PER ADESSO HANNO VINTO LORO - di Moreno Pasquinelli

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PER ADESSO HANNO VINTO LORO - di Moreno Pasquinelli
PER ADESSO HANNO VINTO LORO
di Moreno Pasquinelli

                                                      Chi ha
lo sguardo volto all’indietro non vede né il mostro che gli
si staglia davanti né la minaccia che la sua ombra proietta
all’orizzonte. Ci sono in circolazione quelli che negano la
portata storica della “Operazione Covid”, che non vogliono
accettare l’idea che essa è sia un atto di guerra sociale da
parte dell’élite, sia la genesi di un nuovo sistema. Costoro
si sono quindi rifiutati di riconoscere la doppia grande
importanza del movimento contro il green pass: essenziale
fattore di resistenza all’avanzare del mostro ed antesignano e
precursore dell’opposizione rivoluzionaria che verrà. Essi
vedono una larva sgraziata, non scorgono il bozzolo dal quale
si librerà la farfalla.

Ma mentre i processi biologici rispondono ad un meccanismo,
per quanto finalistico, intrinsecamente deterministico (un
chicco di grano produrrà necessariamente la pianta di grano),
quelli storico-sociali non sono unilineari né il loro esito è
deterministicamente stabilito a priori. Posta una causa, o per
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l’esattezza, una molteplicità di cause, gli effetti possono
essere diversi, poiché sono il risultato di una lotta tra
diverse forze, ognuna delle quali si pone una propria
finalità. Nella lotta si decide chi sarà il più forte e quindi
avrà il sopravvento, e chi lo avrà pretenderà di realizzare le
proprie idee, il proprio modello sociale e politico. Ove
nessuno riuscisse a prevalere, allora, e solo allora, avremo
le “conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali”,
ovvero l’eterogenesi dei fini.

Abbiamo scritto in più occasioni sull’importanza del movimento
contro il green pass, della sua natura politica, del perché
sia sorto e si sia sviluppato anzitutto in Italia. In poche
parole: esso è stato una reazione di massa e democratica al
golpe bianco dell’élite gobalista. In Italia perché
quest’ultima ha voluto usare il nostro Paese come banco di
prova particolare di un cambio di regime universale. Così ci
spieghiamo lo Stato d’emergenza, i lockdown ed i coprifuoco
duri, la scelta di un militare a guidare la campagna di
intruppamento vaccinale. Dati gli scarsi risultati ecco che
l’élite ha puntato la pistola alla tempia dei recalcitranti:
Super Mario incoronato comandante in capo della nuova Santa
Alleanza.

Era il segnale che la macchina da guerra italiana avrebbe di
nuovo fatto da apripista alle altre sorelle euro-unioniste,
che avrebbe proceduto senza esitazione: obbligo vaccinale ai
sanitari, obbligo vaccinale nella scuola, a fine giugno il
primo Dpcm sul green pass e l’introduzione del QR-Code, quindi
la terribile conferenza stampa del 23 luglio nella quale
Draghi anticipava le strette future e condannava i non
vaccinati come portatori di morte. Arruolati milioni di kapò,
intruppata anzitutto la soldataglia di scienziati, giornalisti
e terroristi in camice bianco-verde, è stata promossa la più
grande operazione di resettaggio, inquadramento e
disciplinamento sociale mai vista — lo Stato di polizia 4.0.

Quello del 23 luglio è stato un decisivo punto di svolta. Le
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mobilitazioni di protesta, spontanee e senza che vi fossero
santi politici in paradiso a invocarle o proteggerle, sono
diventate, soprattutto nel centro-nord del Paese, di massa. Di
più, sono diventate permanenti: in molte città, a fine
novembre, si è giunti a sedici sabati consecutivi di
mobilitazione.

Il governo non si aspettava una reazione tanto forte (vedi,
tra le altre, la manifestazione dei 100mila a Piazza san
Giovanni). Al netto di manovre di deliberata provocazione
(Roma, 9 ottobre) e operazioni muscolari (Trieste, 18
ottobre), ha fatto buon viso a cattivo gioco, nella speranza
che il movimento di protesta finisse e la campagna di
vaccinazione fosse coronata da successo. A fine ottobre,
quando era evidente che non stava ottenendo né l’una né
l’altra, il governo ha iniziato a progettare l’ultimo assalto
frontale, che piomberà con il Decreto del 24 novembre:
estensione dell’obbligo vaccinale ad altre categorie, green
pass rafforzato, terza dose, adombrata militarizzazione
sociale via capillari controlli per il rigoroso rispetto delle
nuove radicali misure di segregazione.

Il governo Draghi non nasconde di aver congegnato queste
ultime e draconiane misure per una finale e risolutiva resa
dei conti col Movimento contro il green pass. Il colpo è in
effetti devastante: mesi di lotte e proteste, se hanno
inceppato la campagna di vaccinazione, non hanno portato a
casa risultati tangibili, non hanno piegato le autorità, che
anzi hanno alzato il tiro. Vedremo cosa accadrà nelle prossime
settimane (a cominciare dalla giornata nazionale di
mobilitazione del 4 dicembre lanciata dal Fronte del
Dissenso). Spero di sbagliarmi, ma temo che il movimento non
sarà in grado di opporre all’attacco un adeguato contrattacco,
che l’offensiva del governo abbia spinto il movimento sul
viale del tramonto.

