IL RAPPORTO TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE NELLA PIU' RECENTE GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE DOCENTE COORDINATORE
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XXVI Corso di formazione dirigenziale per l’accesso alla qualifica di viceprefetto IL RAPPORTO TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE NELLA PIU’ RECENTE GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE DOCENTE COORDINATORE: Prof. Carlo COLAPIETRO Redazione: Renata CASTRUCCI Nicola COVELLA Fabiola de FEO Natalino MANNO Antonio ORIOLO Franca ROSA 1
Sommario INTRODUZIONE………………………………………………………………………………………. 4 1. L’EVOLUZIONE STORICO-LEGISLATIVA IN ITALIA DEL RAPPORTO TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE ……………..…………………………………………………………….… 6 1.1 Cenni generali……………………………………………………………………………………… 6 1.2 I diversi modelli teorici…………………………………………………………………………… 8 1.3 Il modello italiano della distinzione tra politica e amministrazione nel quadro costituzionale e nella sua evoluzione legislativa……………………………………………………………………… 10 1.3.1 La Legge Cavour n. 1483 del 23 marzo 1853…………………………………………………….. 10 1.3.2 Il dopo Cavour: Ricasoli, Crispi, Giolitti e il periodo fascista……………………………………. 11 1.3.3 La Costituzione: art. 95, II comma, artt. 97 e 98. Il rapporto governo-amministrazione nell’architettura costituzionale………………………………………………………………………… 13 1.3.4 L’istituzione della dirigenza statale con il D.P.R. 748/72 nell’ambito del riordino dell’amministrazione dello Stato……………………………………………………………………… 15 1.4 La riforma della dirigenza pubblica………………………………………………………………… 16 1.4.1 Il disegno di legge del 1988 presentato nella X Legislatura……………………………………… 16 1.4.2 La riforma del 1993 con il D.Lgs. 29: l’ultimo e fondamentale anello del nuovo sistema amministrativo italiano……………………………………………………………………………… 16 1.4.3 La Legge 59 del 1997, la c.d. “Legge Bassanini”, ovvero l’avvio di una riforma organica della P.A…..…………………………………………………………………………………………. 17 1.4.4 I decreti legislativi del 30 luglio 1999 n. 300 e n. 303, ovvero la riforma dell’organizzazione del governo………………………………………………………………………………………….. 19 1.4.5 Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ………………………………………………… 20 1.4.6 La legge 15 luglio 2002, n. 145, ovvero la “controriforma”……………………………………… 20 1.4.7 La legge delega 15/2009 e il decreto legislativo 150/2009 ovvero la riforma Brunetta………… 21 2. CENTRALITA’ DELLA PERSONA: DAL PARADIGMA BIPOLARE AL PERSONALISMO…………..…………………………………………………………………….…… 23 2.1 Cenni generali..……………………………………………………………………………………. 23 2.2 La buona amministrazione ................................................................................................................. 25 2.2.1 Dalla Costituzione all’art 41 della Carta dei Diritti fondamentali europei ....................................... 27 2.2.2 L’etica comportamentale della P.A.: dal paradigma bipolare al personalismo................................. 30 2.3 Un caso particolare: le obbligazioni del dirigente sanitario…………………………………………. 32 2.4 Dovere di “accountability” dei funzionari pubblici………………………………………………… 34 2.5 Una nuova concezione dell’interesse pubblico: dall’efficientismo al rispetto della dignità umana 35 3. UNO SGUARDO COMPARATO SULLA PUBBLICA DIRIGENZA NELLE DEMOCRAZIE OCCIDENTALI........................................................................................................... 37 3.1 Cenni generali ............................................................................................................................... 37 3.2 Lo spoils system negli Stati Uniti d’America …………………………………………………… 38 3.2.1 La valorizzazione dell’autonomia gestionale.............................................................................. 39 3.3 La neutralità della Gran Bretagna ................................................................................................ 41 3.3.1 La modernizzazione della dirigenza pubblica britannica …….…………………….................... 43 3.4 La haute fonction publique francesce………………………………………………………… 44 3.4. 1 L’apertura alla dirigenza pubblica francese…………………………………………………… 45 4. LO SPOILS SYSTEM ALLA LUCE DELLE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE NELL’ORDINAMENTO STATALE...................................................................................................... 49 4.1 Cenni generali: l’inquadramento giuridico ........................................................................................ 49 4.2 Il bilanciamento degli interessi tra imparzialità e fiduciarietà nel quadro costituzionale................... 53 4.3 Lo spoils system nella giurisprudenza costituzionale …………........................................................ 54 2
