IL RAPPORTO TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE NELLA PIU' RECENTE GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE DOCENTE COORDINATORE

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XXVI Corso di formazione dirigenziale per l’accesso alla qualifica di
                               viceprefetto

 IL RAPPORTO TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE NELLA
    PIU’ RECENTE GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE

                   DOCENTE COORDINATORE:
                      Prof. Carlo COLAPIETRO

Redazione:
Renata CASTRUCCI
Nicola COVELLA
Fabiola de FEO
Natalino MANNO
Antonio ORIOLO
Franca ROSA

                                                                           1
Sommario

INTRODUZIONE………………………………………………………………………………………. 4
1. L’EVOLUZIONE STORICO-LEGISLATIVA IN ITALIA DEL RAPPORTO TRA POLITICA
  E AMMINISTRAZIONE ……………..…………………………………………………………….… 6
1.1 Cenni generali……………………………………………………………………………………… 6
1.2 I diversi modelli teorici…………………………………………………………………………… 8
1.3 Il modello italiano della distinzione tra politica e amministrazione nel quadro costituzionale e
nella sua evoluzione legislativa………………………………………………………………………                                           10
1.3.1 La Legge Cavour n. 1483 del 23 marzo 1853…………………………………………………….. 10
1.3.2 Il dopo Cavour: Ricasoli, Crispi, Giolitti e il periodo fascista……………………………………. 11
1.3.3 La Costituzione: art. 95, II comma, artt. 97 e 98. Il rapporto governo-amministrazione
nell’architettura costituzionale………………………………………………………………………… 13
1.3.4 L’istituzione della dirigenza statale con il D.P.R. 748/72 nell’ambito del riordino
dell’amministrazione dello Stato……………………………………………………………………… 15
1.4 La riforma della dirigenza pubblica………………………………………………………………… 16
1.4.1 Il disegno di legge del 1988 presentato nella X Legislatura……………………………………… 16
1.4.2 La riforma del 1993 con il D.Lgs. 29: l’ultimo e fondamentale anello del nuovo sistema
amministrativo italiano………………………………………………………………………………                                                 16
1.4.3 La Legge 59 del 1997, la c.d. “Legge Bassanini”, ovvero l’avvio di una riforma organica
 della P.A…..………………………………………………………………………………………….                                                      17
1.4.4 I decreti legislativi del 30 luglio 1999 n. 300 e n. 303, ovvero la riforma dell’organizzazione
del governo…………………………………………………………………………………………..                                                       19
1.4.5 Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ………………………………………………… 20
1.4.6 La legge 15 luglio 2002, n. 145, ovvero la “controriforma”……………………………………… 20
1.4.7 La legge delega 15/2009 e il decreto legislativo 150/2009 ovvero la riforma Brunetta………… 21

2.       CENTRALITA’                  DELLA             PERSONA:                DAL          PARADIGMA                   BIPOLARE                AL
PERSONALISMO…………..…………………………………………………………………….…… 23
2.1 Cenni generali..……………………………………………………………………………………. 23
2.2 La buona amministrazione ................................................................................................................. 25
2.2.1 Dalla Costituzione all’art 41 della Carta dei Diritti fondamentali europei ....................................... 27
2.2.2 L’etica comportamentale della P.A.: dal paradigma bipolare al personalismo................................. 30
2.3 Un caso particolare: le obbligazioni del dirigente sanitario…………………………………………. 32
2.4 Dovere di “accountability” dei funzionari pubblici………………………………………………… 34
2.5 Una nuova concezione dell’interesse pubblico: dall’efficientismo al rispetto della dignità umana 35

3. UNO SGUARDO COMPARATO SULLA PUBBLICA DIRIGENZA NELLE
 DEMOCRAZIE OCCIDENTALI........................................................................................................... 37
3.1 Cenni generali ............................................................................................................................... 37
3.2 Lo spoils system negli Stati Uniti d’America …………………………………………………… 38
3.2.1 La valorizzazione dell’autonomia gestionale.............................................................................. 39
3.3 La neutralità della Gran Bretagna ................................................................................................ 41
3.3.1 La modernizzazione della dirigenza pubblica britannica …….…………………….................... 43
3.4 La haute fonction publique francesce…………………………………………………………                                                                                     44
3.4. 1 L’apertura alla dirigenza pubblica francese…………………………………………………… 45

4. LO SPOILS SYSTEM ALLA LUCE DELLE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
NELL’ORDINAMENTO STATALE...................................................................................................... 49
4.1 Cenni generali: l’inquadramento giuridico ........................................................................................ 49
4.2 Il bilanciamento degli interessi tra imparzialità e fiduciarietà nel quadro costituzionale................... 53
4.3 Lo spoils system nella giurisprudenza costituzionale …………........................................................ 54

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4.4 Lo spoils system nella riforma Brunetta….......................................................................................... 59

5. LO SPOILS SYSTEM ALLA LUCE DELLE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
NELL’ORDINAMENTO REGIONALE.................................................................................................. 63
5.1 Cenni generali …………………. ...................................................................................................... 63
5.2 La giurisprudenza costituzionale ………………............................................................................... 65

CONCLUSIONI…………....................................................................................................................... 81

BIBLIOGRAFIA………………….......................................................................................................... 82

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INTRODUZIONE

       L’evoluzione     normativa     e   le   innumerevoli     riforme   della   pubblica
amministrazione susseguitesi sin dagli anni ’90 hanno evidenziato l’importante ruolo
svolto dalla dirigenza di cerniera tra l’indirizzo politico e la sua attuazione, in un
sistema di unità-distinzione che vede i due poli sempre più strettamente collegati ed
interessati da dinamiche di continuo e reciproco condizionamento.
       L’elemento che caratterizza l’organizzazione dei pubblici uffici, in modo che
siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità, è infatti costituito dalla naturale
continuità dell’azione amministrativa, intesa come corrispondenza costante con i fini del
governo condotta da una posizione di indipendenza operativa, che comprende la
elezione dei mezzi da utilizzare e la valutazione della loro idoneità a raggiungere detti
fini in modo imparziale e nel rispetto delle regole costituzionali.
       Ferma restando la divisione dei         ruoli fra organi di direzione politica e
burocrazia, l’azione amministrativa procede in una visione dinamica nella stessa
direzione e con le stesse cadenze dell’azione politica del governo, né può divergere da
quest’ultima negli obiettivi, come non può raggiungere risultati confliggenti.
       Da qui la necessità di un continuo e stretto raccordo funzionale, attraverso la
puntuale definizione di nuove regole, al fine del perseguimento e della tutela
dell’interesse pubblico comune.
       Il presente contributo prende avvio da un breve excursus storico che tocca la
teoria della separazione dei poteri di Montesquieu, il modello accentrato cavouriano, i
periodi post unitario e fascista sino alla Costituzione repubblicana. Chiuderà il primo
capitolo l’illustrazione dell’iter normativo che ha interessato, negli ultimi decenni, la
riforma della dirigenza pubblica.
       Il capitolo seguente è dedicato all’analisi di una innovativa concezione
dell’organizzazione dell’attività dei dirigenti pubblici ispirata al modello personalistico
della “buona amministrazione” che supera il paradigma bipolare Stato/sudditi.

