Stima dei parametri di sorgente: applicazione all'Irpinia

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Stima dei parametri di sorgente: applicazione all'Irpinia
Università degli Studi di Napoli “Federico II”

 Scuola Politecnica e delle Scienze di Base
 Area Didattica di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali

 Dipartimento di Fisica “Ettore Pancini”

 Laurea triennale in Fisica

 Stima dei parametri di sorgente:
 applicazione all’Irpinia

Relatori: Candidato:
Prof. Gaetano Festa Claudio Strumia
Dott. Antonio Scala Matricola N85001190

 A.A. 2019/2020
Stima dei parametri di sorgente: applicazione all'Irpinia
SOMMARIO
INTRODUZIONE .................................................................................................................................... 2
1 MODELLI DI SORGENTE SISMICA .................................................................................................. 3
 LA SORGENTE SISMICA .......................................................................................................... 3
 IL SISMOGRAMMA ................................................................................................................ 4
 LA FUNZIONE DI GREEN DELL’ELASTODINAMICA ................................................................. 7
 FENOMENOLOGIA DELLA ROTTURA ..................................................................................... 8
 LA SORGENTE PUNTIFORME ............................................................................................... 11
 MODELLI DI SORGENTE ....................................................................................................... 13
 L’INTENSITA’ DI UN TERREMOTO: SCALE DI MAGNITUDO ................................................. 17
2 STIMA DEI PARAMETRI DI SORGENTE ........................................................................................ 20
 METODI INVERSI .................................................................................................................. 21
 STIMA DEI PARAMETRI ........................................................................................................ 25
 APPLICAZIONE: IL MODELLO DI BRUNE GENERALIZZATO ................................................... 29
3 PARAMETRI DI SORGENTE PER EVENTI IN IRPINIA ..................................................................... 33
 CASO STUDIO: EVENTO DI SANT’ANDREA DI CONZA – M2.5 ............................................. 33
 PARAMETRI DI SORGENTE AL VARIARE DELLA MAGNITUDO ............................................. 39
CONCLUSIONI ..................................................................................................................................... 47
BIBLIOGRAFIA ..................................................................................................................................... 48

 1
Stima dei parametri di sorgente: applicazione all'Irpinia
INTRODUZIONE
In questo elaborato analizzerò la sorgente sismica nel caso particolare di eventi di magnitudo bassa
o moderata, che rientrano in quella che è definita microsismicità. Questo argomento è di particolare
interesse, in quanto si considerano terremoti che si verificano con elevata frequenza e che possono,
ad oggi, essere registrati grazie alla densità delle reti sismiche di cui si dispone. L’evoluzione delle
tecnologie di acquisizione permette, infatti, di registrare con un elevato rapporto segnale-rumore
un grande numero di questi eventi.
L’interesse nella caratterizzazione della microsismicità è motivato da differenti aspetti: innanzitutto
è fondamentale capire se questi fenomeni possano risultare pericolosi, di conseguenza è necessario
un monitoraggio continuo degli stessi; la possibilità di ricavare informazioni sull’evoluzione della
sismicità, in particolare analizzare potenziali fasi preparatorie di grandi eventi, permetterebbe
notevoli passi in avanti per quanto concerne la previsione dei terremoti. Inoltre, lo studio della
microsismicità consente di ottenere informazioni sulla meccanica delle faglie sulle quali avvengono,
in termini di stato di sforzo e attrito, così da vincolare, con approcci di simulazione, scenari relativi
all’occorrenza di grandi eventi che fratturino le stesse faglie. Infine, la microsismicità consente,
attraverso tecniche tomografiche, di investigare il mezzo attraversato dalle onde generate dai
terremoti e studiarne le variazioni nel tempo. In queste analisi centrale è la comprensione dei
processi che dipendono dalla scala spaziale a cui li si osserva e di quelli che sono invarianti. In molti
studi, ad esempio, lo stress drop, lo sforzo rilasciato durante l’occorrenza di un evento sismico, è
indipendente dalla magnitudo dello stesso (e.g. Cocco et al., 2016).
Il lavoro è suddiviso in tre capitoli; nel primo di questi si comincia con la descrizione fenomenologica
e funzionale della sorgente sismica; in particolare si delinea il limite tra la schematizzazione di
sorgente estesa e puntiforme, in relazione alla banda di frequenze osservata. Si procede
introducendo gli elementi di meccanica del continuo utilizzati per modellizzare il processo di rottura
del piano di faglia, arrivando così a definire lo stress drop; quindi, si descrivono le grandezze che
caratterizzano l’evento sismico, quali i parametri di sorgente, relativi ai diversi modelli di frattura
utilizzati per la sua descrizione, come il modello di Brune, sul quale si basa l’analisi contenuta nel
terzo capitolo. Infine, sono definite le scale di magnitudo, utilizzate per caratterizzare l’intensità dei
terremoti.
Il secondo capitolo contiene le basi teoriche necessarie per risolvere il problema della stima dei
parametri di sorgente di un terremoto a partire dai dati, che risiedono nella teoria dell’inversione;
in particolare, si introduce l’approccio probabilistico Bayesiano per la risoluzione del problema
inverso, così da fornire le informazioni necessarie per interpretare i risultati dell’ultima sezione.
Il terzo capitolo tratta dell’applicazione di SPAR (Source PARameter estimator) a diversi eventi
sismici individuati a partire dal bollettino ISNet (Irpinia Seismic NETwork). Inizierò dalla stima dei
parametri relativi ad un singolo evento sismico, così da illustrare il processo di inversione dei dati, e
fornire un percorso di interpretazione dei i risultati ottenuti. Successivamente analizzerò 16
terremoti, di magnitudo momento 1.0  M W  3.0 .

In questa analisi, sebbene ristretta ad un numero esiguo di eventi rispetto all’attività microsismica
effettiva, si investigherà il ruolo relativo al numero e alla qualità delle registrazioni nell’ accuratezza
della stime delle grandezze che caratterizzano la sorgente.

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Stima dei parametri di sorgente: applicazione all'Irpinia
1 MODELLI DI SORGENTE SISMICA
In questo capitolo si vogliono delineare modelli e concetti teorici che sono alla base dei metodi
utilizzati nel seguito di questo elaborato. In particolare, si andrà a descrivere la sorgente sismica,
ponendo l’attenzione sui modelli matematici che ne descrivono le caratteristiche, per poi analizzare
la fenomenologia del processo di rottura che dà origine all’evento sismico. Successivamente, si
vogliono delineare i parametri necessari per la caratterizzazione della zona di fratturazione, nel caso
in cui questa sia descrivibile come puntiforme; infine, si andranno a formalizzare i modelli teorici
che possono essere applicati ad una sorgente che sia invece descritta come estesa.

