PER ADESSO HANNO VINTO LORO - di Moreno Pasquinelli
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PER ADESSO HANNO VINTO LORO di Moreno Pasquinelli Chi ha lo sguardo volto all’indietro non vede né il mostro che gli si staglia davanti né la minaccia che la sua ombra proietta all’orizzonte. Ci sono in circolazione quelli che negano la portata storica della “Operazione Covid”, che non vogliono accettare l’idea che essa è sia un atto di guerra sociale da parte dell’élite, sia la genesi di un nuovo sistema. Costoro si sono quindi rifiutati di riconoscere la doppia grande importanza del movimento contro il green pass: essenziale fattore di resistenza all’avanzare del mostro ed antesignano e precursore dell’opposizione rivoluzionaria che verrà. Essi vedono una larva sgraziata, non scorgono il bozzolo dal quale si librerà la farfalla. Ma mentre i processi biologici rispondono ad un meccanismo, per quanto finalistico, intrinsecamente deterministico (un chicco di grano produrrà necessariamente la pianta di grano), quelli storico-sociali non sono unilineari né il loro esito è deterministicamente stabilito a priori. Posta una causa, o per
l’esattezza, una molteplicità di cause, gli effetti possono essere diversi, poiché sono il risultato di una lotta tra diverse forze, ognuna delle quali si pone una propria finalità. Nella lotta si decide chi sarà il più forte e quindi avrà il sopravvento, e chi lo avrà pretenderà di realizzare le proprie idee, il proprio modello sociale e politico. Ove nessuno riuscisse a prevalere, allora, e solo allora, avremo le “conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali”, ovvero l’eterogenesi dei fini. Abbiamo scritto in più occasioni sull’importanza del movimento contro il green pass, della sua natura politica, del perché sia sorto e si sia sviluppato anzitutto in Italia. In poche parole: esso è stato una reazione di massa e democratica al golpe bianco dell’élite gobalista. In Italia perché quest’ultima ha voluto usare il nostro Paese come banco di prova particolare di un cambio di regime universale. Così ci spieghiamo lo Stato d’emergenza, i lockdown ed i coprifuoco duri, la scelta di un militare a guidare la campagna di intruppamento vaccinale. Dati gli scarsi risultati ecco che l’élite ha puntato la pistola alla tempia dei recalcitranti: Super Mario incoronato comandante in capo della nuova Santa Alleanza. Era il segnale che la macchina da guerra italiana avrebbe di nuovo fatto da apripista alle altre sorelle euro-unioniste, che avrebbe proceduto senza esitazione: obbligo vaccinale ai sanitari, obbligo vaccinale nella scuola, a fine giugno il primo Dpcm sul green pass e l’introduzione del QR-Code, quindi la terribile conferenza stampa del 23 luglio nella quale Draghi anticipava le strette future e condannava i non vaccinati come portatori di morte. Arruolati milioni di kapò, intruppata anzitutto la soldataglia di scienziati, giornalisti e terroristi in camice bianco-verde, è stata promossa la più grande operazione di resettaggio, inquadramento e disciplinamento sociale mai vista — lo Stato di polizia 4.0. Quello del 23 luglio è stato un decisivo punto di svolta. Le
mobilitazioni di protesta, spontanee e senza che vi fossero santi politici in paradiso a invocarle o proteggerle, sono diventate, soprattutto nel centro-nord del Paese, di massa. Di più, sono diventate permanenti: in molte città, a fine novembre, si è giunti a sedici sabati consecutivi di mobilitazione. Il governo non si aspettava una reazione tanto forte (vedi, tra le altre, la manifestazione dei 100mila a Piazza san Giovanni). Al netto di manovre di deliberata provocazione (Roma, 9 ottobre) e operazioni muscolari (Trieste, 18 ottobre), ha fatto buon viso a cattivo gioco, nella speranza che il movimento di protesta finisse e la campagna di vaccinazione fosse coronata da successo. A fine ottobre, quando era evidente che non stava ottenendo né l’una né l’altra, il governo ha iniziato a progettare l’ultimo assalto frontale, che piomberà con il Decreto del 24 novembre: estensione dell’obbligo vaccinale ad altre categorie, green pass rafforzato, terza dose, adombrata militarizzazione sociale via capillari controlli per il rigoroso rispetto delle nuove radicali misure di segregazione. Il governo Draghi non nasconde di aver congegnato queste ultime e draconiane misure per una finale e risolutiva resa dei conti col Movimento contro il green pass. Il colpo è in effetti devastante: mesi di lotte e proteste, se hanno inceppato la campagna di vaccinazione, non hanno portato a casa risultati tangibili, non hanno piegato le autorità, che anzi hanno alzato il tiro. Vedremo cosa accadrà nelle prossime settimane (a cominciare dalla giornata nazionale di mobilitazione del 4 dicembre lanciata dal Fronte del Dissenso). Spero di sbagliarmi, ma temo che il movimento non sarà in grado di opporre all’attacco un adeguato contrattacco, che l’offensiva del governo abbia spinto il movimento sul viale del tramonto. E’ come se il nemico avesse sfondato la Linea del Piave. Siamo davanti ad un cambio di fase — nel turbolento processo di