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Il lavoro prosegue, nel terzo capitolo, con una analisi in chiave comparatistica
della dirigenza pubblica in tre Paesi esemplari: gli Stati Uniti, patria per eccellenza dello
spoils system, la Gran Bretagna con le peculiarità del civil service e, infine, la Francia
espressione dei grands commis della haute fonction publique.
       Rientrando nel panorama italiano, il quarto ed il quinto capitolo si soffermano
sulla più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, chiamata a giudicare della
legittimità delle disposizioni legislative statali e regionali, concernenti il conferimento
degli incarichi dirigenziali secondo il meccanismo dello spoils system. Dall’analisi
emerge, in concreto, il ruolo svolto dalla Corte a salvaguardia dell’ordinamento.

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1. L’EVOLUZIONE STORICO-LEGISLATIVA IN ITALIA DEL RAPPORTO
TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE

1.1 Cenni generali
        Le vicende del rapporto tra politica e amministrazione segnano la storia di un
rapporto difficile, complesso e contraddittorio, che parte dal periodo pre-unitario e resta
più o meno stabile fino al 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione, per poi far
registrare un forte momento di interesse nel c.d. “decennio delle riforme
amministrative” (1990-2000) fino ad arrivare ai giorni nostri con la c.d. “riforma
Brunetta” del 2009.
        E’ pur vero che nel tempo si è assistito ad un progressivo riconoscimento del
ruolo decisionale della dirigenza amministrativa, attraverso la valorizzazione
dell’autonomia gestionale della dirigenza stessa.
        Nella classificazione tradizionale delle funzioni statali, che si fa risalire alla
dottrina    sulla    separazione      dei    poteri    del    Montesquieu        del    XVIII     secolo,
l’amministrazione non nasce con una propria identità, ma è parte del potere esecutivo,
all’interno del quale sono presenti due diversi tipi di attività, quella amministrativa e
quella politica e di governo. Va però dato atto al filosofo-giurista francese della
consapevolezza dell’impossibilità di operare una netta distinzione concettuale, dal
momento che “nella concretezza dei pubblici poteri, attività di posizione del fine e
attività di scelta dei mezzi danno luogo ad un continuum” 1.
        E’ poi con l’introduzione del suffragio universale che “i poteri prima squilibrati
a favore del potere esecutivo, si squilibrano a favore del potere legislativo” con la
conseguenza che “la legge finisce per prevalere sul potere esecutivo e si afferma il
principio di legalità, che produrrà due conseguenze, lo sdoppiamento tra governo e
amministrazione e la sottoposizione dell’amministrazione al Parlamento”, dando

1
  Cfr. C. COLAPIETRO, Politica e amministrazione: riflessioni a margine di un rapporto controverso, Studi
parlamentari e di politica costituzionale, Anno 44 – N.171-172, 1°-2° trimestre 2011, pagg.147-148; Cfr. C.
COLAPIETRO, Governo e amministrazione. La dirigenza pubblica tra imparzialità e indirizzo politico, Torino,
Giappichelli,2004, pagg. 5-6; Cfr. C.L. MONTESQUIEU, De l’esprit des lois, Paris, 1979, pagg. 294 ss.

                                                                                                         6
peraltro origine a quello “strabismo” per il quale “l’amministrazione è in rapporto di
dipendenza organica dal governo e di dipendenza funzionale dal Parlamento, ma deve
nello stesso tempo, essere imparziale” 2.
        Assistiamo successivamente, nel passaggio dallo Stato liberale al moderno Stato
sociale, ad una forte espansione quantitativa delle amministrazioni pubbliche, necessaria
per far fronte ai nuovi e gravosi compiti assunti dallo Stato in campo sociale ed
economico e, conseguentemente, al moltiplicarsi delle dimensioni e dell’ingerenza della
burocrazia, che diviene così sempre più portatrice di propri interessi e talvolta di propri
indirizzi.
        Di qui il moltiplicarsi dei rapporti tra governo e amministrazione; da una parte,
infatti, si supera la visione unidirezionale del rapporto politica-amministrazione, inteso
come flusso unico dei condizionamenti dal governo verso l’amministrazione e si
riconosce invece il carattere bidirezionale del rapporto in questione, dando atto di una
reciproca influenza tra politica e amministrazione. Dall’altra, si acquisisce
consapevolezza del fatto che il tema del rapporto tra politica, meglio, tra governo e
amministrazione finisce per costituire uno degli snodi fondamentali dell’imparzialità
amministrativa, seppur con qualche ambiguità: infatti proprio un’effettiva garanzia di
indipendenza dell’amministrazione rispetto al governo permette di porre un freno ai
rischi di favoritismo e di discriminazione da parte delle forze politiche 3.
        La criticità del rapporto governo-amministrazione risiede nell’apparente
paradosso secondo cui “un’amministrazione imparziale è chiamata ad attuare indirizzi
politici che sono per definizione parziali e possono essere, nel sistema maggioritario,
fortemente di parte”; tant’è che è proprio per effetto dell’introduzione di un sistema
elettorale prevalentemente maggioritario che si rende particolarmente necessario

2
  Cfr. M. NIGRO, L’azione dei pubblici poteri, Lineamenti generali, in G. AMATO, A. BARBERA (a cura di),
Manuale di diritto pubblico, III ed. Bologna, Il Mulino, 1997, pag. 9.
3
  Cfr. A. CERRI, Principi di legalità, imparzialità, efficienza, in L. LANFRANCHI (a cura di), Garanzie
costituzionali e diritti fondamentali, Roma, IPZS, 1997, pag. 191 ss.

