La proposta di legge costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari (A.C. 1585): un delicato "snodo" critico per il sistema ...

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ISSN 1826-3534

                  17 LUGLIO 2019

La proposta di legge costituzionale in
 materia di riduzione del numero dei
parlamentari (A.C. 1585): un delicato
    “snodo” critico per il sistema
  rappresentativo della democrazia
             parlamentare

                  di Daniele Porena
     Professore Associato di Istituzioni di Diritto pubblico
               Università degli Studi di Perugia
La proposta di legge costituzionale in materia di
    riduzione del numero dei parlamentari (A.C. 1585):
         un delicato “snodo” critico per il sistema
      rappresentativo della democrazia parlamentare *
                                                di Daniele Porena
                          Professore Associato di Istituzioni di Diritto pubblico
                                    Università degli Studi di Perugia

Sommario: 1. Introduzione. 2. Problematiche aperte e possibili effetti distorsivi derivanti dalla riduzione
della rappresentanza parlamentare. 3. Il problema della “soglia implicita” nella rappresentanza
parlamentare delle forze politiche minori. 4. La riduzione della rappresentanza parlamentare
nell’orizzonte di più ampie ipotesi di revisione costituzionale. 5. Gli argomenti a sostegno della riduzione
del numero dei parlamentari. 6. La soluzione della “vexata quaestio” relativa all’interpretazione dell’art. 59,
secondo comma, Cost. 7. Profili essenziali di indagine comparatistica. 8. Brevi conclusioni a prima lettura.
9. Bibliografia.

1. Introduzione
Con l’approvazione della Camera dei Deputati si è conclusa, lo scorso 9 maggio, la prima deliberazione
parlamentare sulla proposta di revisione costituzionale in materia di riduzione del numero dei
parlamentari.
A questo punto, come previsto dall’art. 138 Cost., occorrerà attendere il decorso di tre mesi di intervallo
perché la proposta di revisione possa essere nuovamente deliberata e, in caso di sua definitiva
approvazione, pubblicata in Gazzetta ufficiale.
          Forse, se il Costituente avesse immaginato che un giorno si sarebbe messo mano alla Costituzione
a partire da un “contratto” di Governo, avrebbe colto in modo ancor più pregnante l’utilità di quei tre
mesi di intervallo e, magari, optato per tempistiche ancor più distese1.

* Riceviamo e volentieri pubblichiamo. Il presente contributo costituisce versione più estesa, riveduta ed annotata della memoria
illustrata in occasione dell’Audizione tenuta dalla I Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, in data 28 marzo
2019, per l’esame della proposta di legge costituzionale n. 1585 recante modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in
materia di riduzione del numero dei parlamentari e della proposta di legge n. 1616, recante “Disposizioni per assicurare l’applicabilità
delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari”.
1 La decisione di introdurre un intervallo di tempo, giudicato congruo in tre mesi, tra le due successive deliberazioni

delle Camere nacque da una proposta avanzata, per primo in Assemblea Costituente, da Costantino Mortati.
L’intenzione palesata dai Costituenti era quella di impedire che la Carta potesse essere oggetto di revisioni
approvate sotto impulsi momentanei o, comunque, non adeguatamente meditate. Peraltro, nella ratio della predetta
previsione, sembra scorgersi l’idea di voler “sganciare” il procedimento di revisione costituzionale dall’agenda
politico-parlamentare ordinaria impedendo, così, che le revisioni alla Carta risultino occasionate da intese tra le
forze politiche involgenti elementi di politica legislativa o, comunque, elementi o circostanze estranee all’impianto

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Al di là dei possibili sviluppi che sembrano profilarsi rispetto alla “tenuta” dell’attuale coalizione
di Governo, non può farsi a meno di dedicare una doverosa riflessione ad una proposta di revisione
costituzionale che, oltre ai due gruppi di maggioranza, ha comunque già ottenuto il voto favorevole anche
di due partiti di opposizione: si tratta, quindi, di una revisione che ha sinora raccolto il consenso di una
larga maggioranza2.
Invero, la riduzione del numero dei parlamentari è questione sulla quale il dibattito sembra non essersi
mai arrestato: al contrario, specie nel corso delle ultime legislature, la questione è stata riproposta più
volte, sia nel corso del dibattito pubblico che nell'ambito del confronto parlamentare3.
Nel caso specifico di cui si discute, la proposta di legge costituzionale C. 1585 si limita ad introdurre
modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari.

costituzionale. In altri termini, sembra che il predetto intervallo abbia assunto la funzione di impedire che le
revisioni della Carta possano rifluire all’interno di logiche “del baratto” o, comunque, di compromessi orientati a
definire anche aspetti estranei alla Costituzione. Cionondimeno - come l’esperienza anche di questi ultimi anni
illustra - sovente le forze politiche hanno dato vita (sebbene, spesso, senza successo) ad accordi ed intese di assai
ampio respiro istituzionale e legislativo includendo, quali pesi e contrappesi alle finalità rispettivamente perseguite,
anche ipotesi di revisione costituzionale. Probabilmente, l’idea di estendere l’intervallo previsto dall’art. 138 Cost.
fino a sei mesi, pure ipotizzato nel corso dei lavori della Costituente, avrebbe rafforzato la ratio che, nei termini
predetti, sembra sottesa alla norma richiamata.
2 Nella votazione della Camera dei Deputati del 9 maggio scorso la proposta di legge in esame ha ottenuto, su 422

deputati presenti, 310 voti favorevoli, 107 contrari e 5 astenuti. In occasione della votazione in Senato, intervenuta
invece lo scorso 7 febbraio, su 244 senatori presenti, hanno votato a favore del disegno di legge 185 voti senatori,
54 i contrari e 4 gli astenuti. A favore della proposta di revisione hanno votato, oltre ai gruppi parlamentari del
M5S e della Lega anche quelli di Forza Italia e di Fratelli d’Italia. In considerazione della complessiva consistenza
dei gruppi parlamentari favorevoli alla revisione, in seconda deliberazione è verosimile che – salvo defezioni o
assenze – la legge possa ottenere oltre i due terzi dei voti favorevoli, da parte di ciascuna Camera, richiesti affinché
nemmeno si faccia luogo a referendum costituzionale.
3 In particolare, si ricordi che nel corso della XIV legislatura il Parlamento approvò in duplice deliberazione il

disegno di legge costituzionale A.S. n. 2544-D che prevedeva, per la Camera dei Deputati, il numero di 518 membri
mentre, per il Senato della Repubblica, il numero di 252 senatori. Come noto, la predetta revisione si scontrò con
il voto referendario del 25 e 26 giugno 2006, con il quale si giunse alla mancata approvazione della legge
costituzionale contenente, tra le altre, le predette revisioni. Nel corso invece della XV legislatura fu approvato il
testo unificato di cui alla cd. “bozza Violante” (A. C. n. 553 e abbinati-A): in questo caso, il testo prevedeva un
numero di deputati pari a 512 ed un Senato composto in secondo grado con membri eletti dai Consigli regionali e
da consigli delle autonomie locali. Anche questo progetto non ebbe seguito: in questo caso per la cessazione
anticipata della legislatura. Stessa sorte toccò poi ad ulteriori progetti di revisione presentati nel corso della XVI
legislatura anch’essa conclusa anticipatamente. In ultimo, nel corso della XVII legislatura, si giunse alla
approvazione della riforma costituzionale pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 15 aprile 2016 rispetto alla quale,
tuttavia, l’esito del referendum non fu favorevole. In quest’ultimo caso, la revisione prevedeva una composizione
inalterata per la Camera dei Deputati ed una composizione limitata a 95 membri, elettivi di secondo grado, per il
Senato della Repubblica.