 LA SORGENTE SISMICA
La sorgente sismica è la zona in cui si origina il processo di rottura delle rocce, che porta alla
generazione delle onde elastiche all’interno della Terra, e dunque produce il terremoto. Tale zona
può essere descritta come una superficie, la faglia, la quale, in seguito ad una variazione locale del
tensore degli sforzi, può fratturarsi. Questa rottura porta alla generazione di onde di volume , che si
dividono in onde P e onde S, le quali rappresentano la soluzione dell’equazione dell’elastodinamica
in assenza del termine sorgente: le prime sono onde longitudinali, ovvero generano una
deformazione parallela alla direzione di propagazione, hanno una velocità maggiore all’interno della
terra ed infatti giungono prima in superficie; le seconde invece sono onde trasversali, quindi il moto
delle particelle di materiale in cui si propagano è ortogonale alla direzione di propagazione del
vettore d’onda, e giungono in superficie dopo la fase P, generando nella gran parte dei casi un moto
del suolo parallelo allo stesso e risultando dunque maggiormente dannose per le strutture e le
abitazioni. Considerando un piccolo volume di roccia, l’effetto della diversa polarizzazione delle
onde produce contrazioni e dilatazioni per le onde P e deformazioni di taglio senza variazioni di
volume per le onde S (Figura 1.1).

 Figura 1.1 - Volumetto materiale durante la propagazione di onde P e S.

Qui ci concentreremo sulla sorgente, fornendone in particolare una descrizione cinematica, ovvero
caratterizzando la frattura senza preoccuparci del bilancio energetico e delle forze sulla faglia o della
loro variazione nel tempo. Seguendo questo approccio, vanno considerate due diverse
approssimazioni della sorgente, in relazione alle grandezze che entrano in gioco:

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Stima dei parametri di sorgente: applicazione all'Irpinia
-Sorgente puntiforme: permette di stimare dalle osservazioni un insieme di parametri che
caratterizzano globalmente la sorgente sismica, come ad esempio il momento sismico.
-Sorgente estesa: permette di stimare le variazioni spaziali dei parametri di sorgente, a partire dalla
geometria della zona di frattura.
Per proseguire nella trattazione vanno descritti i limiti entro i quali valgono le diverse
approssimazioni, e ciò può essere fatto considerando le dimensioni relative di tre grandezze
caratteristiche:  , la lunghezza d’onda del segnale osservato, r , la distanza tra ricevitore e
sorgente, e L , la dimensione lineare della sorgente.
 L, r  → sorgente estesa ed approssimazione ad alta frequenza

 r  L → sorgente puntiforme e analisi a bassa frequenza
Questi diversi approcci saranno approfonditi nelle prossime sezioni, e sarà possibile vedere come
nei due casi si riescono ad analizzare diversi aspetti della sorgente.

 IL SISMOGRAMMA
Nella trattazione cinematica è fondamentale costruire una rappresentazione funzionale della
sorgente, e per fare ciò si può ricorrere all’utilizzo dell’operatore di convoluzione. Questo può essere
definito per due funzioni generiche h(t ) e g (t ) nel dominio del tempo come:
 +
 h(t )  g (t ) =  h(t )  g (t −  )dt
 −
 (1)

L’importanza del prodotto di convoluzione risiede nel fatto che sotto l’azione della trasformata di
Fourier, quindi passando nello spazio delle frequenze, questo diventa un semplice prodotto, ovvero:

  h(t )  g (t ) = 2 h( ) g ( ) (2)
Dove h ( ) e g ( ) sono le trasformate delle due funzioni di partenza.

La necessità di questo operatore deriva dal fatto che un osservatore sulla superficie non “vede”
direttamente la sorgente, bensì osserva il moto del suolo attraverso il sismogramma, il quale
rappresenta la velocità (o un’altra grandezza cinematica) nel punto in cui è posto il ricevitore.
Dunque, tramite la convoluzione, che permette di esprimere la relazione tra un segnale in ingresso
e uno in uscita, è possibile scomporre il sismogramma in tre funzioni differenti, tra le quali la
cosiddetta funzione sorgente. Nel caso di un terremoto il sismogramma, indicato con una funzione
u (t ) , è esprimibile come convoluzione di tre funzioni distinte: S (t ) che rappresenta la sorgente;
 I (t ) che descrive lo strumento che registra il segnale; P (t ) che è invece una funzione la quale
descrive il mezzo attraverso cui passa il segnale, ovvero la Terra. La convoluzione nel domino del
tempo potrà allora essere scritta come
 u (t ) = S (t )  P(t )  I (t ) (3)
Prendendo in considerazione la dipendenza dalla posizione del problema generale, la convoluzione
deve essere riscritta introducendo le variabili spaziali rispetto ad un sistema di riferimento fissato in

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Stima dei parametri di sorgente: applicazione all'Irpinia
cui x rappresenta la posizione del ricevitore, mentre ξ descrive la posizione della sorgente. La
convoluzione, in cui le variabili sono rese esplicite risulta quindi

 u(x, t ) = S ( , t )  G(x,  , t )  I (x, t ) (4)
In cui la funzione G (x,  , t ) è detta funzione di Green, e descrive l’effetto del mezzo sulle onde
sismiche. Nel seguito verrà approfondito il significato di tale funzione, e sarà messo in evidenza
come quest’ultima influisca sull’ampiezza del segnale. Si osserva come l’utilizzo della convoluzione
permette di esprimere il sismogramma come un prodotto nel passaggio al dominio delle frequenze.
La funzione I (t ) rappresenta invece la risposta dello strumento, e può considerarsi nota a partire
da un’operazione di calibrazione dello stesso.
Infatti, per quanto riguarda il sistema di acquisizione del segnale sismico si intende uno strumento
la cui funzione di risposta è ben definita. In generale si possono avere due tipi di dispositivi: la
stazione sismica, o sismografo, che ha il compito di fornire un segnale elettrico che descriva il
transiente del fenomeno sismico; il sismometro, o geofono, il quale invece fornisce un segnale
relativo all’effettivo moto del suolo nel luogo in cui è posto lo strumento. La descrizione di
quest’ultima classe di strumenti può essere fatta sulla base di modelli fisici piuttosto semplici, e che
permettono di capire come sarà il segnale in uscita in relazione alla frequenza del segnale registrato
in ingresso.
Per il sismometro si può immaginare di descriverne il funzionamento a partire da un pendolo
meccanico smorzato (Figura 1.2). Si costruisce dunque un sistema di riferimento inerziale rispetto
alla terra costituito da una massa M appesa ad una molla di costante elastica k e lunghezza a
riposo l0 , e si indica lo spostamento di tale massa rispetto al suolo con z ( t ) ; si considera poi un
fattore di smorzamento proporzionale alla derivata prima dello spostamento della massa, ovvero
z ( t ) , tramite un fattore D .

 Figura 1.2-Schema di un pendolo meccanico smorzato.