metamorfosi sistemica in atto dovremo abituarci a repentini cambi e salti di fase — che chiede all’Italia ribelle una ritirata, una riorganizzazione delle forze per promuovere, mi si passi la metafora, una guerra di guerriglia dietro le linee nemiche. Come ho scritto giorni addietro, non ho dubbi che si ripresenterà presto l’occasione per un contrattacco ed a quali condizioni di possibilità esso avverrà. Tempo al tempo. Ora la priorità è evitare la rotta disordinata con la sua inevitabile dispersione di forze. Ritirarsi quindi in buon ordine, dare una forma politica strutturata unificata alle bande partigiane della Nuova Resistenza, agire con la massima agilità senza accanirsi a difendere trincee indifendibili. Ciò chiede pensare strategicamente. Vedremo quindi presto se in questi mesi di battaglia si è venuta formando nel Paese un’avanguardia rivoluzionaria. Ci servirà come il pane (e come antidoto) per smascherare politicanti in cerca d’autore, allontanare azzeccagarbugli, contrastare sfasciacarrozze mascherati da federatori, e battere in breccia incipienti operazioni di gatekeeping; e per costruire la spina dorsale di un nuovo Comitato di Liberazione nazionale. QUESTA E’ LA VERA POLITICA ECONOMICA DI DRAGHI
sabat o 4 dicembre giornata di mobilitazione nazionale Il governo Draghi non è solo quello dell’attacco alle libertà ed ai diritti costituzionali. Sotto tiro sono i lavoratori ed i diritti sociali. Le misure prese dal governo sono innumerevoli. Vediamo quelle principali. Sblocco dei licenziamenti – Se a luglio si sono visti i primi effetti dello sblocco dei licenziamenti nella grande industria (basti pensare alla GKN di Campi Bisenzio), altre decine di migliaia di lavoratori dei settori più deboli – terziario, piccole imprese, artigianato – hanno perso il posto di lavoro a causa dello sblocco finale del 31 ottobre scorso. Nuovi disoccupati si sono così aggiunti al milione di posti di lavoro persi negli ultimi due anni: altro che ripresa! Pensioni: si ritorna alla Fornero! – La cancellazione di “Quota 100” è la prova di come si voglia restaurare progressivamente l’austerità richiesta dall’UE. “Quota 102” (che verrà poi seguita da “Quota 104”) è una presa in giro. Ne usufruiranno al massimo 8.524 lavoratori nel 2022 e 1.924 nel 2023. Queste cifre ci dicono solo una cosa: si torna integralmente alla Fornero. Tutti in pensione a 67 anni alla
faccia della disoccupazione. Reddito di cittadinanza tagliato – Il taglio progressivo del Reddito di cittadinanza, voluto dal governo, è un ricatto per ottenere la disponibilità a svolgere qualunque lavoro, a qualsiasi condizione. E’ questo il modo per legittimare al 100% ogni tipo di sfruttamento. I preparativi di una nuova austerità – Nel settembre scorso, la Nota di aggiornamento del DEF (Documento di Economia e Finanza) ha chiarito l’intendimento del governo di tornare a breve (certamente dal 2023) ad una politica di austerità improntata ai vincoli europei. Giusto per andare in questa direzione, Draghi ha istituito presso il Mef (Ministero dell’economia) un “comitato scientifico” alla spending review. Ne faranno parte funzionari di Bankitalia, della Corte dei Conti e della ragioneria dello Stato. Insomma: tutto il potere ai tecnici! Possiamo già facilmente immaginarci cosa ne verrà fuori! Le nuove privatizzazioni – Il “vile affarista”, già liquidatore dell’industria pubblica negli anni ’90, torna all’attacco. Con il Ddl “Concorrenza” gli Enti locali vengono spinti alla privatizzazione dei servizi pubblici locali. La loro gestione privata è considerata come desiderabile norma, quella pubblica un peccato da cui redimersi. Tant’è vero che gli Enti locali che vorranno gestire in proprio un servizio dovranno giustificarlo per legge. Stiamo parlando del settore idrico (con il definitivo saluto al risultato del referendum del 2011), di quelli dei rifiuti e dell’energia. La cessione ai privati di questi settori equivale a creare non “concorrenza”, bensì nuovi monopolisti privati in grado di decidere in proprio qualità del servizio ed entità delle bollette. Un film già visto con la privatizzazione dell’energia elettrica e delle autostrade. I soldi del Pnrr andranno ai soliti noti, le controriforme per averli toccheranno alle classi popolari – Il Pnrr (Piano