3                                             federalismi.it - ISSN 1826-3534                             |n. 14/2019
In estrema sintesi, con la revisione proposta all’art. 56 Cost., il numero dei deputati passerebbe da 630 a
4004 mentre, con la revisione dell’art. 57, il numero dei senatori verrebbe abbassato da 315 a 2005.
La proposta di legge si occupa poi di definire una questione che, come noto, è stata in passato oggetto di
applicazioni ed interpretazioni non uniformi: si tratta dell’art. 59 Cost., al cui secondo comma verrebbe
aggiunta la previsione secondo cui «il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della
Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque».
Infine, l’ultima disposizione contenuta nella proposta di legge costituzionale è rivolta a disciplinare la
decorrenza delle revisioni apportate agli artt. 56 e 57: in particolare, l’art. 4 prevede che le disposizioni
richiamate, come modificate dalla legge di revisione, si applichino a decorrere dalla data del primo
scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della legge
costituzionale e, comunque, non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data.
Sul piano del “drafting” normativo non sembra proprio che vi sia spazio per rilievi di ordine critico.
Ed infatti, il contenuto “asciutto” e puntuale dei quattro articoli che compongono la proposta di legge è
tale da escludere possibili osservazioni sul piano della tecnica normativa.
Al limite, ove mai si voglia incedere in esercizi di puntigliosa pedanteria, si potrebbe obiettare che nessuna
previsione risulta introdotta in relazione all’efficacia temporale del periodo aggiunto al secondo comma
dell’art. 59.
In particolare, la previsione secondo cui il numero dei senatori di nomina presidenziale non può, in alcun
caso, essere superiore a cinque, avrebbe potuto anch’essa essere accompagnata da una norma finalizzata a
precisare, per quanto scontato, che – sino al naturale ripristino del contingente dei cinque senatori di
nomina presidenziale – rimane fermo il maggior numero di quelli effettivamente in carica. Ma, invero,
quell’«in alcun caso» non appare di severità tale da poter anche solo adombrare una qualche
compromissione degli effetti medio tempore consolidati in conseguenza delle non sempre uniformi
applicazioni dell’art. 59, secondo comma, Cost.
***

4 In particolare, dispone l’art. 1 della P.d.l. in esame che “all’articolo 56 della Costituzione sono apportate le seguenti
modificazioni: a) al secondo comma, la parola: «seicentotrenta» è sostituita dalla seguente: «quattrocento» e la parola: «dodici» è
sostituita dalla seguente: «otto»; b) al quarto comma, la parola: «seicentodiciotto» è sostituita dalla seguente: «trecentonovantadue»”.
5 L’art. 2 della proposta di legge in esame prevede, invece, che “all’articolo 57 della Costituzione sono apportate le seguenti

modificazioni: a) al secondo comma, la parola: «trecentoquindici» è sostituita dalla seguente: «duecento» e la parola: «sei» è sostituita
dalla seguente: «quattro»; b) al terzo comma, dopo la parola: «Regione» sono inserite le seguenti: «o Provincia autonoma» e la parola:
«sette» è sostituita dalla seguente: «tre»; c) il quarto comma è sostituito dal seguente: «La ripartizione dei seggi tra le Regioni o le
Province autonome, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla loro popolazione, quale
risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti»”.

4                                                    federalismi.it - ISSN 1826-3534                                     |n. 14/2019
2. Problematiche aperte e possibili effetti distorsivi derivanti dalla riduzione della
rappresentanza parlamentare.
Tanto osservato sul piano della tecnica normativa, ogni riflessione sulla proposta di legge in oggetto non
pare, dunque, che poter essere indirizzata alla ratio che sarebbe alla base della previsione di un numero
più o meno ampio di rappresentanti che, nell’ambito di un disegno costituzionale, compongono le
assemblee legislative.
Sul piano dei rapporti tra le istituzioni politiche, la questione del numero dei rappresentanti non sembra,
invero, possa essere derubricata a fattore meramente neutro o, comunque, irrilevante6.
In generale, non sembra revocabile in dubbio il fatto che, ad una composizione numericamente ampia
delle assemblee legislative, si accompagni la tendenza ad un rapporto, per lo meno, più diretto ed
immediato tra rappresentante e rappresentato: ciò, se non altro, a partire dall’elementare constatazione
circa la maggiore “densità” di rappresentanti in rapporto al numero degli elettori. Viceversa, tanto più
elevato è il rapporto tra il numero dei cittadini e quello dei rappresentanti, tanto meno diretto e
continuativo finisce per essere il rapporto tra questi ultimi e gli elettori7.
Né, d’altronde, convince l’obbiezione – pure emersa nel corso dei lavori parlamentari – secondo cui
l’esclusione di ogni vincolo di mandato impressa alle funzioni parlamentari dall’art. 67 Cost.
svalorizzerebbe il senso di quanto sopra constatato8.

6  Di questo tenore, anche i rilievi svolti da P. CARROZZA, Audizioni del 21-22 novembre 2018 relative all’esame in
Prima Commissione dei DDL costituzionale di modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione in tema di numero dei deputati e dei
senatori, pp. 2 e ss., reperibile in www.senato.it.
7 In generale sembra di doversi condividere l’opinione manifestata da A. ALGOSTINO, In tema di riforme

costituzionali. Brevi note sulla proposta di riduzione del numero dei parlamentari, in Rivista AIC, n. 2/2012, p. 7, secondo la
quale «la riduzione del numero dei parlamentari, riducendo gli spazi della rappresentanza, esclude potenzialmente dalla sfera pubblica,
voci – facilmente quelle fuori dal coro - di cittadini: una regressione, dunque, nel cammino della democrazia». Cionondimeno,
occorre anche evidenziare, come efficacemente fatto da G. DI PLINIO, Un “adeguamento” della costituzione formale
alla costituzione materiale. Il “taglio” del numero dei parlamentari, in dieci mosse, in Federalismi.it, n. 7/2019, p. 2, che - alla
luce della varietà di posizioni espresse, «si può tranquillamente concludere che tra i costituzionalisti non si è coagulata nemmeno
una certezza, condivisa e oggettivamente fondata, sul ruolo in diritto costituzionale della dimensione dei Parlamenti, e in
specie del nostro».
8 Peraltro, sotto differente prospettiva, la riduzione di cui si discute – impoverendo il rapporto tra il parlamentare

e corpo elettorale - potrebbe persino giungere al paradosso di rafforzare la relazione che lega il parlamentare al
rispettivo partito: la questione è stata assai efficacemente proposta da S. CURRERI, Audizioni informali in relazione
all’esame in sede referente della proposta di legge costituzionale Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di
riduzione del numero dei parlamentari (C. 1585) - Testo dell’audizione del prof. Salvatore Curreri, p. 1, reperibile in
www.camera.it, secondo cui «il numero ridotto dei parlamentari eletti rafforza il vincolo che li lega ai partiti di cui hanno condiviso
il programma politico e che per questo li hanno candidati e sostenuti dinanzi agli elettori. Sotto questo profilo, dunque, pare evidente
che meno saranno i parlamentari, più rigida sarà la disciplina di gruppo e di partito cui saranno sottoposti».