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Stima dei parametri di sorgente: applicazione all'Irpinia
Lo smorzamento si ottiene collegando il suolo con la massa attraverso un pistone, in modo che il
sismografo smetta di registrare il segnale quando si giunge alla fine dell’evento sismico.
Considerando il moto del suolo, descritto dalla funzione x ( t )

L’ equazione di Newton ha la forma

 M  z ( t ) + x ( t ) + Dz ( t ) = f ( t ) − k  z ( t ) − l0  (5)
Per semplificare si definisce z ( t ) = z ( t ) − l0 , così che l’espressione precedente diventi

 M  z ( t ) + x ( t ) + Dz ( t ) = f ( t ) − kz ( t ) (6)
Per ottenere la funzione di risposta dello strumento si suppone la soluzione armonica per le tre
funzioni dipendenti dal tempo
 z ( t ) = Ze −it f ( t ) = Fe−it x ( t ) = Xe −it
 F
 −2 X − (7)
 Z= M
 D k
  2 + i −
 M M
Adesso è possibile definire due quantità per semplificare la forma del denominatore, che
rappresentano rispettivamente la frequenza angolare propria del sistema, e il rapporto tra il
coefficiente di smorzamento e lo smorzamento critico.

 k
 0 =
 M
 D
 h= (8)
 20 M
 F
 −2 X −
 Z = 2 M
  + i 2h0 − 0 2
Il segnale osservato giunge dopo una conversione da segnale analogico a digitale, e considerando
l’assenza di forze esterne ( F = 0 ) , ciò può essere espresso tramite un fattore di trasduzione G , per
cui il segnale effettivo in uscita, nel dominio delle frequenze, risulta essere

 −G 2 X
 U = GZ = (9)
  2 + i 2h0 − 0 2
Nella pratica la trasduzione avviene attraverso l’uso di una semplice bobina di lunghezza l attaccata
alla molla e solidale alla massa M , posta tra due poli di un magnete permanente (Figura 1.3). Quello
che accade è che il moto del suolo fa muovere la molla e dunque la bobina, così che si abbia una
variazione del flusso di campo magnetico all’interno della stessa, e grazie alla legge di Faraday-
Neumann-Lenz questo genera una differenza di potenziale che si oppone a tale variazione, nella
forma

 V ( t ) = lBx ( t ) (10)
Per calibrare uno strumento di questo tipo e conoscere la funzione I (t ) è necessario ottenere la
relazione tra l’ingresso e l’uscita dello strumento. Si utilizza in tal caso una bobina di calibrazione, e

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Stima dei parametri di sorgente: applicazione all'Irpinia
si genera in questa una forza elettromagnetica esterna nota. Dato che il sismografo può essere
considerato lineare, a un segnale di tipo sinusoidale in ingresso ne corrisponde uno analogo in
uscita, e il modulo del rapporto tra le ampiezze dei due segnali in questione, a quella frequenza,
permette di trovare la funzione di risposta che lega l’ingresso e l’uscita dello strumento.
Data la possibilità di conoscere funzione di risposta dello strumento è dunque possibile assumerla
nota.

 Figura 1.3 - Schematizzazione di un geofono elettromagnetico.

 LA FUNZIONE DI GREEN DELL’ELASTODINAMICA
Come visto nella precedente sezione, il sismogramma dipende direttamente dalla funzione di Green.
Questa corrisponde alla soluzione dell’equazione dell’elastodinamica in presenza di un termine di
sorgente localizzato, uni-direzionale ed impulsivo nel mezzo di propagazione. Nel caso di un mezzo
omogeneo ed isotropo, l’equazione è la seguente

  2u
  2 = ( + 2 )  (  u) −     u + f (11)
 t
In cui f costituisce il termine di forza esterna, rappresentabile come una delta di Dirac, mentre 
e  sono le costanti di Lamé, e  rappresenta la densità del mezzo.

La soluzione di questa equazione viene utilizzata nella descrizione della sorgente, in particolare
nell’approssimazione di far field, che è valida nel limite in cui le lunghezze d’onda del segnale siano
piccole rispetto alla distanza tra la sorgente e il ricevitore, ovvero  r . Sperimentalmente si è
trovato che i valori per i quali è applicabile tale approssimazione sono r  ( 3  4 )  .

In queste condizioni lo spostamento al ricevitore dovuta ad una fase sismica di velocità c può essere
espressa nella forma

 u c ( r, t ) =  Gc FF r, ξ, t , tR ( ξ )   u ξ, t − t R ( ξ ) − tc ( ξ, r ) d  (12)
 

In cui l’integrale è sulla superficie di faglia  ; u è la derivata della funzione sorgente, detta velocità
di dislocazione; t R è il tempo di rottura dell’elemento della superficie di faglia; tc è il tempo di
propagazione del segnale fino al ricevitore dal punto ξ della faglia; Gc FF è infine la funzione di
Green nell’approssimazione di far field. Nel caso in cui si considera il mezzo di propagazione

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Stima dei parametri di sorgente: applicazione all'Irpinia
illimitato, omogeneo, isotropo, ed elastico la precedente equazione diventa, esplicitando la
funzione di Green

   c
 u ( r, t ) = u ξ, t − t R ( ξ ) − tc ( ξ, r )  d 
 4 c3 
 c
 (13)
 
 r −ξ
Dove  c è detto diagramma di radiazione e dipende dal meccanismo di dislocazione alla faglia.

In questa espressione è importante notare come, nelle approssimazioni fatte, la funzione di Green
contribuisca al sismogramma tramite un termine di attenuazione geometrica di tipo potenza  r −1
dipendente dalla posizione sulla superficie di faglia da cui si origina il segnale: questo deriva dal fatto
che, nell’approssimazione di sorgente estesa, la superficie di faglia può essere vista come un insieme
di punti, ognuno dei quali è una sorgente puntiforme di onde sismiche. Il termine di attenuazione
dato dalla funzione di Green però non influisce in alcun modo su quella che è la funzione sorgente.
Quest’ultima, infatti, va determinata in base al modello di rottura della faglia, che ne definisce la
forma funzionale.

 FENOMENOLOGIA DELLA ROTTURA
Dal punto di vista fenomenologico la rottura può essere vista come un processo che si evolve in tre
stadi successivi: (1) nucleazione della rottura; (2) propagazione del fronte di rottura; (3) arresto della
rottura. Lo studio teorico e sperimentale di questi processi è detto meccanica della rottura e si basa
su due leggi introdotte da Coulomb e Amonton. La prima di queste esprime lo sforzo di taglio agente
sulla faglia necessaria a provocare la rottura, ed è una semplice relazione lineare:

  rottura
 = c + i n (14)
Qui c è detta coesione, mentre il termine i è detto coefficiente di coesione interna, e  n
rappresenta lo sforzo ortogonale alla superficie di faglia (sforzo normale). Tale criterio di Coulomb
risulta estremamente efficace nella descrizione della rottura, e dalla rappresentazione nel
diagramma di Mohr (grafico in cui si rappresenta il modulo  in funzione dello sforzo  ) si può
ottenere una stima della direzione di rottura della faglia. Nel caso in cui vi sia una rottura
preesistente si utilizza invece la legge di Amonton per esprimere lo sforzo agente sulla faglia:
  = s (15)
In questo caso compare il coefficiente di attrito, il quale ha valori maggiori quando non è ancora
iniziato il moto ed è detto statico, invece quando comincia il processo di dislocazione della faglia
questo viene sostituito con un coefficiente di attrito dinamico, che ha un valore più basso.
Ovviamente la rappresentazione di questa relazione nel diagramma di Mohr coincide con una retta
per l’origine e, analogamente a quanto accade per il criterio di Coulomb, può servire a descrivere la
direzione di rottura.
Amonton suppose che nel caso statico la superficie di faglia presenti delle asperità, le quali,
rompendosi con l’inizio del moto, abbassano l’attrito tra le superfici della faglia. In laboratorio si
osserva che la relazione tra lo sforzo di taglio e la dislocazione della faglia non è liscia, in particolare
non avviene scivolamento relativo fino al raggiungimento di un certo valore di  , oltre il quale
avviene lo spostamento e si verifica una diminuzione istantanea dello sforzo di taglio, finché questo

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Stima dei parametri di sorgente: applicazione all'Irpinia
non raggiunge nuovamente il valore limite in una fase in cui si arresta lo scorrimento , per poi fare
ricominciare il processo. Questo andamento episodico, dovuto alla struttura delle superfici di faglia
che presentano una forma irregolare, viene definito stick-slip.
L’aspetto fondamentale nella descrizione della rottura, dunque, è in questo ciclo, piuttosto che nel
modello di Coulomb. Questo ha permesso di enfatizzare l’importanza della differenza di sforzo tra
prima e dopo la rottura, e questa variazione viene definita stress drop, grandezza che fa parte della
descrizione dinamica del processo di rottura, differentemente alla descrizione statica di Coulomb e
Amonton.

