Streaming e web tv: come e dove vedere l'opera nei giorni del #iorestoacasa

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Streaming e web tv: come e dove vedere l'opera nei giorni del #iorestoacasa
Streaming e web tv: come e
dove   vedere  l’opera   nei
giorni del #iorestoacasa
Teatri e cinema italiani chiusi almeno fino a venerdì 3
aprile. Molti abitanti dell’Italia centro-settentrionale
impossibilitati a muoversi dalle proprie città, se non per
motivi di lavoro. L’emergenza Coronavirus continua nel
Belpaese e, giustamente, sono stati presi provvedimenti
restrittivi per cercare di evitare un ulteriore ampliamento
del contagio. Certo, anche per un melomane, o un semplice
appassionato di musica, la vita in questi giorni è ancora più
dura: come rimediare all’astinenza teatrale? Come riempire il
molto tempo libero a disposizione? No panic, è possibile
appagare il proprio desiderio di opera e musica standosene
comodamente seduti e al sicuro sul divano di casa (così ci si
attiene pure alle sacrosante direttive emanate da Governo e
Regioni).

Esistono sempre i DVD, acquistabili facilmente con un click su
svariati siti. Per chi ha l’abbonamento alla piattaforma Sky,
sicuramente conoscerà Classica HD, in onda sul canale 136: in
questi e nei giorni a venire vengono trasmessi, per esempio,
Le trouvère di Verdi, edizione in francese de Il trovatore
messa in scena da Bob Wilson al Teatro Farnese di Parma
nell’autunno 2018; la Romantica di Bruckner diretta da
Christian Thielemann; Mefistofele di Boito con, protagonisti,
Calleja, Pape e la Opolais (Bayerische Staatsoper 2015) e
Ariadne auf Naxos da Baden-Baden 2012, con un cast di
specialisti capeggiato da Renée Fleming.
Variegato è anche il servizio offertoci da “mamma Rai”; oltre
ai ricchi archivi consultabili gratuitamente su RaiPlay
(www.raiplay.it), visibile confortevolmente e in chiaro alla
tv è Rai 5, canale 23, che pone una particolare attenzione al
mondo della musica, dell’arte, della danza, del teatro e dei
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documentari. In particolare, giovedì 5 marzo è iniziato un
breve ciclo di tre serate in prima visione, dedicato alla
versatilità del direttore Daniele Gatti: dopo la trasmissione
della recita del 10 dicembre 2019 de Les vêpres siciliennes di
Verdi, spettacolo inaugurale della stagione 2019/2020 del
Teatro dell’Opera di Roma, i prossimi appuntamenti saranno la
Nona di Mahler da Torino, debutto del maestro milanese sul
podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai avvenuto
nei primi giorni del 2020 (in tv il 12 marzo, ore 21:15), e il
concerto con l’Orchestra e il Coro dell’Accademia Nazionale di
Santa Cecilia dedicato al Novecento russo di Stravinskij e
Prokof’ev, andato in scena a Roma pochissime settimane fa
(visibile su Rai 5 il prossimo 19 marzo).
Un altro validissimo strumento, reperibile online e sempre
gratis et amore Dei, è il portale web OperaVision
(https://operavision.eu). Creato e amministrato da Opera
Europa, il servizio ogni mese trasmette in streaming
interessanti spettacoli da differenti teatri europei,
registrazioni poi recuperabili in tutta tranquillità on
demand. Tra le produzioni rintracciabili indichiamo, a titolo
esemplificativo, una rarità come Violanta di Korngold con
regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi, vista al Teatro
Regio di Torino due mesi fa; la Tosca pucciniana nel discusso
allestimento del 2019 di Barbara Wysocka per la Polish
National Opera di Varsavia; Ermione in scena lo scorso
novembre al Teatro San Carlo di Napoli, protagonisti Angela
Meade, Teresa Iervolino e Antonino Siragusa. Tra i prossimi
titoli in programma segnaliamo, per il mese corrente, la
trilogia Mozart-Da Ponte da la Monnaie di Bruxelles con, sul
podio, l’italiano Antonello Manacorda e la regia del duo Jean-
Philippe Clarac & Olivier Deloeuil (19 marzo Così fan tutte,
21 marzo Le nozze di Figaro, 24 marzo Don Giovanni), l’11
marzo Don Giovanni in diretta dalla Finnish National Opera di
Helsinki, diretto da Patrick Fournillier e messo in scena da
Jussi Nikkilä.

Citiamo, poi, la preziosa opportunità offertaci da alcuni
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teatri, ovvero lo streaming e la web tv, menzionando qui
quanto deciso da due realtà italiane. Tramite smartphone,
computer e tv sarà possibile, a partire da martedì 10 marzo,
accedere alla web tv del Teatro Massimo di Palermo, così da
poter usufruire 24 ore su 24 di un ricco palinsesto di opere,
concerti, spettacoli, visite guidate virtuali e nuove
proposte; il programma delle trasmissioni verrà comunicato
quotidianamente attraverso i canali social del Massimo e
iscrivendosi alla sua newsletter. Ugualmente il Teatro Coccia
di Novara organizza, dal 10 marzo al 3 aprile, una “rassegna
virtuale” delle proprie produzioni proposte nelle ultime
stagioni, alle quali si potrà assistere tramite i canali web e
social del Teatro: YouTube Teatro Coccia, Facebook, Twitter e
la home del sito del Coccia (www.fondazioneteatrococcia.it).
Si inizia con Ernani di Verdi, titolo inaugurale della
stagione 2019/20 diretto da Matteo Beltrami, disponibile dalle
ore 18 di martedì 10.
Riferiamo, infine, del progetto #unbeldivedremo, ideato dal
regista Gianmaria Aliverta e dall’associazione culturale
VoceAllOpera, uno spettacolo particolare che andrà in scena
allo Spazio Teatrale 89, ovviamente nel pieno e totale
rispetto della normativa vigente, un “concentrato d’opera” con
protagonisti il mezzosoprano Elena Caccamo e il pianista
Andrés Jesús Gallucci. Siete curiosi? Basta seguire le
piattaforme social di VoceAllOpera.
Le alternative concrete non mancano, in attesa della
riapertura al pubblico dei nostri amati teatri. Certo, molti
potrebbero obiettare che uno spettacolo è tutt’altra cosa:
siamo d’accordo ma, soprattutto al momento, non possiamo fare
altrimenti e, in un modo o nell’altro, bisogna pur ovviare a
questa mancanza. Cerchiamo di essere responsabili e assennati,
per il bene nostro e di chi ci circonda, e potremo presto
tornare a godere di musica e bellezza dal vivo.
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Rossini e Mozart, il mio pane
quotidiano – Intervista a
Matteo Macchioni
Nativo di Sassuolo, Matteo Macchioni si accosta agli studi
musicali sin dalla più tenera età, diplomandosi con lode in
pianoforte nel 2007. Il 2010 può essere ritenuto il suo annus
mirabilis: il giovane tenore partecipa, infatti, al talent
show televisivo Amici di Maria De Filippi, gareggiando nella
Squadra Blu; ma, soprattutto, viene scritturato da Daniel Oren
per debuttare, nel giugno dello stesso anno, al Teatro Verdi
di Salerno come Nemorino nell’Elisir d’amore di Donizetti. Da
quel momento la sua carriera spicca il volo, e Macchioni
affronta opere di Rossini, Mozart, Donizetti, Cimarosa,
Puccini, Cilea, Britten. A oggi, si è esibito con successo su
palcoscenici di prestigio e in festival di rilievo sia in
Italia che all’estero, quali per esempio il Teatro alla Scala,
il Carlo Felice di Genova, il Regio di Parma, il Maggio
Musicale Fiorentino, il ROF di Pesaro, il Donizetti Festival
di Bergamo, lo Stresa Festival, il Bregenzer Festspiele, il
Tiroler Festspiele di Erl, il Theater Freiburg, l’Oper
Leipzig, la Royal Danish Opera, la Welsh National Opera.
In queste settimane l’artista emiliano è impegnato in un tour
in Danimarca, dove veste i panni di Ferrando nel Così fan
tutte di Mozart, in una produzione diretta da Paul Goodwin e
con regia di Tim Albery.