5                                                    federalismi.it - ISSN 1826-3534                                     |n. 14/2019
Ed infatti, il principio del divieto di mandato imperativo sottrae il parlamentare da ogni possibile vincolo
giuridico rispetto ad interessi di tipo particolare ed al quale potrebbe, viceversa, essere chiamato a
soggiacere9.
Ciò, tuttavia – e come autorevolmente convenuto in Assemblea Costituente10 - non introduce
apprezzabili forme di attenuazione al rapporto politico che, fisiologicamente (e realisticamente), orienta il
parlamentare nel quadro delle relazioni con il proprio partito e con il corpo elettorale. Né, ancora, sembra
possibile argomentare nel senso secondo cui, con la disposizione di cui all’art. 67, la Costituzione abbia
in effetti inteso “rescindere” ogni rapporto politico intrattenuto dal parlamentare ovvero abbia inteso
limitare alla sola fase elettorale la relazione tra eletti ed elettori. Ciò, quasi come se tale relazione fosse poi
destinata a rimanere “sospesa” o quiescente nel corso della legislatura per risvegliarsi solo al momento
del rinnovo delle Camere.
In conclusione, la Costituzione si limita ad escludere che l’eletto possa essere destinatario di istruzioni
giuridicamente vincolanti che sia chiamato ad ottemperare11.
Tutt’altra cosa, dunque, è il rapporto politico tra eletto ed elettore e che rappresenta un’importante forma
di partecipazione e condivisione delle scelte: capace di orientare il parlamentare senza condizionarne le
funzioni e di consentirgli di raccogliere e valutare esperienze, sensibilità, istanze, necessità ed interessi
meritevoli, di volta in volta, di essere rappresentati12.

9 Si ricordi, in proposito, quanto autorevolmente osservato da V. CRISAFULLI, Aspetti problematici del sistema
parlamentare in Italia, in Studi in onore di Emilio Crosa, vol. I, Milano, 1960, pp. 606 e ss., secondo cui «dall’art. 67 potrà
dunque farsi derivare soltanto la inammissibilità che ai rapporti interni di partito (nel loro ambito perfettamente liberi e leciti, purché
non contrastino con altri principi inderogabili) e ai principi del mandato politico, possa farsi appello per invocare la decadenza dalla
carica del parlamentare dimissionario dal partito ovvero da questo espulso (…) o anche, per fare un'ipotesi più realistica, la validità di
dimissioni con data in bianco, rilasciate dal parlamentare all'atto della candidatura». Ancora, «la portata dell’art. 67 sarebbe soltanto
negativa e residuale, nel senso di escludere che l'ordinamento giuridico statale possa conferire comunque efficacia, sanzionandoli, ai
vincoli derivanti dalla disciplina di partito e di gruppo» così, V. CRISAFULLI, I partiti nella Costituzione, in Studi per il ventesimo
anniversario dell’Assemblea costituente, vol. II, Firenze, 1969, p. 128.
10 In Assemblea Costituente la questione fu sviluppata, tra l’altro, nel corso della riunione del 19 settembre 1946

della Seconda Sottocommissione per la Costituzione in occasione della quale si susseguirono gli interventi, tra gli
altri, dell’On. Mortati e del Presidente Terracini, cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, Seconda Sottocommissione, 19
settembre 1946, pp. 222, reperibili in http://legislature.camera.it
11 A questo proposito, si ricordi ad esempio il vincolo di mandato che, a partire dall’art. 51 della Grundgesetz, regola

i rapporti tra i membri del Bundesrat ed i governi dei rispettivi Länder: in questo caso la sussistenza del vincolo si
esprime nelle prerogative giuridiche che i Länder esercitano nei confronti dei membri da essi designati e che, nella
sostanza, sono inglobate nei poteri di nomina e revoca dei rispettivi rappresentanti.
12 Cfr. S. CURRERI, Audizioni informali in relazione all’esame in sede referente della proposta di legge costituzionale Modifiche

agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari (C. 1585) - Testo dell’audizione del
prof. Salvatore Curreri, p. 1, reperibile in www.camera.it, secondo cui «la rappresentanza politica ha sempre una base territoriale,
altrimenti il collegio elettorale sarebbe nazionale, perché compito del parlamentare è anche esprimere le istanze del territorio
conformandole alla visione nazionale dell’interesse generale».

6                                                     federalismi.it - ISSN 1826-3534                                      |n. 14/2019
Ancora, ove mai avesse portata sistemica un qualche diffuso divieto di raccordo politico tra l’eletto e gli
elettori, neppure si comprenderebbe il senso delle disposizioni che, sino al 30 gennaio 2012, valorizzavano
l'importanza di questa relazione continuativa includendo, nell'ambito dei rimborsi corrisposti ai
parlamentari, uno specifico contributo per le spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori, oggi sostituito dal
rimborso per le spese di esercizio del mandato.
Sicché, ferma rimanendo l’idea che la Costituzione tutt’altro fa che vietare o anche scoraggiare la
conservazione di una relazione politica tra eletti ed elettori, la prospettiva di assemblee legislative dalla
composizione tendenzialmente contenuta rispetto al numero degli elettori non pare favorire l’aspirazione
ad una rappresentanza capillarmente distribuita sul territorio ed in grado, come tale, di avvertire
tempestivamente anche lievi scostamenti nella sensibilità sociale, economica o, in generale, politica
meritevoli di apprezzamento nelle sedi rappresentative.
Dunque, ove si aderisca all’idea che la relazione tra rappresentato e rappresentante richieda di essere
opportunamente preservata13, occorrerà tenere conto del fatto che ogni ipotesi di riduzione del numero
dei rappresentanti finirebbe, verosimilmente, per produrre effetti non trascurabili sul rapporto tra questi
ultimi ed il corpo elettorale14.
Delle predette valutazioni sembra che fossero, in effetti, ben avvertiti gli stessi lavori dell’Assemblea
Costituente; ad esito di un confronto assai articolato ed approfondito, prevalse infatti l’idea di una
rappresentanza parlamentare composta in misura tale da poter irradiare il territorio della Repubblica con
una profondità ramificata e capillare.
D’altronde, l’attenzione all’epoca rivolta ad uno specifico rapporto numerico tra eletti ed elettori, da
considerare minimo ed essenziale, è resa viepiù evidente dalla originaria stesura degli artt. 56 e 57 Cost.:
come noto, prima della revisione apportata nel 1963, le predette disposizioni fissavano il numero dei