E’ come se il nemico avesse sfondato la Linea del Piave. Siamo
davanti ad un cambio di fase — nel turbolento processo di
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metamorfosi sistemica in atto dovremo abituarci a repentini
cambi e salti di fase — che chiede all’Italia ribelle una
ritirata, una riorganizzazione delle forze per promuovere, mi
si passi la metafora, una guerra di guerriglia dietro le linee
nemiche. Come ho scritto giorni addietro, non ho dubbi che si
ripresenterà presto l’occasione per un contrattacco ed a quali
condizioni di possibilità esso avverrà. Tempo al tempo.

Ora la priorità è evitare la rotta disordinata con la sua
inevitabile dispersione di forze. Ritirarsi quindi in buon
ordine, dare una forma politica strutturata unificata alle
bande partigiane della Nuova Resistenza, agire con la massima
agilità senza accanirsi a difendere trincee indifendibili. Ciò
chiede pensare strategicamente. Vedremo quindi presto se in
questi mesi di battaglia si è venuta formando nel Paese
un’avanguardia rivoluzionaria. Ci servirà come il pane (e come
antidoto) per smascherare politicanti in cerca d’autore,
allontanare azzeccagarbugli, contrastare sfasciacarrozze
mascherati da federatori, e battere in breccia incipienti
operazioni di gatekeeping; e per costruire la spina dorsale di
un nuovo Comitato di Liberazione nazionale.

QUESTA E’ LA VERA POLITICA
ECONOMICA DI DRAGHI
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sabat
       o 4 dicembre giornata di mobilitazione nazionale

Il governo Draghi non è solo quello dell’attacco alle libertà
ed ai diritti costituzionali. Sotto tiro sono i lavoratori ed
i diritti sociali. Le misure prese dal governo sono
innumerevoli. Vediamo quelle principali.

Sblocco dei licenziamenti – Se a luglio si sono visti i primi
effetti dello sblocco dei licenziamenti nella grande industria
(basti pensare alla GKN di Campi Bisenzio), altre decine di
migliaia di lavoratori dei settori più deboli – terziario,
piccole imprese, artigianato – hanno perso il posto di lavoro
a causa dello sblocco finale del 31 ottobre scorso. Nuovi
disoccupati si sono così aggiunti al milione di posti di
lavoro persi negli ultimi due anni: altro che ripresa!

Pensioni: si ritorna alla Fornero! – La cancellazione di
“Quota 100” è la prova di come si voglia restaurare
progressivamente l’austerità richiesta dall’UE. “Quota 102”
(che verrà poi seguita da “Quota 104”) è una presa in giro. Ne
usufruiranno al massimo 8.524 lavoratori nel 2022 e 1.924 nel
2023. Queste cifre ci dicono solo una cosa: si torna
integralmente alla Fornero. Tutti in pensione a 67 anni alla
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faccia della disoccupazione.

Reddito di cittadinanza tagliato – Il taglio progressivo del
Reddito di cittadinanza, voluto dal governo, è un ricatto per
ottenere la disponibilità a svolgere qualunque lavoro, a
qualsiasi condizione. E’ questo il modo per legittimare al
100% ogni tipo di sfruttamento.

I preparativi di una nuova austerità – Nel settembre scorso,
la Nota di aggiornamento del DEF (Documento di Economia e
Finanza) ha chiarito l’intendimento del governo di tornare a
breve (certamente dal 2023) ad una politica di austerità
improntata ai vincoli europei. Giusto per andare in questa
direzione, Draghi ha istituito presso il Mef (Ministero
dell’economia) un “comitato scientifico” alla spending review.
Ne faranno parte funzionari di Bankitalia, della Corte dei
Conti e della ragioneria dello Stato. Insomma: tutto il potere
ai tecnici! Possiamo già facilmente immaginarci cosa ne verrà
fuori!

Le nuove privatizzazioni – Il “vile affarista”, già
liquidatore dell’industria pubblica negli anni ’90, torna
all’attacco. Con il Ddl “Concorrenza” gli Enti locali vengono
spinti alla privatizzazione dei servizi pubblici locali. La
loro gestione privata è considerata come desiderabile norma,
quella pubblica un peccato da cui redimersi. Tant’è vero che
gli Enti locali che vorranno gestire in proprio un servizio
dovranno giustificarlo per legge. Stiamo parlando del settore
idrico (con il definitivo saluto al risultato del referendum
del 2011), di quelli dei rifiuti e dell’energia. La cessione
ai privati di questi settori equivale a creare non
“concorrenza”, bensì nuovi monopolisti privati in grado di
decidere in proprio qualità del servizio ed entità delle
bollette. Un film già visto con la privatizzazione
dell’energia elettrica e delle autostrade.

I soldi del Pnrr andranno ai soliti noti, le controriforme per
averli toccheranno alle classi popolari – Il Pnrr (Piano
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nazionale di ripresa e resilienza) sarà una pacchia per la
grande industria e per le banche, mentre sarà una nuova
batosta per le classi popolari. I famosi “soldi dall’Europa”
altro non sono che debiti da restituire, ma mentre qualcuno ci
si farà grasso, le 528 condizioni (cinquecentoventotto!) per
ottenerli ricadranno per intero sul popolo lavoratore. Solo
per ottenere la prima tranche (su 10) dei fondi europei,
l’Italia ha dovuto ottemperare a ben 51 condizioni! Tra queste
quelle che hanno portato al taglio del Reddito di cittadinanza
ed al Ddl “concorrenza”, ma anche le nuove norme sugli
appalti, tese a renderli più “semplici” e meno soggetti ai
vincoli ambientali ed urbanistici. Un capitolo a parte
meriterebbe poi la (contro)riforma del processo civile, voluta
per favorire la parte più forte, ad esempio accelerando i
tempi per eseguire i pignoramenti delle case dei debitori.