nazionale di ripresa e resilienza) sarà una pacchia per la grande industria e per le banche, mentre sarà una nuova batosta per le classi popolari. I famosi “soldi dall’Europa” altro non sono che debiti da restituire, ma mentre qualcuno ci si farà grasso, le 528 condizioni (cinquecentoventotto!) per ottenerli ricadranno per intero sul popolo lavoratore. Solo per ottenere la prima tranche (su 10) dei fondi europei, l’Italia ha dovuto ottemperare a ben 51 condizioni! Tra queste quelle che hanno portato al taglio del Reddito di cittadinanza ed al Ddl “concorrenza”, ma anche le nuove norme sugli appalti, tese a renderli più “semplici” e meno soggetti ai vincoli ambientali ed urbanistici. Un capitolo a parte meriterebbe poi la (contro)riforma del processo civile, voluta per favorire la parte più forte, ad esempio accelerando i tempi per eseguire i pignoramenti delle case dei debitori. Dobbiamo stare attenti, perché i provvedimenti del governo Draghi non appaiono eclatanti, oscurati come sono dalla narrazione pandemica e dal loro dispendersi in mille rivoli. Ma si tratta in realtà del piano più coerente messo in campo dall’oligarchia al potere. Il Grande Reset è anche una grande restaurazione al servizio dei dominanti. Lo si denunci con la massima forza possibile! IMPLACABILE VENDETTA di Moreno Pasquinelli
Pr eceduto da una virulenta quanto mendace campagna d’intimidazione, il governo Draghi ha varato il decreto sul cosiddetto “Green Pass Rafforzato”. In pratica una nuova stretta autoritaria. E’ lo Stato di Polizia 4.0. Chi non si vaccina sarà sottoposto ad un regime di esclusione e segregazione sociale. Chi non si vaccina, se era già escluso dal disporre di fondamentali diritti di libertà, è oggi condannato ad un regime di formale apartheid sociale. Sbagliano coloro i quali affermano si tratti di una “misura medievale”. Davanti alla peste si segregavano gli appestati per proteggere i sani. Oggi, posto che il “vaccino” non immunizza e che i vaccinati possono infettare, vengono confinati e isolati anche coloro che scoppiano di salute, ovvero quelli che sono portatori di un gravissimo morbo sì, ma quello di non inginocchiarsi ai piedi del sovrano rifiutando i suoi diktat. Questa è dunque la vera pandemia che il governo vuole debellare: quella della ribellione sociale. La misura del “Green Pass Rafforzato”, spacciata come atto ex ante di “prevenzione sanitaria”, è dunque squisitamente politica, è un provvedimento di condanna e castigo ex post per
tutti quei sudditi che hanno sin qui disobbedito alla richiesta del sovrano di disporre dei loro corpi. Condanna che è l’equivalente profano e secolare della scomunica di una volta, l’atto con cui la Chiesa oltre ad escludere il battezzato dalla comunità dei fedeli, gli infliggeva la pena dell’inferno nell’al di là. Ma questo della segregazione sociale della minoranza, della parte dal resto, per quanto inusitato, è solo una faccia del regime bio-politico. Quest’ultimo chiama in causa anzitutto tutti gli altri, la maggioranza dei disciplinati, le stesse legioni dei kapò e dei disciplinatori. E’ grazie alla loro accondiscendenza che il sovrano ha potuto finalmente oltrepassare la linea oltre la quale esso riesce a requisire e ad impadronirsi, assieme alla carne, dell’anima stessa dei cittadini. Il non-vaccinato viene sì privato di alcuni essenziali diritti di libertà, ma egli trattiene a sé, con il libero arbitrio, la propria dignità e indipendenza di pensiero; il vaccinato invece, come conseguenza dell’atto di obbedienza e di sottomissione al regime bio-politico, per poter godere di alcuni diritti formali di libertà, deve consegnare al sovrano dignità, coscienza e libero arbitrio — in cambio di una parte si aliena quindi del tutto, ciò che appunto distingue l’essere umano dagli altri esseri senzienti. Mentre il non-vaccinato è condannato a subire un’oppressione reale, il vaccinato ne deve sopportare una rafforzata, metafisica. Acune finali considerazioni politiche. Non commetta, la nostra minoranza, l’errore di auto-isolarsi, di cercare la via di fuga. Non insegua l’illusione che la salvezza possa consistere nell’esodo comunitaristico. Non c’è alcun altrove, alcuna Terra Promessa. A ben vedere l’idea dell’esodo, quella di trovare rifugio in piccole società appartate e auto-governate, ammesso e non concesso che possano effettuarsi, testimonia che si fa strada la convinzione che la Resistenza è destinata alla sconfitta. In effetti la sconfitta è altamente probabile.