4.4 Lo spoils system nella riforma Brunetta….......................................................................................... 59 5. LO SPOILS SYSTEM ALLA LUCE DELLE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE NELL’ORDINAMENTO REGIONALE.................................................................................................. 63 5.1 Cenni generali …………………. ...................................................................................................... 63 5.2 La giurisprudenza costituzionale ………………............................................................................... 65 CONCLUSIONI…………....................................................................................................................... 81 BIBLIOGRAFIA………………….......................................................................................................... 82 3
INTRODUZIONE L’evoluzione normativa e le innumerevoli riforme della pubblica amministrazione susseguitesi sin dagli anni ’90 hanno evidenziato l’importante ruolo svolto dalla dirigenza di cerniera tra l’indirizzo politico e la sua attuazione, in un sistema di unità-distinzione che vede i due poli sempre più strettamente collegati ed interessati da dinamiche di continuo e reciproco condizionamento. L’elemento che caratterizza l’organizzazione dei pubblici uffici, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità, è infatti costituito dalla naturale continuità dell’azione amministrativa, intesa come corrispondenza costante con i fini del governo condotta da una posizione di indipendenza operativa, che comprende la elezione dei mezzi da utilizzare e la valutazione della loro idoneità a raggiungere detti fini in modo imparziale e nel rispetto delle regole costituzionali. Ferma restando la divisione dei ruoli fra organi di direzione politica e burocrazia, l’azione amministrativa procede in una visione dinamica nella stessa direzione e con le stesse cadenze dell’azione politica del governo, né può divergere da quest’ultima negli obiettivi, come non può raggiungere risultati confliggenti. Da qui la necessità di un continuo e stretto raccordo funzionale, attraverso la puntuale definizione di nuove regole, al fine del perseguimento e della tutela dell’interesse pubblico comune. Il presente contributo prende avvio da un breve excursus storico che tocca la teoria della separazione dei poteri di Montesquieu, il modello accentrato cavouriano, i periodi post unitario e fascista sino alla Costituzione repubblicana. Chiuderà il primo capitolo l’illustrazione dell’iter normativo che ha interessato, negli ultimi decenni, la riforma della dirigenza pubblica. Il capitolo seguente è dedicato all’analisi di una innovativa concezione dell’organizzazione dell’attività dei dirigenti pubblici ispirata al modello personalistico della “buona amministrazione” che supera il paradigma bipolare Stato/sudditi. 4
Il lavoro prosegue, nel terzo capitolo, con una analisi in chiave comparatistica della dirigenza pubblica in tre Paesi esemplari: gli Stati Uniti, patria per eccellenza dello spoils system, la Gran Bretagna con le peculiarità del civil service e, infine, la Francia espressione dei grands commis della haute fonction publique. Rientrando nel panorama italiano, il quarto ed il quinto capitolo si soffermano sulla più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, chiamata a giudicare della legittimità delle disposizioni legislative statali e regionali, concernenti il conferimento degli incarichi dirigenziali secondo il meccanismo dello spoils system. Dall’analisi emerge, in concreto, il ruolo svolto dalla Corte a salvaguardia dell’ordinamento. 5
1. L’EVOLUZIONE STORICO-LEGISLATIVA IN ITALIA DEL RAPPORTO TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE 1.1 Cenni generali Le vicende del rapporto tra politica e amministrazione segnano la storia di un rapporto difficile, complesso e contraddittorio, che parte dal periodo pre-unitario e resta più o meno stabile fino al 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione, per poi far registrare un forte momento di interesse nel c.d. “decennio delle riforme amministrative” (1990-2000) fino ad arrivare ai giorni nostri con la c.d. “riforma Brunetta” del 2009. E’ pur vero che nel tempo si è assistito ad un progressivo riconoscimento del ruolo decisionale della dirigenza amministrativa, attraverso la valorizzazione dell’autonomia gestionale della dirigenza stessa. Nella classificazione tradizionale delle funzioni statali, che si fa risalire alla dottrina sulla separazione dei poteri del Montesquieu del XVIII secolo, l’amministrazione non nasce con una propria identità, ma è parte del potere esecutivo, all’interno del quale sono presenti due diversi tipi di attività, quella amministrativa e quella politica e di governo. Va però dato atto al filosofo-giurista francese della consapevolezza dell’impossibilità di operare una netta distinzione concettuale, dal momento che “nella concretezza dei pubblici poteri, attività di posizione del fine e attività di scelta dei mezzi danno luogo ad un continuum” 