13 Su un duplice ruolo ‘attivo’ e ‘reattivo’ affidato al Parlamento, cfr. M. MALVICINI, Alcune considerazioni sul sistema
parlamentare tra la XVII e la XVIII legislatura, in Federalismi.it, numero speciale 1/2018 (con citazione di G.
PASQUINO - R. PELIZZO, Parlamenti democratici, Bologna, 2006, pp. 14-15.), p. 10, secondo cui l’assemblea
rappresentativa, «oltre a ricevere sollecitazioni, stimoli, suggestioni e pressioni dalla società e dagli altri soggetti del circuito
istituzionale, cerca “in proprio e, nella misura del possibile, autonomamente, di offrire soluzioni e di dare informazioni, di individuare
problemi”».
14 Di questo tenore erano, ad esempio, le preoccupazioni - manifestate nel corso dei lavori della seconda

Sottocommissione per la Costituzione dell’Assemblea Costituente - dall’On. Fuschini il quale, in occasione della
seduta del 18 settembre 1946, evidenziò come anche un rapporto quale quello allora ipotizzato di un deputato ogni
150 mila cittadini avrebbe finito per frustrare il ruolo normalmente assolto da ciascun deputato nel raccogliere
sensibilità diffuse presso il rispettivo collegio elettorale. Dello stesso avviso si mostrò, in occasione della stessa
seduta, anche l’On. Ambrosini (cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, Seconda Sottocommissione, 18 settembre 1946, pp.
202, reperibili in http://legislature.camera.it).

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componenti di Camera e Senato, rispettivamente, in un deputato ogni 80mila abitanti ed in un senatore
ogni 200mila15.
Rispetto alla corrente ipotesi di una drastica riduzione del numero dei parlamentari, le evoluzioni e le
complessità politiche, culturali, demografiche, tecnico-comunicative e socio-economiche che, nell’arco di
settant’anni, si sono prodotte nel tessuto reale del Paese sembrano introdurre interrogativi per giunta
ulteriori rispetto a quelli esaminati nel corso dei lavori della Costituente.
Ed allora, conviene ora rivolgere attenzione ad alcune delle possibili criticità legate all’eventuale definitiva
approvazione della proposta di cui si discute.
La proposta di legge costituzionale in esame è senz’altro idonea a produrre effetti significativi, non
soltanto nella fase di esercizio del mandato parlamentare ma, anche, nella delicata fase che lo precede,
ovverosia quella elettorale.
È del tutto evidente che, indipendentemente dal sistema elettorale utilizzato, la riduzione del numero dei
seggi è destinata a riverberarsi sull’estensione dei collegi e delle circoscrizioni elettorali: ciò, in particolare,
fino ad includere un numero di elettori pari al nuovo rapporto tra rappresentanti e popolazione.
In particolare, anche sulla scorta di quanto evidenziato dal Dossier del Centro Studi di Camera e Senato,
i nuovi collegi uninominali della Camera arriverebbero a comprendere in media 400mila cittadini a fronte
dei 250mila attuali mentre, per l’elezione del Senato, si passerebbe da una popolazione media di 500mila
cittadini ad oltre 800mila; addirittura, in casi non isolati, si arriverebbe a oltre un milione e 200mila di
cittadini16.
La constatazione che precede sembra possa condurre, tra le altre, a due possibili conseguenze.
In primo luogo, un’ipotesi è quella che la circostanza descritta finisca per produrre effetti non trascurabili
sia sul piano dei meccanismi di comunicazione impiegati dai candidati nel corso delle rispettive campagne
elettorali sia sul piano del necessario approvvigionamento, da parte dei candidati medesimi, di risorse
economiche sufficienti a far fronte alla necessità di impiegare strumenti di comunicazione massiva resi
indispensabili dalle circostanze17.

15 Per l’esattezza il primo comma dell’art. 56 Cost., prima della revisione apportata con l. cost. 9 febbraio 1963, n.
2 disponeva che «la Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, in ragione di un deputato per ottantamila abitanti
o per frazione superiore a quarantamila». L’art. 57 Cost., prima della predetta revisione, disponeva invece che «il Senato
della Repubblica è eletto a base regionale. A ciascuna Regione è attribuito un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore
a centomila. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sei. La Valle d'Aosta ha un solo senatore».

16  Il Dossier del Centro Studi di Camera e Senato relativo alla proposta di legge 1585 è reperibile in
https://documenti.camera.it/Leg18/Dossier/Pdf/AC0167B.Pdf.
17 Su questo aspetto si sofferma anche C. FUSARO, Nota scritta - Commissione Affari costituzionali del Senato della

Repubblica Audizioni informali in Ufficio di Presidenza, in relazione all’esame in sede referente dei ddl cost. n. 214 e conn. (riduzione
del numero dei parlamentari), reperibile in www.senato.it, secondo il quale «accanto alla crescita indiretta di responsabilità e di

8                                                    federalismi.it - ISSN 1826-3534                                      |n. 14/2019
Nell’ipotesi prospettata, sembra potersi scorgere il rischio di un’irruzione nella fase elettorale - con forme
ancora più pervasive, penetranti e condizionanti di quelle già note - di gruppi, corporazioni e centri di
interesse economico in qualche modo capaci di “selezionare” un candidato per poi favorirne le sorti nella
competizione elettorale.
Sul piano legislativo, un “punto di caduta” – teso ad impedire le paventate interferenze - potrebbe allora
essere quello di dover valutare la reintroduzione di forme di finanziamento pubblico ai partiti politici (ad
oggi sostanzialmente assenti)18 e, nel contempo, orientare in senso ancor più restrittivo e controllato i
meccanismi di finanziamento privato.
Ciò, tuttavia, con il rischio di penalizzare eccessivamente gli strumenti di fundraising, di impoverire oltre
misura la spesa elettorale e, conseguentemente, di limitare l’uso di importanti strumenti di comunicazione
dei quali ciascun candidato potrebbe, viceversa, servirsi nella propria attività propagandistica.
A “cascata”, l’effetto della riduzione del numero dei parlamentari potrebbe allora essere quello di favorire
un’ulteriore conseguenza.
Il rischio che si profilerebbe potrebbe infatti essere quello per cui la tendenza delle campagne elettorali –
caratterizzate da candidati “deboli” sul piano degli strumenti di comunicazione a loro disposizione –

prestigio, vanno però anche valutate le conseguenze sulla capacità effettiva di presenza sul territorio (cioè di esercizio reale della funzione
rappresentativa), nonché gli effetti sulle campagne elettorali (a partire dai costi)».
18 In estrema sintesi, il sistema di finanziamento pubblico ai partiti politici trovò una prima organica disciplina nella