Come e quando ha capito che avrebbe voluto intraprendere la
carriera teatrale?
Non l’ho capito, è semplicemente successo: è stata la carriera
teatrale a raggiungermi. Dal 2010, anno del mio primissimo
debutto, ho cantato in Europa e in tanti altri paesi del
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mondo, eseguendo centinaia di recite e concerti.

Nel 2010 ha partecipato al celebre talent show televisivo
Amici di Maria De Filippi: cosa ricorda di quell’esperienza?
Cosa le ha lasciato?
Ricordo con piacere quell’esperienza televisiva. Allora non
ero un cantante, ma un giovane neolaureato in pianoforte con
la nascente passione per il canto e uno strumento vocale
assolutamente acerbo, da plasmare. Non sapevo ancora che avrei
successivamente intrapreso la professione di cantante lirico.

Le dà fastidio che, ancora oggi, qualcuno accosti il suo nome
soprattutto a quello di Amici? “Il primo tenore di Amici”, “Da
Amici al palcoscenico”…
Non mi dà fastidio: Amici è stata un’esperienza che mi ha
arricchito e mi ha dato l’occasione di capire quale fosse la
mia vera vocazione.

Il suo debutto in un’opera lirica è avvenuto per volere
nientemeno di Daniel Oren: L’elisir d’amore al Verdi di
Salerno.
È stata la primissima esperienza su di un palco; sono riuscito
a viverla con la giusta leggerezza. Il Maestro Oren in
quell’occasione mi prese per mano e mi guidò al debutto, ben
sapendo che il talento che portavo in dote aveva ampi margini
di miglioramento e maturazione. Sono ricordi vivi e
difficilmente dimenticabili.

Un’altra tappa fondamentale della sua carriera è il debutto
alla Scala di Milano dove, nel 2017, ha interpretato il ruolo
di Isacco nella Gazza ladra di Rossini. Come ha vissuto quella
prova?
È stato emozionante debuttare alla Scala, teatro meraviglioso,
pieno di professionisti. Il Maestro Chailly e il regista
Salvatores mi hanno messo a mio agio e ho potuto così lavorare
con il giusto mix di determinazione e tranquillità.

Qual è il compositore con il quale si trova in maggiore
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sintonia?
Rossini e Mozart sono il mio pane quotidiano. In pochissimi
anni ho cantato più di 60 recite del Barbiere di Siviglia e
della Cenerentola in giro per il mondo. Fondamentale in questo
senso è stato lo studio, nel 2014, all’Accademia Rossiniana di
Pesaro, presieduta dal compianto Maestro Alberto Zedda.
Certamente i ruoli di belcanto rossiniani e mozartiani sono
parte importante del mio repertorio.

Come si prepara quando deve affrontare una nuova partitura?
Studio completamente le parti di tutti, suono l’intera opera
al pianoforte, poi finalizzo la preparazione, la memoria, lo
stile, affidandomi a professionisti di mia assoluta fiducia.
Arrivo sempre alla prima prova musicale in teatro con il ruolo
pronto a memoria e rodato; non amo l’approssimazione e non amo
chi mi mette fretta. Se non ho il tempo per essere eccellente
dico semplicemente no: la preparazione e l’eccellenza stanno
al primo posto. Sempre.

Un ruolo che le piacerebbe debuttare?
Rinuccio dal pucciniano Gianni Schicchi e Fenton dal Falstaff
di Giuseppe Verdi.

Tra i tenori di ieri e di oggi, ha qualche modello di
riferimento?
Sinceramente amo ascoltare vari interpreti. Non ho un nome su
tutti gli altri: ci sono stati tenori straordinari nel passato
e ce ne sono tutt’ora.

Sempre più giovani come lei stanno cercando di intraprendere
la strada del cantante lirico: ha qualche consiglio per loro?
Non mi sento abbastanza navigato per dare consigli. Credo,
però, che studiare seriamente e, soprattutto, capire cosa si
possa cantare e cosa è meglio evitare, sia un primo passo
importante.

Parliamo di attualità: in questi ultimi giorni il Coronavirus
si sta diffondendo sempre più, e i teatri italiani sono chiusi
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fino al 3 aprile per contrastare ulteriori contagi. Qual è il
suo pensiero al riguardo? Restrizioni eccessive o dettate dal
buon senso?
Non mi permetterei di dare giudizi, ci sono le istituzioni per
decidere e ci si deve attenere a ciò che viene prescritto o
consigliato. Mi limito soltanto a dire che, se abdichiamo al
nutrimento dell’anima che può dare l’arte, allora facciamo
vincere la paura, ed è proprio ciò che eviterei assolutamente.
Io sto lavorando, ho viaggiato e viaggerò nuovamente: non mi
fermo, non mi chiudo. Ovviamente sto attento, sono una persona
prudente e rispettosa delle regole, non vado all’arma bianca
sprezzante dei pericoli, ma le fobie cerco di tenerle il più
possibile lontane dalla mia persona e dalla mia anima.

Ora si trova in Danimarca per Così fan tutte di Mozart. Com’è
la realtà teatrale danese? Ha riscontrato molte differenze con
i teatri italiani dove ha lavorato sino a oggi?
In Danimarca sto lavorando benissimo, questa produzione sta
andando davvero bene. Il teatro, peraltro grandissimo (la
capienza è di più di 1700 spettatori), è praticamente sempre
sold-out. L’orchestra suona meravigliosamente e l’ambiente di
lavoro è collaborativo. Sono estremamente felice di portare la
mia voce oltre i confini italiani. Non faccio confronti. Posso
dire che l’unica differenza sostanziale sta nell’età del
pubblico: mediamente, nel resto d’Europa è un pochino più
bassa rispetto all’Italia.

Dove potremo ascoltare Matteo Macchioni in futuro?
Questo mese di marzo sono in tour con il Royal Danish Theatre
in tutta la Danimarca con Così fan tutte. Immediatamente dopo
volo a Mosca per un concerto con orchestra diretto dal Maestro
Alessandro D’Agostini; poi, dopo un breve periodo di doverosa
pausa, parto alla volta dell’Inghilterra, dove sarò
protagonista di un lungo tour in tutto il Galles con la Welsh
National Opera di Cardiff. Il ruolo è uno dei miei cavalli di
battaglia, Almaviva dal Barbiere di Siviglia di Rossini.
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Photo credit:   Stefano
Muzzarelli
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Matteo Macchioni    nelle
Nozze di Figaro

Matteo Macchioni nei panni di Ernesto del Don Pasquale
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Matteo Macchioni è Don Ramiro nella
Cenerentola – Photo credit: Kirsten Nijhof
Matteo Macchioni interpreta Ferrando
nel Così fan tutte

Matteo Macchioni è il Conte di
Almaviva nel Barbiere di Siviglia

Milano, Teatro alla Scala –
Eliahu Inbal dirige Bruckner
Un caloroso successo e una sala quasi esaurita hanno accolto
il ritorno al Teatro alla Scala, dopo diciotto anni di
assenza, dell’israeliano Eliahu Inbal. 84 anni il prossimo 16
febbraio, formatosi a Gerusalemme, Parigi, Hilversum e Siena,
affiancando fra gli altri Olivier Messiaen e Sergiu
Celibidache, Inbal ha ricoperto nel tempo ruoli di prestigio,
quali quello di Direttore principale dell’hr-Sinfonieorchester
Frankfurt, dell’Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia,
dell’Orchestra Nazionale della Rai e della Tokyo Metropolitan
Symphony Orchestra. Attualmente è Direttore principale di un
altro importante complesso asiatico, la Taipei Symphony
Orchestra. Nel corso della sua carriera improntata,
specialmente, sul repertorio sinfonico, come evidenziato anche
dalla sua sterminata discografia comprendente l’integrale
delle sinfonie, tra gli altri, di Brahms, Ravel, Schumann,
Stravinskij e Richard Strauss, il Maestro ha collaborato con
compagini orchestrali di livello: a esempio, l’Orchestre
National de France, la Royal Concertgebouw Orchestra, il
Konzerthausorchester Berlin, la Philarmonia Orchestra, la
London Philarmonic Orchestra, l’Orchestre de la        Suisse
Romande, la Saint Petersburg Philharmonic Orchestra.