1. E’ poi con l’introduzione del suffragio universale che “i poteri prima squilibrati a favore del potere esecutivo, si squilibrano a favore del potere legislativo” con la conseguenza che “la legge finisce per prevalere sul potere esecutivo e si afferma il principio di legalità, che produrrà due conseguenze, lo sdoppiamento tra governo e amministrazione e la sottoposizione dell’amministrazione al Parlamento”, dando 1 Cfr. C. COLAPIETRO, Politica e amministrazione: riflessioni a margine di un rapporto controverso, Studi parlamentari e di politica costituzionale, Anno 44 – N.171-172, 1°-2° trimestre 2011, pagg.147-148; Cfr. C. COLAPIETRO, Governo e amministrazione. La dirigenza pubblica tra imparzialità e indirizzo politico, Torino, Giappichelli,2004, pagg. 5-6; Cfr. C.L. MONTESQUIEU, De l’esprit des lois, Paris, 1979, pagg. 294 ss. 6
peraltro origine a quello “strabismo” per il quale “l’amministrazione è in rapporto di dipendenza organica dal governo e di dipendenza funzionale dal Parlamento, ma deve nello stesso tempo, essere imparziale” 2. Assistiamo successivamente, nel passaggio dallo Stato liberale al moderno Stato sociale, ad una forte espansione quantitativa delle amministrazioni pubbliche, necessaria per far fronte ai nuovi e gravosi compiti assunti dallo Stato in campo sociale ed economico e, conseguentemente, al moltiplicarsi delle dimensioni e dell’ingerenza della burocrazia, che diviene così sempre più portatrice di propri interessi e talvolta di propri indirizzi. Di qui il moltiplicarsi dei rapporti tra governo e amministrazione; da una parte, infatti, si supera la visione unidirezionale del rapporto politica-amministrazione, inteso come flusso unico dei condizionamenti dal governo verso l’amministrazione e si riconosce invece il carattere bidirezionale del rapporto in questione, dando atto di una reciproca influenza tra politica e amministrazione. Dall’altra, si acquisisce consapevolezza del fatto che il tema del rapporto tra politica, meglio, tra governo e amministrazione finisce per costituire uno degli snodi fondamentali dell’imparzialità amministrativa, seppur con qualche ambiguità: infatti proprio un’effettiva garanzia di indipendenza dell’amministrazione rispetto al governo permette di porre un freno ai rischi di favoritismo e di discriminazione da parte delle forze politiche 3. La criticità del rapporto governo-amministrazione risiede nell’apparente paradosso secondo cui “un’amministrazione imparziale è chiamata ad attuare indirizzi politici che sono per definizione parziali e possono essere, nel sistema maggioritario, fortemente di parte”; tant’è che è proprio per effetto dell’introduzione di un sistema elettorale prevalentemente maggioritario che si rende particolarmente necessario 2 Cfr. M. NIGRO, L’azione dei pubblici poteri, Lineamenti generali, in G. AMATO, A. BARBERA (a cura di), Manuale di diritto pubblico, III ed. Bologna, Il Mulino, 1997, pag. 9. 3 Cfr. A. CERRI, Principi di legalità, imparzialità, efficienza, in L. LANFRANCHI (a cura di), Garanzie costituzionali e diritti fondamentali, Roma, IPZS, 1997, pag. 191 ss. 7
“l’apprestamento di garanzie rispetto ad un temuto uso di parte di strutture in gran parte amministrative” 4. E’ allora da tenere sempre in massima considerazione l’autonomia dirigenziale, salvaguardandola da ogni possibile ingerenza politica per il bene comune dell’intera collettività, atteso che questa dovrebbe essere percepita come presidio dell’imparzialità nello svolgimento dell’azione amministrativa. In proposito, D’Alessio sottolinea come nel nostro Paese la garanzia dello status di dirigenti “viene ricercata sul piano strettamente normativo, attraverso strumenti e meccanismi di tipo giuridico-formale” 5. 1.2 I diversi modelli teorici La relazione tra politica e amministrazione costituisce la “cartina tornasole” della stessa forma dello Stato. Nelle forme di Stato di tipo autoritario, amministrazione e potere esecutivo sono tendenzialmente coincidenti, mentre nelle Democrazie detta relazione si declina in base ad una serie di variabili istituzionali, come si vedrà più diffusamente nel capitolo dedicato alle esperienze comparate. E’ interessante, al riguardo, la tesi di Andrea Patroni Griffi secondo cui politica e amministrazione rappresentano “due momenti distinti della funzione di governo, che, al contempo, sono strettamente connessi tra di loro” 6. Esistono quindi in dottrina tre modelli teorici, separazione, osmosi ed interconnessione, attraverso cui è stato concretamente rappresentato il rapporto tra politica e amministrazione. Il primo modello implica una scissione netta tra funzione di governo, affidata agli organi rappresentativi, ed attuazione strettamente esecutiva, priva di discrezionalità, riservata alla burocrazia. 4 Cfr. G.D’ALESSIO, Evoluzione dei sistemi amministrativi, il quadro d’insieme, in M. DE BENEDETTO ( a cura di), Istituzioni, politica ed amministrazione. Otto paesi europei a confronto, pag. 186. 5 Cfr. ORTA, La riforma della dirigenza: dalla sovrapposizione alla distinzione fra politica e amministrazione? In Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1994, pag.151; Cfr. L. CARLASSARE, Amministrazione e potere politico, Padova,CEDAM,1974. 6 Cfr. A. PATRONI GRIFFI, Dimensione costituzionale e modelli legislativi della dirigenza pubblica. Contributo ad uno studio del rapporto di “autonomia strumentale” tra politica e amministrazione. Napoli, Iovene, 2002, pag. 29 ss. 8
