Un giorno alla volta DEASS - Benedetta Scarpa - SUPSI
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Un giorno alla volta Studente Unive Università d’origine Benedetta Scarpa Università degli Studi di Padova Dipartimento SUPSI CorsoCorso di laurea DEASS Cure Infermieristiche Semestre - anno accademico 6° semestre A/A 2019/2020 Camilla ed io sul ponte tibetano
Ciao, sono Benedetta, una studentessa di infermieristica dell’Università di Padova, arrivata a Lugano il 4 febbraio 2020 per svolgere il mio periodo di mobilità Erasmus con il progetto SEMP. Sono sempre stata curiosa di conoscere nuove culture e tradizioni, amante dei viaggi e di scoprire nuovi luoghi nel mondo, così ho deciso di iscrivermi al progetto Erasmus e di avere l’opportunità di svolgere alcuni mesi lontana da casa. Tra le mete, ho scelto la Svizzera perché ho sempre pensato che potesse darmi una buona opportunità di miglioramento in ambito professionale. Magari non è stato uno sviluppo a livello linguistico perché comunque qui in Ticino si parla la lingua italiana, ma credo che per il tipo di tirocinio che sono poi andata a svolgere, sia stato un grande vantaggio, per la comunicazione con gli altri, sia équipe che pazienti. Anche se devo dire, sono riuscita ad imparare qualche parola ed espressione dialettale ticinese grazie agli autoctoni con cui ogni giorno, durante il tirocinio, dovevo comunicare. Riuscire ad organizzare tutto per la partenza è stato un lavoro a cui ho dovuto dedicare del tempo, sia per i documenti da compilare che per riuscire a trovare una stanza in affitto che rientrasse nel mio budget, ma fortunatamente, tramite amici e referenti dell’Università, sono riuscita a trovare un alloggio in una posizione comoda, non lontana dal centro e dalla Clinica Moncucco, nel quale ho svolto lo stage, e vicino ad una fermata di trasporti pubblici, in modo da riuscire a raggiungere anche l’Università SUPSI a Manno per i giorni in cui avrei dovuto sostenere delle lezioni frontali. Una volta arrivata, l’impatto con la nuova città è stato forte, essendo poi che vivo a Venezia, una città dove non ci sono le macchine, regolarmi bene con le strade per girare in bicicletta è stato tutto nuovo. Trovo che la città di Lugano sia a misura d’uomo, facile spostarsi e arrivare in centro, è una cittadina tranquilla, tutti i servizi pubblici funzionano molto bene e per le strade si respira un’aria serena. Il panorama al lago è magnifico, sia d’inverno che in primavera, e se si raggiunge la vetta dei monti che lo circondano, come ad esempio il Monte Bré e il Monte San Salvatore, si può godere di una vista mozzafiato. Inoltre consiglio di visitare due luoghi che ho avuto modo anche io di riuscire a raggiungere: la Val Verzasca, spettacolare paesaggio naturale, e di mettersi alla prova attraversando il Ponte Tibetano sul Monte Carasso. Sfortunatamente non è stato uno dei periodi migliori per fare un Erasmus perché subito dopo circa un mese la data del mio arrivo è arrivato anche qui, come in tutto il resto del mondo, la malattia da Sars-CoV-2, e c’è stato il lockdown di tutta la città. È stato un periodo molto difficile, pieno di cambiamenti, ho contratto la malattia, la Clinica dove ho svolto il tirocinio è diventata un centro Covid, le lezioni all’università sono diventate telematiche, tutti i negozi chiusi, obbligati a stare in casa e indossare le mascherine, situazione costante di tensione, soprattutto a lavoro, avere la famiglia lontana chilometri e comunque aver paura che potesse succedergli qualcosa. Posso dire che sia stata una situazione molto particolare, che mai avrei immaginato di dover affrontare, soprattutto così giovane, ma sicuramente tutto questo mi ha fatto aumentare il mio bagaglio di esperienza, che porterò con me per tutta la vita. Essere stata da sola non è stato facile, essermi anche ammalata non lo è stato ancor di più, ma seppur a distanza, la mia famiglia mi ha sempre supportata. Una volta guarita ho deciso di continuare il mio tirocinio alla Clinica, anche se devo dirla tutta, inizialmente ho avuto paura, paura per qualcosa di nuovo che non conosci, già era stato impattante il primo periodo in un pronto soccorso ‘normale’, ora entrare nello stesso pronto soccorso completamente rivoluzionato per adattarsi alla situazione, è stato un altro grosso cambiamento. Se dovessi descrivere la mia esperienza in una sola parola, quella sarebbe ‘resilienza’, esattamente quella che per tre anni ci hanno insegnato all’università. Quando la dico ad alta voce mi si imprime