Ritenuto il decano della musica di Mahler, Bruckner e
Šostakovič, Inbal torna sul podio della Filarmonica della
Scala – dal quale mancava dal 2002 – proponendo la Sinfonia n.
5 in si bem. magg. di Anton Bruckner. Composta tra 1875 e 1877
e sottoposta, nel 1878, a una minuziosa rielaborazione, vero e
proprio monumento sinfonico imperniato su di una certosina
attenzione contrappuntistica e su di un dinamismo nei
contrasti timbrici, la Quinta è permeata di un’aura di sobrio,
severo e monumentale rigore classicista; un brano ostico e
dalla strumentazione frastagliata, di non semplice esecuzione.
Con una gestualità dinamica, chiara ed eloquente e
un’ammirevole tecnica ferrea, propendendo per un’agogica
dilatata e di ampio respiro e conferendo un notevole rilievo
alle pause e ai silenzi, il direttore di Gerusalemme dà, della
cosiddetta “Sinfonia dei pizzicati” (come venne definita dai
primi critici) una lettura coesa e pulita, di solido mestiere
e salda professionalità, priva di sbavature, compatta e ben
scandita nei quattro movimenti. Il suo è un Bruckner puntuale
e asettico, dal suono corposo e granitico che, però, non
risulta mai eccessivamente enfatico o rutilante, misurato nei
volumi e a tratti avaro di sfumature.

Il primo movimento, Adagio – Allegro, è aulico, di una
solennità quasi liturgica, contraddistinto dall’alternanza di
vigorosi turgori orchestrali e incisivi archi in pizzicato.
Segue l’Adagio. Sehr langsam, dal preponderante tono
religioso, un brano in re minore dalla melodia austera ed
elegiaca, giocata sull’avvicendamento di fervide accensioni
strumentali e oasi di assorta preghiera musicale.
Il terzo movimento, Scherzo. Molto vivace (Schnell) è
caratterizzato da un colore marcatamente popolareggiante e
brioso; qui, Inbal stacca tempi maggiormente spediti, ma pur
sempre controllati, ottenendo dalla Filarmonica scaligera
sonorità più brillanti.
Chiude la Finalsymphonie il gigantesco quarto e ultimo
movimento tritematico, Finale. Adagio – Allegro moderato,
audace sincretismo tra le forme della fuga e della sonata,
dove il pio musicista nativo di Ansfelden dimostra uno
sbalorditivo dominio del contrappunto: un autentico crescendo
di complessità polifonica, contrassegnato in alcuni passaggi
da un suono di gusto prepotentemente wagneriano che pare
antesignano di alcune atmosfere del Parsifal, sfociante
nell’abbagliante apoteosi conclusiva. [Rating:3.5/5]

        Teatro alla Scala – Stagione Sinfonica 2019/20
                        Anton Bruckner
                Sinfonia n. 5 in si bem. magg.

                  Filarmonica della Scala
                   Direttore Eliahu Inbal
                  Milano, 14 febbraio 2020
Photo credit: Brescia e Amisano / Teatro alla Scala

Zurigo, Opernhaus – Iphigénie
en   Tauride   (con  Cecilia
Bartoli)
Grande era l’attesa per questa produzione zurighese di
Iphigénie en Tauride. Esclusa l’Alcina messa in scena da
Christof Loy nel 2014, era da anni che Cecilia Bartoli non
cantava, all’Opernhaus Zürich, in un nuovo allestimento; la
Tragédie-Opéra di Christoph Willibald Gluck è stata, inoltre,
l’occasione per la diva romana di lavorare per la prima volta
in uno spettacolo firmato dal sovrintendente del teatro
svizzero, Andreas Homoki.
Dopo il debutto salisburghese del 2015, con la regia alquanto
discutibile (e sonoramente fischiata) a cura di Moshe Leiser e
Patrice Caurier, il mezzosoprano torna a vestire i panni della
sacerdotessa, delineando una Iphigénie dolente, estremamente
straziata, aristocratica nel portamento e potentemente
espressiva. L’artista si distingue per una voce ben
appoggiata, di colore sopranile, luminosa in acuto e scura nel
registro medio-grave. Una prova maiuscola, quella della
Bartoli, in cui si apprezzano notevoli messe di voce,
impalpabili pianissimi, una rifinita dizione francese, una
recitazione accorata e un fraseggiare cesellato con minuzia,
dovizioso di accenti.

In questa visione la Bartoli è assecondata dalla direzione
vibrante, dinamica e tesa di Gianluca Capuano, ormai una
garanzia in questo repertorio e, dal 2016, spesso a fianco
della cantante. Ottenendo sonorità sferzanti e crepitanti
dall’Orchestra La Scintilla, il maestro milanese stacca tempi
rapinosi e concitati nei momenti di maggior furore, suoni che
vanno stemperandosi, alleggerendosi in pennellate terse e di
ampio respiro nei frangenti più lirici.

Strumento vocale espanso e di grana scura, emesso con
morbidezza e gusto, il baritono francese Stéphane Degout è un
Oreste elegante e dilaniato, veemente nella recitazione e nel
porgere la parola. Physique du rôle atletico e slanciato, il
Pylade del tenore canadese Frédéric Antoun emerge per una
vocalità omogenea e di buon peso, ricca di armonici e dal
suggestivo timbro brunito. Vocalmente voluminoso e debordante
il Thoas del baritono canadese Jean-François Lapointe. Il
soprano norvegese Birgitte Christensen, che dal 16 febbraio
per quattro recite subentrerà alla Bartoli come Iphigénie, è
una Diane musicale e tornita; squillante il mezzosoprano
francese Katia Ledoux (Femme Grecque).