Il modello dell’osmosi è collocato in un’ottica opposta fondata sul principio che i due campi di intervento (politica e amministrazione), non facilmente scindibili sotto i profili funzionale e strutturale, si presentano in linea di assoluta continuità, risultano quindi sostanzialmente coincidenti. Sull’argomento, sempre Patroni Griffi 7 evidenzia che “il rapporto osmotico, nella sua versione più nitida, si traduce in uno spoils system che garantisce, all’origine, l’assoluta omogeneità tra gli apparati amministrativi ed i vertici politici”. Il che consente l’instaurarsi di un rapporto altamente fiduciario tra i vertici politici e l’alta burocrazia. Il terzo modello si presenta come quello adottato da tutte le democrazie liberali, intermedio tra la separazione e l’osmosi, ovvero l’interconnessione tra politica e amministrazione nell’affannosa ricerca, soprattutto per gli incarichi apicali, di “un giusto punto di equilibrio fra il rispetto di elementi di oggettività nella individuazione dei destinatari ed il riconoscimento di un inevitabile tasso di fiduciarietà” 8. Ad una compagine burocratica, assai numerosa, composta da dipendenti di carriera, selezionati con procedure meritocratiche, si affianca la fascia apicale della dirigenza pubblica, più contenuta nei numeri, il cui meccanismo di nomina segue logiche sostanzialmente fiduciarie che funge “da cerniera, da relais tra il livello politico e quello più squisitamente tecnico”. Indirizzo politico ed attività amministrativa possono essere tendenzialmente distinti, ma non nettamente separati. Una volta accolta l’interconnessione fra politica e amministrazione nella convinzione che siano “due facce di quell’unica medaglia che è il governo della cosa pubblica” sorge poi il problema di “ come strutturare concretamente e normativamente questo modello” in un dato sistema. Tale visione del rapporto politica-amministrazione consente anche di porre fine a quella sostanziale ambiguità di fondo che presenta in questo modello la figura del dirigente pubblico: da un lato c’è la definizione del dirigente come di colui che è al vertice di una determinata organizzazione, l’odierno manager, dall’altro vi è la 7 Cfr. A. PATRONI GRIFFI, op.cit. Pag. 27. 8 Cfr. C. COLAPIETRO op. cit., pag.155 ss; Cfr. S. CASSESE, op. cit. pag. 173. 9
connotazione peculiare del pubblico dirigente, che non ha niente in comune con la cennata nozione, rimanendo sostanzialmente in posizione di subordinazione gerarchica nei confronti dell’organo politico titolare del dicastero, che ai sensi dell’art. 95, comma 2 Cost., assume la responsabilità sostanziale, quanto meno sul piano politico, di tutti gli atti. Da qui è facile delineare una tensione tra quello che in astratto implica la nozione di dirigente e la sua trasposizione in concreto nell’ordinamento: tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere. Emerge in dottrina la convinzione che il nostro ordinamento faccia propria la distinzione tra politica e amministrazione, convenzionale e non ontologica, che però non può intendersi in termini di netta separazione, dal momento che esiste “una insopprimibile area di sovrapposizione e che essa opera, di conseguenza, come principio tendenziale di distribuzione della competenza, la cui attuazione richiede flessibilità di strumenti e di soluzioni 9. 1.3. Il modello italiano della distinzione tra politica e amministrazione nel quadro costituzionale e nella sua evoluzione legislativa 1.3.1. La Legge Cavour n. 1483 del 23 marzo 1853 Fin dalla legge Cavour del 23 marzo 1853, n. 1483 che riorganizzava gli apparati dello Stato sabaudo, nel nostro Paese si è realizzato il modello accentrato, caratterizzato da una impostazione verticistica, nella quale il ministro era la spina dorsale di tutta l’amministrazione e basato su una visione unidirezionale del rapporto tra politica e amministrazione, tale da concentrare nella responsabilità degli organi a titolarità politica tutte le funzioni amministrative. Il ministro – unica figura che appariva all’esterno – racchiudeva la duplice funzione di responsabile politico verso il Capo dello Stato o verso il Parlamento e di capo dell’amministrazione, assorbendo in sé le potestà direttive e quelle legate alla funzione di superiore gerarchico. 9 Cfr. M. NIGRO, op. cit., pag. 9. 10