                                                                                                      7
“l’apprestamento di garanzie rispetto ad un temuto uso di parte di strutture in gran parte
amministrative” 4.
         E’ allora da tenere sempre in massima considerazione l’autonomia dirigenziale,
salvaguardandola da ogni possibile ingerenza politica per il bene comune dell’intera
collettività, atteso che questa dovrebbe essere percepita come presidio dell’imparzialità
nello svolgimento dell’azione amministrativa. In proposito, D’Alessio sottolinea come
nel nostro Paese la garanzia dello status di dirigenti “viene ricercata sul piano
strettamente normativo, attraverso strumenti e meccanismi di tipo giuridico-formale” 5.

1.2 I diversi modelli teorici
         La relazione tra politica e amministrazione costituisce la “cartina tornasole”
della stessa forma dello Stato. Nelle forme di Stato di tipo autoritario, amministrazione
e potere esecutivo sono tendenzialmente coincidenti, mentre nelle Democrazie detta
relazione si declina in base ad una serie di variabili istituzionali, come si vedrà più
diffusamente nel capitolo dedicato alle esperienze comparate. E’ interessante, al
riguardo, la tesi di         Andrea Patroni Griffi secondo cui politica e amministrazione
rappresentano “due momenti distinti della funzione di governo, che, al contempo, sono
strettamente connessi tra di loro” 6.
         Esistono quindi in dottrina tre modelli teorici,                         separazione, osmosi ed
interconnessione, attraverso cui è stato concretamente rappresentato il rapporto tra
politica e amministrazione.
          Il primo modello implica una scissione netta tra funzione di governo, affidata
agli organi rappresentativi, ed attuazione strettamente esecutiva, priva di discrezionalità,
riservata alla burocrazia.

4
  Cfr. G.D’ALESSIO, Evoluzione dei sistemi amministrativi, il quadro d’insieme, in M. DE BENEDETTO ( a cura
di), Istituzioni, politica ed amministrazione. Otto paesi europei a confronto, pag. 186.
5
  Cfr. ORTA, La riforma della dirigenza: dalla sovrapposizione alla distinzione fra politica e amministrazione? In
Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1994, pag.151; Cfr. L. CARLASSARE, Amministrazione e potere politico,
Padova,CEDAM,1974.
6
  Cfr. A. PATRONI GRIFFI, Dimensione costituzionale e modelli legislativi della dirigenza pubblica. Contributo ad
uno studio del rapporto di “autonomia strumentale” tra politica e amministrazione. Napoli, Iovene, 2002, pag. 29 ss.
                                                                                                                  8
Il modello dell’osmosi è collocato in un’ottica opposta fondata sul principio che
i due campi di intervento (politica e amministrazione), non facilmente scindibili sotto i
profili funzionale e strutturale, si presentano in linea di assoluta continuità, risultano
quindi sostanzialmente coincidenti. Sull’argomento, sempre Patroni Griffi 7 evidenzia
che “il rapporto osmotico, nella sua versione più nitida, si traduce in uno spoils system
che garantisce, all’origine, l’assoluta omogeneità tra gli apparati amministrativi ed i
vertici politici”. Il che consente l’instaurarsi di un rapporto altamente fiduciario tra i
vertici politici e l’alta burocrazia.
         Il terzo modello si presenta come quello adottato da tutte le democrazie liberali,
intermedio tra la separazione e l’osmosi, ovvero l’interconnessione tra politica e
amministrazione nell’affannosa ricerca, soprattutto per gli incarichi apicali, di “un
giusto punto di equilibrio fra il rispetto di elementi di oggettività nella individuazione
dei destinatari ed il riconoscimento di un inevitabile tasso di fiduciarietà” 8.
         Ad una compagine burocratica, assai numerosa, composta da dipendenti di
carriera, selezionati con procedure meritocratiche, si affianca la fascia apicale della
dirigenza pubblica, più contenuta nei numeri, il cui meccanismo di nomina segue
logiche sostanzialmente fiduciarie che funge “da cerniera, da relais tra il livello politico
e quello più squisitamente tecnico”.
         Indirizzo politico ed attività amministrativa possono essere tendenzialmente
distinti, ma non nettamente separati. Una volta accolta l’interconnessione fra politica e
amministrazione nella convinzione che siano “due facce di quell’unica medaglia che è il
governo della cosa pubblica” sorge poi il problema di “ come strutturare concretamente
e normativamente questo modello” in un dato sistema.
         Tale visione del rapporto politica-amministrazione consente anche di porre fine
a quella sostanziale ambiguità di fondo che presenta in questo modello la figura del
dirigente pubblico: da un lato c’è la definizione del dirigente come di colui che è al
vertice di una determinata organizzazione, l’odierno manager, dall’altro vi è la

7
 Cfr. A. PATRONI GRIFFI, op.cit. Pag. 27.
8
 Cfr. C. COLAPIETRO op. cit., pag.155 ss; Cfr. S. CASSESE, op. cit. pag. 173.

                                                                                          9
connotazione peculiare del pubblico dirigente, che non ha niente in comune con la
cennata nozione, rimanendo sostanzialmente in posizione di subordinazione gerarchica
nei confronti dell’organo politico titolare del dicastero, che ai sensi dell’art. 95, comma
2 Cost., assume la responsabilità sostanziale, quanto meno sul piano politico, di tutti gli
atti.
            Da qui è facile delineare una tensione tra quello che in astratto implica la
nozione di dirigente e la sua trasposizione in concreto nell’ordinamento: tra ciò che è e
ciò che dovrebbe essere.
            Emerge in dottrina la convinzione che il nostro ordinamento faccia propria la
distinzione tra politica e amministrazione, convenzionale e non ontologica, che però non
può intendersi in termini di netta separazione, dal momento che esiste “una
insopprimibile           area di sovrapposizione e che essa opera, di conseguenza, come
principio tendenziale di distribuzione della competenza, la cui attuazione richiede
flessibilità di strumenti e di soluzioni 9.