Dobbiamo stare attenti, perché i provvedimenti del governo
Draghi non appaiono eclatanti, oscurati come sono dalla
narrazione pandemica e dal loro dispendersi in mille rivoli.
Ma si tratta in realtà del piano più coerente messo in campo
dall’oligarchia al potere. Il Grande Reset è anche una grande
restaurazione al servizio dei dominanti. Lo si denunci con la
massima forza possibile!

IMPLACABILE   VENDETTA                                   di
Moreno Pasquinelli
PER ADESSO HANNO VINTO LORO - di Moreno Pasquinelli
Pr
eceduto da una virulenta quanto mendace campagna
d’intimidazione, il governo Draghi ha varato il decreto sul
cosiddetto “Green Pass Rafforzato”. In pratica una nuova
stretta autoritaria. E’ lo Stato di Polizia 4.0. Chi non si
vaccina sarà sottoposto ad un regime di esclusione e
segregazione sociale.

Chi non si vaccina, se era già escluso dal disporre di
fondamentali diritti di libertà, è oggi condannato ad un
regime di formale apartheid sociale. Sbagliano coloro i quali
affermano si tratti di una “misura medievale”. Davanti alla
peste si segregavano gli appestati per proteggere i sani.
Oggi, posto che il “vaccino” non immunizza e che i vaccinati
possono infettare, vengono confinati e isolati anche coloro
che scoppiano di salute, ovvero quelli che sono portatori di
un gravissimo morbo sì, ma quello di non inginocchiarsi ai
piedi del sovrano rifiutando i suoi diktat. Questa è dunque la
vera pandemia che il governo vuole debellare: quella della
ribellione sociale.

La misura del “Green Pass Rafforzato”, spacciata come atto ex
ante di “prevenzione sanitaria”, è dunque squisitamente
politica, è un provvedimento di condanna e castigo ex post per
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tutti quei sudditi che hanno sin qui disobbedito alla
richiesta del sovrano di disporre dei loro corpi. Condanna che
è l’equivalente profano e secolare della scomunica di una
volta, l’atto con cui la Chiesa oltre ad escludere il
battezzato dalla comunità dei fedeli, gli infliggeva la pena
dell’inferno nell’al di là.

Ma questo della segregazione sociale della minoranza, della
parte dal resto, per quanto inusitato, è solo una faccia del
regime bio-politico. Quest’ultimo chiama in causa anzitutto
tutti gli altri, la maggioranza dei disciplinati, le stesse
legioni dei kapò e dei disciplinatori. E’ grazie alla loro
accondiscendenza che il sovrano ha potuto finalmente
oltrepassare la linea oltre la quale esso riesce a requisire e
ad impadronirsi, assieme alla carne, dell’anima stessa dei
cittadini.

Il non-vaccinato viene sì privato di alcuni essenziali diritti
di libertà, ma egli trattiene a sé, con il libero arbitrio, la
propria dignità e indipendenza di pensiero; il vaccinato
invece, come conseguenza dell’atto di obbedienza e di
sottomissione al regime bio-politico, per poter godere di
alcuni diritti formali di libertà, deve consegnare al sovrano
dignità, coscienza e libero arbitrio — in cambio di una parte
si aliena quindi del tutto, ciò che appunto distingue l’essere
umano dagli altri esseri senzienti. Mentre il non-vaccinato è
condannato a subire un’oppressione reale, il vaccinato ne deve
sopportare una rafforzata, metafisica.

Acune finali considerazioni politiche. Non commetta, la nostra
minoranza, l’errore di auto-isolarsi, di cercare la via di
fuga. Non insegua l’illusione che la salvezza possa consistere
nell’esodo comunitaristico. Non c’è alcun altrove, alcuna
Terra Promessa. A ben vedere l’idea dell’esodo, quella di
trovare rifugio in piccole società appartate e auto-governate,
ammesso e non concesso che possano effettuarsi, testimonia che
si fa strada la convinzione che la Resistenza è destinata alla
sconfitta. In effetti la sconfitta è altamente probabile.
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Saremo retorici ma siamo obbligati a ribadire che nella guerra
(e la nostra lo è) si può perdere non una ma più battaglie.
Per dirla alla Mao Zedong: “La vittoria strategica è il
risultato di una serie di sconfitte tattiche”.

Ogni minoranza, quando è costretta dal nemico allo scontro in
campo aperto, è destinata alla sconfitta. E’ la rotta
disordinata che va evitata, così da poter riorganizzare le
proprie forze. La nostra è una lotta di lunga durata. La
vittoria dipenderà da diversi fattori. Primo fattore: dovremo
rafforzarci anche ove fossimo obbligati alla ritirata. Secondo
fattore: il nemico non è imbattibile, in preda alle vertigini
del successo, commetterà errori gravi, ciò che ci consentirà
di passare alla controffensiva. Terzo fattore: il nemico ha
sempre un suo Tallone d’Achille, e questo punto debole è
costituito proprio dall’eterogeneo blocco sociale che lo
sostiene. Questo blocco si sfalderà poiché proprio la
maggioranza che oggi ubbidisce sopportando un’oppressione
metafisica, vorrà redimersi dal proprio disonore e riscattare
la sua libertà. Quello sarà il momento della nostra
implacabile vendetta.

«Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno
che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del
Signore verrà come un ladro nella notte».

[San Paolo, 1Ts5, 1-11]

PER UNA GIORNATA DI LOTTA
CONTRO IL GOVERNO DRAGHI
Di
seguito l’appello che il Fronte del Dissenso rivolge a tutti
gli organismo del movimento no green pass per organizzare
congiuntamente, per sabato 4 dicembre, una giornata nazionale
di lotta con manifestazioni i tutti i capoluoghi di regione.

                        NO, DRAGHI NO!
    Per l’Italia, la Costituzione, il Lavoro e la Libertà

Il 4 dicembre manifestiamo in tutti i capoluoghi di regione

Mario Draghi è al governo da meno di un anno, ma
l’instaurazione del regime autoritario edificato in suo nome
procede di gran carriera. L’imposizione del Green pass più
liberticida del mondo rappresenta lo snodo decisivo verso un
modello economico, sociale e politico fondato sulla
discriminazione ed il potere assoluto.
Quello che stiamo contrastando nelle mobilitazioni di questi
mesi è il progetto antiumano ed antisociale della cupola
globalista, di cui l’Italia è oggi il principale campo di
sperimentazione. Un ruolo reso possibile proprio dalla
conquista del governo da parte dell’ex presidente della BCE
che strangolò la Grecia.
All’attacco alle libertà costituzionali, si somma adesso
quello al lavoro ed ai diritti sociali in genere. Il ritorno
alla legge Fornero in materia pensionistica, l’attacco al
Reddito di cittadinanza, le controriforme legate al PNRR, il
riavvio di politiche di taglio alla spesa pubblica, ci
mostrano come meglio non si potrebbe a cosa serva l’attuale
“stato d’eccezione” alimentato dalla narrazione sistemica sul
Covid.
Con il parlamento trasformato in uno zerbino da calpestare
ogni giorno, con i media compatti nel glorificare il nuovo
“uomo della Provvidenza”, il discorso pubblico è ormai ridotto
ad un’invocazione a Draghi, presentato come il “Salvatore” cui
destinare per diritto divino tutte le cariche dello Stato.
Siamo quindi in presenza di una sorta di monarchia
tecnocratica, la cui evoluzione verso un sistema dispotico più
strutturato va contrastata con tutte le forze.
Oggi che la discriminazione è fatta legge, oggi che il diritto
al lavoro ed alla vita è stato sottratto a milioni di persone
a colpi di decreti, oggi che si vuole prorogare all’infinito
un illegittimo “stato d’emergenza”, è venuto il momento di
mettere sotto accusa il principale responsabile di tutto ciò.
Certo, Mario Draghi non agisce da solo. Ma senza il suo ruolo
di snodo centrale tra la cupola finanziaria globale, l’Ue ed i
centri del potere economico nostrano, il sistema non ce la
farebbe.
In questi mesi abbiamo manifestato, con una continuità mai
vista, per i diritti e la libertà. Oggi è il momento di fare
un salto di qualità, di trasformare il dissenso in aperta
opposizione. E’ il momento di nominare con chiarezza il
nemico: Draghi dev’essere fermato! Il “vile affarista”
(copyright Francesco Cossiga) non deve andare al Quirinale!
Per questi motivi, sabato 4 dicembre manifesteremo in tutta
Italia. Per dire no al regime, per costruire una forte
opposizione che prepari la strada alla futura liberazione del
nostro Paese.
Fronte del Dissenso

PROPOSTA DI COLPO DI STATO di
Leonardo Mazzei

                                                          Or
mai non ci sono più freni. Al nuovo duce tutto è dovuto. Ed i
suoi scagnozzi non stanno più nella pelle.

Segnalando l’attuale china verso un regime dispotico così ho
scritto la settimana scorsa: «La discussione pubblica si
riduce ad un’invocazione a Lui, le principali cariche dello
Stato spettano a Lui, e peccato che non possa stare
contemporaneamente a Palazzo Chigi ed al Quirinale!».

Era un’esagerazione? Evidentemente no, se il tirapiedi in
capo, al secolo Giorgetti Giancarlo da Cazzago Brabbia, si è
permesso di dichiarare che «Draghi potrebbe guidare il
convoglio anche dal Quirinale».

Et voilà! Ecco la soluzione! Perché perdere tempo in tanti
discorsi? Mica possiamo aspettare una modifica costituzionale
alla francese, che poi magari gli italiani ce la bocciano.
Meglio, molto meglio, attuarlo al volo quello stravolgimento.
Il momento è favorevole – ecco a cosa serve lo stato
d’emergenza infinito alimentato a Covid – e bisogna coglierlo
al volo. Dunque, si mandi Draghi al Quirinale così 7 anni di
Troika son garantiti, ma gli si consenta anche di continuare a
guidare il governo pure da lì. E’ totalmente incostituzionale?
E chissenefrega! Mica abbiamo dichiarato lo stato d’eccezione
per pettinar le bambole, come avrebbe detto Bersani.