Il modello accentrato adottato da Cavour regolerà poi per oltre un secolo la vita dell’intera amministrazione pubblica italiana, sulla base di un assetto gerarchico- piramidale dell’amministrazione, frutto del connubio del centralismo napoleonico con il parlamentarismo britannico. Detto modello entrava poi in crisi soltanto nel 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, che ha “introdotto per la prima volta in modo consapevole, nella nostra storia giuridica, il problema della separazione dell’amministrazione dal governo e della tutela di essa contro l’azione del governo quale organo politico” 10 . E’ pur vero che la scelta della formula dello Stato amministrativo accentrato si presenta – per lo Stato unitario – come la più coerente con la vicenda risorgimentale conclusasi con la unificazione nazionale e la più atta a salvaguardare lo Stato unitario dai rischi di disgregazione. Il modello accentrato, che aveva avuto la sua ragione principale nella necessità dell’unificazione amministrativa, comincia ad entrare in crisi quando vengono meno le ragioni che giustificano l’assorbimento di tutte le responsabilità in capo al ministro. 1.3.2. Il dopo Cavour: Ricasoli, Crispi, Giolitti e il periodo fascista Il modello ministeriale cavouriano subiva poi dei tentativi di riforma, peraltro falliti, che meritano comunque di essere segnalati. Già il Presidente del Consiglio Bettino Ricasoli si faceva promotore di un disegno di legge di conversione del R.D. 24 ottobre 1866, n.3306 per il riordinamento dell’amministrazione centrale dello Stato, disegno di legge mai approvato. Ricasoli si rivelava così un precursore della distinzione - fatta propria dalla scienza dell’amministrazione - fra responsabilità sostanziale e titolarità formale dei provvedimenti. Anche le ulteriori proposte riformatrici esperite, peraltro senza successo, fino alla fine dell’ottocento, si proponevano inoltre di operare anche quell’essenziale distinzione tra governo e amministrazione per arginare il fenomeno negativo della commistione tra politica e amministrazione. E’ quindi 10 Cfr. M. NIGRO, op. cit. pag. 9. 11
indubbio che nel periodo postunitario si sia verificato un processo di osmosi tra ceto politico e amministrativo per gli incarichi di vertice 11. Quindi per la modifica del modello cavouriano bisogna attendere l’avvento della Sinistra al potere (1876), quando si cominciano a registrare mutamenti importanti nel rapporto tra amministrazione e politica, poiché viene meno il rapporto osmotico tra ceto politico e ceto burocratico che era stato il tratto caratterizzante dei primi decenni del periodo unitario. L’inizio dello scollamento tra ceto politico ed alta burocrazia che dette inizio al divaricarsi delle due carriere, si può far risalire alla scelta che operò il governo Crispi nel 1888 quando istituì in funzione di viceministri i sottosegretari di Stato, abolendo contestualmente la figura dei segretari generali nei ministeri, che fino a quel momento avevano rappresentato il punto di congiunzione tra apparati e guida politica. La riforma era infatti da inquadrare nella filosofia depretisina e crispina di concepire una maggiore presenza del governo nell’amministrazione, che all’inizio degli anni ottanta aveva iniziato a concretizzarsi in maniera più complessa, considerato il consolidarsi delle direzioni generali 12. Così all’inizio del XX secolo, la richiesta di separazione tra politica e amministrazione produsse l’effetto di rafforzare le garanzie normative dei pubblici impiegati, per porli al sicuro dall’arbitrio della classe politica, con le leggi sullo statuto giuridico del 1908 e del 1923. Anche durante il periodo fascista gli elementi essenziali del rapporto tra politica e amministrazione non mutarono sostanzialmente, poiché il regime non procedette ad una “fascistizzazione” dell’amministrazione, preso atto della permanenza nei posti chiave di burocrati entrati in carriera nella precedente era giolittiana, i quali mantennero per lo più un atteggiamento prudente nei confronti del regime. Per contro, si tornò alla 11 Cfr. C. COLAPIETRO, op. cit. pag. 44. 12 Cfr. sul punto S.SEPE, MAZZONE, PORTELLI e VETRITTO, Lineamenti di storia dell’amministrazione italiana (1861-2002), op. cit. pagg. 26 s. e 56 ss., dai quali si evince che a seguito della riforma Crispi l’alta burocrazia andò assumendo una maggiore autonomia: crebbero di importanza e di numero i direttori generali ed il loro rapporto con il ministro si fece più stretto; il che fu reso possibile anche dalla c.d. “spiemontesizzazione” dell’amministrazione, in cui fece ingresso, per la prima volta dopo l’Unità, una nuova generazione di funzionari che “aveva valori comuni e analoga cultura giuridica”. 12