 Figura 1.4- Faglia di area Σ in un corpo di volume V e superficie esterna S. Il
 vettore n indica la direzione normale alla faglia e P individua un punto nel
 sistema di riferimento locale scelto.

Nella pratica si schematizza la faglia come una superficie di separazione Σ, le cui facce si spostano
una rispetto all’altra in corrispondenza della frattura (Figura 1.4). Questo moto relativo è descritto
 ( )
da una funzione u  , t che quantifica la dislocazione (lo slip) della frattura.

 ( ) ( ) ( )
 u  , t = u  , t |+ −u  , t |− (16)
L’andamento di questa funzione può essere descritto dal cosiddetto modello a rampa: si suppone
un tempo in cui la dislocazione resta nulla e poi, una volta raggiunto il valore limite dello sforzo,
comincia il processo di slip e il valore di u diventa  0 , fino al raggiungimento del valore finale
della dislocazione. Il tempo che intercorre per raggiungere la dislocazione massima è detto rise time
o tempo di salita. Nella descrizione a rampa della dislocazione u  , t ( ) si ottiene quindi una
funzione boxcar per la funzione u (Figura 1.5), detta velocità della dislocazione, la quale descrive
la rapidità con cui una particella della faglia passa dalla sua posizione iniziale a quella finale, e
compare, come si è visto, nella forma funzionale del sismogramma.
La dislocazione sulla faglia si propaga lungo un fronte, detto fronte di rottura, e non
necessariamente tale propagazione avviene nella direzione della rottura.
La forma esplicita della funzione sorgente sarà definita a partire dalla modellazione della frattura,
come detto in precedenza. Le ampiezze delle onde sismiche dipenderanno ovviamente da tale
quantità, che varia in funzione del tempo e del punto sulla superficie di faglia.

 9
Figura 1.5- modello a rampa per la dislocazione alla faglia, e la conseguente
 velocità della dislocazione.

Oltre alla funzione sorgente è stata introdotta un’altra grandezza, lo stress drop, che ha un ruolo
importante nella descrizione della rottura. Per una faglia di dimensioni finite si parla di stress drop
statico, e una forma funzionale è fornita dalla legge di Hooke, nella quale si mette in relazione questa
quantità con la dislocazione sulla faglia, tramite una costante di proporzionalità C , adimensionale,
che dipende dalla geometria della faglia

  u 
  = C    (17)
  L 
Dove u rappresenta la dislocazione finale raggiunta dopo il processo di rottura; L è una delle
dimensioni caratteristiche di rottura della faglia (e.g. lunghezza, larghezza); e  è il modulo di
rigidità. La variazione di sforzo è quindi proporzionale allo spostamento che subisce il punto,
rapportato alle dimensioni iniziali della faglia. Questa relazione può essere invertita

 L
 
 u = (18)
 C
Da questa forma è evidente come la funzione sorgente e lo stress-drop siano collegati da costanti, e
di conseguenza, poiché u (t ) dipende dal tempo, anche lo sforzo, prima di raggiungere il suo valore
finale, avrà una dipendenza temporale uguale a quella della dislocazione.
Se si tiene conto di ciò, è possibile schematizzare il fenomeno considerando una variazione dello
sforzo che si propaga con una velocità β all’interno della faglia, così da creare una variazione
istantanea della deformazione  , ovvero il rapporto tra lo spostamento del suolo e lo spazio
percorso nella propagazione dello stress drop

 u ( t ) 
 = = (19)
 t 

 10
E dunque è possibile esplicitare l’andamento della dislocazione in funzione dello stress drop
 
 u ( t ) = t (20)
 
E quindi la derivata sarà direttamente proporzionale alla variazione di sforzo, che mantiene una
forma boxcar. In realtà il comportamento non è esattamente quello di una funzione box, e ciò è
dovuto al fatto che le velocità di propagazione del fronte di rottura v R e la velocità con cui si
espande la variazione di sforzo sono diverse.

 LA SORGENTE PUNTIFORME
Si vuole ora considerare il caso in cui le lunghezze d’onda siano molto maggiori rispetto alle
dimensioni lineari della sorgente, in tal caso non è possibile risolvere l’estensione della faglia, e
dunque la stessa viene descritta come un punto. Si noti che queste condizioni corrispondono al
considerare frequenze basse, ovvero analizzarne il comportamento nel limite  → 0 , e ciò separa
la schematizzazione di sorgente puntiforme da quella estesa.
Nell’approssimazione in esame, si analizzano solo le grandezze medie, e la funzione sorgente
diventerà quindi solo funzione del tempo, in quanto le forze che generano la frattura saranno
applicate in un punto unico e baricentrale, dove se ne considera il loro contributo medio su tutta la
superficie di faglia. In particolare, la dislocazione è dovuta all’azione di una doppia coppia di forze,
le quali provocano la rottura.
Nel caso in cui è possibile assimilare la sorgente ad un punto si può ottenere (fissata la funzione di
Green) lo spostamento ad un ricevitore posto a distanza r dalla sorgente, considerato il mezzo di
propagazione omogeneo ed isotropo

 1 c
 u (t ) =  u (t )  (21)
 4 c3 r
  c ≡ coefficiente di radiazione;

  ≡ modulo di rigidità

  ≡ superficie di faglia

 c ≡ velocità delle onde nel mezzo (questo permette di distinguere u ( t ) per le onde fase S o P)

 u (t ) ≡ velocità della dislocazione alla faglia nel punto baricentrale in funzione del tempo

 1 c
Il termine corrisponde alla funzione di Green calcolata nelle ipotesi semplificative prese
 4 c3 r
 1 1
in considerazione. Infatti, il fattore di attenuazione geometrica non è più ma , e ciò dipende
 r − r
proprio dall’aver assimilato l’intera sorgente a un punto. Inoltre, rispetto alla forma del
sismogramma espressa nella (13), si osserva che il valore medio della dislocazione perde la
dipendenza spaziale dovuta all’estensione della sorgente; in più, essendo indipendente dalla

 11
posizione sulla superficie di rottura, l’integrale sulla superficie di faglia si riduce semplicemente
all’effettiva misura della stessa, rappresentata con  .
Questa espressione per il sismogramma può essere riformulata in termini di una nuova grandezza
che caratterizza la sorgente; chiamando la quantità M 0 ( t ) =  u ( t )  si ottiene un oggetto con
   L 
 2

le dimensioni di un momento   M 0  =  M  2  . Il suo valore finale prende il nome di momento
  T  
 
sismico scalare, e rappresenta il momento di una delle due coppie di forze che generano la
dislocazione una volta applicate sul punto baricentrale della superficie di faglia. Questo momento
appena introdotto costituisce uno dei parametri che diventano importanti nella caratterizzazione di
un terremoto e della sua intensità, come sarà evidenziato in seguito introducendo le scale di
magnitudo.