Il discorso di Giorgetti non si presta ad equivoci. La sua
spudoratezza senza limiti lo porta ad esplicitarne la sostanza
senza reticenza alcuna: «Sarebbe un semipresidenzialismo de
facto» – egli ci dice – «in cui il presidente della Repubblica
allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole».

Come definire questo disegno, proveniente dall’interno del
governo, se non come la proposta di un vero e proprio colpo di
Stato? In altri tempi in molti avrebbero suonato l’allarme
rosso. Oggi no, oggi al massimo si farfuglia qualche insulsa
banalità, magari ricordando (come ha fatto Calenda) che per
ora in Italia il presidenzialismo non c’è. Grazie, ma lo
sapevamo già. E lo sa bene pure Giorgetti, che però un suo
progetto ce l’ha.

Quale sia il suo piano (che non è certo solo suo) è piuttosto
semplice a dirsi: draghizzare l’intera politica italiana,
accelerare in tutti i modi il processo di accentramento dei
poteri già in atto da mesi, disegnare in un colpo solo la
maggioranza e l’opposizione, le forze abilitate a governare e
quelle che dovranno rassegnarsi obtorto collo al ruolo
secondario ma pur sempre ben retribuito di “opposizione di sua
maestà”. Una linea di faglia che passa proprio all’interno
della Lega.

Giorgetti è appena rientrato da un viaggio negli Usa, dove sia
il potere politico che quello finanziario hanno nel “vile
affarista” la certezza di avere un loro uomo al comando,
mentre “tutto il potere a Draghi” corrisponde al millimetro al
programma della marcia cupola eurista che manovra da
Bruxelles. Come questi obiettivi di fondo verranno tradotti in
pratica, nel decisivo gioco d’incastri che porterà
all’elezione del presidente della Repubblica, ancora non si
sa. Ma la volontà di lorsignori più chiara non potrebbe
essere.

Tuttavia anche questo non basta. Posta la centralità di
Draghi, la draghizzazione dell’intero sistema politico ha uno
scopo ancora più ambizioso. Il progetto è quello di prendere
due piccioni con una fava. Da una parte delimitare il campo
dei draghiani senza macchia e senza peccato; dall’altra
assegnare a chi resterà fuori (Fratelli d’Italia e
presumibilmente la parte della Lega fedele a Salvini) il ruolo
di “cara opposizione designata”.

Il sistema ha infatti una sua intelligenza. Ed il movimento
contro il Green pass rappresenta una cesura storica
giustamente considerata pericolosa nei pensatoi del potere,
altro non fosse che per i suoi imprevedibili sviluppi. Occorre
dunque riassorbire quella frattura, cercando di delegarne in
qualche modo la rappresentanza ad una finta opposizione, a
forze politiche strutturalmente interne al sistema ma
momentaneamente escluse dal primo cerchio che orbita intorno
al Sole Draghi.

Questo a me pare il disegno politico del blocco dominante.
Disegno ambizioso e, ove si realizzasse, micidiale. Disegno da
contrastare in tutti i modi. Per fortuna il diavolo fa le
pentole ma non i coperchi. Toccherà al movimento sceso in
campo in questi mesi dare una prima risposta, quella della
consapevolezza di chi ha compreso quanto sia decisivo il ruolo
dell’attuale presidente del consiglio. E’ lui il nemico
principale. Agiamo di conseguenza, trasformando il dissenso in
opposizione come primo passo sulla strada dell’alternativa e
della liberazione.

ABBIATE FEDE di Sandokan

                                                         Paol
o Mieli passa per essere uno dei maître à penser più ascoltati
nelle stanze dei bottoni. Noi siamo suoi affezionatissimi
lettori e non ci perdiamo i suoi editoriali, per la semplice
ragione che ci aiuta a capire cosa bolle nel pentolone del
potere. Certo, occorre sempre compiere un’opera di
decodificazione, poiché molto spesso dissimula i concetti
affinché capiscano gli ottimati a cui si rivolge.

Il 22 settembre ha fatto un’eccezione. Nel suo editoriale sul
Corriere della Sera spara la seguente cannonata:

“E se decidessimo di non votare più? C’è un’Italia che in modo
ogni giorno più esplicito auspica un futuro post elezioni
politiche con assetti più o meno simili a quello attuale”.

Traduzione: in seno all’élite che conta si va rafforzando la
frazione che vorrebbe Draghi a vita e per ottenere il
risultato si starebbe attrezzando allo scopo.

Detto tra noi, l’avevamo capito.

La novità è che il nuovo colpo di stato, questo de profundis
della Repubblica con tanto di avvento di una monarchia
tecnocratica, è annunciato pubblicamente, senza peli sulla
lingua.

Si sentono talmente forti, lassù, che non ci lasciano nemmeno
il gusto di svelare il complotto.

Non rattristatevi per questo, siate anzi fiduciosi.

Non ci sarebbe speranza di vittoria se il sistema non avesse
falle, se il nemico non commettesse gravi errori. Che il
sistema abbia falle enormi, non c’è dubbio. Compito dei
rivoluzionari è individuare queste falle e lì indirizzare i
colpi. Siate fiduciosi poi, che quando il nemico è vittima del
delirio di onnipotenza, è proprio in questi momenti che
commette errori fatali.

Tuttavia non basta che il sistema grippi e che chi governa
commetta gravi errori.

Per approfittarne e aprire nuovi orizzonti, c’è anzitutto
bisogno di avere fiducia in sé stessi.