1.3. Il modello italiano della distinzione tra politica e amministrazione nel quadro
costituzionale e nella sua evoluzione legislativa

1.3.1. La Legge Cavour n. 1483 del 23 marzo 1853
            Fin dalla legge Cavour     del 23 marzo 1853, n. 1483 che riorganizzava gli
apparati dello Stato sabaudo, nel nostro Paese si è realizzato il modello accentrato,
caratterizzato da una impostazione verticistica, nella quale il ministro era la spina
dorsale di tutta l’amministrazione e basato su una visione unidirezionale del rapporto tra
politica e amministrazione, tale da concentrare nella responsabilità degli organi a
titolarità politica tutte le funzioni amministrative.     Il ministro – unica figura che
appariva all’esterno – racchiudeva la duplice funzione di responsabile politico verso il
Capo dello Stato o verso il Parlamento e di capo dell’amministrazione, assorbendo in sé
le potestà direttive e quelle legate alla funzione di superiore gerarchico.

9
    Cfr. M. NIGRO, op. cit., pag. 9.
                                                                                        10
Il modello accentrato adottato da Cavour regolerà poi per oltre un secolo la vita
dell’intera amministrazione pubblica italiana, sulla base di un assetto gerarchico-
piramidale dell’amministrazione, frutto del connubio del centralismo napoleonico con il
parlamentarismo britannico. Detto modello entrava poi in crisi soltanto nel 1948 con
l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, che ha “introdotto per la prima volta
in modo consapevole, nella nostra storia giuridica, il problema della separazione
dell’amministrazione dal governo e della tutela di essa contro l’azione del governo
quale organo politico” 10 .
            E’ pur vero che la scelta della formula dello Stato amministrativo accentrato si
presenta – per lo Stato unitario – come la più coerente con la vicenda risorgimentale
conclusasi con la unificazione nazionale e la più atta a salvaguardare lo Stato unitario
dai rischi di disgregazione. Il modello accentrato, che aveva avuto la sua ragione
principale nella necessità dell’unificazione amministrativa, comincia ad entrare in crisi
quando vengono meno le ragioni che giustificano                 l’assorbimento di tutte le
responsabilità in capo al ministro.

1.3.2. Il dopo Cavour: Ricasoli, Crispi, Giolitti e il periodo fascista

            Il modello ministeriale cavouriano subiva poi dei tentativi di riforma, peraltro
falliti, che meritano comunque di essere segnalati. Già il Presidente del Consiglio
Bettino Ricasoli si faceva promotore di un disegno di legge di conversione del R.D. 24
ottobre 1866, n.3306 per il riordinamento dell’amministrazione centrale dello Stato,
disegno di legge mai approvato. Ricasoli si rivelava così un precursore della distinzione
- fatta propria dalla scienza dell’amministrazione - fra responsabilità sostanziale e
titolarità formale dei provvedimenti. Anche le ulteriori proposte riformatrici esperite,
peraltro senza successo, fino alla fine dell’ottocento, si proponevano inoltre di operare
anche quell’essenziale distinzione tra governo e amministrazione per arginare il
fenomeno negativo della commistione tra politica e amministrazione. E’ quindi

10
     Cfr. M. NIGRO, op. cit. pag. 9.
                                                                                          11
indubbio che nel periodo postunitario si sia verificato un processo di osmosi tra ceto
politico e amministrativo per gli incarichi di vertice 11.
          Quindi per la modifica del modello cavouriano bisogna attendere l’avvento della
Sinistra al potere (1876), quando si cominciano a registrare mutamenti importanti nel
rapporto tra amministrazione e politica, poiché viene meno il rapporto osmotico tra ceto
politico e ceto burocratico che era stato il tratto caratterizzante dei primi decenni del
periodo unitario.
          L’inizio dello scollamento tra ceto politico ed alta burocrazia che dette inizio al
divaricarsi delle due carriere, si può far risalire alla scelta che operò il governo Crispi
nel 1888 quando istituì in funzione di viceministri i sottosegretari di Stato, abolendo
contestualmente la figura dei segretari generali nei ministeri, che fino a quel momento
avevano rappresentato il punto di congiunzione tra apparati e guida politica. La riforma
era infatti da inquadrare nella filosofia depretisina e crispina di concepire una maggiore
presenza del governo nell’amministrazione, che all’inizio degli anni ottanta aveva
iniziato a concretizzarsi in maniera più complessa, considerato il consolidarsi delle
direzioni generali 12.
          Così all’inizio del XX secolo, la richiesta di separazione tra politica e
amministrazione produsse l’effetto di rafforzare le garanzie normative dei pubblici
impiegati, per porli al sicuro dall’arbitrio della classe politica, con le leggi sullo statuto
giuridico del 1908 e del 1923.
          Anche durante il periodo fascista gli elementi essenziali del rapporto tra politica
e amministrazione non mutarono sostanzialmente, poiché il regime non procedette ad
una “fascistizzazione” dell’amministrazione, preso atto della permanenza nei posti
chiave di burocrati entrati in carriera nella precedente era giolittiana, i quali mantennero
per lo più un atteggiamento prudente nei confronti del regime. Per contro, si tornò alla

11
  Cfr. C. COLAPIETRO, op. cit. pag. 44.
12
   Cfr. sul punto S.SEPE, MAZZONE, PORTELLI e VETRITTO, Lineamenti di storia dell’amministrazione italiana
(1861-2002), op. cit. pagg. 26 s. e 56 ss., dai quali si evince che a seguito della riforma Crispi l’alta burocrazia andò
assumendo una maggiore autonomia: crebbero di importanza e di numero i direttori generali ed il loro rapporto con il
ministro si fece più stretto; il che fu reso possibile anche dalla c.d. “spiemontesizzazione” dell’amministrazione, in
cui fece ingresso, per la prima volta dopo l’Unità, una nuova generazione di funzionari che “aveva valori comuni e
analoga cultura giuridica”.
                                                                                                                     12
più rigorosa interpretazione del modello accentrato cavouriano e la funzione della
dirigenza pubblica non fu altro che quella di coadiuvare il ministro 13.