legge 195/1974 e che, essenzialmente, si caratterizzava per un duplice canale di erogazione: da un lato vi era il
contributo riconosciuto ai partiti per la loro attività ordinaria e, dall'altro lato, il contributo alle spese sostenute dai
partiti con riferimento alle consultazioni elettorali parlamentari. Entrambi i canali di finanziamento risultavano
condizionati da criteri e meccanismi basati sulla rappresentatività di ciascun partito. Con il referendum del 1993 fu
parzialmente abrogata la predetta disciplina e rimase in piedi il solo canale di finanziamento erogato nelle forme
del rimborso delle spese elettorali, successivamente disciplinato con la legge 515/1993. Ritocchi alla normativa
predetta sono successivamente intervenuti con la l. n. 157 del 1999, che suddivise la contribuzione per le spese
elettorali in quattro distinti fondi (per Camera, Senato, Parlamento europeo e Consigli regionali) e che dispose
la corresponsione dei contributi con cadenza annuale e, ancora, con le successive l. n. 156 del 2002, n. 51 del 2006,
n. 244 del 2007, n. 122 del 2010 e n. 111 del 2011. Più recentemente, con la legge n. 96/2012 si è giunti alla
riduzione del 50% del complessivo montante annualmente finanziato, al ripristino di un contributo alle spese sia
elettorali che ordinarie ma ripartito in base a nuovi criteri ed all'introduzione di misure di trasparenza nella gestione
delle risorse. Ulteriori disposizioni della normativa da ultimo richiamata hanno poi ridisegnato la disciplina della
contribuzione volontaria privata mentre altre ancora hanno introdotto importanti principi intorno alla struttura
che necessariamente i partiti avrebbero dovuto assumere per poter attingere alle risorse pubbliche. Infine, con il
D.l. n. 149/2013, si è approdati alla definitiva abolizione dei rimborsi delle spese per le consultazioni elettorali e
dei contributi pubblici erogati per l'attività politica ed a titolo di cofinanziamento. Con lo stesso decreto sono state
inoltre disciplinate le modalità per l'accesso a forme di contribuzione volontaria fiscalmente agevolata e di
contribuzione indiretta fondate sulle scelte espresse dai cittadini in favore dei partiti politici (2 per mille
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche). Su alcuni degli sviluppi della legislazione in materia di finanziamento
pubblico ai partiti politici sia consentito un rinvio a D. PORENA, Nuove norme in materia di riduzione dei contributi
pubblici in favore dei partiti e dei movimenti politici: come cambia in Italia il sistema di finanziamento pubblico alla politica alla luce
delle disposizioni introdotte dalla legge 6 luglio 2012, n. 96, in Federalismi.it, n.2/2013.

9                                                      federalismi.it - ISSN 1826-3534                                         |n. 14/2019
finisca per favorire fenomeni di “oscuramento” del singolo candidato dalla rispettiva circoscrizione o
collegio elettorale.
Conseguenza di ciò sarebbe quella di un voto sempre più “di opinione” e, dunque, non orientato
dall’apprezzamento rivolto da ciascun elettore alla persona che ha assunto l’impegno connesso alla
candidatura parlamentare19.
In questo caso, ad essere favoriti sarebbero dunque fenomeni di “sradicamento” del candidato dal
rispettivo collegio elettorale e di allontanamento della rappresentanza dal territorio: ciò, essenzialmente,
a beneficio di dinamiche elettorali prevalentemente orientate e condizionate dal generale gradimento
riscosso dai soli vertici di ciascuna formazione politica20.
Nelle ipotesi descritte, la riduzione del numero dei parlamentari finirebbe, evidentemente, per
determinare conseguenze rilevanti anche sul piano della stessa organizzazione dei partiti.
In particolare - con il superamento di una rappresentanza distribuita in modo capillare sul territorio -
sembra profilarsi il rafforzamento di già correnti fenomeni di “verticalizzazione” del sistema politico-
istituzionale21: in altre parole, l’epilogo più probabile sarebbe quello di un ulteriore consolidamento delle
leadership nazionali a scapito, addirittura, dell’identificabilità - da parte di ciascun elettore - di quel
rappresentante che egli stesso ha contribuito a eleggere22.

19 Sul punto, tra l’altro, assai condivisibile appare il punto di vista espresso da M. MALVICINI, Alcune considerazioni
sul sistema parlamentare tra la XVII e la XVIII legislatura, in Federalismi.it, numero speciale 1/2018, p. 13, secondo cui
«il processo di adattamento degli istituti e dei processi decisionali parlamentari alle trasformazioni dell’ambiente sociale e politico
circostante può essere un tentativo portato avanti dalla classe politica per scongiurare che tra rappresentanti e rappresentati vengano
meno quei canali comunicativi idonei a trasmettere conoscenze, interessi e proposte dall’ambito societario a quello istituzionale e
viceversa».
20 Cfr. P. CARROZZA, Audizioni del 21-22 novembre 2018 relative all’esame in Prima Commissione dei DDL costituzionale

di modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione in tema di numero dei deputati e dei senatori, p. 13 e ss., reperibile in
www.senato.it, secondo cui pressoché certo sarebbe «l’effetto di rafforzamento delle segreterie centrali (o come si chiamino gli
organismi dirigenti) di ciascun partito, a scapito delle rispettive rappresentanze territoriali: aumentare il rapporto tra il numero di eletti
e di elettori significa, infatti, anche aumentare la loro reciproca “distanza”, allontanare sempre più dal territorio, dalla “base”, gli eletti
dal momento della loro scelta quali candidati sino al condizionamento e all’indirizzo del loro operare in sede assembleare». Secondo
l’Autore, la circostanza, in sé, non rappresenterebbe né un bene né un male ma, rappresentando in ogni caso una
forte spinta centralizzatrice del sistema, richiederebbe adeguate misure di potenziamento del sistema delle
autonomie locali e regionali capaci di bilanciare congruamente la distribuzione del potere tra il centro e le periferie.
21 Sulla verticalizzazione della rappresentanza politica che sarebbe prodotta dalla riduzione del numero dei

parlamentari (anche se con effetti differenti rispetto a quelli in questa sede paventati), cfr. G. DI PLINIO, Un
“adeguamento” della costituzione formale alla costituzione materiale. Il “taglio” del numero dei parlamentari, in dieci mosse, in
Federalismi.it, n. 7/2019, p. 5.
22 Risalendo alle radici del dibattito costituzionale, di questo tenore erano già le considerazioni svolte in occasione

della seduta del 23.9.1947 dell’Assemblea Costituente da Palmiro Togliatti, secondo cui un’eccessiva riduzione del
numero di parlamentari avrebbe avuto, quali conseguenze, in primo luogo quella di distaccare troppo l'eletto
dall'elettore e, in secondo luogo, quella di favorire una conformazione del ruolo del parlamentare quale figura
soltanto rappresentante di un partito e non più di una massa vivente, che egli in qualche modo deve conoscere e
con la quale deve avere rapporti diretti (cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, 23 settembre 1947, p. 437, reperibili in
http://legislature.camera.it).