E qui sta il punto, la nuova opposizione è combattiva, vivace,
ma attraversata da sfiducia, scetticismo e senso di
impotenza,   — di qui certe tendenze a cercare scorciatoie
sovversivistiche e/o la fuga dal terreno politico immaginando
di costruire comunità appartate e agresti.

La fiducia in sé stessi, chiede anzitutto fede, fede nella
possibilità che il popolo si sollevi e che lo stato di cose
possa essere davvero cambiato.

Questa fede la storia non la dà a gratis, costa anzi molti
sacrifici. Quanti di quelli che oggi protestano, saranno al
nostro fianco domani e dopodomani? Pochi, poiché i più
vogliono tutto e subito. Ma saranno proprio quei pochi il
lievito del cambiamento.

IL DESPOTA di Leonardo Mazzei

                                                       «Non
si torna indietro». Così parlò Mario Draghi il despota, verso
le 20 di un martedì qualunque. Il tema erano le pensioni,
sulle quali invece si tornerà indietro eccome, esattamente
alla Legge Fornero del 2011. Con tanti saluti a Salvini ed ai
sindacati che, sembrerebbe quasi incidentalmente, stavano
seduti davanti al suo trono. Seduti, o fors’anche
inginocchiati come più gli si addice, ma di certo incapaci di
toccar palla. Sta di fatto che all’ora di cena il despota si è
annoiato di cotanto cincischiare ed ha lasciato quel tavolo
cui tanto tenevano coloro che credevano di poter essere i suoi
commensali.

Ma come, avrà pensato Landini, son passati solo 15 giorni dal
tenero abbraccio davanti alla sede della Cgil e questo già ci
mette alla porta? La verità è che Cgil-Cisl-Uil hanno ottenuto
esattamente quel che si meritano. Nel 2018 trovarono la
maniera di criticare “Quota 100” perché partorita dall’odiato
governo gialloverde, mentre adesso si ritrovano in qualche
modo a rimpiangerla senza però poterlo dire. Per il despota
chiuderli in un angolo è stato un giochino da ragazzi.

Ma quel che colpisce, e che dovrebbe far riflettere pure i
dubbiosi e gli increduli, non è tanto lo scontato risultato di
un inesistente “confronto” con altrettanto inesistenti
“controparti” sindacali, quanto piuttosto l’aperto atto
d’imperio: qui comando io, e siccome non ho tempo da perdere
mi alzo e me vado.

Visti i leccapiedi che si trovava davanti, davvero non c’era
bisogno di una simile sceneggiata. Ma se il “vile affarista”
di cossighiana memoria ha deciso quella mossa una ragione c’è.
Chiarire a tutti, urbi et orbi, come funziona il nuovo regime
tecno-autoritario alimentato a Covid. Un segnale non tanto per
gli occasionali interlocutori, quanto per il parlamento e le
esangui forze politiche che lo compongono. Che nessuno si
azzardi a tirare la corda sulla Legge di bilancio! Su quella
non si scherza, anche perché il despota ha preso chiari
impegni davanti al Consiglio europeo della settimana scorsa.

Ora, qualcuno ci critica quando noi parliamo di “dittatura”. E
va bene, discutiamone pure. Ma a due condizioni: che si
guardino in faccia i dati di fatto; che si comprenda che la
moderna dittatura non ha bisogno del manganello e dell’olio di
ricino, sostituiti oggi dalla bastonatura mediatica e dal
dominio sui corpi garantito dal monopolio della paura.
I dati di fatto sono chiari. Abbiamo un parlamento ridotto a
stuoino del conducator. E la stessa cosa vale per un Consiglio
dei ministri che qualcuno chiama a ragione “Gran Consiglio del
draghismo”. La discussione pubblica si riduce ad
un’invocazione a Lui, le principali cariche dello Stato
spettano a Lui, e peccato che non possa stare
contemporaneamente a Palazzo Chigi ed al Quirinale!

Aggiungiamo a questo la mostruosità del Green pass
all’italiana, la discriminazione fatta legge, la sottrazione
del diritto al lavoro ed al reddito per milioni di persone.
Consideriamo poi uno “Stato d’emergenza” che dura da due anni,
l’assoluto controllo dei media, la quotidiana diffamazione del
movimento che si batte nelle piazze. Cos’altro ci vuole per
poter parlare di dittatura?

Con il suo gesto plateale, Draghi ha messo ieri sera la
ciliegina sulla torta. Il despota è lui, ed è lui il centro
nevralgico del nuovo regime. Il movimento contro il Green pass
ha cominciato a capirlo: il nemico fondamentale da fermare è
Draghi. Il despota Mario Draghi.

DRAGHI: OVVERO LA TROIKA È
GIÀ QUI di Moreno Pasquinelli
Mario
Draghi a capo del governo ha prodotto nei circoli dominanti un
vero e proprio stato di estasi collettiva. E’ come fossero
convinti di portare in grembo la certezza della rinascita
dell’Italia come potenza, quindi la salvezza dell’Unione
europea. Sarà vero? O si tratta di una gravidanza isterica?

Morya Longo su Il Sole 24 Ore del 21 ottobre ci da notizia che
all’estero, grazie all’arrivo di Draghi, non solo cresce la
fiducia di economisti e investitori, ma si parla di un
“decennio d’oro” in arrivo.

JP Morgan: “Forte crescita, con Draghi che porta cambiamenti
radicali”.