Saremo retorici ma siamo obbligati a ribadire che nella guerra (e la nostra lo è) si può perdere non una ma più battaglie. Per dirla alla Mao Zedong: “La vittoria strategica è il risultato di una serie di sconfitte tattiche”. Ogni minoranza, quando è costretta dal nemico allo scontro in campo aperto, è destinata alla sconfitta. E’ la rotta disordinata che va evitata, così da poter riorganizzare le proprie forze. La nostra è una lotta di lunga durata. La vittoria dipenderà da diversi fattori. Primo fattore: dovremo rafforzarci anche ove fossimo obbligati alla ritirata. Secondo fattore: il nemico non è imbattibile, in preda alle vertigini del successo, commetterà errori gravi, ciò che ci consentirà di passare alla controffensiva. Terzo fattore: il nemico ha sempre un suo Tallone d’Achille, e questo punto debole è costituito proprio dall’eterogeneo blocco sociale che lo sostiene. Questo blocco si sfalderà poiché proprio la maggioranza che oggi ubbidisce sopportando un’oppressione metafisica, vorrà redimersi dal proprio disonore e riscattare la sua libertà. Quello sarà il momento della nostra implacabile vendetta. «Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro nella notte». [San Paolo, 1Ts5, 1-11] PER UNA GIORNATA DI LOTTA CONTRO IL GOVERNO DRAGHI
Di seguito l’appello che il Fronte del Dissenso rivolge a tutti gli organismo del movimento no green pass per organizzare congiuntamente, per sabato 4 dicembre, una giornata nazionale di lotta con manifestazioni i tutti i capoluoghi di regione. NO, DRAGHI NO! Per l’Italia, la Costituzione, il Lavoro e la Libertà Il 4 dicembre manifestiamo in tutti i capoluoghi di regione Mario Draghi è al governo da meno di un anno, ma l’instaurazione del regime autoritario edificato in suo nome procede di gran carriera. L’imposizione del Green pass più liberticida del mondo rappresenta lo snodo decisivo verso un modello economico, sociale e politico fondato sulla discriminazione ed il potere assoluto. Quello che stiamo contrastando nelle mobilitazioni di questi mesi è il progetto antiumano ed antisociale della cupola globalista, di cui l’Italia è oggi il principale campo di sperimentazione. Un ruolo reso possibile proprio dalla conquista del governo da parte dell’ex presidente della BCE
che strangolò la Grecia. All’attacco alle libertà costituzionali, si somma adesso quello al lavoro ed ai diritti sociali in genere. Il ritorno alla legge Fornero in materia pensionistica, l’attacco al Reddito di cittadinanza, le controriforme legate al PNRR, il riavvio di politiche di taglio alla spesa pubblica, ci mostrano come meglio non si potrebbe a cosa serva l’attuale “stato d’eccezione” alimentato dalla narrazione sistemica sul Covid. Con il parlamento trasformato in uno zerbino da calpestare ogni giorno, con i media compatti nel glorificare il nuovo “uomo della Provvidenza”, il discorso pubblico è ormai ridotto ad un’invocazione a Draghi, presentato come il “Salvatore” cui destinare per diritto divino tutte le cariche dello Stato. Siamo quindi in presenza di una sorta di monarchia tecnocratica, la cui evoluzione verso un sistema dispotico più strutturato va contrastata con tutte le forze. Oggi che la discriminazione è fatta legge, oggi che il diritto al lavoro ed alla vita è stato sottratto a milioni di persone a colpi di decreti, oggi che si vuole prorogare all’infinito un illegittimo “stato d’emergenza”, è venuto il momento di mettere sotto accusa il principale responsabile di tutto ciò. Certo, Mario Draghi non agisce da solo. Ma senza il suo ruolo di snodo centrale tra la cupola finanziaria globale, l’Ue ed i centri del potere economico nostrano, il sistema non ce la farebbe. In questi mesi abbiamo manifestato, con una continuità mai vista, per i diritti e la libertà. Oggi è il momento di fare un salto di qualità, di trasformare il dissenso in aperta opposizione. E’ il momento di nominare con chiarezza il nemico: Draghi dev’essere fermato! Il “vile affarista” (copyright Francesco Cossiga) non deve andare al Quirinale! Per questi motivi, sabato 4 dicembre manifesteremo in tutta Italia. Per dire no al regime, per costruire una forte opposizione che prepari la strada alla futura liberazione del nostro Paese.
Fronte del Dissenso PROPOSTA DI COLPO DI STATO di Leonardo Mazzei Or mai non ci sono più freni. Al nuovo duce tutto è dovuto. Ed i suoi scagnozzi non stanno più nella pelle. Segnalando l’attuale china verso un regime dispotico così ho scritto la settimana scorsa: «La discussione pubblica si riduce ad un’invocazione a Lui, le principali cariche dello Stato spettano a Lui, e peccato che non possa stare contemporaneamente a Palazzo Chigi ed al Quirinale!». Era un’esagerazione? Evidentemente no, se il tirapiedi in capo, al secolo Giorgetti Giancarlo da Cazzago Brabbia, si è