Andreas Homoki e il suo team firmano uno spettacolo
visivamente cupo, spento e claustrofobico, giocato sulle
sfumature del bianco, del nero e del grigio (una costante di
altri allestimenti zurighesi di Homoki, basti pensare per
esempio a Fidelio, La forza del destino, I puritani o Sweeney
Todd, dove predominano soprattutto i colori neutri). A questo
clima di opprimente tetraggine contribuiscono le luci
asettiche di Franck Evin, i sobri, anonimi costumi atemporali
e la scenografia fissa di Michael Levine, un enorme cubo scuro
che va via via restringendosi sempre più verso la parete di
fondo, circondato da una cornice al neon bianco. Scegliendo di
eseguire l’opera senza intervalli, il regista tedesco dà della
storia una lettura in chiave psicologica e psicanalitica; e
così, durante il primo atto, vediamo evocate in scena le
sanguinarie vicende degli Atridi, dal sacrificio di Iphigénie
agli omicidi dei due genitori. Presenti spesso in palcoscenico
sono, poi, Iphigénie e Oreste bambini (rispettivamente Noelia
Finocchiaro e Immanuel Otelli), mentre nell’ultimo atto, privo
di lieto fine come previsto da libretto, la dea Diane
inspiegabilmente viene a coincidere con l’ombra di
Clytemnestre. La movimentazione delle masse corali è molto
agevole, curata risulta la recitazione dei singoli personaggi,
ben caratterizzati nelle psicologie e negli affetti (con tanto
di palese legame omosessuale tra i due amici Oreste e Pylade).
Encomiabile la prestazione       del Coro, guidato da Janko
Kastelic, con una menzione       di merito per la componente
femminile.
Teatro esaurito e 10 minuti di   festanti applausi, con ovazioni
per Bartoli, Capuano, Degout e   Antoun. [Rating:4/5]

             Opernhaus Zürich – Stagione 2019/20
                     IPHIGÉNIE EN TAURIDE
Tragédie-Opéra in quattro atti su libretto di Nicolas-François
                           Guillard
             Musica di Christoph Willibald Gluck
Iphigénie Cecilia Bartoli
                   Oreste Stéphane Degout
                   Pylade Frédéric Antoun
                Thoas Jean-François Lapointe
                 Diane Birgitte Christensen
                 Femme Grecque Katia Ledoux

                 Orchestra La Scintilla
                  Chor der Oper Zürich
          Statistenverein am Opernhaus Zürich
               Direttore Gianluca Capuano
            Maestro del coro Janko Kastelic
                  Regia Andreas Homoki
             Scene e costumi Michael Levine
                   Luci Franck Evin
            Drammaturgia Beate Breidenbach
                  Zurigo, 8 febbraio 2020

Photo credit:    Monika
Rittershaus
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Rittershaus

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Rittershaus

Photo credit: Monika Rittershaus
Photo credit: Monika Rittershaus

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Milano, Teatro alla Scala –
Roméo et Juliette
Il 2020 si apre, al Teatro alla Scala, nel nome di Charles
Gounod e del repertorio francese. Come secondo titolo della
stagione lirica viene, difatti, proposta l’opera in cinque
atti Roméo et Juliette, andata in scena per la prima volta
nell’aprile del 1867 a Parigi, considerata l’apice della
maturità compositiva del musicista parigino nonché capostipite
del genere del drame lyrique. Su libretto essenziale di Jules
Barbier e Michel Carré, abbastanza fedele al dramma
shakespeariano dal quale è tratto, il lavoro gounodiano si
distingue soprattutto per la tensione espressiva che
caratterizza ogni singolo atto, nonché per la concentrazione
sulla sfera interiore dei due sfortunati amanti e per la
varietà degli stili, dal brillante al virtuosistico,
all’elegiaco, al tragico.
Lo spettacolo è quello presentato sulle tavole del Piermarini
nel 2011, una produzione del Metropolitan di New York
rielaborazione di quella messa in scena al Salzburger
Festspiele nel 2008. Come desumibile dai bei costumi elaborati
e variopinti di Catherine Zuber, e dalla monumentale
scenografia di Michael Yeargan, dominata dall’imponente
facciata di un palazzo con loggiato e terrazzo, la vicenda è
trasposta in un Settecento dal sapore casanoviano, quasi
onirico. La regia di Bartlett Sher, ripresa da Dan Rigazzi,
insiste su di una riuscita caratterizzazione dei singoli
personaggi, ben individuati nelle loro psicologie, su di una
recitazione curata e sentita, e su di una buona movimentazione
dei solisti e delle masse corali, con tanto di aggraziate
coreografie nel primo atto e vivaci duelli nel terzo atto,
guidati dal maestro d’armi H.B. Barry. Atmosferiche le luci di
Jennifer Tipton riprese da Andrea Giretti, soprattutto quelle
delle scene notturne.

Debutta in un’opera al Piermarini Lorenzo Viotti, classe 1990,
proiettato in una prestigiosa carriera internazionale che lo
ha già visto sui podi, per esempio, di Parigi, Amsterdam,
Zurigo, Dresda e Francoforte. Con gesto elegante, morbido ed
equilibrato, dà vita a una lettura sfavillante attenta alle
sfumature, ai preziosismi e a sbalzare i dettagli strumentali;
una direzione dall’agogica estremamente mobile, che alterna
momenti rapinosi ad altri maggiormente rilassati. Viotti
ottiene, dall’Orchestra del Teatro alla Scala, un suono
corposo e smaltato, a volte soverchiante rispetto al
palcoscenico (in special modo nelle sferzanti percussioni), in
grado però di alleggerirsi, ove richiesto, in lucenti sonorità
di seta.

Nei panni degli sventurati protagonisti, troviamo due divi
dello star system. Vittorio Grigolo è un Roméo dalla voce
ampia, sana e robusta, emessa con omogeneità, salda e
sfacciata nella salita all’acuto, dal suadente timbro
schiettamente mediterraneo. Nella cavatina “L’amour! […] Ah!
Lève-toi, soleil!” e in “Va! Repose en paix!” attenua con
maestria la voluminosità dello strumento in delicati
pianissimi e impalpabili mezzevoci. Con un’interpretazione
empatica e, a tratti, sovraccarica e plateale, tipica comunque
di Grigolo, il tenore dipinge un giovane Montecchi
appassionato, ardente e irruente, grazie anche al fisico
atletico e scattante che gli consente, nella celebre scena del
balcone, di arrampicarsi con facilità lungo una lesena del
prospetto della dimora dei Capuleti o sull’alto basamento di
una colonna. Accanto a lui, torna alla Scala Diana Damrau,
apparsa più prudente e cauta rispetto al solito. Il soprano
tedesco emerge per una vocalità luminosa e tornita, di buon
peso e dalla timbrica cremosa, complessivamente omogenea in
tutta la gamma. Nell’attesa arietta “Je veux vivre” le messe
di voce sono puntuali e sul fiato, i legati adamantini, i
virtuosismi nell’insieme fluidi e puntuti; nell’aria “Viens,
amour, ranime mon courage”, risolta con efficacia, pregnanza e
pathos, si avverte qualche tensione nelle note più alte. Vero
animale da palcoscenico, servendosi di un fraseggio espressivo
e di un’intensa mimica facciale e del corpo, la Damrau
giganteggia per la musicalità e per le sue spiccate doti
attoriali, delineando una Juliette in progress, inizialmente
fanciulla timida, ingenua e infantile e, via via, più matura,
impetuosa e determinata.
Indisposto Nicolas Testè, lo sostituisce il Frère Laurent di
Dan Paul Dumitrescu, dalla voce pastosa e morbida
nell’emissione. Mattia Olivieri è un Mercutio sonoro,
vocalmente debordante e sontuoso, scenicamente sciolto e
prestante, baldanzoso e poco sfumato nel fraseggiare. Protervo
il Tybalt del tenore Ruzil Gatin, distintosi per una voce ben
in maschera cristallina e svettante. Sbarazzino il
mezzosoprano Marina Viotti nel ruolo en travesti di Stéphano,
dalla vocalità di colore sopranile. Piace la Gertrude ironica
ma mai volgare di Sara Mingardo, in possesso di uno strumento
di velluto brunito. Tutto sommato convincente il vecchio
Capulet di Frédéric Caton, dalla vocalità di basso
timbricamente chiara. Altero, raffinato e statuario il Pâris
di Edwin Fardini; poco incisivo Jean-Vincent Blot (Le Duc de
Vérone); preciso il Grégorio di Paul Grant; squillante il
Benvolio di Paolo Antonio Nevi. Icastici ed efficaci, come
sempre, gli interventi del Coro del Teatro alla Scala,
preparato con ammirevole acribia da Bruno Casoni.
Teatro esaurito e festante successo per tutti gli interpreti,
con poco meno di dieci minuti di applausi, ovazioni per i due
protagonisti e per Lorenzo Viotti. [Rating:4/5]