Riscrivendo ora la forma funzionale del nostro sismogramma u ( t ) :

 c 1
 u (t ) = M 0 (t ) (22)
 4 c3 r
compare esplicitamente la derivata temporale del momento sismico appena introdotto. Di
conseguenza, si può osservare come l’ampiezza dello spostamento al ricevitore aumenti qualora si
abbia un momento M 0 che vari rapidamente nell’intervallo temporale mentre, minore è la rapidità
con cui varia il momento, minore sarà anche l’ampiezza dello spostamento al ricevitore dopo la
propagazione nel mezzo. (Figura 1.6)

 Figura 1.6- Differenza tra la derivata temporale di due momenti scalari, schematizzati con un modello a rampa.
 La pendenza della rampa definisce il valore di che caratterizza il sismogramma.

Tutte queste osservazioni sono ricavate considerando l’approssimazione di sorgente puntiforme e
di campo lontano, ovvero r abbastanza grande da poter trascurare i termini di near field della
 1
funzione di Green, i quali decadono rapidamente con la distanza dalla sorgente (  3 ).
 r

 12
Volendo ora trovare l’espressione del momento scalare M 0 bisogna integrare l’espressione di u (t )
in cui compare la derivata temporale di tale quantità. Integrando si tiene conto di aver fissato
l’origine dei tempi a t0 = 0 , ovvero l’istante in cui inizia la dislocazione alla sorgente, così che gli
estremi di integrazione andranno da 0 a + , in quanto per t  0 la dislocazione è identicamente
nulla.
 + +
 1 c
  u (t )dt =   u ( t ) dt
 o
 4 c 3 r 0

 1 c
 =   u (t → +) − u |t =0 
 4 c 3 r
 (23)
 1 c
 =  u (t → +)
 4 c 3 r
 1 c
 = M0
 4 c 3 r
Dove è stata sfruttata l’ipotesi che a t0 la dislocazione sia nulla, e che per intervalli di tempo
sufficientemente lunghi il valore di u ( t ) tenda al suo valore medio finale u . Definendo
 +
quindi 0 =  u(t )dt è banale esplicitare il momento sismico scalare finale:
 0

 4 c3 r
 M0 = c
 0 (24)

Si noti che  0 corrisponde all’area sottesa alla forma d’onda relativa allo spostamento del suolo,
ovvero il sismogramma. Si ricava quindi a partire dallo stesso lo spostamento del suolo e si calcola
il momento relativo alle onde P o S, ottenendo così una stima dell’intensità della coppia di forze che
ha agito sulla faglia causando la rottura. Nel caso specifico dei microterremoti ai quali si è
interessati, il momento sismico scalare ha un ordine di grandezza di  1010  1013 Nm .

 MODELLI DI SORGENTE
Nella trattazione della sorgente estesa invece si vanno a considerare gli intervalli di lunghezze
d’onda che siano comparabili con le dimensioni lineari della sorgente. Come nel caso della sorgente
puntiforme, si sfrutta l’approssimazione di far field (  r ) per semplificare la forma della funzione
di Green. La descrizione di questo tipo di approccio per la sorgente si basa sull’utilizzo dei cosiddetti
sismogrammi sintetici: si sviluppano modelli di rottura per la sorgente, che generano una
determinata forma funzionale per il sismogramma e per lo spettro di Fourier dello spostamento,
dunque si procede al confronto dei dati ricavabili dai sismogrammi sperimentali per definire i
parametri insiti invece nel modello teorico.
Esistono poi modelli semplificati di sorgente estesa, che consentono però di determinare macro-
parametri della sorgente, sia dinamici che cinematici e che possono essere utilizzati per interpretare
i dati reali. Ad esempio, per caratterizzare le dimensioni lineari di una sorgente di piccoli terremoti,

 13
è possibile usare modello di frattura circolare di Brune, il quale permette di avere una stima del
raggio R della sorgente.
Il modello si basa sull’assunzione che lo sforzo di taglio subisca una variazione impulsiva sull’intera
estensione della sorgente, e che generi fronti di onda S, i quali si propagano perpendicolarmente al
piano di faglia. La differenza tra questo modello ed altri modelli per la sorgente è proprio nella
caratteristica impulsiva: solitamente si ha un tempo finito che caratterizza il processo di rottura, e
che può essere collegato al rise time del sismogramma sperimentale; invece, nel modello di Brune
la variazione dello sforzo di taglio avviene in maniera istantanea e contemporanea su tutta la
superficie di faglia: per questo motivo non compare un tempo di arresto o di propagazione della
rottura, caratteristiche presenti in modelli più accurati, quali quello di Savage o di Sato-Hirasawa.
Questa proprietà impulsiva può essere espressa tramite la funzione a gradino di Heaviside.
Definendo lo sforzo di taglio effettivo

  eff =  0 −  f =  0 (25)
Come differenza tra lo sforzo tettonico  0 e quello dovuto all’attrito  f , allora l’impulso di stress
(stress drop) sulla faglia sarà

  r
  =  eff H  t −  (26)
  
In cui la funzione a gradino descrive la proprietà per la quale tale variazione è applicata
  r r
istantaneamente, e assume il valore H  t −  = 1 appena t  , mentre è nulla per istanti
   
precedenti. In questa relazione  rappresenta la velocità di propagazione nel mezzo delle onde S.
Adesso è possibile ricavare la dislocazione u a partire dalla relazione introdotta nella trattazione
dello stress drop (20)

  eff
 u = H (t ) t (27)
 
scegliendo il caso in cui l’attrito dinamico sia nulla, ovvero  = , si ricava lo spostamento dovuto
alle onde di fase S nell’approssimazione di campo lontano, a distanza r dalla faglia:
   r 
   r  −b t −  
 u (t ) = t− (28)
    
 e

Che rappresenta il sismogramma sintetico. Si nota la presenza di un termine b che ha le dimensioni
di una frequenza. Tale fattore risulta
 
 b = 2.33 (29)
 R
In cui R rappresenta il raggio della sorgente circolare ipotizzata. Per la stima delle dimensioni della
sorgente è necessario ricavare lo spettro associato allo spostamento u (t ) , procedendo quindi ad
applicare la trasformata di Fourier
 +
 u ( ) =  u (t )e − it dt (30)
 −

 14
Si ottiene una quantità immaginaria, della quale si analizza solo il modulo, ovvero:
  1
 u ( ) = (31)
   + b2
 2

Analizzando la relazione tra il logaritmo del modulo dello spettro e il logaritmo della frequenza
(Figura 1.7), si evidenzia un decadimento   −2 che inizia a partire da una determinata frequenza,
detta frequenza d’angolo. Esisterà allora un valore di frequenza per cui b = c .