permesso di dichiarare che «Draghi potrebbe guidare il convoglio anche dal Quirinale». Et voilà! Ecco la soluzione! Perché perdere tempo in tanti discorsi? Mica possiamo aspettare una modifica costituzionale alla francese, che poi magari gli italiani ce la bocciano. Meglio, molto meglio, attuarlo al volo quello stravolgimento. Il momento è favorevole – ecco a cosa serve lo stato d’emergenza infinito alimentato a Covid – e bisogna coglierlo al volo. Dunque, si mandi Draghi al Quirinale così 7 anni di Troika son garantiti, ma gli si consenta anche di continuare a guidare il governo pure da lì. E’ totalmente incostituzionale? E chissenefrega! Mica abbiamo dichiarato lo stato d’eccezione per pettinar le bambole, come avrebbe detto Bersani. Il discorso di Giorgetti non si presta ad equivoci. La sua spudoratezza senza limiti lo porta ad esplicitarne la sostanza senza reticenza alcuna: «Sarebbe un semipresidenzialismo de facto» – egli ci dice – «in cui il presidente della Repubblica allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole». Come definire questo disegno, proveniente dall’interno del governo, se non come la proposta di un vero e proprio colpo di Stato? In altri tempi in molti avrebbero suonato l’allarme rosso. Oggi no, oggi al massimo si farfuglia qualche insulsa banalità, magari ricordando (come ha fatto Calenda) che per ora in Italia il presidenzialismo non c’è. Grazie, ma lo sapevamo già. E lo sa bene pure Giorgetti, che però un suo progetto ce l’ha. Quale sia il suo piano (che non è certo solo suo) è piuttosto semplice a dirsi: draghizzare l’intera politica italiana, accelerare in tutti i modi il processo di accentramento dei poteri già in atto da mesi, disegnare in un colpo solo la maggioranza e l’opposizione, le forze abilitate a governare e quelle che dovranno rassegnarsi obtorto collo al ruolo secondario ma pur sempre ben retribuito di “opposizione di sua maestà”. Una linea di faglia che passa proprio all’interno
della Lega. Giorgetti è appena rientrato da un viaggio negli Usa, dove sia il potere politico che quello finanziario hanno nel “vile affarista” la certezza di avere un loro uomo al comando, mentre “tutto il potere a Draghi” corrisponde al millimetro al programma della marcia cupola eurista che manovra da Bruxelles. Come questi obiettivi di fondo verranno tradotti in pratica, nel decisivo gioco d’incastri che porterà all’elezione del presidente della Repubblica, ancora non si sa. Ma la volontà di lorsignori più chiara non potrebbe essere. Tuttavia anche questo non basta. Posta la centralità di Draghi, la draghizzazione dell’intero sistema politico ha uno scopo ancora più ambizioso. Il progetto è quello di prendere due piccioni con una fava. Da una parte delimitare il campo dei draghiani senza macchia e senza peccato; dall’altra assegnare a chi resterà fuori (Fratelli d’Italia e presumibilmente la parte della Lega fedele a Salvini) il ruolo di “cara opposizione designata”. Il sistema ha infatti una sua intelligenza. Ed il movimento contro il Green pass rappresenta una cesura storica giustamente considerata pericolosa nei pensatoi del potere, altro non fosse che per i suoi imprevedibili sviluppi. Occorre dunque riassorbire quella frattura, cercando di delegarne in qualche modo la rappresentanza ad una finta opposizione, a forze politiche strutturalmente interne al sistema ma momentaneamente escluse dal primo cerchio che orbita intorno al Sole Draghi. Questo a me pare il disegno politico del blocco dominante. Disegno ambizioso e, ove si realizzasse, micidiale. Disegno da contrastare in tutti i modi. Per fortuna il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Toccherà al movimento sceso in campo in questi mesi dare una prima risposta, quella della consapevolezza di chi ha compreso quanto sia decisivo il ruolo
dell’attuale presidente del consiglio. E’ lui il nemico principale. Agiamo di conseguenza, trasformando il dissenso in opposizione come primo passo sulla strada dell’alternativa e della liberazione. ABBIATE FEDE di Sandokan Paol o Mieli passa per essere uno dei maître à penser più ascoltati nelle stanze dei bottoni. Noi siamo suoi affezionatissimi lettori e non ci perdiamo i suoi editoriali, per la semplice ragione che ci aiuta a capire cosa bolle nel pentolone del potere. Certo, occorre sempre compiere un’opera di decodificazione, poiché molto spesso dissimula i concetti affinché capiscano gli ottimati a cui si rivolge. Il 22 settembre ha fatto un’eccezione. Nel suo editoriale sul Corriere della Sera spara la seguente cannonata: “E se decidessimo di non votare più? C’è un’Italia che in modo
ogni giorno più esplicito auspica un futuro post elezioni politiche con assetti più o meno simili a quello attuale”. Traduzione: in seno all’élite che conta si va rafforzando la frazione che vorrebbe Draghi a vita e per ottenere il risultato si starebbe attrezzando allo scopo. Detto tra noi, l’avevamo capito. La novità è che il nuovo colpo di stato, questo de profundis della Repubblica con tanto di avvento di una monarchia tecnocratica, è annunciato pubblicamente, senza peli sulla lingua. Si sentono talmente forti, lassù, che non ci lasciano nemmeno il gusto di svelare il complotto. Non rattristatevi per questo, siate anzi fiduciosi. Non ci sarebbe speranza di vittoria se il sistema non avesse falle, se il nemico non commettesse gravi errori. Che il sistema abbia falle enormi, non c’è dubbio. Compito dei rivoluzionari è individuare queste falle e lì indirizzare i colpi. Siate fiduciosi poi, che quando il nemico è vittima del delirio di onnipotenza, è proprio in questi momenti che commette errori fatali. Tuttavia non basta che il sistema grippi e che chi governa commetta gravi errori. Per approfittarne e aprire nuovi orizzonti, c’è anzitutto bisogno di avere fiducia in sé stessi. E qui sta il punto, la nuova opposizione è combattiva, vivace, ma attraversata da sfiducia, scetticismo e senso di impotenza, — di qui certe tendenze a cercare scorciatoie sovversivistiche e/o la fuga dal terreno politico immaginando di costruire comunità appartate e agresti. La fiducia in sé stessi, chiede anzitutto fede, fede nella