più rigorosa interpretazione del modello accentrato cavouriano e la funzione della dirigenza pubblica non fu altro che quella di coadiuvare il ministro 13. 1.3.3. La Costituzione: art. 95, II comma, artt. 97 e 98. Il rapporto governo- amministrazione nell’architettura costituzionale In Assemblea costituente, Costantino Mortati rappresentò l’opportunità che la Carta prevedesse norme che assicurassero il ruolo autonomo della dirigenza in funzione della imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione stessa, nonché di un corretto rapporto con il potere politico, precisando come ai funzionari dovessero essere assicurate “alcune garanzie per sottrarli alle influenze dei partiti politici”, dal momento che “lo sforzo di una costituzione democratica, oggi che al potere si alternano i partiti, deve tendere a garantire una certa indipendenza ai funzionari dello Stato, per avere un’amministrazione obiettiva della cosa pubblica e non un’amministrazione dei partiti” 14. Il che significava individuare in capo alla dirigenza non solo una sfera autonoma di competenze, ma anche una correlata sfera di responsabilità. E’ evidente che nell’intenzione dell’illustre costituzionalista non si voleva affermare la preminenza della dirigenza nei confronti degli organi politici, bensì il contestuale riconoscimento di due principi, “quello dell’indipendenza dal condizionamento politico e quello della connessa responsabilità rispetto alla gestione degli affari di propria competenza” 15. A conclusione del dibattito, il testo definitivo della Carta costituzionale realizzava uno “statuto dell’amministrazione” abbastanza vicino alle idee manifestate dal Mortati: infatti per l’art. 97 Cost. i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo da assicurare l’imparzialità ed il buon andamento 13 Cfr. sul punto D’ALBERTI, L’alta burocrazia in Italia, in AA.VV., L’alta burocrazia, a cura di D’ALBERTI, cit. pag. 131 ss. e GIANNINI, Parlamento e amministrazione, in AA.VV., L’amministrazione pubblica in Italia, a cura di Cassese, Bologna, 1974, pag. 233. 14 Cfr. COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE, II SOTTOCOMMISSIONE ( I sez.), seduta del 14 gennaio 1947, in La Costituzione della repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Camera dei deputati- Segretariato Generale, vol. VIII, Roma, 1971, pag. 1863 ss. 15 Cfr. DI ANDREA, Lo spoils system: noterelle sulla disciplina della dirigenza pubblica in Italia e spunti comparatistici, cit. pag. 673 s. 13
dell’amministrazione, mentre per l’art. 98 Cost. i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. E’ vero che la Carta non stabilisce espressamente il principio di separazione tra politica e amministrazione, ma l’idea di amministrazione che il costituente cerca di delineare è pur sempre quella di un apparato autonomo dalla politica e dotato di funzioni e responsabilità proprie; per citare il Sandulli, “altro è la politica, altra l’amministrazione e la giustizia; sicché i partiti debbono pesare, attraverso il Parlamento, ai fini della prima, debbono invece arrestarsi alle soglie delle altre due” 16. Il quadro sopra delineato comporta quindi “la fine dell’apparato amministrativo come irresponsabile, non implicato nelle decisioni, interamente assorbito dal ministro”. Con la Costituzione, pertanto, si registra la nascita di un policentrismo, che consente di realizzare una struttura articolata degli stessi apparati centrali, configurabile mediante il trasferimento ad organi burocratici, retti da dirigenti ”direttamente responsabili ed in posizione di sufficiente dipendenza”. Ai ministri, non più in posizione di superiorità gerarchica, viene riservato ciò che è “generale”, non ciò che è “particolare”, riconoscendo finalmente loro soltanto compiti di indirizzo, coordinamento e controllo 17. E’ pur sempre la fine, con la Costituzione del 1948, da un lato, del falso mito della burocrazia neutrale, dall’altro, dell’attenuarsi della stessa responsabilità politica del ministro verso il parlamento, che trova una controspinta nella responsabilità collegiale del governo, secondo la tendenza a considerare rivolto contro l’intero gabinetto l’attacco ad uno dei suoi membri. In questa prospettiva, invece si ritiene che possa non trovare più compatibilità con i principi costituzionali sopra espressi il tradizionale modello gerarchico-piramidale, oramai diventato un principio meramente residuale 18. 16 Cfr. Sul punto A. PATRONI GRIFFI, Dimensione costituzionale e modelli legislativi della dirigenza pubblica: Contributo ad uno studio del rapporto di “autonomia strumentale” tra politica e amministrazione, cit. pag. 67, PALADIN, I contributi di Aldo Sandulli su politica ed amministrazione nell’ordinamento repubblicano, in Dir. Amm., 1994, pag. 318. 17 Cfr. sul punto A.M. SANDULLI, Governo e amministrazione, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1966, pag. 758 s., secondo cui in tal modo “i ministri diventerebbero guide e custodi dell’amministrazione ed entro tali limiti ne risponderebbero, cessando di esserne i capi”. 14