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Nelle ipotesi prospettate, la contrazione della rappresentanza parlamentare rischia in ogni caso, a parere
di chi scrive, di semplificare eccessivamente i meccanismi del confronto, dell’elaborazione e della
successiva comunicazione della proposta politica: ciò, fino al punto di comprimere, sacrificare o
comunque impoverire oltre misura i relativi contenuti.
***
3. Il problema della “soglia implicita” nella rappresentanza parlamentare delle forze politiche
minori.
A quanto osservato occorre aggiungere un ulteriore rilievo.
La riduzione della rappresentanza verosimilmente comporterebbe, in modo tendenzialmente
indipendente dalla formula elettorale utilizzata, forme di compressione non trascurabili in danno delle
formazioni politiche minori23.
Il rischio è quello che, di fatto, si finisca per introdurre una soglia di sbarramento “implicita” e tale, in
ipotesi, da compromettere in radice l’accesso stesso alla rappresentanza parlamentare per le formazioni
politiche minori24.
Quest’ultima evenienza appare senz’altro meritevole di approfondimento.
Il problema della rappresentatività delle assemblee legislative non è questione che si riduce alla sola
formula elettorale di volta in volta adottata (e sulla quale, come noto, la Costituzione non esprime alcuna
preferenza25).

23
   Cfr. P. CARROZZA, Audizioni del 21-22 novembre 2018 relative all’esame in Prima Commissione dei DDL costituzionale
di modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione in tema di numero dei deputati e dei senatori, p. 12 e ss., reperibile in
www.senato.it.
24 Come di recente ricordato dalla Corte costituzionale (cfr. Sent. 239/2018, reperibile in www.cortecostituzionale.it),

le clausole di sbarramento «sono di più specie e, in particolare, possono essere esplicite o implicite. Nella sostanza, infatti, l’effetto
preclusivo che è plasticamente rappresentato dal meccanismo ora al vaglio di questa Corte, cioè dall’esclusione dal riparto dei seggi della
lista che non raggiunge la soglia, può prodursi anche in assenza di una clausola o soglia di sbarramento esplicita ed essere il frutto invece
di un particolare funzionamento del sistema elettorale o, più semplicemente, del numero dei seggi da assegnare o delle dimensioni dei
collegi. E’ chiaro, per esempio, che un numero dei seggi molto basso produrrà un effetto preclusivo potenzialmente assai più rilevante di
una soglia di sbarramento, e finanche di una soglia abbastanza alta». In ogni caso, si ricordi quanto constatato, sul punto
da G. TARLI BARBIERI, Il sistema elettorale per l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia: problemi e
prospettive dopo la sent. 239/2018 della Corte costituzionale, in Consulta Online, fasc. 1, 2019, p. 25, il quale
condivisibilmente rileva che «da un punto di vista puramente matematico, le soglie implicite sono intrinseche a ogni sistema
elettorale, poiché anche il più proporzionale di quelli ipotizzabili, in ragione del numero non illimitato dei seggi da assegnare, non riesce
a soddisfare l’accesso alla rappresentanza a prescindere dal numero dei voti ottenuti».
25 Come noto, la questione relativa al sistema di elezione del Parlamento fu terreno, in seno alla Costituente, di

ampio confronto. Malgrado diversi deputati e forze politiche presenti in Assemblea Costituente fossero dell’avviso
che la Carta avrebbe dovuto contenere, tra le sue norme, una disposizione rivolta ad orientare in senso
proporzionale il sistema di elezione dei parlamentari, prevalse l’idea che la questione meritasse di essere rinviata
alla sola legge elettorale. Pur in presenza di una consistente maggioranza favorevole al sistema proporzionale,
l’Assemblea ritenne dunque inopportuno vincolare il legislatore ad una generale opzione sulla formula elettorale
per non compromettere la discrezionalità dello stesso nel considerare evenienze e necessità, tempo per tempo,
meritevoli di valutazione. Tuttavia, la diffusa preferenza per il sistema proporzionale si tradusse nella approvazione

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Invero, prima ancora che materia di tecnica elettorale, la questione della rappresentatività dell’assemblea
parlamentare è principio coessenziale al sistema costituzionale.
Per alcuni aspetti, si tratta di un principio implicito: quale sviluppo, cioè, del principio democratico e, nel
contempo, logica precondizione di funzionamento del sistema.
         Per altri aspetti, il concetto della rappresentatività delle assemblee parlamentari risulterebbe
munito anche di richiami espressi: ciò, se anche solo si considera quanto disposto dall’articolo 49 della
Costituzione, secondo cui tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere
con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale. In effetti, una vocazione
proporzionalista ed orientata a favorire le migliori condizioni di rappresentatività delle Camere sembra
emergere, nella Carta, anche da questa disposizione: l’adozione di formule, sistemi o strutture che – oltre
il limite di un ragionevole bilanciamento tra opposte esigenze - tendano ad escludere dai canali della
rappresentanza un novero eccessivamente ampio di partiti e formazioni politiche minori giungerebbe, in
concreto, a frustrare l’effettività del diritto, appunto, di concorrere alla determinazione della politica
nazionale.
Quanto osservato a tacere, peraltro, del ruolo paradigmatico assunto in Costituzione dal principio
pluralistico e che, specie nella rappresentanza politico-istituzionale, richiederebbe adeguati spazi di
valorizzazione.
Sotto questo profilo, un’eccessiva riduzione dell’ampiezza delle assemblee rappresentative - in uno con
l’impossibilità evidente di dotare di tutela costituzionale qualsiasi tipo di minoranza - rischia dunque di
manifestarsi in danno di un pur importante “diritto di tribuna” che, nelle tradizioni parlamentari ed nello
studio dei sistemi elettorali, preserva quantomeno la rappresentazione di interessi meritevoli di
apprezzamento e di valutazione. Interessi che, viceversa, rischiano di rimanere persino esclusi dal novero
delle ponderazioni che animano il processo normogenetico26.

dell’Ordine del giorno presentato dall’On. Giolitti, in occasione della seduta plenaria del 23 settembre 1947, con
cui l’Assemblea si pronunciò a favore della seguente dichiarazione «l'Assemblea Costituente ritiene che l'elezione dei membri
della Camera dei deputati debba avvenire secondo il sistema proporzionale», cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, Assemblea plenaria,
seduta del 23 settembre 1947, p. 441, reperibile in http://legislature.camera.it.
26 Le criticità evidenziate trovano significative aderenze nelle prospettazioni anche di recente formulate dal