possibilità che il popolo si sollevi e che lo stato di cose possa essere davvero cambiato. Questa fede la storia non la dà a gratis, costa anzi molti sacrifici. Quanti di quelli che oggi protestano, saranno al nostro fianco domani e dopodomani? Pochi, poiché i più vogliono tutto e subito. Ma saranno proprio quei pochi il lievito del cambiamento. IL DESPOTA di Leonardo Mazzei «Non si torna indietro». Così parlò Mario Draghi il despota, verso le 20 di un martedì qualunque. Il tema erano le pensioni, sulle quali invece si tornerà indietro eccome, esattamente alla Legge Fornero del 2011. Con tanti saluti a Salvini ed ai sindacati che, sembrerebbe quasi incidentalmente, stavano seduti davanti al suo trono. Seduti, o fors’anche inginocchiati come più gli si addice, ma di certo incapaci di
toccar palla. Sta di fatto che all’ora di cena il despota si è annoiato di cotanto cincischiare ed ha lasciato quel tavolo cui tanto tenevano coloro che credevano di poter essere i suoi commensali. Ma come, avrà pensato Landini, son passati solo 15 giorni dal tenero abbraccio davanti alla sede della Cgil e questo già ci mette alla porta? La verità è che Cgil-Cisl-Uil hanno ottenuto esattamente quel che si meritano. Nel 2018 trovarono la maniera di criticare “Quota 100” perché partorita dall’odiato governo gialloverde, mentre adesso si ritrovano in qualche modo a rimpiangerla senza però poterlo dire. Per il despota chiuderli in un angolo è stato un giochino da ragazzi. Ma quel che colpisce, e che dovrebbe far riflettere pure i dubbiosi e gli increduli, non è tanto lo scontato risultato di un inesistente “confronto” con altrettanto inesistenti “controparti” sindacali, quanto piuttosto l’aperto atto d’imperio: qui comando io, e siccome non ho tempo da perdere mi alzo e me vado. Visti i leccapiedi che si trovava davanti, davvero non c’era bisogno di una simile sceneggiata. Ma se il “vile affarista” di cossighiana memoria ha deciso quella mossa una ragione c’è. Chiarire a tutti, urbi et orbi, come funziona il nuovo regime tecno-autoritario alimentato a Covid. Un segnale non tanto per gli occasionali interlocutori, quanto per il parlamento e le esangui forze politiche che lo compongono. Che nessuno si azzardi a tirare la corda sulla Legge di bilancio! Su quella non si scherza, anche perché il despota ha preso chiari impegni davanti al Consiglio europeo della settimana scorsa. Ora, qualcuno ci critica quando noi parliamo di “dittatura”. E va bene, discutiamone pure. Ma a due condizioni: che si guardino in faccia i dati di fatto; che si comprenda che la moderna dittatura non ha bisogno del manganello e dell’olio di ricino, sostituiti oggi dalla bastonatura mediatica e dal dominio sui corpi garantito dal monopolio della paura.
I dati di fatto sono chiari. Abbiamo un parlamento ridotto a stuoino del conducator. E la stessa cosa vale per un Consiglio dei ministri che qualcuno chiama a ragione “Gran Consiglio del draghismo”. La discussione pubblica si riduce ad un’invocazione a Lui, le principali cariche dello Stato spettano a Lui, e peccato che non possa stare contemporaneamente a Palazzo Chigi ed al Quirinale! Aggiungiamo a questo la mostruosità del Green pass all’italiana, la discriminazione fatta legge, la sottrazione del diritto al lavoro ed al reddito per milioni di persone. Consideriamo poi uno “Stato d’emergenza” che dura da due anni, l’assoluto controllo dei media, la quotidiana diffamazione del movimento che si batte nelle piazze. Cos’altro ci vuole per poter parlare di dittatura? Con il suo gesto plateale, Draghi ha messo ieri sera la ciliegina sulla torta. Il despota è lui, ed è lui il centro nevralgico del nuovo regime. Il movimento contro il Green pass ha cominciato a capirlo: il nemico fondamentale da fermare è Draghi. Il despota Mario Draghi. DRAGHI: OVVERO LA TROIKA È GIÀ QUI di Moreno Pasquinelli
Mario Draghi a capo del governo ha prodotto nei circoli dominanti un vero e proprio stato di estasi collettiva. E’ come fossero convinti di portare in grembo la certezza della rinascita dell’Italia come potenza, quindi la salvezza dell’Unione europea. Sarà vero? O si tratta di una gravidanza isterica? Morya Longo su Il Sole 24 Ore del 21 ottobre ci da notizia che all’estero, grazie all’arrivo di Draghi, non solo cresce la fiducia di economisti e investitori, ma si parla di un “decennio d’oro” in arrivo. JP Morgan: “Forte crescita, con Draghi che porta cambiamenti radicali”. Alfred Kammer, direttore dipartimento europeo del FMI: “La forte ripresa dell’Italia è il successo delle misure adottate da Draghi. Per l’Italia i vaccini sono stati un game changer”. Financial Times: “L’Italia conosce un boom di investimenti”. Goldman Sachs: “Col Recovery Fund gli investimenti pubblici tornano ai livelli precedenti al 2007”.