   Teatro alla Scala – Stagione d’opera e balletto 2019/20
                      ROMÉO ET JULIETTE
                     Opera in cinque atti
           Libretto di Jules Barbier e Michel Carré
                  Musica di Charles Gounod

                   Capulet Frédéric Caton
                    Roméo Vittorio Grigolo
              Frère Laurent Dan Paul Dumitrescu
                      Tybalt Ruzil Gatin
                     Pâris Edwin Fardini
                   Mercutio Mattia Olivieri
                 Benvolio Paolo Antonio Nevi
              Le Duc de Vérone Jean-Vincent Blot
                     Grégorio Paul Grant
                    Stéphano Marina Viotti
                    Juliette Diana Damrau
                    Gertrude Sara Mingardo

            Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
                   Direttore Lorenzo Viotti
                Maestro del coro Bruno Casoni
Regia Bartlett Sher ripresa da Dan Rigazzi
                    Scene Michael Yeargan
                   Costumi Catherine Zuber
       Luci Jennifer Tipton riprese da Andrea Giretti
                  Maestro d’armi B.H. Barry
         Produzione The Metropolitan Opera, New York
                   Milano, 15 gennaio 2020

Photo    credit:    Brescia      e
Amisano/Teatro alla Scala

Photo credit: Brescia e Amisano/Teatro alla
Scala
Photo credit: Brescia e Amisano/Teatro
alla Scala

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alla Scala
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Scala
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Photo credit: Brescia e
Amisano/Teatro alla Scala

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Amisano/Teatro alla Scala
Rosina? È un bocciolo di rosa
dai mille colori – Intervista
ad Annalisa Stroppa
Vocalità tornita e portamento aggraziato, il mezzosoprano
Annalisa Stroppa è una delle voci italiane più interessanti
dell’odierno panorama teatrale. Nata e formatasi a Brescia,
affiancando gli studi musicali al Conservatorio “Luca
Marenzio” a quelli umanistici (si è difatti laureata in
Scienze dell’educazione presso l’Università degli studi di
Bergamo), nel corso degli anni ha calcato i più prestigiosi
palcoscenici, sia in Italia che all’estero: Teatro alla Scala,
Regio di Torino, San Carlo di Napoli, Maggio Musicale
Fiorentino, Arena di Verona, Wiener Staatsoper, Salzburger
Festspiele, Bregenzer Festspiele, Liceu di Barcellona, Opéra
national de Paris, Bayersiche Staatsoper, Colón di Buenos
Aires. A oggi, ha già debuttato svariati titoli, come Norma, I
Capuleti e i Montecchi, La Cenerentola, Così fan tutte, Le
nozze di Figaro, Anna Bolena, I due Figaro, Carmen, Roméo et
Juliette, Hänsel und Gretel, Madama Butterfly, Nabucco,
Cavalleria rusticana. Il suo 2020 comincia al Teatro Carlo
Felice di Genova, con alcune recite de Il barbiere di Siviglia
di Rossini. Per l’occasione, la abbiamo intervistata.

Dal 2012 a oggi, lei ha vestito i panni di Rosina molteplici
volte, per esempio a Roma, Berlino, Montecarlo, Barcellona,
Verona, Tel-Aviv, Losanna. Ritiene che questo sia uno dei suoi
cavalli di battaglia?
Sì, è il ruolo con cui ho debuttato in molti teatri, mi ha
portato davvero tanta fortuna, e il Barbiere è l’opera che, a
oggi, ho eseguito di più. Rosina è un personaggio che amo
moltissimo. Dal punto di vista vocale è molto comodo per me;
inoltre, mi piace per il suo carattere. Trovo sia molto
attuale: una giovane alla ricerca delle propria identità,
della propria libertà e, soprattutto, dell’amore. Mi diverto a
interpretare le varie sfaccettature del suo carattere: dolce e
sognante con Lindoro, complice e determinata con Figaro,
ribelle e furba con Bartolo.

Quale aspetto, del carattere della scaltra fanciulla
rossiniana, pensa sia più affine al proprio?
Ogni volta che interpreto un personaggio, inevitabilmente
porto qualcosa di me stessa. Quando sono sul palcoscenico mi
calo a tal punto in quei panni da provarne realmente le stesse
emozioni, non posso fare altrimenti. Penso sia l’unico modo
per poter trasmettere al pubblico tutte le sensazioni che si
vivono in scena! Rosina è una ragazza giovane, vitale e
determinata, sveglia ed entusiasta della vita. Si innamora e
crede fortemente nell’amore. È una donna di oggi,
modernissima, ha una certa grazia e un certo puntiglio
nell’ottenere ciò che vuole; inoltre è molto orgogliosa. Mi
piace paragonarla a un meraviglioso bocciolo di rosa dai mille
colori, pronto a fiorire regalandoci allegria e un profumo
intenso e avvolgente.

Vocalmente parlando, qual è la difficoltà maggiore?
Prestare cura a ogni singolo suono, senza sconti, proprio come
l’ha scritto il compositore. Rossini chiede all’interprete
un’elevata maestria sia nelle colorature che nelle arcate di
legato. Inoltre, bisogna saper porgere nel modo giusto il
declamato di ogni recitativo, tutto ciò condito da una bella
energia che la scrittura del Barbiere richiede assolutamente.
La vocalità rossiniana è ancora legata all’ideale del belcanto
che vede il primato della voce sulle altre componenti
dell’opera. Attraverso il canto, oltre che tramite l’azione
scenica, si delinea il personaggio e se ne accentuano le
peculiarità.

Lei ha cantato per la prima volta il ruolo all’Opera di Roma,
nel 2012, diretta da Bruno Campanella. Che cosa ricorda di
quel debutto?
Una bellissima emozione, indimenticabile. Era il mio debutto
sia come Rosina che all’Opera di Roma. Ero agli inizi della
carriera; ripenso al grande lavoro fatto con il Maestro
Campanella, con il quale ho avuto l’onore di costruire questo
ruolo, e mi commuovo ancora ricordando lo sguardo e l’emozione
dei miei genitori, seduti per la prima volta all’Opera di Roma
per condividere con me questo bel traguardo raggiunto assieme.

A Genova si esibirà nel rodato allestimento di Filippo
Crivelli, con scene del compianto Emanuele Luzzati. È
emozionata?
Emozionata e felice. L’interpretazione di un ruolo matura nel
tempo, cambia a seconda delle idee interpretative del regista
e anche in base all’evolversi delle nostre fisicità e
vocalità. Rosina è uno dei personaggi che ho maggiormente
cantato, lo sento sempre più “mio”; dal 2012 a oggi ho
approfondito, attraverso molteplici allestimenti, le varie
sfaccettature che il ruolo richiede, arricchendolo di
sfumature sia vocali che interpretative. L’esperienza sul
campo è sempre la strada preferibile per migliorarsi di volta
in volta, per trovare accorgimenti nuovi: il palcoscenico è
una vera e propria palestra. È bellissimo vedere come, anche
all’interno di una stessa produzione, il ruolo maturi dalla
prima prova sino all’ultima. Il Barbiere che mettiamo in scena
qui a Genova è delizioso: l’allestimento di Filippo Crivelli è
storico, uno spettacolo che lascia ampia libertà
interpretativa e di movimento a noi cantanti, l’azione
accompagna armoniosamente la musica e si sposa magnificamente
con le incantevoli scene del genovese Emanuele Luzzati. Le sue
scenografie hanno il potere di trasportarci lontano, di farci
sentire immersi in un sogno; Strehler stesso descriveva questa
sensazione di fronte alle creazioni di Luzzati. Qualche anno
fa ho avuto la fortuna di interpretare Hänsel in Hänsel und
Gretel sempre in un allestimento con sue scene: anche in
questo caso mi sono sentita immersa in una fiaba. Rileggendo
le parole del compianto Luzzati, che definiva Genova come la
sua “Musa ispiratrice”, posso ben capirlo: ora sono a Genova e
mi sento circondata da così tanta bellezza.
C’è un teatro dove le piacerebbe interpretare la sua Rosina?
Non saprei scegliere, ogni teatro ha il suo fascino e la sua
storia. Forse, in questo caso, direi proprio a Siviglia, nella
terra dove è ambientata la vicenda. Ho avuto la fortuna di
visitarla ed è una città favolosa, che possiede un’energia e
una magia particolari e uniche: per chi non ci fosse ancora
stato consiglio di vederla, sono sicura che se ne
innamorerebbe.