La ricaduta sul rapporto governo-amministrazione delle norme costituzionali in questione sarà approfondita nella parte relativa all’esame dello spoils system. 1.3.4 L’istituzione della dirigenza statale con il D.P.R. 748/72 nell’ambito del riordino dell’amministrazione dello Stato Data fondamentale del nostro percorso di inquadramento storico dell’evoluzione del rapporto tra politica e amministrazione è sicuramente quella del 1972, quando con D.P.R. 30 giugno, n. 748, si procede all’istituzione della dirigenza statale nel chiaro tentativo di sottrarre l’alta burocrazia alla precedente piena dipendenza gerarchica dal ministro per farne invece un corpo di collaboratori del vertice politico dotato di competenze proprie ed autonome e di maggiori responsabilità. Prima di questo momento la carriera dirigenziale non era distinta da quella direttiva e lo status di dirigenti, meglio dire degli impiegati direttivi del più alto grado, era disciplinato anch’esso dallo Statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Ritornando al D.P.R. 748/72 va precisato che la nuova normativa sulla dirigenza pubblica si sforza di “identificare al vertice dell’amministrazione un gruppo dirigente dotato di specifiche prerogative, conferendogli una relativa autonomia rispetto al vertice politico”, con l’attribuzione di una relazione gerarchica attenuata tra politica e amministrazione e l’attribuzione alla dirigenza di poteri propri 19. Ma la riforma del ’72, per tutta una serie di concause non riuscì a produrre i risultati sperati dal legislatore e non riuscì nemmeno a creare un nuovo rapporto tra politica e amministrazione, né riuscì a “forgiare” il dirigente pubblico sul modello del manager privato, con poteri propri e in grado di assumere 18 Cfr. sul punto GIANGASPERO, Le strutture di vertice della pubblica amministrazione. Vincoli costituzionali e prospettive di riforma, Milano, 1988, pag. 69 s. e BACHELET, Responsabilità del ministro e competenza esterna degli uffici direttivi dei ministeri, cit., pag. 589. 19 Cfr. MELIS, Storia dell’amministrazione italiana (1861-1863), Bologna, 1996, pag. 492, che ricorda come l’intervento del legislatore sopraggiunga soltanto dopo che “una grave crisi di status e di prestigio sociale aveva eroso sin dal dopoguerra l’identità e la consapevolezza di sé degli alti funzionari dello Stato”. Cfr. anche sull’attenuazione del principio gerarchico D’ALBERTI l’alta burocrazia in Italia, cit., pag. 150 e BATTINI, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, cit., pag. 617 e RINALDI, Autonomia, poteri e responsabilità del dirigente pubblico: un confronto con il manager privato, Torino, 2002, pag. 35. 15
responsabilità sui profili degli atti di gestione e conseguentemente dei risultati. In questi anni si assiste, in definitiva, ad uno “scambio sicurezza-potere tra organi politici ed alta burocrazia”, secondo la nota definizione di Cassese 20. 1.4 La riforma della dirigenza pubblica 1.4.1 Il disegno di legge del 1988 presentato nella X Legislatura Il disegno di legge in questione, presentato nel corso della X Legislatura dal governo De Mita, tenta di porre rimedio alla situazione di immobilismo che si era venuta a creare, cercando di elaborare un progetto di riforma unitario di tutta la dirigenza pubblica, secondo modelli di tipo imprenditoriale, che però implica, prima di tutto, la revisione dell’insieme dei condizionamenti, dei vincoli e dei percorsi obbligati che differenziano la pubblica amministrazione da una struttura di tipo privatistico. Il modello imprenditoriale di dirigenza viene importato nella sua interezza nell’organizzazione pubblica, nell’ambito del quale “le c.d. tre E (economicità, efficienza ed efficacia) costituiscono altrettante regole teleologiche per lo svolgimento di una funzione pubblica moderna”. In questa nuova ottica, si introduce la “differenziazione funzionale tra il livello politico, a cui spetta la formulazione degli indirizzi e delle scelte strategiche, e il livello tecnico-gestionale, cui compete l’attuazione delle direttive di indirizzo e la realizzazione delle strategie 21. 1.4.2 La riforma del 1993 con il decreto legislativo n. 29: l’ultimo e fondamentale anello del nuovo sistema amministrativo italiano Il D.Lgs. 29/93 rappresenta l’ultimo e fondamentale anello del nuovo sistema amministrativo italiano, dal momento che come sostenuto dal Rinaldi rappresenta “la 20 S. CASSESE, Burocrazia ed economia pubblica (cronache degli anni ’70), Bologna, 1978, p. 116. 21 Cfr. GARDINI, L’imparzialità amministrativa tra indirizzo e gestione. Organizzazione e ruolo della dirigenza pubblica nell’amministrazione contemporanea, cit. pag. 186 ss., che rileva come in tale contesto nasca, a livello mondiale, una nuova figura di funzionario pubblico, “educato professionalmente in base ai criteri che ispirano l’attività dei dirigenti del settore privato, dotato di corrispondenti poteri e responsabilità, nonché di conoscenze e strumenti idonei al raggiungimento degli obiettivi ad esso affidati”. 16