Gli analisti di Deutsche Bank: “E’ impressionante come con Draghi siano state varate riforme tanto velocemente”. Ma il capo economista dell’OCSE ha espresso il concetto più significativo: “L’Italia è oggi nella posizione di resettare l’economia”. Una vera e propria glorificazione di Draghi. Tuttavia queste aspettative sono inversamente proporzionali ai risultati effettivi. Altri analisti fanno notare infatti che l’indice considerato rivelatore, lo spread Btp-Bund, è fermo sopra 100 (e ciò grazie anzitutto alla politica della Bce). Aggiungiamo, in merito al “copioso” livello degli investimenti fissi, che questi sono sì cresciuti dopo il grande tonfo del 2020, ma non sono tornati al livello pre- pandemia e stanno ben al di sotto degli anni che precedettero il collasso del 2009-2010. Insomma, molto il fumo, ma poco l’arrosto, e gli apologeti che parlano a nome della cupola mondialista lo sanno bene. C’è dunque da chiedersi come mai lorsignori si sbilanciano in tali esaltanti previsioni. La risposta? E’ duplice. Da una parte si tratta del classico esorcismo, il tentativo di scongiurare il fallimento probabile, dall’altra abbiamo una grossolana e sfrontata operazione politica tendente a blindare Draghi affinché resti a vita al comando del Paese. Che questa sia la recondita finalità lo confessa proprio chi ha inventato la storiella del “decennio d’oro dell’Italia”. Ecco quanto scrive l’americano istituto13D Research & Strategy: “Il timore che l’Italia torni in stagnazione nell’impasse politica dopo l’uscita di Draghi dal governo è ingiustificato. Come Presidente della Repubblica, Draghi avrà ancora molto potere: se riuscirà ad implementare le riforme durante la permanenza al Governo, non importa chi verrà dopo di lui
perché nessuno potrà più cambiare l’impostazione”. E’ presto per dire se Draghi salirà davvero al Colle, come effettivamente preferirebbero i poteri forti, o se invece dovranno “accontentarsi” di fargli fare il Presidente del Consiglio anche nella prossima legislatura. E’ chiaro tuttavia il loro obiettivo: servirsene come garante dei loro interessi e come esecutore del disegno di piegare e soggiogare definitivamente l’Italia. Non lo confessano, non possono farlo, ma essi considerano Draghi una Troika sotto mentite spoglie, il “pilota automatico” che deve far sì che lo Stato assecondi la famigerata “distruzione creativa”. Fu proprio Draghi, nel marzo 2013 (era Presidente Bce e in Italia avevamo Mario Monti) a pronunciare la famosa frase: “L’Italia prosegue con le riforme, poiché c’è il pilota automatico”. Non gli portò molto bene questo “pilota automatico”, visto che esso portò le forze sistemiche a sbattere nella sconfitta clamorosa delle elezioni del 4 marzo 2018. Chiare sono dunque la posta in palio e la sfida per chiunque pretenda di rappresentare l’opposizione: evitare che questo disegno si realizzi. Impresa difficile ma non impossibile. Ci si dedichi alla costruzione di questa opposizione che il piano del nemico dovrà fare i conti con enormi difficoltà oggettive. LABORATORIO ITALIA di Leonardo Mazzei
Ormai l’hanno capito tutti: nella narrazione sul Covid, così come nell’adozione delle misure che ne sono derivate, l’Italia è un Paese speciale. La vicenda della moderna Tessera del Fascio, denominata Green Pass, è lì a dimostrarlo. La tabella qui sotto è inequivocabile. Pur essendo uno dei paesi con il più alto tasso di vaccinazione, l’Italia è nettamente prima nella speciale classifica delle leggi liberticide messe in campo. Segue, ma a grande distanza, la Francia macroniana. Gli altri sono tutti staccatissimi.
