- corazioni e dell’arredamento. La progettazione diventa un’elegante dimostra- zione matematica sostenuta dai principî razionali della stessa matematica e della logica, unici in grado di migliorare il giudizio estetico: i meccanismi di una «macchina ben progettata e ben funzionante, dovevano essere mo- strati in una sorta di visione tecnica trascendentale»46. La scala che conduce ai piani superiori ha una presenza molto forte nella pianta dell’edificio ri- chiamando l’immagine di un elemento meccanico assolutamente unico nei percorsi verticali47: anche in questo caso l’idea di macchina limpidamente funzionale è evidente, «macchina come simbolo del suo modo di funzionare: la macchina – potrei dire a tutta prima – sembra già avere in sé il suo modo di funzionare»48. Siamo di fronte a una raffinata palestra di pratica mentale che si col- loca, non a caso, tra i due periodi salienti del suo pensiero, un momento di passaggio essenziale, quasi un aforisma49 fatto di materia e che resta, pur sempre, una delle pietre miliari dell’architettura viennese della prima metà del secolo scorso. Etica ed estetica vanno di pari passo avvicinando il buono 44 Forse è la prima volta che in un edificio un calorifero assume valenza di cardine progettuale, tenendo conto anche dei tempi; l’elemento sarà riproposto da Carlo Scarpa nel progetto del piano terra della Fondazione Querini Stampalia, a Venezia, ma in chiave linguistica monumentale. 45 L. WITTGENSTEIN, Tractatus Logico-Philosophicus, cit., p. 51. 46 P. WIJDEVELD, Ludwig Wittgenstein, architetto, cit., p. 156. 47 Cfr. le piante originali del primo e secondo piano in Haus Wittgenstein. Eine Do- kumentation, Text von Otto Kapfinger, Kulturabteilung der Botschaft der Volksrepublik Bulgarien, Wien 1984, p. 16. 48 LUDWIG WITTGENSTEIN, Philosophische Untersuchungen / Philosophical investiga- tions, Translated by G[ertrude] E[lizabeth] M[argaret] Anscombe, Basil Blackwell, Oxford 1953, trad. it. di Renzo Piovesan e Mario Trinchero, Ricerche filosofiche, edizione italiana a cura di Mario Trinchero, Einaudi, Torino 1967, 19835, p. 103. 49 F. AMENDOLAGINE, La casa di Wittgenstein, cit., p. 65. Ornamento è delitto? 55
al bello, così come nell’unica sotto-proposizione del Tractatus dedicata a quest’analogia, la 6.421: «È chiaro che l’etica non può formularsi. L’etica è trascendentale. (Etica ed estetica son uno)»50. Nonostante questo, la sua apparente semplicità intesa come banale, ha rischiato di metterne in crisi la sopravvivenza e solo le proteste di architetti, storici e filosofi ne hanno impedito l’alienazione51: questo, purtroppo, non ha impedito la realizzazione nell’originario giardino di un edificio52, esempio del più deteriore International Style, che ha completamente alterato il con- testo originario con la sua incombente presenza a pochi metri dalla Haus, tagliando l’originario viale d’accesso, così come si vede nel confronto tra la planimetria originaria53, con il suo ampio giardino funzionale al progetto nella sua interezza, e la situazione attuale (fig. 5). La mutilazione spaziale ne ha anche alterata la comprensione linguistica, come ha osservato Cacciari: Il silenzio della casa, la sua impenetrabilità e anti-espressività, si sostanzia dell’i- neffabile dello spazio circostante. Così è nel classico: l’architettura classica è simbolo (nel senso etimologico) dell’in-finito (a-peiron) che l’avvolge. [...] In ciò risiede la dimensione autenticamente classica della casa di Wittgenstein: la non “espressività” dello spazio calcolato dell’edificio ne è la sostanza fondamen- tale. L’unico rapporto dell’edificio con il “resto” è l’apparire dell’edificio stesso. Questa presenza del classico in Wittgenstein rappresenta uno degli eccezionali momenti nei quali lo sviluppo dell’ideologia contemporanea ne ha ricompreso la problematica autentica54. L’edificio è indubbiamente classico nel senso che è a-temporale nella sua razionalità formale e per l’assenza di qualsiasi elemento decorativo ricondu- cibile sia alla stessa texture del materiale, marmo o legno, che a un periodo storico in particolare, anche se è desunto, per impostazione generale, dalla koinè barocca viennese55: gli interventi di purificazione dell’ultimo progetto di Engelmann attuati dal Filosofo56, che eliminò anche i minimi residui di or- namento, si riesumano nello spostamento dell’ingresso57 che egli riposiziona nel corpo basso lievemente aggettante tipico del palazzo barocco viennese. Il lieve aggetto è desunto proprio dal modello del portale barocco che sporge della dimensione determinata dall’accostamento di un pilastro aggiunto a una colonna, o come suggerito da Wijdeveld, sempre per la Kundmanngasse, nell’accentuare, così come per prassi negli edifici classicisti, «l’indipendenza 50 L. WITTGENSTEIN, Tractatus Logico-Philosophicus, cit., p. 79. 51 Bisogna dare atto allo sforzo fatto dall’Ambasciata della Bulgaria che ne ha garantito la sopravvivenza destinandola a Istituto di Cultura. 52 L’edifico, costituito da due blocchi a forma di “L” di diversa altezza, realizzati in me- tallo e cristallo, è la sede della Hauptverband der österreichischen Sozialversicherung- sträger, Federazione di enti previdenziali austriaci per la sicurezza sociale. 53 Pubblicata in Haus Wittgenstein. Eine Documentation, cit., p. 15. 54 M. CACCIARI, Loos-Wien, cit., p. 43. 55 È noto l’apprezzamento di Wittgenstein per le opere di Johann Bernhard Fischer von Erlach, in questo vicino a Loos. 56 Di cui però mantenne la tripartizione originaria connessa alla lettura volumetrica totale della casa. 57 Nel progetto di Engelmann originariamente inserito nel prospetto del corpo princi- pale. 56 Gaetano Cataldo
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