 Figura 1.7- Logaritmo del modulo dello spettro di Fourier del sismogramma sintetico.

Dunque, misurato questo valore dal sismogramma sperimentale, è possibile stimare il raggio della
frattura circolare del modello di Brune:
 
 R = 2.33 (32)
 c
Il modello permette di determinare le dimensioni della sorgente a partire dalle osservazioni
sperimentali, e può essere applicato a eventi con una magnitudo M  6 , per cui è un metodo
applicabile ai piccoli terremoti.
Come si vede il modello di Brune non presenta in alcun modo la dipendenza della funzione sorgente
dal punto della faglia, infatti la dislocazione si propaga semplicemente a partire da istanti temporali
t  0 . Questo viene corretto nei modelli di Savage prima, e in quello più accurato di Sato-Hirasawa
poi, nei quali si tiene conto sia del tempo necessario alla perturbazione per propagarsi sulla faglia,
ma anche dell’estensione della stessa.
Un altro modello per la descrizione della sorgente sismica è il modello di Haskell, il quale è basato
sull’assunzione di geometria rettangolare per la faglia, di lunghezza L e larghezza w , e di
propagazione unilaterale della rottura (Figura 1.8). Si considera una descrizione a rampa della
funzione sorgente u , che comporta come visto una funzione di tipo boxcar per u . Tenendo
conto della geometria della faglia ciò che si fa è considerare il principio di sovrapposizione, per
descrivere il sismogramma come somma dei sismogrammi dovuti a tante sorgenti rettangolari che
compongono la superficie totale di rottura.

 15
Figura 1.8- Modello di rottura unilaterale di Haskell per una faglia
 rettangolare.

Passando al limite di spessore infinitesimo, tali sorgenti diventano segmenti e la somma si trasforma
in un integrale sulla superficie rettangolare totale. Svolgendo l’integrale è possibile tenere poi
l’espressione del sismogramma sintetico.
Ciò che rende importante la trattazione di tale modello è che il sismogramma finale risulta espresso
dal prodotto di convoluzione tra due funzioni boxcar con durate diverse:  c per la funzione
derivante dall’integrale, e quindi è legato alla finitezza della faglia;  r per indicare il tempo di rise
time della dislocazione alla faglia. Il risultato nel dominio del tempo è una funzione trapezoidale.
Sfruttando la trasformata di Fourier e considerando che sotto tale operazione il prodotto di
convoluzione si trasforma in un prodotto tra funzioni, è possibile spiegare il comportamento
generale dello spettro di Fourier di un sismogramma.
La dislocazione per un generico osservatore potrà essere indicata

 u ( r, t ) = M 0 B ( t , c )  B ( t , r ) (33)
Dove con la notazione B ( t , ) si indica una funzione di tipo boxcar di durata  . Operando la
trasformata di una sola generica funzione boxcar come quelle in esame, normalizzata sull’intervallo
di tempo proprio  , si ottiene

 +
    
 sin 
 i  i
 12
 1    2  −
 B ( , ) =  eit dt =  e − e  = 2 2
 (34)
   i   
 −
 2 2
La caratteristica di una funzione di questo tipo è quella di presentare un plateau al di sotto di un
dato valore di frequenza, e un decadimento   −1 al di sopra dello stesso valore. In particolare, nel
caso generico considerato

  2
 1 se 
 
 
 B (  , ) =  1 2 (35)
   se 
 
 
  2
Nel modello di Haskell è presente il prodotto tra due funzioni di questo tipo, per le quali i tempi
caratteristici sono differenti, e in particolare solitamente  c   r , quindi risulteranno tre possibili
andamenti per il prodotto

 16
 2 2
  M0  e (36)
 c r
  M0
  2 2
   c / 2 c
  
 r
  M0
  2 2
   2  c r  e
  4 c r
Si osserva un andamento del modulo dello spettro di sorgente ben preciso: questo risulta costante
al di sotto di una certa soglia di frequenza, detta frequenza di ginocchio, mentre oltre tale valore lo
spettro decade con un andamento   −2 , se si considera piccolo l’intervallo di frequenza
 2 2
    . Tale comportamento è verificato anche per eventi diversi da quelli descritti tramite il
c r
modello di Haskell, come si è visto ad esempio con il modello di Brune, ed è infatti tipico questo
andamento funzionale per il modulo dello spettro dei sismogrammi di molti eventi sismici, tanto da
poter essere considerato un carattere generale. Solitamente, quindi, si individua un solo ginocchio,
definito dall’intersezione tra il plateau e la retta che descrive il decadimento.
La frequenza di ginocchio è inoltre importante perché risulta essere il valore che divide la scala di
frequenza entro cui distinguiamo la descrizione della sorgente tra puntiforme ed estesa: al di sotto
del ginocchio le lunghezze d’onda sono maggiori delle dimensioni lineari della sorgente e non è
possibile risolvere quest’ultima, ciò comporta che lo spettro sia costante, non potendo distinguere
i diversi punti della faglia da cui si origina; al di sopra della frequenza di ginocchio invece
diminuiscono le lunghezze d’onda, così da riuscire a risolvere l’estensione della sorgente.

 L’INTENSITA’ DI UN TERREMOTO: SCALE DI MAGNITUDO
Nell’analisi della sorgente si è visto come interpretare i diversi parametri che la descrivono, e in
questa sezione si vogliono delineare i metodi tramite i quali è possibile quantificare l’intensità
dell’evento sismico a partire dalla conoscenza del sismogramma, o del momento scalare.
Storicamente le intensità dei terremoti sono caratterizzate tramite le scale di magnitudo, che si
basano sull’utilizzo della massima ampiezza di spostamento provocata da un sisma per ottenere una
stima della potenza di quest’ultimo. Tale approccio però non è accurato come potrebbe essere
quello basato sull’utilizzo del momento M 0 , in quanto è possibile che la stessa ampiezza sia
caratteristica di due terremoti con momenti diversi, questo perché l’ampiezza della dislocazione si
è visto essere proporzionale ad M 0 , e non direttamente al momento. Per questo motivo le scale di
magnitudo presentano dei termini correttivi. La forma più generale per una scala di magnitudo è la
seguente:

  A
 M = log   + f ( , h) + C R + CS (37)
 T 
Dove A è l’ampiezza della fase; T è il periodo del segnale su cui si sta misurando l’ampiezza;
 f ( , h) è una funzione che corregge per la posizione (  rappresenta la posizione angolare del
ricevitore sulla superficie terrestre, h è invece la profondità ipocentrale); mentre i due termini finali
CR e CS correggono gli effetti di sito al ricevitore, e gli effetti di sorgente.

 17
Sulla base di ciò fu creata la prima scala, detta magnitudo locale o scala Richter M L , che però
presenta il difetto di essere valida solo entro i confini geografici per cui viene calibrata, e manca
dunque della possibilità di essere applicata ad un sisma generico.
Furono definite quindi due nuove scale, una per le onde di volume ed una per le onde di superficie,
rispettivamente mb ed mS , che potessero essere di carattere globale e non solamente locale.