nella mente l’immagine di una figura umana che rimanda ad una forma di albero, con il corpo piegato dal vento, ma che non si spezza. Ecco, io in questi 4 mesi mi ritrovo proprio in questa immagine qui. Sebbene non l’abbia vissuta come vera e propria esperienza Erasmus, ma più come esperienza lavorativa, durante la quale l’unica vera relazione sociale che sono riuscita a tessere è stata durante i turni di lavoro con la mia équipe, che ringrazio infinitamente perché mi ha fatto sentire a casa, sento comunque di tornare a casa con un bagaglio extra large di conoscenze e competenze acquisite, sia in ambito professionale che nella mia vita personale. Essere da soli non è facile, ma è molto importante per imparare a conoscersi e a volersi bene. Al di là della difficoltà dell’adattamento in ambito lavorativo, credo che imparare a conoscersi meglio e andare d’accordo con sé stessi, sia uno degli obbiettivi più difficili da raggiungere. In questi ultimi mesi non avrò fatto amicizia con tante persone, ma sicuramente con quelle giuste, che mi hanno fatto sentire a casa; in dialetto Veneto si direbbe “pochi, ma boni”, ed è proprio così. Ma la cosa più importante è che sono riuscita a “coltivare il mio giardino”, sia in senso letterale, perché mi sono data al giardinaggio ad alta quota, ovvero sono riuscita a ripopolare di bellissimi fiori colorati e piantine ad uso alimentare, la mia terrazza al sesto piano dove ho vissuto per 4 mesi; sia in senso metaforico, perché mi sono presa cura di me, ho imparato ad ascoltare il mio corpo e quello di cui aveva bisogno, ho cominciato a seguire dei corsi di yoga, ho sperimentato gusti e sapori nuovi in cucina, mi sono goduta albe e tramonti sempre dalla mia terrazza. Ho deciso di dare questo titolo al mio racconto, perché questi mesi li ho vissuti proprio così, giorno per giorno, senza fare grossi programmi, vivendomi la giornata e pensando ad una cosa alla volta. Che non sia mai che dopodomani scoppi una pandemia. Lucio Battisti direbbe “ho un anno in più, e qualcosa in meno tu”, ed è proprio così, in questi 4 mesi ho compiuto gli anni e quel qualcosa in meno lo lego alla fretta di voler fare le cose, di programmare continuamente, di pensare sempre al futuro, senza fermarmi a godermi il presente, che invece è quello che sto vivendo proprio adesso. Certamente consiglierei un’esperienza come l’Erasmus, perché ti permette di sperimentare, conoscerti, crescere, relazionarti, dover trovare soluzioni a situazioni forse più grandi di te, ma che poi ti dà soddisfazioni vedendo che ce l’hai fatta, anche da solo, senza l’aiuto di nessuno, e in fin dei conti cresci senza neanche accorgertene. Esperienze così lasciano un pezzettino di te nel luogo che lasci, e un pezzettino di loro nel tuo cuore. Non auguro a nessuno di finire in Erasmus con una pandemia, se possibile magari scegliere un momento migliore; ma anche se io mi ci sono trovata dentro, sono contenta di tutto quello che ho fatto, delle scelte che ho preso, di essere rimasta e aver concluso tutto quello che dovevo concludere. Se tornassi indietro non cambierei niente, magari eviterei la pandemia e la malattia, ma anche questa è stata un’esperienza, rinchiusa in casa con il mio coinquilino a finire tutte le riserve di cibo; tutto quello che ho vissuto mi è piaciuto così com’è andato, e sento di dover chiedere un enorme grazie a tutte le persone che ho avuto la fortuna di incontrare. Giunta alla fine concludo con le parole di Italo Calvino, tratta dal suo libro “Lezioni americane” del 1988, che credo rimarrà sempre di ispirazione per me, e che se anche sono passati più di 30 anni, certe cose rimangono vere per l’eternità: “Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l'abbandono al caso. Paul Valéry
ha detto: “Il faut etre léger comme l'oiseau, et non comme la plume” (si deve essere leggeri come l'uccello che vola, e non come la piuma). A sinistra risottino di funghi con chips di ravanelli, a destra gnudi di carote con una spolverata di basilico. A sinistra pranzo dalla mia terrazza al sesto piano, a destra vista dalla cima del monte Boglia. A sinistra Camilla e io alla ricerca di un travestimento per Carnevale, a destra insieme in Val Verzasca.
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