Consiglio di Stato. Con l’Ord. n. 3673/2016, il Consiglio di Stato a rimesso alla Consulta la questione di legittimità
costituzionalità degli articoli 21, primo comma, n. 1-bis) e n. 2) e 22, primo comma della legge 24 gennaio 1979,
n. 18 nella parte in cui, in particolare, prevedono l’applicazione di una soglia di sbarramento del 4% per la
ripartizione dei seggi nel Parlamento europeo. I Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto non manifestamente
infondata al questione di legittimità costituzionale della normativa sopra richiamata per contrasto con l’art. 1,
comma secondo della Costituzione, per la parte in cui comporta l’introduzione di disposizioni che limitano in
modo irragionevole e ingiustificato il presidio di democraticità rappresentato dalla piena valorizzazione del voto;
con l’art. 3 della Costituzione, per la parte in cui detta scelta normativa comporta un regolamento irragionevole dei
diversi interessi e valori che vengono in rilievo, comportando una compressione dei principi di piena democraticità
e pluralismo del sistema rappresentativo che non rinviene un’adeguata ratio giustificatrice nel perseguimento di

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Con riferimento alla problematica prospettata, non sembra poi di sola opportunità politica la necessità di
contenere l’incremento di fenomeni di extraparlamentarismo che - ove diffusi, favoriti e radicalizzati in
conseguenza di un sistema di rappresentanza eccessivamente penalizzante per le minoranze - rischiano
di generare occasioni di pericolosa instabilità nelle relazioni politico-sociali del Paese.
L’epoca della Carta costituzionale si fece carico di canonizzare il principio della tutela delle minoranze
linguistiche27.
Non vi è chi non veda, tuttavia, come le rapidissime evoluzioni socio-demografiche e culturali intervenute
nel corso degli ultimi decenni abbiano favorito la diffusione ed il consolidamento di complessità di ben

concomitanti finalità di interesse generale. Infine, vi sarebbe contrasto con l’art. 48, secondo comma, della
Costituzione (e segnatamente con il principio di eguaglianza del voto) per la parte in cui la ridetta scelta normativa
finisce per determinare la sostanziale esclusione dalla rappresentanza politica di ampie fasce dell’elettorato. In
sintesi, la questione delle soglie di sbarramento – esplicite, nel caso esaminato dal Consiglio di Stato ma il problema
non sembra diverso anche per il caso delle soglie implicite – porrebbe sotto pressione il principio democratico (art.
1, secondo comma, Cost.), il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) ed il principio di adeguata rappresentatività
del voto (art. 48 Cost.). Come noto, sebbene la Corte costituzionale abbia riconosciuto - nella recente Sent.
239/2018 pronunciata a seguito dell’Ordinanza richiamata (ma anche, in precedenza, cfr. Sent. n. 35/2017) – come
«qualsiasi soglia di sbarramento comport[i] un’artificiale alterazione della rappresentatività di un organo elettivo», le conclusioni
alle quali è allo stato approdata la giurisprudenza costituzionale coincidono, essenzialmente, con l’idea che – nei
limiti della ragionevolezza e di un corretto bilanciamento tra esigenze contrapposte – la fissazione delle soglie di
sbarramento nell’ambito della legislazione elettorale costituirebbe scelta ricadente nell’ambito della discrezionalità
legislativa non di per sé censurabile sul piano costituzionale. Che la detta discrezionalità incontri, tuttavia, dei limiti
(oltre i quali, d’altronde si tradurrebbe in arbitrio) è fatto palese da quanto affermato dalla stessa Corte
costituzionale nella nota sent. n. 1/2014 laddove, nel censurare l’illegittimità costituzionale della legge elettorale di
Camera e Senato, la Corte osservò come le norme sottoposte al proprio vaglio producessero «una eccessiva
divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e
della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce
il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.» e, ancora, consentissero
«una illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare, incompatibile con i principi costituzionali in base ai
quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della «rappresentanza politica nazionale» (art. 67 Cost.), si fondano sull’espressione
del voto e quindi della sovranità popolare».
Malgrado la giurisprudenza di cui si è detto si sia formata, come è ovvio che sia, nella materia della legislazione
elettorale, dalla stessa sembra tuttavia possibile trarre assai significativi elementi di valutazione in ordine alla
profonde implicazioni costituzionali che si pongono alla base del concetto della rappresentatività delle assemblee
parlamentari. Ciò, in particolare, in un’epoca quale quella corrente nella quale le nostre democrazie occidentali
appaiono sempre più, per una molteplicità di fattori, “sotto pressione”. In generale, sull’ampio e delicato tema di
cui da ultimo, cfr. G.M. SALERNO, Le garanzie della democrazia, Relazione al Convegno annuale dell’Associazione
Italiana dei Costituzionalisti (AIC) “Democrazia, oggi”, Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Modena,
10-11 novembre 2017, pubblicata in Rivista Aic, n. 3/2018.
27 La Costituzione impiega l’espressione ‘minoranze’ in un’unica occasione: si tratta dell’art. 6 della Carta che

impegna la Repubblica a tutelare le minoranze linguistiche con apposite norme. Tuttavia, è indubbio, come ricorda
G. LATTANZI, La tutela dei diritti delle minoranze in Italia, Relazione svolta in occasione dell’incontro con la
delegazione della Corte costituzionale del Kosovo il 7 giugno 2013 al Palazzo della Consulta, reperibile in
www.montagneinrete.it, che «la tutela delle minoranze in genere si iscrive nel quadro dei principi fondamentali dell’ordinamento e, in
particolare, del principio di uguaglianza, che vieta discriminazioni in ragione, tra l’altro, della razza, della lingua, della religione (art.
3 Cost.), e del principio pluralista, secondo cui la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2 Cost.)».

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più ampia portata: principalmente, in conseguenza all’emersione di istanze sociali vigorosamente
reclamate da collettività connotate da propri specifici tratti e peculiarità.
In un quadro del genere – e per di più sempre in costante e rapida soluzione – non sembra proprio che
il miglior “contenitore rappresentativo” possa dunque identificarsi con un’Assemblea parlamentare dalle
più ridotte dimensioni e proporzioni28.
Una posizione sacrificata delle minoranze politiche sembra altresì idonea a profilare un effetto distorsivo
di stretta “geometria” istituzionale: pur in presenza di una riduzione dei componenti di Camera e Senato
applicata con identica proporzione, appare infatti aggravato il rischio di possibili asimmetrie tra le due
Camere nella formazione delle maggioranze.
Ciò, in particolare, atteso il fatto che, dal prospettato “taglio” dei parlamentari, conseguirebbe una
composizione del Senato della Repubblica - in termini assoluti - oggettivamente assai più contenuta
rispetto a quella attuale: nella Camera Alta, la possibilità di una rappresentanza parlamentare delle
minoranze politiche risulterebbe dunque, verosimilmente, ancor più penalizzata rispetto a quanto, in
ipotesi, si profila per la Camera dei Deputati.
***
4. La riduzione della rappresentanza parlamentare nell’orizzonte di più ampie ipotesi di
revisione costituzionale.
Invero, alcuni dei rischi ai quali si è fatto breve cenno ben potrebbero essere attenuati mediante adeguati
interventi di bilanciamento e riposizionamento di istituti, attribuzioni e rapporti all’interno della
complessiva architettura costituzionale.
Non è un caso, a questo proposito, che le varie proposte di riduzione del numero dei parlamentari che si
sono susseguite nel corso degli ultimi anni fossero, per lo più, contestualizzate nell’ambito di ipotesi di
intervento tendenti ad incidere, tra l’altro, sul sistema del bicameralismo paritario29, sull’elezione del