Alfred Kammer, direttore dipartimento europeo del FMI: “La
forte ripresa dell’Italia è il successo delle misure adottate
da Draghi. Per l’Italia i vaccini sono stati un game changer”.

Financial Times: “L’Italia conosce un boom di investimenti”.

Goldman Sachs: “Col Recovery Fund gli investimenti pubblici
tornano ai livelli precedenti al 2007”.
Gli analisti di Deutsche Bank: “E’ impressionante come con
Draghi siano state varate riforme tanto velocemente”.

Ma il capo economista dell’OCSE ha espresso il concetto più
significativo: “L’Italia è oggi nella posizione di resettare
l’economia”.

Una vera e propria glorificazione di Draghi. Tuttavia queste
aspettative sono inversamente proporzionali ai risultati
effettivi. Altri analisti fanno notare infatti che l’indice
considerato rivelatore, lo spread Btp-Bund, è fermo sopra 100
(e ciò grazie      anzitutto alla politica della Bce).
  Aggiungiamo, in merito al “copioso” livello degli
investimenti fissi, che questi sono sì cresciuti dopo il
grande tonfo del 2020, ma non sono tornati al livello pre-
pandemia e stanno ben al di sotto degli anni che precedettero
il collasso del 2009-2010.

Insomma, molto il fumo, ma poco l’arrosto, e gli apologeti che
parlano a nome della cupola mondialista lo sanno bene. C’è
dunque da chiedersi come mai lorsignori si sbilanciano in tali
esaltanti previsioni.

La risposta? E’ duplice. Da una parte si tratta del classico
esorcismo, il tentativo di scongiurare il fallimento
probabile, dall’altra abbiamo una grossolana e sfrontata
operazione politica tendente a blindare Draghi affinché resti
a vita al comando del Paese.

Che questa sia la recondita finalità lo confessa proprio chi
ha inventato la storiella del “decennio d’oro dell’Italia”.
Ecco quanto scrive l’americano istituto13D Research &
Strategy:

“Il timore che l’Italia torni in stagnazione nell’impasse
politica dopo l’uscita di Draghi dal governo è ingiustificato.
Come Presidente della Repubblica, Draghi avrà ancora molto
potere: se riuscirà ad implementare le riforme durante la
permanenza al Governo, non importa chi verrà dopo di lui
perché nessuno potrà più cambiare l’impostazione”.

E’ presto per dire se Draghi salirà davvero al Colle, come
effettivamente preferirebbero i poteri forti, o se invece
dovranno “accontentarsi” di fargli fare il Presidente del
Consiglio anche nella prossima legislatura. E’ chiaro tuttavia
il loro obiettivo: servirsene come garante dei loro interessi
e come esecutore del disegno di piegare e soggiogare
definitivamente l’Italia. Non lo confessano, non possono
farlo, ma essi considerano Draghi una Troika sotto mentite
spoglie, il “pilota automatico” che deve far sì che lo Stato
assecondi la famigerata “distruzione creativa”.

Fu proprio Draghi, nel marzo 2013 (era Presidente Bce e in
Italia avevamo Mario Monti) a pronunciare la famosa frase:
“L’Italia prosegue con le riforme, poiché c’è il pilota
automatico”.

Non gli portò molto bene questo “pilota automatico”, visto che
esso portò le forze sistemiche a sbattere nella sconfitta
clamorosa delle elezioni del 4 marzo 2018.

Chiare sono dunque la posta in palio e la sfida per chiunque
pretenda di rappresentare l’opposizione: evitare che questo
disegno si realizzi. Impresa difficile ma non impossibile. Ci
si dedichi alla costruzione di questa opposizione che il piano
del nemico dovrà fare i conti con enormi difficoltà oggettive.

LABORATORIO     ITALIA                                   di
Leonardo Mazzei
Ormai
l’hanno capito tutti: nella narrazione sul Covid, così come
nell’adozione delle misure che ne sono derivate, l’Italia è un
Paese speciale. La vicenda della moderna Tessera del Fascio,
denominata Green Pass, è lì a dimostrarlo.

La tabella qui sotto è inequivocabile. Pur essendo uno dei
paesi con il più alto tasso di vaccinazione, l’Italia è
nettamente prima nella speciale classifica delle leggi
liberticide messe in campo. Segue, ma a grande distanza, la
Francia macroniana. Gli altri sono tutti staccatissimi.
Tra le altre cose brilla la sequela di NO della Danimarca,
laddove troviamo invece l’infinita serie di SI’ ad ogni
obbligo possibile e immaginabile del nostro Paese. Se,
shakespearianamente, un tempo il marcio risiedeva in
Danimarca, oggi sembra essersi spostato a Roma, laboratorio
prescelto di un imbroglio e di un esperimento sociale
planetario a danno dei popoli.

Perché l’Italia ha assunto questo ruolo? Ecco un punto che
bisogna cercare di comprendere bene. A mio avviso le ragioni
sono tre, ovviamente collegate tra loro.

Se, come pensiamo, il progetto globale è quello della
transizione ad un mondo ademocratico, popolato da regimi
autoritari basati sul potere di una tecnocrazia ormai
liberatasi dalle stesse regole della democrazia liberale,
l’Italia è il paese perfetto per fare da apripista a questo
disegno. E lo è tanto più dopo che il simbolo vivente di
questa tecnocrazia globalista e ferocemente antipopolare,
Mario Draghi, ha preso le redini del comando.