Com’è il suo rapporto con la musica e lo stile di Rossini?
Mi metto umilmente a servizio della sua musica e della sua
genialità, cercando di essergli il più possibile fedele.
Rossini è sempre un balsamo per le corde vocali, aiuta a
mantenerle agili e scattanti. Siamo pur sempre nel range del
belcanto, che è il repertorio che affronto maggiormente in
questo momento, insieme al melodramma francese dell’Ottocento.
Ho chiuso il 2019 all’insegna di Rossini, interpretando ad
Amburgo il ruolo di Cenerentola, e inauguro il 2020 sempre con
Rossini, con la vivacità, il dinamismo e la comicità che lo
contraddistinguono; la musica di Rossini porta gioia e
buonumore. È davvero interessante come il “Cigno di Pesaro”
abbia   disegnato   qualsiasi    personaggio;   costruisce
un’architettura vocale e personale per ogni ruolo, cuce
addosso a ognuno una veste che lo identifica: la bella
innamorata e astuta Rosina, l’amoroso Lindoro, Il Bartolo
brontolone, l’avido Don Basilio, e il furbo tuttofare Figaro…È
divertimento allo stato puro, sia per noi interpreti che per
il pubblico.

Dopo Roméo et Juliette nel 2012 e Norma nel 2018, adesso
ritorna a Genova con il Barbiere. Come si trova a cantare
nella realtà del Teatro Carlo Felice?
Benissimo. Mi sento molto amata, in teatro si lavora davvero
bene, il clima è sereno e tutti sono disponibili. Ho esordito
in un ruolo en travesti, poi sono tornata con l’intensa
Adalgisa, affiancando l’immensa Mariella Devia, e ora eccomi
qui nelle vesti allegre e accattivanti di Rosina. Tra l’altro,
devo dire che il Carlo Felice è un teatro dove si sta bene non
solo a livello umano e professionale, ma ha anche un’acustica
perfetta.

Nella sua carriera ha già affrontato con successo opere di
diversi compositori, quali Mozart, Rossini, Bellini,
Donizetti, Verdi, Bizet, Mercadante, Gounod, Haydn, spaziando
nei secoli e nei repertori: in quale di questi si trova più a
suo agio?
Ci sono autori che plasmano i primi anni di carriera e che
sono pilastri fondamentali che non si possono scavalcare:
penso alle arie antiche, a Vivaldi, Haydn e Mozart, a tutto il
repertorio del Settecento. Sarebbe altrimenti come costruire
un bel palazzo ma senza fondamenta. Con il tempo,
semplicemente, avviene una maturazione fisica e quindi,
conseguentemente, anche vocale. Detto ciò, anche il tipo di
repertorio che si affronta, pur con la medesima tecnica di
base, richiede di utilizzare in maniera diversa il nostro
strumento. Ogni autore ha uno stile tutto suo, l’importante è
cantare con la propria voce e non forzare; è la voce stessa
che ci suggerisce quali ruoli affrontare, l’importante è
saperla ascoltare e non andare mai oltre. Per il momento
preferisco concentrarmi sul mio terreno d’elezione, ovvero il
belcanto e il repertorio francese dell’Ottocento. Non voglio
bruciare le tappe, ma assaporare tutto il bel repertorio che
la mia vocalità può affrontare al meglio in questo momento.

C’è un titolo in particolare che le farebbe piacere debuttare?
Forse non dovrei dirlo per scaramanzia, perché lo aspetto da
tempo ma non si è ancora presentata l’occasione. Ne potrei
citare diversi: se in questo momento ne dovessi scegliere solo
uno, direi Charlotte del Werther di Massenet, lo trovo un
ruolo meraviglioso. È interessante sia dal punto di vista
vocale che interpretativo; mi piacerebbe dare voce a questa
magnifica donna perché si tratta di un personaggio molto
intenso ed emotivamente profondo: è una ragazza semplice,
sensibile e con una spiccata emotività, lascia parlare il suo
cuore, soffre intensamente per amore: un vero capolavoro.

Un ruolo che la affascina più di tutti ma che non potrà mai
cantare, poiché distante dalla sua vocalità?
Anche qui potrei elencarne svariati: quanta bella musica
abbiamo, non basta un vita! Mi piacciono i personaggi intensi
e appassionati, come Cio-Cio-San e Liù, come non amare
Puccini. Oppure, perché no, Rusalka di Dvořák per poter
interpretare la meravigliosa “Canzone alla luna”.

Dove potremo ascoltare nuovamente Annalisa Stroppa in futuro?
Dopo Rosina qui a Genova sarò Adalgisa in Norma al San Carlo
di Napoli, per poi vestire i panni di Carmen in Spagna, a
Palma de Mallorca. Da fine marzo agli inizi di aprile sarà,
invece, la volta di Verona con un titolo meno conosciuto,
Amleto di Franco Faccio; il Barbiere mi porterà
successivamente a Monaco di Baviera, Budapest e Savonlinna, in
Finlandia. A maggio sarò nuovamente Carmen a Wiesbaden e,
dulcis in fundo, in agosto mi attende un bel concerto
sinfonico sulle note di Rossini e Respighi al Bregenzer
Festspiele, in Austria.
Photo credit: Victor Santiago

Photo credit: Victor Santiago
Annalisa Stroppa durante le prove del
Barbiere di Siviglia a Dresda, 2018
Annalisa Stroppa nel backstage del
Barbiere di Siviglia interpretato a
Berlino
Annalisa Stroppa è Rosina al Teatro Carlo
Felice di Genova – Photo credit: Marcello
Orselli

Annalisa Stroppa è Rosina al Teatro Carlo
Felice di Genova – Photo credit: Marcello
Orselli

Cecilia Bartoli – Farinelli
(Decca CD)
È ormai risaputo come Cecilia Bartoli sia un’artista eclettica
e imprevedibile, mai scontata in quello che fa e, se vogliamo,
volutamente ironica e autoironica. Lo ha dimostrato
soprattutto negli ultimi anni, debuttando in ruoli come, per
esempio, Norma o Maria di West Side Story che, sulla carta,
avranno fatto storcere il naso a molti ma, a conti fatti, sono
risultati vincenti, oppure proponendo album musicali dai
programmi desueti, quasi di nicchia, e dalle copertine
scanzonate, per nulla ortodosse.