La caratteristica fondamentale delle scale di magnitudo è che queste esibiscono saturazione. Ogni
scala si basa su misurazioni fatte a certe frequenze, e come visto ogni spettro di Fourier presenta
una propria frequenza di ginocchio prima della quale risulta essere costante (basse frequenze). Di
conseguenza quello che accade alle scale di magnitudo è che al di sotto della frequenza d’angolo
saturano, ovvero raggiungono un valore di Plateau. Le tre frequenze di ginocchio associate alle tre
scale di magnitudo definite sono 1.25Hz per M L ; 1.00Hz per mb ; 0.05Hz per mS (Figura 1.9).

 Figura 1.9- Confronto in scala logaritmica dell'andamento dello spettro di spostamento di due
 eventi sismici differenti in relazione alla frequenza, che varia per il calcolo secondo la scala
 delle onde di volume o di superficie.

Questo fa sì che solo per terremoti di piccola intensità le tre misure siano confrontabili, cosa che ci
si aspetta in quanto le scale mb e ms sono fatte per essere paragonabili alla magnitudo locale; invece
per terremoti sufficientemente grandi può accadere che la frequenza della misura si trovi a valori
inferiori alla frequenza di ginocchio (per cui lo spettro di Fourier risulta costante), e quindi tutti i
valori più bassi di frequenza restituiscono lo stesso valore della magnitudo.
Per risolvere questo limite si è definita una scala che mette in relazione la magnitudo direttamente
con il momento sismico, che è appunto detta magnitudo momento, basata dunque sulla
quantificazione dell’effettiva energia rilasciata dal sisma, così da non presentare saturazione. La
forma di questa scala è la seguente:
 log M 0
 MW = − 10.73 (38)
 1.5
in cui si presuppone che il momento sia espresso in dyne  cm (1 dyne=10-5 N).

 18
Per quanto riguarda l’analisi dei microsismi basta tenere conto del fatto che, come detto, per piccole
dislocazioni le scale di magnitudo coincidono. Dunque, è possibile definire un limite per
l’individuazione di questo tipo di terremoti come fatto per il momento sismico. Si parla di
microterremoti nel caso in cui si abbiano valori della magnitudo M L  2.5 .

 19
2 STIMA DEI PARAMETRI DI SORGENTE
Vengono ora trattati i metodi di inversione, ovvero un insieme di procedure matematiche che
permettono, a partire dalle osservazioni sperimentali, di ricavare informazioni sul modello teorico
che descrive un sistema fisico, e che qui è rappresentato dalla sorgente di piccoli terremoti. Il
problema che viene risolto tramite queste tecniche si definisce problema inverso.
Questo approccio verrà poi implementato per la stima dei parametri del modello di Brune
generalizzato, che rappresenta un’estensione di quanto già descritto nella sezione 1.6. In
particolare, volendo analizzare eventi sismici di piccola e moderata intensità, si sta considerando il
limite di alte frequenze, per le quali la sorgente è risolvibile nella sua estensione e il processo di
rottura può essere descritto sulla base di un modello che, come quello di Brune, supponga una zona
di fratturazione circolare. La caratteristica di maggiore interesse è l’andamento dello spettro in
ampiezza dello spostamento u (  ) , che assume un valore costante a basse frequenze, e un
decadimento   −2 ad alte frequenze in analogia con quanto visto nella descrizione del modello di
Haskell.
La forma esplicita dello spettro di Fourier può essere espressa sfruttando le proprietà dell’operatore
di convoluzione. Infatti, è stato evidenziato come i segnali sismici registrati sulla superficie terrestre
possano essere modellati tramite prodotto di convoluzione tra la funzione di Green e la funzione
sorgente, una volta considerata nota la funzione che descrive lo strumento di acquisizione (3).
Quindi, utilizzando la proprietà per la quale la trasformata di Fourier di una convoluzione nel
dominio del tempo diventa un semplice prodotto nel dominio della frequenza, lo spettro associato
al sismogramma può scriversi

 u ( ) = S ( )  G ( ) (39)

Dal modello generalizzato di Brune possiamo rappresentare la funzione sorgente nel dominio in
questione
 M0
 S ( M 0 , c ,  ,  ) = 
 (40)
 
 1+  
  c 

In cui compaiono le grandezze che caratterizzano il modello: il momento scalare M 0 introdotto nella
sezione 1.5; la frequenza d’angolo c = 2 f c dopo la quale si osserva il decadimento dello spettro;
il parametro  , che è chiamato fattore di decadimento spettrale ad alta frequenza. Invece, la
trasformata di Fourier della funzione di Green restituisce la seguente espressione
 
 − T c ( r ,ξ )Q
 G ( Q ' ,  ) = K A ( r, ξ ) e
 'c
 c c c 2
 H ( ) (41)

In cui K c è una costante che dipende dalla posizione del ricevitore e dalle proprietà elastiche del
mezzo; invece Ac ( r, ξ ) e T c ( r, ξ ) sono rispettivamente il fattore di attenuazione geometrica, e il
tempo di attraversamento di un’onda che si origina sulla faglia in ξ e giunge al ricevitore in r ; la

 20
1
quantità Q ' c = è l’inverso del fattore di merito ed è assunto indipendente dalla frequenza;
 Qc
infine H ( ) è un termine che descrive l’amplificazione legata alla ricezione del segnale, e si assume
unitario. A partire da questa espressione funzionale, si definisce il logaritmo dello spettro, detto
operatore diretto, in cui può essere posto   K c A ( r, ξ ) in quanto questo rappresenta una quantità
nota, una volta fissata la geometria del problema. L’operatore assume la forma:

      
 log u ( ) = log ( M 0 ) − log 1 +    + log (  ) − T c ( r, ξ ) Q ' c log e (42)
   c   2

In questo modo sono messi in evidenza i parametri da cui dipende il logaritmo dello spettro, ovvero
 log M 0 , c ,  , Q 'c . Sulla base dei dati ottenuti dall’analisi dello spettro del sismogramma reale, si
devono dunque determinare tali valori, che definiscono il modello teorico.

 METODI INVERSI
Per essere in grado di risolvere il problema della stima dei parametri che caratterizzano il modello
di Brune generalizzato, è necessario approfondire la teoria dell’inversione. Per fare ciò è utile
chiarire la differenza tra un problema inverso ed un problema diretto: nel primo caso, fissato un
modello fisico teorico, si utilizzano i dati sperimentali, con il fine di ricavare le migliori stime dei
parametri di tale modello teorico insieme con le relative incertezze; nel secondo caso invece, si
utilizzano i parametri nel modello teorico per ottenere delle misure simulate, esattamente come
descritto nel caso dei sismogrammi sintetici (sezione 1.6).
Per formalizzare il problema, si schematizzano i dati ottenuti dalle misure come un vettore colonna
di N elementi, indicato con d , mentre i parametri del modello teorico sono contenuti in un vettore
m di M elementi:

  d1   m1 
    
 d m
 d= 2  m= 2  (43)
    
    
  dN   mM 

Per impostare il problema è necessario trovare la relazione che leghi i due vettori, e questa sarà
espressa in generale da una funzione, ottenuta sulla base della conoscenza che si ha del sistema
fisico. Quindi, la soluzione del problema inverso è strettamente legata al problema diretto e alla sua
formulazione matematica, dalla quale possiamo ottenere un set di funzioni implicite di m e d .
 f1 ( m, d ) = 0
 f 2 ( m, d ) = 0
 (44)

 f L ( m, d ) = 0

Nel caso in cui la conoscenza del sistema fisico permetta di separare i dati e i parametri, si è in grado
di esprimere i primi in funzione di quest’ultimi, tramite una relazione del tipo d = g ( m ) . Tale