Tra le altre cose brilla la sequela di NO della Danimarca, laddove troviamo invece l’infinita serie di SI’ ad ogni obbligo possibile e immaginabile del nostro Paese. Se, shakespearianamente, un tempo il marcio risiedeva in Danimarca, oggi sembra essersi spostato a Roma, laboratorio prescelto di un imbroglio e di un esperimento sociale planetario a danno dei popoli. Perché l’Italia ha assunto questo ruolo? Ecco un punto che bisogna cercare di comprendere bene. A mio avviso le ragioni sono tre, ovviamente collegate tra loro. Se, come pensiamo, il progetto globale è quello della transizione ad un mondo ademocratico, popolato da regimi autoritari basati sul potere di una tecnocrazia ormai liberatasi dalle stesse regole della democrazia liberale, l’Italia è il paese perfetto per fare da apripista a questo disegno. E lo è tanto più dopo che il simbolo vivente di questa tecnocrazia globalista e ferocemente antipopolare, Mario Draghi, ha preso le redini del comando. Se l’ex presidente della Bce è la prima e decisiva ragione della disgrazia che è toccata al nostro Paese, ciò è dovuto però ad altri due motivi: la straordinaria crisi della politica e delle istituzioni che si trascina oramai da un trentennio; la condizione di Paese eternamente ricattato via debito dentro i micidiali meccanismi della gabbia dell’euro. Senza una politica ridotta al lumicino, e senza il perenne ricatto del debito, alimentato dalla cupola oligarchica che governa un’Unione Europea che è parte decisiva del progetto del Grande reset, la tecnocrazia non avrebbe potuto imporsi. Di sicuro non in questa misura. Queste semplici considerazioni ci portano a due conclusioni. La prima è che la lotta che conduciamo in Italia ha una straordinaria importanza. Se il nostro Paese è il laboratorio avanzato delle mostruosità non solo antipopolari, ma financo
anti-umane messe in campo dal blocco dominante, il suo esito avrà conseguenze che andranno ben oltre i confini nazionali. La seconda è che dobbiamo sempre nominare il nemico. Il dissenso deve dunque diventare opposizione. In primo luogo opposizione al nuovo regime ed al suo massimo rappresentante Mario Draghi. L’attuale presidente del Consiglio non solo ricopre infatti una posizione centrale e difficilmente sostituibile, ma gode pure di un notevole consenso. Il consenso è però merce volatile assai, e potrebbe anche indebolirsi ben prima del previsto. Proprio per questo bisogna alzare sia il livello della mobilitazione che quello della consapevolezza politica. La lotta sarà dura, ma non impossibile. L’autoritario “Laboratorio Italia” deve fallire. La libertà, il diritto al lavoro, la democrazia deve trionfare. E’ stato questo il senso della grande manifestazione del 25 settembre. Andiamo avanti! “TUTTO È COMPIUTO” di Sandokan
Dato che in Francia Macron dichiara di voler fare marcia indietro, l’Italia è il solo paese al mondo in cui si impone per legge l’obbligo vaccinale universale. Nient’altro che un infame Trattamento Sanitario Obbligatorio erga omnes, nessuno escluso (tra poche settimane anche i bambini). Un atto di forza sbalorditivo, a conferma che col pretesto dell’emergenza sanitaria siamo piombati in un regime nuovo, in uno Stato d’eccezione appunto, che se non viene presto rovesciato, sarà ricordato come anticamera di una vera e propria dittatura. Atto di forza che sarebbe stato inimmaginabile solo due anni fa. L’italietta colabrodo, l’italietta dei governi deboli e dell’instabilità permanente è invece diventata, in fatto di sperimentazione del nuovo ordine biopolitico e tecnocratico, capofila dell’Occidente, anzi avanguardia mondiale. La domanda che alcuni si fanno è: come è stato possibile? Domanda che tradisce un pregiudizio, che anzi contiene una premessa, quella per cui la nostra sarebbe un’italietta legno storto, pasticciona, italietta colabrodo con classi dirigenti incompetenti e corrotte. Certa nostrana élite liberale ha
avuto un ruolo decisivo nel costruire e propalare questa leggenda. Italiani brutti, sporchi, cattivi e sempre indietro sui tempi della storia, alla rincorsa dei campioni, sempre stranieri, del progresso e della modernità. E’ la stessa élite che ha accettato nel dopoguerra la sudditanza agli USA e poi invocato il vincolo esterno euro-tedesco. Ma le cose non sono mai state davvero così. L’Italia è sempre stata un importante laboratorio politico che ha spesso indicato per prima la strada che altri paesi hanno seguito dopo. Così è anche questa volta: Italia apripista, Italia banco di prova, Italia agnello sacrificale eventualmente. Colpiscono la fermezza e la postura irremovibile di Draghi e dei suoi sodali della maggioranza di governo. Da dove viene questa sicumera? Questa certezza di vittoria? Viene certo dal sostegno che gli assicura la grande borghesia italiana, l’élite eurocratica, i poteri forti mondiali. Ultimo ma non meno importante: viene dal fatto che la politica psico- sicuritaria è egemonica, ha consenso maggioritario tra i cittadini. C’è tuttavia dell’altro, a me pare, dietro a questi consecutivi e brutali atti di forza del governo. Mosse non solo tattiche ma strategiche altamente rischiose me le spiego solo a patto di considerare una malcelata ambizione da parte dell’élite italiana, la pretesa di mettersi a capo del “grande reset”, a guida del mutamento sistemico occidentale. Aleggia insomma, nei romani palazzi del potere, così come nei cenacoli dell’industria e del mondo bancario, uno stato di trance e di esaltazione politica, come si fosse in preda ad un improvviso delirio di onnipotenza. Di qui la vera e propria cieca fiducia in Mario Draghi, celebrato addirittura come messia e redentore di atavici peccati. Tutto sembra filare liscio per lorsignori. Debbono invece stare molto attenti, non solo perché le vertigini del successo inducono quasi sempre a commettere errori. L’Italia è questo
strano paese che si affida al salvatore della Patria, ma fa altrettanto presto a gettarlo nella polvere.
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