1.3.3. La Costituzione: art. 95, II comma, artt. 97 e 98. Il rapporto governo-
amministrazione nell’architettura costituzionale

         In Assemblea costituente, Costantino Mortati rappresentò l’opportunità che la
Carta prevedesse norme che assicurassero il ruolo autonomo della dirigenza in funzione
della imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione stessa, nonché di un
corretto rapporto con il potere politico, precisando come ai funzionari dovessero essere
assicurate “alcune garanzie per sottrarli alle influenze dei partiti politici”, dal momento
che “lo sforzo di una costituzione democratica, oggi che al potere si alternano i partiti,
deve tendere a garantire una certa indipendenza ai funzionari dello Stato, per avere
un’amministrazione obiettiva della cosa pubblica e non un’amministrazione dei
partiti” 14.
         Il che significava individuare in capo alla dirigenza non solo una sfera autonoma
di competenze, ma anche una correlata sfera di responsabilità. E’ evidente che
nell’intenzione dell’illustre costituzionalista non si voleva affermare la preminenza della
dirigenza nei confronti degli organi politici, bensì il contestuale riconoscimento di due
principi, “quello dell’indipendenza dal condizionamento politico e quello della connessa
responsabilità rispetto alla gestione degli affari di propria competenza” 15.
         A conclusione del dibattito, il testo definitivo della Carta costituzionale
realizzava uno “statuto dell’amministrazione” abbastanza vicino alle idee manifestate
dal Mortati: infatti per l’art. 97 Cost. i pubblici uffici sono organizzati secondo
disposizioni di legge, in modo da assicurare l’imparzialità ed il buon andamento

13
  Cfr. sul punto D’ALBERTI, L’alta burocrazia in Italia, in AA.VV., L’alta burocrazia, a cura di D’ALBERTI, cit.
pag. 131 ss. e GIANNINI, Parlamento e amministrazione, in AA.VV., L’amministrazione pubblica in Italia, a cura di
Cassese, Bologna, 1974, pag. 233.
14 Cfr. COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE, II SOTTOCOMMISSIONE ( I sez.), seduta del 14 gennaio
1947, in La Costituzione della repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Camera dei deputati-
Segretariato Generale, vol. VIII, Roma, 1971, pag. 1863 ss.
15 Cfr. DI ANDREA, Lo spoils system: noterelle sulla disciplina della dirigenza pubblica in Italia e spunti
comparatistici, cit. pag. 673 s.

                                                                                                              13
dell’amministrazione, mentre per l’art. 98 Cost. i pubblici impiegati sono al servizio
esclusivo della Nazione.
         E’ vero che la Carta non stabilisce espressamente il principio di separazione tra
politica e amministrazione, ma l’idea di amministrazione che il costituente cerca di
delineare è pur sempre quella di un apparato autonomo dalla politica e dotato di
funzioni e responsabilità proprie; per citare il Sandulli, “altro è la politica, altra
l’amministrazione e la giustizia; sicché i partiti debbono pesare, attraverso il
Parlamento, ai fini della prima, debbono invece arrestarsi alle soglie delle altre due” 16.
         Il quadro sopra delineato comporta quindi “la fine dell’apparato amministrativo
come irresponsabile, non implicato nelle decisioni, interamente assorbito dal ministro”.
Con la Costituzione, pertanto, si registra la nascita di un policentrismo, che consente di
realizzare una struttura articolata degli stessi apparati centrali, configurabile mediante il
trasferimento ad organi burocratici, retti da dirigenti ”direttamente responsabili ed in
posizione di sufficiente dipendenza”.
         Ai ministri, non più in posizione di superiorità gerarchica, viene riservato ciò
che è “generale”, non ciò che è “particolare”, riconoscendo finalmente loro soltanto
compiti di indirizzo, coordinamento e controllo 17.
         E’ pur sempre la fine, con la Costituzione del 1948, da un lato, del falso mito
della burocrazia neutrale, dall’altro, dell’attenuarsi della stessa responsabilità politica
del ministro verso il parlamento, che trova una controspinta nella responsabilità
collegiale del governo, secondo la tendenza a considerare rivolto contro l’intero
gabinetto l’attacco ad uno dei suoi membri.
         In questa prospettiva, invece si ritiene che possa non trovare più compatibilità
con i principi costituzionali sopra espressi il tradizionale modello gerarchico-piramidale,
oramai diventato un principio meramente residuale 18.

16 Cfr. Sul punto A. PATRONI GRIFFI, Dimensione costituzionale e modelli legislativi della dirigenza pubblica:
Contributo ad uno studio del rapporto di “autonomia strumentale” tra politica e amministrazione, cit. pag. 67,
PALADIN, I contributi di Aldo Sandulli su politica ed amministrazione nell’ordinamento repubblicano, in Dir.
Amm., 1994, pag. 318.

17 Cfr. sul punto A.M. SANDULLI, Governo e amministrazione, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1966, pag. 758 s., secondo
cui in tal modo “i ministri diventerebbero guide e custodi dell’amministrazione ed entro tali limiti ne
risponderebbero, cessando di esserne i capi”.

                                                                                                              14
La ricaduta sul rapporto governo-amministrazione delle norme costituzionali in
questione sarà approfondita nella parte relativa all’esame dello spoils system.

1.3.4 L’istituzione della dirigenza statale con il D.P.R. 748/72 nell’ambito del
riordino dell’amministrazione dello Stato
          Data fondamentale del nostro percorso di inquadramento storico dell’evoluzione
del rapporto tra politica e amministrazione è sicuramente quella del 1972, quando con
D.P.R. 30 giugno, n. 748, si procede all’istituzione della dirigenza statale nel chiaro
tentativo di sottrarre l’alta burocrazia alla precedente piena dipendenza gerarchica dal
ministro per farne invece un corpo di collaboratori del vertice politico dotato di
competenze proprie ed autonome e di maggiori responsabilità.
          Prima di questo momento la carriera dirigenziale non era distinta da quella
direttiva e lo status di dirigenti, meglio dire degli impiegati direttivi del più alto grado,
era disciplinato anch’esso dallo Statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con
D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Ritornando al D.P.R. 748/72 va precisato che la nuova
normativa        sulla     dirigenza        pubblica       si    sforza       di        “identificare    al    vertice
dell’amministrazione            un     gruppo       dirigente       dotato         di    specifiche     prerogative,
conferendogli una relativa autonomia rispetto al vertice politico”, con l’attribuzione di
una relazione gerarchica attenuata tra politica e amministrazione e l’attribuzione alla
dirigenza di poteri propri 19. Ma la riforma del ’72, per tutta una serie di concause non
riuscì a produrre i risultati sperati dal legislatore e non riuscì nemmeno a creare un
nuovo rapporto tra politica e amministrazione, né riuscì a “forgiare” il dirigente
pubblico sul modello del manager privato, con poteri propri e in grado di assumere

18
   Cfr. sul punto GIANGASPERO, Le strutture di vertice della pubblica amministrazione. Vincoli costituzionali e
prospettive di riforma, Milano, 1988, pag. 69 s. e BACHELET, Responsabilità del ministro e competenza esterna
degli uffici direttivi dei ministeri, cit., pag. 589.