La conferma viene da Farinelli, il suo ultimo CD distribuito
in queste settimane dalla casa discografica Decca, sul cui
frontespizio campeggia un primo piano a mezzobusto della
cantante romana, ritratta a petto nudo e a braccia incrociate
per coprire il seno, i capelli sciolti, gli occhi truccati, le
unghie smaltate di nero e…una mascolina barba scura.
Un’immagine transgender intenzionalmente provocatoria,
icastica e graffiante, ma certo non così disturbante o da far
gridare allo scandalo, in particolare per chi ha avuto la
possibilità di ascoltare la Bartoli nell’Ariodante di Händel
andato in scena a Salisburgo nel 2017 e nel Principato di
Monaco qualche mese fa, dove inizialmente la protagonista si
presenta con abiti e fattezze virili. Il disco è corredato di
un libretto con due brevi saggi in inglese, francese e tedesco
a firma di Markus Wyler e Alexandra Coghlan, di una tabella
cronologica della vita di Farinelli, dei testi delle arie.
Contiene inoltre un ricco apparato iconografico dove Cecilia
Bartoli gioca con fluidità sull’ambiguità uomo-donna dei
cantori evirati.

L’incisione è un omaggio della durata di un’ora e un quarto
alla figura iconica di Carlo Broschi detto Farinelli, uno dei
castrati più celebri della storia del melodramma, vero e
proprio divo dello star system teatrale del Settecento. In
questo florilegio di undici brani, due dei quali mai incisi
prima d’ora, tratti da composizioni di Porpora, Hasse,
Broschi, Giacomelli, Caldara, un viaggio tra personaggi
maschili e femminili, donna Cecilia è accompagnata ancora una
volta da una compagine orchestrale di gran livello
specializzata nell’esecuzione del repertorio antico, Il
Giardino Armonico, guidata con brio, fermezza e precisione dal
suo direttore, Giovanni Antonini. Rispondendo con sicurezza e
vivacità alle intenzioni e alle scelte di Antonini, l’ensemble
predispone un prezioso tappeto sonoro, cangiante nelle cromie
e dinamico nell’agogica.

Apre la tracklist “Nell’attendere il mio bene” dal Polifemo di
Nicola Porpora, brano dal piglio guerresco dove la Bartoli
brilla per infiorettature e vocalizzi eterei, sciorinati con
facilità, precisione ed estrema naturalezza. Sempre di Porpora
ma di sapore arcadico e malinconico, dalla delicata musica
pastellata, in “Vaghi amori, grazie amate” da La festa
d’Imeneo si apprezzano ragguardevoli e flautate messe di voce.
Cambio di registro con “Morte col fiero aspetto” dal
Marc’Antonio e Cleopatra di Johann Adolph Hasse, improntato a
ritmi orchestrali sostenuti, dominati da puntute colorature
vocali emesse con fluidità. In “Lontan dal solo e caro […]
Lusingato dalla speme” dal Polifemo, con intervento dell’oboe
solista di Pier Luigi Fabretti, si ammirano la luminosità del
timbro della cantante, a tratti sopranile nel colore, nonché
la spiccata sensibilità musicale, mentre in “Chi non sente al
mio dolore” da La Merope di Riccardo Broschi emergono i gravi
scuri, quasi androgini, tipici della Bartoli, e note alte
fulminanti nella loro sfacciata lucentezza. Dalla Semiramide
Regina dell’Assiria di Porpora proviene l’aria “Come nave in
ria tempesta”, contraddistinta da picchettati adamantini e
vorticosi, emessi con sfrontatezza, e da agogiche rapinose; un
fraseggio scavato, minuziosamente cesellato e intriso di
pathos, e linee di canto più rilassate e ampie sono, invece,
la cifra stilistica del successivo “Mancare o Dio mi sento”
dall’Adriano in Siria di Geminiano Giacomelli.
Un tono battagliero caratterizza “Sì, traditor tu sei” da La
Merope di Broschi, in cui si ammirano la duttilità dello
strumento vocale del mezzosoprano e la sua espressività
pugnace e accesa; la nitidezza nell’emissione e nel porgere la
parola contrassegna “Questi al cor fin’ora ignoti” da La morte
d’Abel di Antonio Caldara. In “Signor, la tua speranza […] A
Dio trono, impero a Dio” dal Marc’Antonio e Cleopatra
affiorano, soprattutto, una musicalità raffinata, la notevole
dimestichezza nel passare velocemente da tempi dilatati ad
altri spediti, una recitazione incisiva nel parlato, di forte
carica espressiva. Chiude l’elenco dei brani una perla di
struggente malinconia, “Alto Giove” dal Polifemo, dove emerge
in toto il lato maggiormente lirico e intenso della Bartoli,
grazie a trilli e filati adamantini, una buona tenuta dei
fiati, un’interpretazione sofferta e introspettiva.
Quest’ultimo è inciso assieme all’ensemble Les Musiciens du
Prince-Monaco, nato nel 2016 proprio su iniziativa di Cecilia
Bartoli, diretto con gusto da Gianluca Capuano. [Rating:4.5/5]

                          FARINELLI
                     Il Giardino Armonico
                 Direttore Giovanni Antonini
                 Mezzosoprano Cecilia Bartoli
                            Decca
                         Formato: cd

Como, Teatro Sociale – Aida
Correva l’ormai lontano 2001 quando, in occasione del
centenario di morte di Giuseppe Verdi, si decise di mettere in
scena, nel minuscolo Teatro di Busseto (sette metri di
proscenio e una capienza di duecentocinquanta posti), una
delle opere più monumentali del compositore, Aida. A volere
fortemente tale celeberrimo titolo su libretto del lecchese
Antonio Ghislanzoni, accettando la sfida di allestirlo nello
spazio ridotto del teatrino-bomboniera curandone regia e
scenografie, fu il compianto Franco Zeffirelli, fautore di un
vero e proprio gioiellino, una “Aidina piccola piccola ma
immensamente grande”, come l’ha definita il maestro stesso,
riproposta quest’anno dal Teatro Regio di Parma in
coproduzione con OperaLombardia.
Di solido impianto tradizionale lo spettacolo, oggi ripreso
con dimestichezza da Stefano Trespidi, è un cammeo prezioso in
cui emergono in toto le caratteristiche dell’arte
zeffirelliana: una maniacale cura di ogni singolo particolare;
un gusto estetizzante oleografico, spesso sfociante nel
barocchismo; un saldo rigore formale; una grandeur quasi
liturgica; la fedeltà filologica al testo e al dettato; il
perseguimento del Bello assoluto, il tutto forgiato e
unificato da un’imaginifica potenza creatrice. Nella
fattispecie, l’Aida qui recensita, vista sulle tavole del
Teatro Sociale di Como in un piovoso pomeriggio di inizio
dicembre, è un profluvio di oro, bassorilievi, geroglifici,
gigantesche statue di divinità nilotiche, incenso profumato,
ieratici soldati dipinti di blu acceso; un antico Egitto
solivo e al contempo notturno, sacrale e misterioso,
voluttuoso e fantasioso, dalla dimensione maggiormente privata
e intimistica. In tale struttura, dove la recitazione dei
solisti e delle masse è improntata a una gestualità tutto
sommato convenzionale, a tratti rituale, viene dato maggiore
rilievo alle emozioni e agli affetti dei personaggi, filtrati
come attraverso una lente d’ingrandimento: per esempio, a
inizio del I atto Radamès e Amneris si baciano
appassionatamente, provocando lo sgomento di Aida; oppure,
durante il Finale secondo, la schiava etiope e il condottiero
si scambiano uno sguardo intenso. E, vivaddio, Aida è truccata
di nero, con buona pace dei benpensanti (veri o presunti tali)
e del politicamente corretto che imperversa ai giorni nostri,
fautori di un’inspiegabile battaglia contro il blackface.
Fastosi ed eleganti i bei costumi di Anna Anni, ripresi da
Lorena Marin ed estremamente curati (si vogliono citare almeno
i due semplici abiti indossati dalla protagonista, giocati
sulle cromie del rosso nei primi due atti e del blu negli
ultimi due, che rimandano alla foggia degli indumenti
femminili in cotone in uso in Africa orientale); solenni le
coreografie di Luc Bouy nel I atto (vengono infatti tagliati
tutti i ballabili del II atto), guidate dalla valida e
aggraziata ballerina solista Giorgia Giancon nei panni di una
spirituale sacerdotessa del tempio di Vulcano; potentemente
atmosferiche ed evocative le luci di Fiammetta Baldiserri,
come sempre garanzia di qualità.