Se l’ex presidente della Bce è la prima e decisiva ragione
della disgrazia che è toccata al nostro Paese, ciò è dovuto
però ad altri due motivi: la straordinaria crisi della
politica e delle istituzioni che si trascina oramai da un
trentennio; la condizione di Paese eternamente ricattato via
debito dentro i micidiali meccanismi della gabbia dell’euro.

Senza una politica ridotta al lumicino, e senza il perenne
ricatto del debito, alimentato dalla cupola oligarchica che
governa un’Unione Europea che è parte decisiva del progetto
del Grande reset, la tecnocrazia non avrebbe potuto imporsi.
Di sicuro non in questa misura.

Queste semplici considerazioni ci portano a due conclusioni.

La prima è che la lotta che conduciamo in Italia ha una
straordinaria importanza. Se il nostro Paese è il laboratorio
avanzato delle mostruosità non solo antipopolari, ma financo
anti-umane messe in campo dal blocco dominante, il suo esito
avrà conseguenze che andranno ben oltre i confini nazionali.

La seconda è che dobbiamo sempre nominare il nemico. Il
dissenso deve dunque diventare opposizione. In primo luogo
opposizione al nuovo regime ed al suo massimo rappresentante
Mario Draghi.

L’attuale presidente del Consiglio non solo ricopre infatti
una posizione centrale e difficilmente sostituibile, ma gode
pure di un notevole consenso. Il consenso è però merce
volatile assai, e potrebbe anche indebolirsi ben prima del
previsto. Proprio per questo bisogna alzare sia il livello
della mobilitazione che quello della consapevolezza politica.

La   lotta   sarà   dura,   ma   non   impossibile.   L’autoritario
“Laboratorio Italia” deve fallire. La libertà, il diritto al
lavoro, la democrazia deve trionfare. E’ stato questo il senso
della grande manifestazione del 25 settembre. Andiamo avanti!

“TUTTO   È                        COMPIUTO”                   di
Sandokan
Dato che
in Francia Macron dichiara di voler fare marcia indietro,
l’Italia è il solo paese al mondo in cui si impone per legge
l’obbligo vaccinale universale. Nient’altro che un infame
Trattamento Sanitario Obbligatorio erga omnes, nessuno escluso
(tra poche settimane anche i bambini).

Un atto di forza sbalorditivo, a conferma che col pretesto
dell’emergenza sanitaria siamo piombati in un regime nuovo, in
uno Stato d’eccezione appunto, che se non viene presto
rovesciato, sarà ricordato come anticamera      di una vera e
propria dittatura.

Atto di forza che sarebbe stato inimmaginabile solo due anni
fa. L’italietta colabrodo, l’italietta dei governi deboli e
dell’instabilità permanente è invece diventata, in fatto di
sperimentazione del nuovo ordine biopolitico e tecnocratico,
capofila dell’Occidente, anzi avanguardia mondiale.

La domanda che alcuni si fanno è: come è stato possibile?
Domanda che tradisce un pregiudizio, che anzi contiene una
premessa, quella per cui la nostra sarebbe un’italietta legno
storto, pasticciona, italietta colabrodo con classi dirigenti
incompetenti e corrotte. Certa nostrana élite liberale ha
avuto un ruolo decisivo nel costruire e propalare questa
leggenda. Italiani brutti, sporchi, cattivi e sempre indietro
sui tempi della storia, alla rincorsa dei campioni, sempre
stranieri, del progresso e della modernità. E’ la stessa élite
che ha accettato nel dopoguerra la sudditanza agli USA e poi
invocato il vincolo esterno euro-tedesco.

Ma le cose non sono mai state davvero così. L’Italia è sempre
stata un importante laboratorio politico che ha spesso
indicato per prima la strada che altri paesi hanno seguito
dopo. Così è anche questa volta: Italia apripista, Italia
banco di prova, Italia agnello sacrificale eventualmente.

Colpiscono la fermezza e la postura irremovibile di Draghi e
dei suoi sodali della maggioranza di governo. Da dove viene
questa sicumera? Questa certezza di vittoria? Viene certo dal
sostegno che gli assicura la grande borghesia italiana,
l’élite eurocratica, i poteri forti mondiali. Ultimo ma non
meno importante: viene dal fatto che la politica psico-
sicuritaria è egemonica, ha consenso maggioritario tra i
cittadini.

C’è tuttavia dell’altro, a me pare, dietro a questi
consecutivi e brutali atti di forza del governo. Mosse non
solo tattiche ma strategiche altamente rischiose me le spiego
solo a patto di considerare una malcelata ambizione da parte
dell’élite italiana, la pretesa di mettersi a capo del “grande
reset”, a guida del mutamento sistemico occidentale. Aleggia
insomma, nei romani palazzi del potere, così come nei cenacoli
dell’industria e del mondo bancario, uno stato di trance e di
esaltazione politica, come si fosse in preda ad un improvviso
delirio di onnipotenza. Di qui la vera e propria cieca fiducia
in Mario Draghi, celebrato       addirittura come messia e
redentore di atavici peccati.

Tutto sembra filare liscio per lorsignori. Debbono invece
stare molto attenti, non solo perché le vertigini del successo
inducono quasi sempre a commettere errori. L’Italia è questo
strano paese che si affida al salvatore della Patria, ma fa
altrettanto presto a gettarlo nella polvere.
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