 21
formulazione è del tutto generale e pertanto valida anche se la dipendenza non è lineare, come
accade nel modello generalizzato di Brune. Tuttavia, anche in questi casi, è talvolta possibile
utilizzare metodi di linearizzazione, quali lo sviluppo in serie di Taylor.
Restringendo per ora l’attenzione al problema lineare, possiamo scrivere l’insieme di relazioni come

 d1 = G11m1 + G12 m2 + + G1M mM
 (45)
 d N = GN 1m1 + GN 2 m2 + + GN M mM

Che rappresenta un’equazione matriciale esprimibile in forma compatta

 d i = Gi j m j (46)

O in forma matriciale

 d = Gm (47)
  d1   G11 G12 G1M   m1 
     
  d 2  =  G21 G22   m2 
     
     
  d N   GN 1 GN M   mM 

la matrice , avente dimensioni N  M è detta matrice dei coefficienti, e rappresenta il modello
fisico che connette i dati ai parametri e si determina a partire dalla conoscenza del problema diretto.
Si evidenzia quindi come la risoluzione del problema inverso dipenda fortemente dall’accuratezza
del modello fisico.

Dall’espressione (47) si nota che, se la matrice fosse quadrata ( M = N ) , la risoluzione del problema
passerebbe per l’inversione della stessa, supposta possibile, così da ottenere la stima dei parametri
in maniera univoca. Questa condizione non si realizza però nella pratica, in quanto il numero N di
dati ottenuti dalle misure risulta sempre molto grande rispetto ad M . Infatti, nell’analisi della teoria
dell’inversione che si sta qui facendo, è importante classificare il tipo di problema che si vuole
risolvere sulla base della relazione che si ha tra il numero di dati N e quello dei parametri M , così
facendo è possibile distinguere:
-Problemi sotto determinati: è il caso in cui il numero di dati a disposizione non è sufficiente a
definire completamente i parametri, questo può avvenire se N  M e si parla di problemi a grado
di indeterminazione puro, o se N  M ma i dati non vincolano tutti i parametri, e ci si riferisce a
questa situazione come problemi a grado di determinazione mista. In queste situazioni il problema
lineare non può essere risolto tramite il metodo appena introdotto, e si utilizzano approcci
differenti, quali i moltiplicatori di Lagrange o la decomposizione in valori singolari.
-Problemi sovradeterminati: in questo caso risulta N  M e sono problemi che nel caso lineare
possono essere risolti secondo la procedura dei minimi quadrati.
Vista la sovradeterminazione di un generico problema inverso, è necessario seguire una strada
alternativa per la soluzione dello stesso, e il metodo più intuitivo consiste nella minimizzazione della

 22
funzione che esprima la differenza tra i valori delle misure d obs e quelli ottenuti tramite il modello
teorico d teo . Si introduce questa quantità, definita come E =  ei , dove ei = di obs - di teo è una stima
 2

 i
 2
dell’errore di predizione, e ei ne rappresenta la norma euclidea. Il minimo di questa funzione sarà
trovato in corrispondenza dei parametri che meglio si adattano al modello.
La scelta della norma non deve essere per forza quella euclidea, in particolare è possibile utilizzare
una qualsiasi norma Ln , nella la forma

 L1 → e 1 =  ei
 i

 (48)
 1
  N
 =   ei 
 N
 LN → e
  i 
 N

È evidente che per N crescenti contano maggiormente i valori dei dati più distanti da quelli
osservati, mentre per piccoli N si attribuisce lo stesso peso a tutti i parametri, indipendentemente
da quanto valga l’errore di predizione. Si dimostra che, nel caso in cui sia scelta la norma euclidea
L2 , la soluzione del problema (2.9) corrisponde alla soluzione ai minimi quadrati.

Per la risoluzione del problema lineare nella norma scelta è possibile procedere alla minimizzazione
della funzione E . In questo senso, esprimendo gli errori di predizione come:

  e1   d1obs − d1teo 
    obs 
  e2   d 2 − d 2teo 
 e= = (49)
    
    obs 
 teo 
  eN   d N − d N 

e conoscendo le quantità d i teo in funzione della matrice G possiamo esprimere il tutto in forma
matriciale:
 e = d − Gm (50) G
Dunque, tornando alla funzione da minimizzare:
 N
 E =  ei 2 = eT e = ( d − Gm ) ( d − Gm ) =
 T

 i =1
 (51)
  M  M
 
 =   di −  Gij m j   di −  Gik mk 
 i  j =1  k =1 

 23
Imponendo nulle le derivate parziali rispetto ad ogni parametro, si ottiene la seguente equazione

 E  M 
 = −2  di −  Gij m j Gil = 0
 ml i  j =1 
  M 
    di −  Gij m j Gil = 0 (52)
 i  j =1 
  G Gm − G d = 0
 T T

E supposto det ( GT G )  0 , è possibile invertire questa matrice per ottenere il vettore dei parametri

 m est = ( G T G ) G T d
 −1
 (53)

In generale si definisce la matrice inversa generalizzata G − g quella tramite la quale è possibile
esprimere

 m est = G − g d (54)

E quindi nel caso specifico del metodo dei minimi quadrati questa sarà G − g = ( G T G ) G T .
 −1

Si noti che nella (54) il vettore dei dati si riferisce a quelli osservati, ed è possibile ottenere una
relazione matriciale che indichi quanto i dati teorici si avvicinino a quelli sperimentali, sfruttando la
definizione iniziale del problema inverso lineare

 dteo = Gm est = G ( G − g d obs ) =
 (55)
 = ( GG − g ) d obs = Nd obs

Più la matrice introdotta, detta matrice di risoluzione dei dati N , si avvicina all’identità, più i valori
delle osservazioni coincidono con quelli ottenuti dal modello. Questo ragionamento può essere
analogamente applicato ai parametri, infatti, supponendo che esista un modello esatto m true il cui
vettore dei parametri permetta di trovare gli esatti valori misurati dobs = Gmtrue , allora è immediato
scrivere

 mest = G − g dobs = G − g ( Gmtrue ) =
 (56)
 = ( G − g G ) mtrue = Rmtrue

E R rappresenta la matrice di risoluzione del modello. L’aspetto fondamentale è che entrambe le
matrici di risoluzione dipendono solo dalla matrice dei coefficienti, che si costruisce a partire dalla
modellizzazione del problema, e di conseguenza tali matrici possono essere utilizzate come
strumento di verifica a priori della risoluzione del modello fisico scelto, indipendentemente dalle
misure effettuate.
Avendo definito quale sia l’approccio teorico da seguire, è necessario mettere in evidenza che il
metodo dei minimi quadrati non è sempre utilizzabile, poiché può succedere che, nell’analisi di un
problema non lineare, la funzione da minimizzare presenti diversi minimi relativi, mentre la
linearizzazione deve essere fatta nell’intorno del minimo assoluto, il quale deve prima essere

 24
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