19
    Cfr. MELIS, Storia dell’amministrazione italiana (1861-1863), Bologna, 1996, pag. 492, che ricorda come
l’intervento del legislatore sopraggiunga soltanto dopo che “una grave crisi di status e di prestigio sociale aveva eroso
sin dal dopoguerra l’identità e la consapevolezza di sé degli alti funzionari dello Stato”. Cfr. anche sull’attenuazione
del principio gerarchico D’ALBERTI l’alta burocrazia in Italia, cit., pag. 150 e BATTINI, Il rapporto di lavoro con le
pubbliche amministrazioni, cit., pag. 617 e RINALDI, Autonomia, poteri e responsabilità del dirigente pubblico: un
confronto con il manager privato, Torino, 2002, pag. 35.

                                                                                                                     15
responsabilità sui profili degli atti di gestione e conseguentemente dei risultati. In questi
anni si assiste, in definitiva, ad uno “scambio sicurezza-potere tra organi politici ed alta
burocrazia”, secondo la nota definizione di Cassese 20.

1.4       La riforma della dirigenza pubblica
1.4.1 Il disegno di legge del 1988 presentato nella X Legislatura
           Il disegno di legge in questione, presentato nel corso della X Legislatura dal
governo De Mita, tenta di porre rimedio alla situazione di immobilismo che si era
venuta a creare, cercando di elaborare un progetto di riforma unitario di tutta la
dirigenza pubblica, secondo modelli di tipo imprenditoriale, che però implica, prima di
tutto, la revisione dell’insieme dei condizionamenti, dei vincoli e dei percorsi obbligati
che differenziano la pubblica amministrazione da una struttura di tipo privatistico.
           Il modello imprenditoriale di dirigenza viene importato nella sua interezza
nell’organizzazione pubblica, nell’ambito del quale “le                            c.d. tre E (economicità,
efficienza ed efficacia) costituiscono altrettante regole teleologiche per lo svolgimento
di una funzione pubblica moderna”. In questa nuova ottica, si introduce la
“differenziazione funzionale tra il livello politico, a cui spetta la formulazione degli
indirizzi e delle scelte strategiche, e il livello tecnico-gestionale, cui compete
l’attuazione delle direttive di indirizzo e la realizzazione delle strategie 21.

1.4.2 La riforma del 1993 con il decreto legislativo n. 29: l’ultimo e fondamentale
anello del nuovo sistema amministrativo italiano
Il D.Lgs. 29/93 rappresenta l’ultimo e fondamentale anello del nuovo sistema
amministrativo italiano, dal momento che come sostenuto dal Rinaldi rappresenta “la

20
     S. CASSESE, Burocrazia ed economia pubblica (cronache degli anni ’70), Bologna, 1978, p. 116.
21
   Cfr. GARDINI, L’imparzialità amministrativa tra indirizzo e gestione. Organizzazione e ruolo della dirigenza
pubblica nell’amministrazione contemporanea, cit. pag. 186 ss., che rileva come in tale contesto nasca, a livello
mondiale, una nuova figura di funzionario pubblico, “educato professionalmente in base ai criteri che ispirano
l’attività dei dirigenti del settore privato, dotato di corrispondenti poteri e responsabilità, nonché di conoscenze e
strumenti idonei al raggiungimento degli obiettivi ad esso affidati”.

                                                                                                                  16
risposta italiana alla linea europea di riforma dell’amministrazione che punta sul
modello di impresa e su un diverso assetto del rapporto politica-amministrazione” 22 .
           E’ acclarato che con il D.Lgs. 29/93 si verifica in Italia la “prima”
privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici.
           Il decreto legislativo in questione fissa negli artt. 3 e 14 “gli aspetti
caratterizzanti della nuova dirigenza pubblica, muovendo proprio dal richiamato
principio di separazione tra indirizzo politico e gestione amministrativa, quest’ultima
affidata ai dirigenti, che assumono così un’autonoma legittimazione e una diretta
responsabilità per la gestione” 23.
           Ma prima ancora che fosse completata la fase transitoria della prima
privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici, il legislatore, al fine di non
rischiare di vedere compromessi gli effetti del processo riformatore intrapreso, decide di
intervenire nuovamente sulla materia per portare a compimento la riforma.

1.4.3 La legge 15 marzo 1997, n. 59, la c.d. “Legge Bassanini”, ovvero l’avvio di
una riforma organica della P.A.
           La riforma in questione che, come noto, prende il nome dall’allora Ministro per
la Funzione Pubblica, Franco Bassanini, viene definita come” seconda” privatizzazione
del       pubblico       impiego       ed    avvia      un     complessivo          progetto      di     riordino
dell’amministrazione pubblica (poi proseguite con le Leggi 127/1997 e 191/1998), teso
ad effettuare una profonda opera di revisione degli apparati ministeriali ed anche a
decentrare le funzioni amministrative a beneficio delle Regioni e delle autonomie
territoriali in genere, il tutto finalizzato ad instaurare il c.d. federalismo amministrativo,
ossia il massimo del federalismo a costituzione invariata. Dette leggi si basano sul

22
  Cfr. RINALDI, Autonomia, poteri e responsabilità del dirigente pubblico: un confronto con il manager privato, cit.
pag. 40.
23
     Cfr. sul punto C.COLAPIETRO, op. cit. pag. 72.