Sul podio dell’Orchestra I Pomeriggi Musicali, con gusto
Francesco Cilluffo dà vita a una lettura vibrante e tesa, di
sapore quasi novecentesco in alcuni passaggi (a titolo
esemplificativo, si menzionino le taglienti percussioni nella
gran scena del giudizio di Radamès), dosando sapientemente le
parti di maggior trionfalismo, improntate a sonorità piene e
rutilanti ma mai soverchianti o bandistiche, e soffici
pennellate di suono nuancée e perlaceo, in particolare
nell’incipit dell’atto III o nel Finale ultimo.

Vocalità   pastosa   del   colore   del   caramello   ed   emessa
morbidamente, omogenea in tutti i registri e corposa in acuto,
Maria Teresa Leva impersona una protagonista determinata,
combattiva, passionale e, al contempo, affranta; nella scena
“Ritorna vincitor!” e, ancor più, nella romanza “O cieli
azzurri”, entrambe accolte da scroscianti applausi a scena
aperta, il soprano dà prova di una salda tenuta dei fiati,
esibendo con grazia e precisione messe di voce e filati di
impalpabile, serica consistenza, di suggestiva bellezza.
Grazie a uno strumento vocale rigoglioso e sonoro,
timbricamente caldo,  facile  all’acuto  ed emesso
stentoreamente, e servendosi di un fraseggio enfatico, a
tratti poco approfondito, il tenore Samuele Simoncini delinea
un Radamès eroico, poderoso, scenicamente prestante,
affrontando complessivamente con sicurezza la romanza “Celeste
Aida”, anch’essa applaudita dal pubblico.
L’Amneris di Cristina Melis si distingue per una voce
mezzosopranile ambrata, vellutata nelle note basse, lucente in
quelle alte, come ampiamente dimostrato soprattutto nel quarto
atto, dove conclude l’impegnativa Scena del Giudizio con un la
timbrato e sfolgorante. L’attrice è, poi, credibile,
interpretando una donna risoluta e innamorata, non la solita
virago alla quale siamo spesso abituati.
Il baritono coreano Leon Kim è un Amonasro solido, vocalmente
tonante e vigoroso nella recitazione, avaro di sfumature nel
porgere la parola. Statuario e maestoso il Ramfis del basso
Fabrizio Beggi; composto il Re d’Egitto di Francesco Milanese;
ben caratterizzato il messaggero di Alessandro Mundula;
musicale la sacerdotessa di Teresa Di Bari.
Centrati ed espressivi gli interventi del Coro OperaLombardia,
guidato con padronanza da Diego Maccagnola.
Teatro quasi esaurito e festante successo di pubblico, con
ovazioni specialmente per Leva, Simoncini, Melis e Cilluffo.
Un riuscito, gradito e doveroso omaggio alla memoria e
all’arte del maestro Zeffirelli, scomparso lo scorso 15
giugno. [Rating:4/5]

              Teatro Sociale – Stagione 2019/20
                             AIDA
               Opera drammatica in quattro atti
                Libretto di Antonio Ghislanzoni
                   Musica di Giuseppe Verdi

                    Aida Maria Teresa Leva
                  Radamès Samuele Simoncini
                    Amneris Cristina Melis
                      Amonasro Leon Kim
                    Ramfis Fabrizio Beggi
              Il Re d’Egitto Francesco Milanese
               Una sacerdotessa Teresa Di Bari
               Un messaggero Alessandro Mundula

                Orchestra I Pomeriggi Musicali
                     Coro OperaLombardia
                 Direttore Francesco Cilluffo
              Maestro del coro Diego Maccagnola
 Regia e scene Franco Zeffirelli riprese da Stefano Trespidi
          Costumi Anna Anni ripresi da Lorena Marin
                  Luci Fiammetta Baldiserri
                     Coreografia Luc Bouy
              Assistente regia Giulia Bonuccelli
Assistente costumi Sara Tosoni
       Allestimento realizzato per il Teatro di Busseto
  in occasione del primo centenario della morte di Giuseppe
                            Verdi,
              ripreso dal Teatro Regio di Parma
        in coproduzione con i Teatri di OperaLombardia
                    Como, 1 dicembre 2019

Photo   credit:   Alessia
Santambrogio

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Bergamo, Donizetti Opera 2019
– Lucrezia Borgia
Da qualche anno a questa parte sempre più teatri italiani
hanno preso la buona abitudine di proporre, in cartellone,
titoli basati su nuove edizioni critiche o versioni desuete,
in un fertile lavoro filologico di riscoperta e valorizzazione
dell’eredità operistica. Ben ha fatto, quindi, il Donizetti
Opera a mettere in scena, in chiusura di festival, una
composizione celebre come Lucrezia Borgia nell’edizione
critica a cura di Roger Parker e Rosie Ward in collaborazione
con Casa Ricordi e con il contributo del Comune di Bergamo e
della Fondazione Teatro Donizetti, optando per la variante del
Théâtre Italien di Parigi del 31 ottobre 1840 (partendo
comunque da quella solitamente eseguita, che debuttò al Teatro
alla Scala il 26 dicembre 1833, in un riuscito ibrido tra le
due). Opera seria in un prologo e due atti su libretto di
Felice Romani dall’omonima tragedia di Victor Hugo, in essa
Gaetano Donizetti dipinge una protagonista dall’accentuato
aspetto larmoyant e patetico, una madre inquieta e preoccupata
per il destino del figlio segreto Gennaro, per il quale nutre
un sentimento casto e ostinato: una lettura, quindi, lontana
da quella a tinte fosche della tradizione, che vede nella
duchessa di Ferrara rampolla di papa Alessandro VI una
assassina incestuosa e peccaminosa (sebbene nel finale si
macchierà dell’involontario omicidio dell’amato discendente).

Nella raccolta cornice del Teatro Sociale di Bergamo va in
scena un nuovo allestimento in coproduzione con la Fondazione
Teatri di Reggio Emilia, la Fondazione Teatri di Piacenza, la
Fondazione Ravenna Manifestazioni e la Fondazione Teatro
Lirico Giuseppe Verdi di Trieste. Il giovane regista Andrea
Bernard concepisce uno spettacolo potentemente umano e
simbolico, ricco di     spunti interessanti, concentrato
principalmente su di    una sfaccettatura del personaggio
Lucrezia, il suo essere madre. Sin dall’ouverture compaiono,
difatti, oggetti o gesti allusivi alla sua vocazione materna:
la donna regge tra le braccia un bimbo in fasce e lo allatta
al seno; il latte materno fungerà da antidoto contro il veleno
assunto da Gennaro; nel secondo atto compariranno sul
palcoscenico cinque candide culle in legno bianco. E, nello
straziante finale, mentre intona lo struggente “Era desso il
figlio mio”, la protagonista si ferirà ripetutamente con un
pugnale proprio al petto, fonte di nutrimento e mezzo di
contatto tra mamma e neonato nei primissimi mesi di vita, per
sottolineare (con tanto di realistici fiotti di sangue che
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