28 Sul tema della rappresentatività di un Parlamento cui sia applicato un taglio così drastico nella composizione
numerica, sono state espresse perplessità anche da M. LUCIANI, Audizione Commissione Affari Costituzionali della
Camera dei Deputati, 27 marzo 2019, p. 2, reperibile in www.camera.it, secondo il quale «la riduzione del numero dei
parlamentari incide fatalmente nella rappresentatività del Parlamento. In un sistema politico-partitico come il nostro, estremamente
instabile e diviso, la riduzione delle chances di adeguata rappresentanza di alcune posizioni politiche potrebbe determinare non
trascurabili conseguenze in termini di consenso e, dunque, di legittimazione delle assemblee rappresentative». Su questo aspetto, cfr.
S. BONFIGLIO, Audizione del 26 marzo 2019 - Memoria, p. 1, reperibile in www.camera.it.
29 Sull’esigenza di riformare il quale, come ricordato tra gli altri da G. AZZARITI, A proposito della riforma

costituzionale: questioni di legittimazione e di merito, in Rivista AIC, n. 2/2912, p. 4, c’è ormai unanimità di giudizio.

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Presidente della Repubblica30 oppure, in termini organici e più meditati rispetto al passato, sul rapporto
tra Stato e regioni31.
E difatti, è nell’ottica di più ampi disegni di riforma istituzionale che la riduzione del numero dei
parlamentari sembra trovare una sua più convincente collocazione32: tuttavia, non come punto di
partenza, come “perno” o come “cardine” del sistema ma, semmai, come adeguato corredo di complemento33.
Al contrario, isolatamente considerata, la predetta riduzione sembra esporre a maggiori problematiche di
quante possa contribuire a risolverne.

30 Su questo aspetto si pensi anche solo ai possibili squilibri che il taglio dei parlamentari comporterebbe in assenza
di ogni ulteriore revisione del collegio chiamato ad eleggere il Presidente della Repubblica. Sul punto, cfr. C.
FUSARO, Nota scritta - Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica Audizioni informali in Ufficio di
Presidenza, in relazione all’esame in sede referente dei ddl cost. n. 214 e conn. (riduzione del numero dei parlamentari), reperibile in
www.senato.it, secondo il quale «il Parlamento nell’esaminare i progetti in oggetto dovrebbe poi tenere conto del fatto che – in assenza
di una coordinata modifica del corpo elettorale del Presidente della Repubblica – effetto della riduzione di deputati e senatori sarebbe
un notevole aumento della percentuale di rappresentanza dei delegati regionali, al momento dell’elezione del capo dello Stato. Il calcolo
è semplice: oggi si tratta di 58 delegati su un corpo elettorale complessivo di circa 1008-1009 persone (630 + 315 + fino a 5 + ex
presidenti + 58) pari a circa il 5.7%, domani sarebbero sempre 58 ma su 664 (400 + 200 + fino a 5 + ex presidenti + 58), pari
a circa 8.7%». La questione è stata segnalata anche da G. CERRINA FERONI, Riduzione del numero dei parlamentari e
applicabilità delle leggi elettorali (audizione presso la Commissione I Affari Costituzionali), in Osservatorio AIC, Fasc. 3/2019,
la quale ha osservato come manchi «una disposizione che rimoduli la composizione delle delegazioni regionali nel procedimento
di elezione del Presidente della Repubblica. La riduzione da 945 a 600 del numero di parlamentari (al netto dei senatori a vita e di
diritto) implica peraltro un non indifferente potenziamento della componente espressa dai Consigli regionali, la quale passerebbe a
rappresentare l’8,8% dell’intero collegio elettorale presidenziale (anziché l’attuale 5,7%)». La stessa Autrice, tuttavia, rappresenta
anche una criticità legata alla rimodulazione del numero dei delegati regionali: «l’attuale art. 83, c. 2 Cost. assicura la
rappresentanza delle minoranze all’interno delle delegazioni regionali. Riducendo a due il numero di delegati per Regione, la minoranza
finirebbe per essere sovra-rappresentata, esprimendo lo stesso numero di delegati della maggioranza consiliare». La questione, in ogni
caso, richiede senz’altro di essere approfondita; cfr., sul punto, M. LUCIANI, Audizione Commissione Affari Costituzionali
della       Camera        dei      Deputati,     27       marzo      2019,       p.     3, reperibile in https://stefanoceccanti.it/wp-
content/uploads/2019/03/audizione-massimo-luciani.pdf, secondo il quale «mantenendo gli attuali tre rappresentanti regionali,
infatti, il peso che questi avrebbero nel Parlamento in seduta comune da loro integrato sarebbe molto più elevato di quello attuale e così
significativo da condizionare in modo imprevedibile gli equilibri parlamentari, già - come è ben noto - tanto delicati in occasione
dell’elezione del Capo dello Stato».
31 Ancora, come ricorda M. MALVICINI, Alcune considerazioni sul sistema parlamentare tra la XVII e la XVIII legislatura,

in Federalismi.it, numero speciale 1/2018, p. 8, «almeno fino al 2014 tutte le riforme aventi ad oggetto il Parlamento hanno
fatto proprio uno schema ricorsivo nel quale la ri-distribuzione del potere di concedere e negare la fiducia al Governo, l’integrazione
della rappresentanza degli enti territoriali e la riduzione del numero di parlamentari erano caratteri di per sé auto-sufficienti per
legittimare le proposte di riforma del bicameralismo».
32 La riduzione del numero dei parlamentari è stata, peraltro, autorevolmente ipotizzata anche nel quadro di una

più radicale revisione del sistema parlamentare orientata a riunire in un’unica assemblea monocamerale il
Parlamento italiano, cfr. P. CIARLO – G. PITRUZZELLA, Monocameralismo: riunificare le due Camere in un unico
Parlamento della Repubblica, in www.osservatorioaic.it, 10/2013.
33 Esprime preoccupazioni simili C. FUSARO, Nota scritta - Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica

Audizioni informali in Ufficio di Presidenza, in relazione all’esame in sede referente dei ddl cost. n. 214 e conn. (riduzione del numero
dei parlamentari), reperibile in www.senato.it, laddove rileva il rischio che si «ingeneri la percezione che “il Parlamento è stato
riformato”, con rinvio a chissà quando di ciò che veramente occorre: il radicale ridisegno di un bicameralismo insostenibile; la previsione,
finalmente, di una presenza delle istituzioni subnazionali, in particolare le Regioni, attraverso loro delegati, al centro dell’ordinamento,
dove si fanno leggi che sulle Regioni, in moltissimi casi, impattano».

15                                                    federalismi.it - ISSN 1826-3534                                       |n. 14/2019
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