                                                                                                                17
principio di distinzione, a tutti i livelli di governo, fra attività di indirizzo politico e
attività di gestione.
           Bassanini, in un suo autorevole scritto, rappresenta plasticamente che è doveroso
tener conto di tre principi costituzionali: quello democratico, quello dell’imparzialità
dell’amministrazione e quello del buon andamento dell’amministrazione stessa, il quale
si ricollega alla missione attribuita dalla Costituzione alle amministrazioni pubbliche di
rappresentare “gli strumenti per la garanzia e l’attuazione dei diritti fondamentali dei
cittadini” 24.
           Questa riforma ha ripercussioni sulla disciplina della dirigenza pubblica, in
quanto incide sia sulla riforma dell’organizzazione del Governo (varata con il
successivo D.Lgs. 300/1999, ai sensi degli artt. 11, comma 1, lett. a), e 12 della L.
59/1997), che ha condotto ad una complessiva revisione delle funzioni e
dell’organizzazione degli apparati ministeriali, sia sulla predisposizione di un nuovo
ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri ( adottato con il predetto
D.Lgs. 303/1999, ai sensi dell’art. 11 della medesima L. 59/1997), al fine di disciplinare
l’organizzazione e le funzioni della Presidenza e farne una “cabina di regia” della
politica governativa sul modello di altre esperienze europee.
            Interessante infine è notare anche che l’art. 11, comma 4, della citata Legge
59/97, delega il governo a completare “l’integrazione della disciplina del lavoro
pubblico con quella del lavoro privato”, enfatizzando “il principio della separazione tra
compiti e responsabilità di direzione politica e compiti e responsabilità di direzione
delle amministrazioni” 25.
           Nel senso sopra indicato si muove pertanto il successivo D.Lgs. 80/1998, che
introducendo l’art. 24 estende il regime di diritto privato dal rapporto di lavoro anche ai
direttori generali delle amministrazioni pubbliche, che erano stati esclusi dalla prima
privatizzazione.

24
   Cfr. sul punto F. BASSANINI, Indirizzo politico, imparzialità della P.A. e autonomia della dirigenza. Principi
costituzionali e disciplina legislativa, in Nuova Rassegna, 2008, pag. 257 ss.
25
     Cfr. sul punto C. COLAPIETRO, op. cit pag. 387 ss.

                                                                                                              18
Ma la riforma realizzata con il decreto legislativo sopraindicato è importante
perché introduce nel nostro ordinamento una sorta di meccanismo di spoils system in
coincidenza con la formazione del nuovo governo. Detto sistema riguarda le figure
apicali della dirigenza pubblica e prevede, inoltre, la temporaneità degli incarichi.

1.4.4 I decreti legislativi del 30 luglio 1999 n. 300 e n. 303, ovvero la riforma
dell’organizzazione del governo
            La riorganizzazione del governo avviene proprio con il D.Lgs. 300/99 che rende
omogenei i ministeri alla nuova visione della Presidenza del Consiglio, ora concepita
come struttura deputata all’esercizio di funzioni proprie da parte del Presidente del
Consiglio. L’idea che permea tutta la riforma è quella di conferire ai ministeri le
funzioni di settore, al contempo accorpandone le competenze e riducendone il numero,
legislativamente fissato in 12, cercando così di superare il limite negativo della
segmentazione e delle difficoltà di dimensionare gli uffici centrali ai compiti effettivi da
svolgere. Il ministro continua ad avere la direzione e la responsabilità politica del
Dicastero e svolge anche funzioni politico-amministrative avvalendosi di uffici di
diretta collaborazione, composti da personale reclutato con ampia discrezionalità anche
al di fuori dell’amministrazione ( art. 7 D.Lgs. 300/99).
            Tutti i provvedimenti legislativi che abbiamo cercato di focalizzare, figli di
questo ultimo decennio del novecento sono quindi frutto di una profonda stagione
riformista che aveva come obiettivo quello di cambiare il sistema amministrativo
italiano; scopo principale era quello di dislocare dal centro alla periferia gran parte delle
funzioni amministrative, con la conseguenza di dover procedere alla ristrutturazione
degli apparati centrali. In questa ottica si ritrova il padre di tutte queste riforme, Franco
Bassanini, il quale sottolinea come “la riforma della dirigenza pubblica non costituisce
una vicenda parallela o secondaria, ma si inserisce a pieno titolo in tale disegno, in
quanto strettamente interconnessa con molti dei suoi aspetti più significativi e
qualificanti” 26.

26
     Cfr. sul punto, F. BASSANINI, Prefazione, in G. D’ALESSIO, op. cit., pag. 15 s..

                                                                                          19
1.4.5 Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
       In questo contesto generale si registra la necessità nel 2001 di predisporre un
testo unico per raccogliere le norme che regolano i rapporti di lavoro relativamente al
personale contrattualizzato dipendente dalle amministrazioni pubbliche. Il decreto
legislativo in esame, reca come titolo “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche” e viene emanato ai sensi dell’art. 1,
comma 8 della Legge 24 novembre 2000, n. 340. Ciò premesso, è doveroso precisare
che il decreto legislativo non assumerà la denominazione di testo unico, accogliendo un
esplicito invito a modificare il titolo da parte delle commissioni della Camera per non
ingenerare equivoci perché non era omnicomprensivo di tutti i rapporti di lavoro
esistenti nella galassia della pubblica amministrazione.

1.4.6 La legge 15 luglio 2002, n. 145, ovvero la “controriforma”
       Una particolare attenzione merita la L. 15 luglio 2002, n. 145, considerata a
ragione in dottrina come un’autentica “controriforma” della dirigenza pubblica che ha
pressocchè riscritto la disciplina del c.d. governo dell’alta burocrazia, rafforzando
ulteriormente e pericolosamente il rapporto tra il ministro e la dirigenza pubblica.
       In apparenza tale dettato normativo pare che persegua “l’obiettivo di apportare
soltanto alcuni limitati, seppur significativi, aggiustamenti” alla normativa relativa alla
dirigenza confluita nel sopra richiamato D.Lgs. 165/2001, intervenendo esclusivamente
“attraverso correzioni ed integrazioni parziali delle disposizioni ivi contenute”, piuttosto
che con l’introduzione “di una disciplina della dirigenza del tutto nuova ed esaustiva e
quindi distinta ed autonoma rispetto a quella dettata in tale decreto”. A ben guardare,
però, così non è. Si tratta di una riforma ben più ambiziosa di quanto in prima battuta si
potesse ritenere e ancora di più se si esaminano i contenuti e l’effettiva portata
modificativa, dal momento che interviene “in misura determinante su alcuni nodi
essenziali (…), finendo per incidere, in modo più o meno esplicito, sulla stessa ratio

                                                                                         20
delle innovazioni intervenute negli anni precedenti, (…) messe in discussione in molti
dei loro aspetti più qualificanti” 27.
            Obiettivi di questa “controriforma”: la determinazione di un nuovo e sempre più
difficile equilibrio tra politica e amministrazione e l’introduzione nell’ordinamento della
dirigenza di maggiori elementi di flessibilità e di nuove forme di mobilità.
            Il legislatore vuole pervenire alla rideterminazione di un nuovo punto di
equilibrio tra politica e amministrazione. La ricerca del punto di equilibrio resta
comunque difficile perché forte è il legame della dirigenza pubblica con gli organi di
indirizzo politico-amministrativo. Pertanto il risultato complessivo è quello “di un
consistente rafforzamento della posizione dell’organo di governo, che … rischia di
rimettere in causa le stesse basi dell’autonomia dirigenziale”, per effetto di un fin troppo
chiaro “spostamento dell’equilibrio fra politica e amministrazione tutto a favore della
prima, con conseguenziale “precarizzazione” della posizione dei dirigenti” 28.

1.4.7 La legge delega 15/2009 e il decreto legislativo 150/2009 ovvero la riforma
Brunetta
            La riforma Brunetta, che consiste nel D.Lgs. 150/2009, attuativo della legge
delega 15/2009, è finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e
al miglioramento della efficienza e della trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
            La filosofia di questa riforma risiede nella constatazione che senza una dirigenza
competente e moderna saldamente allineata agli standard di efficienza dei paesi
economicamente più avanzati non c’è privatizzazione o ripubblicizzazione che tenga,
bensì può esistere solo l’attuale profondissima crisi della pubblica amministrazione, che
altro non è se non una delle tante facce della crisi dello Stato con cui quotidianamente
si misurano i cittadini 29.

27
  Cfr. sul punto G. D’ALESSIO, op. cit. cit. pag. 214 e C. COLAPIETRO, La “controriforma” del rapporto di lavoro
della dirigenza pubblica, estratto da Le Nuove Leggi Civili Commentate, Anno XXV N. 4-5 – Luglio – Ottobre
2002, CEDAM 2002, pag. 646 e ss.
28
     G. D’ALESSIO, op. cit. pag. 219.
29
     Cfr. S. CASSESE, La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002.

                                                                                                             21
Ecco perché il D.Lgs. 150/2009 annovera tra i suoi principi generali (art. 1,
comma 2) l’intendimento di realizzare il “rafforzamento dell’autonomia, dei poteri e
della responsabilità della dirigenza”, ancorché il dirigente pubblico, quanto alle
“determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei
rapporti di lavoro” agisce, ormai, da oltre quindici anni con la “capacità” e, soprattutto,
i “poteri” del privato datore di lavoro.
        Con l’art. 40 si tenta di arginare l’occupazione da parte della politica delle
posizioni dirigenziali, veicolando la discrezionalità dei vertici politici nel conferimento
degli incarichi all’interno di confini più precisi e meritocratici.
L’obiettivo finale di migliorare l’efficienza dell’azione amministrativa ha indotto il
legislatore anche ad un evidente inasprimento del momento dell’esercizio disciplinare.
In particolare il D.Lgs. 150/2009 si caratterizza per alcune previsioni che impongono al
dirigente di esercitare il potere disciplinare nei confronti dei suoi sottoposti, onde
incorrere, a sua volta, in una omissione sanzionabile.
        Il dirigente è poi chiamato alla responsabilità di valutare i suoi collaboratori e di
differenziarne il giudizio, pena macchiare il proprio stato di servizio, con conseguenze
sia sul piano retributivo che sulla progressione in carriera o l’attribuzione di incarichi e
responsabilità. Ecco perché è stata istituita con l’art. 13 la CIVIT (Commissione per la
valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche), soggetto
esterno e sono stati potenziati gli organi indipendenti di valutazione (OIV).
        Sicuramente è questa una riforma composta da un impianto particolarmente
complesso che sembra richiedere necessariamente tempi lunghi per la messa a regime; a
favore di essa, però, sta la consapevolezza che nel mercato globalizzato in cui oggi
viviamo, anche le amministrazioni degli Stati sono in concorrenza fra loro e che ogni
amministrazione lassista e inefficiente, o peggio ancora corrotta, non è altro che un forte
incentivo alla delocalizzazione. 30

   30
     Cfr. sulla riforma Brunetta, M. PERSIANI, Dottrina e attualità giuridiche, La nuova disciplina della dirigenza
   pubblica, in Giurisprudenza Italiana, Dicembre 2010.

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2. CENTRALITA’ DELLA PERSONA: DAL PARADIGMA BIPOLARE AL
      PERSONALISMO

2.1 Cenni generali

           Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. è stato interessato, negli ultimi
anni, da profondi mutamenti legislativi, in particolare a seguito della c.d.
"privatizzazione" attuata con il D.Lgs 29/93, sostituito dal D.Lgs. 165/2001, così come
modificato dal D.Lgs. 150/2009.
           Uno degli aspetti fondamentali del suddetto impianto normativo è costituito dal
mutamento del rapporto fra gli organi di governo e la burocrazia degli enti pubblici nel
senso di separare nettamente l'attività d’indirizzo politico, affidata ai primi, da quella
gestionale, attribuita ai dirigenti.
           Il succitato D.Lgs. 150/2009 ha, in particolare, previsto, emendando l’art. 4,
comma 2, del D.Lgs. 165/2001, che “i dirigenti sono responsabili, in via esclusiva,
dell’attività amministrativa, della gestione e dei risultati”.
           In base all’ordito normativo summenzionato, pertanto, i dirigenti pubblici
adottano atti amministrativi e, quindi, di natura pubblicistica ed atti gestionali, tipici del
datore di lavoro privato e, quindi, di natura privatistica.
           Dal summenzionato nuovo assetto del rapporto politica-dirigenza deriva una più
accentuata autonomia degli apparati burocratici pubblici nell’attuazione concreta
dell’azione amministrativa, ispirata dai principi costituzionali di imparzialità e buona
amministrazione, di cui all’art. 97 Cost.
           Al riguardo, la dottrina ha evidenziato come tradizionalmente si riteneva che il
principio di buona amministrazione “riguardasse solo il momento organizzativo della
P.A. ( per cui lo si poteva ritenere soddisfatto già con la sola predisposizione di una
struttura organizzata in modo da essere astrattamente imparziale ), ma dovesse riferirsi
all’attività della P.A. nella sua interezza” 31.

31
     F. CARINGELLA, Manuale di Diritto Amministrativo, Ed.2010, pag. 932.

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