risposta italiana alla linea europea di riforma dell’amministrazione che punta sul modello di impresa e su un diverso assetto del rapporto politica-amministrazione” 22 . E’ acclarato che con il D.Lgs. 29/93 si verifica in Italia la “prima” privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici. Il decreto legislativo in questione fissa negli artt. 3 e 14 “gli aspetti caratterizzanti della nuova dirigenza pubblica, muovendo proprio dal richiamato principio di separazione tra indirizzo politico e gestione amministrativa, quest’ultima affidata ai dirigenti, che assumono così un’autonoma legittimazione e una diretta responsabilità per la gestione” 23. Ma prima ancora che fosse completata la fase transitoria della prima privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici, il legislatore, al fine di non rischiare di vedere compromessi gli effetti del processo riformatore intrapreso, decide di intervenire nuovamente sulla materia per portare a compimento la riforma. 1.4.3 La legge 15 marzo 1997, n. 59, la c.d. “Legge Bassanini”, ovvero l’avvio di una riforma organica della P.A. La riforma in questione che, come noto, prende il nome dall’allora Ministro per la Funzione Pubblica, Franco Bassanini, viene definita come” seconda” privatizzazione del pubblico impiego ed avvia un complessivo progetto di riordino dell’amministrazione pubblica (poi proseguite con le Leggi 127/1997 e 191/1998), teso ad effettuare una profonda opera di revisione degli apparati ministeriali ed anche a decentrare le funzioni amministrative a beneficio delle Regioni e delle autonomie territoriali in genere, il tutto finalizzato ad instaurare il c.d. federalismo amministrativo, ossia il massimo del federalismo a costituzione invariata. Dette leggi si basano sul 22 Cfr. RINALDI, Autonomia, poteri e responsabilità del dirigente pubblico: un confronto con il manager privato, cit. pag. 40. 23 Cfr. sul punto C.COLAPIETRO, op. cit. pag. 72. 17
principio di distinzione, a tutti i livelli di governo, fra attività di indirizzo politico e attività di gestione. Bassanini, in un suo autorevole scritto, rappresenta plasticamente che è doveroso tener conto di tre principi costituzionali: quello democratico, quello dell’imparzialità dell’amministrazione e quello del buon andamento dell’amministrazione stessa, il quale si ricollega alla missione attribuita dalla Costituzione alle amministrazioni pubbliche di rappresentare “gli strumenti per la garanzia e l’attuazione dei diritti fondamentali dei cittadini” 24. Questa riforma ha ripercussioni sulla disciplina della dirigenza pubblica, in quanto incide sia sulla riforma dell’organizzazione del Governo (varata con il successivo D.Lgs. 300/1999, ai sensi degli artt. 11, comma 1, lett. a), e 12 della L. 59/1997), che ha condotto ad una complessiva revisione delle funzioni e dell’organizzazione degli apparati ministeriali, sia sulla predisposizione di un nuovo ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri ( adottato con il predetto D.Lgs. 303/1999, ai sensi dell’art. 11 della medesima L. 59/1997), al fine di disciplinare l’organizzazione e le funzioni della Presidenza e farne una “cabina di regia” della politica governativa sul modello di altre esperienze europee. Interessante infine è notare anche che l’art. 11, comma 4, della citata Legge 59/97, delega il governo a completare “l’integrazione della disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato”, enfatizzando “il principio della separazione tra compiti e responsabilità di direzione politica e compiti e responsabilità di direzione delle amministrazioni” 25. Nel senso sopra indicato si muove pertanto il successivo D.Lgs. 80/1998, che introducendo l’art. 24 estende il regime di diritto privato dal rapporto di lavoro anche ai direttori generali delle amministrazioni pubbliche, che erano stati esclusi dalla prima privatizzazione. 24 Cfr. sul punto F. BASSANINI, Indirizzo politico, imparzialità della P.A. e autonomia della dirigenza. Principi costituzionali e disciplina legislativa, in Nuova Rassegna, 2008, pag. 257 ss. 25 Cfr. sul punto C. COLAPIETRO, op. cit pag. 387 ss. 18
Ma la riforma realizzata con il decreto legislativo sopraindicato è importante perché introduce nel nostro ordinamento una sorta di meccanismo di spoils system in coincidenza con la formazione del nuovo governo. Detto sistema riguarda le figure apicali della dirigenza pubblica e prevede, inoltre, la temporaneità degli incarichi. 1.4.4 I decreti legislativi del 30 luglio 1999 n. 300 e n. 303, ovvero la riforma dell’organizzazione del governo La riorganizzazione del governo avviene proprio con il D.Lgs. 300/99 che rende omogenei i ministeri alla nuova visione della Presidenza del Consiglio, ora concepita come struttura deputata all’esercizio di funzioni proprie da parte del Presidente del Consiglio. L’idea che permea tutta la riforma è quella di conferire ai ministeri le funzioni di settore, al contempo accorpandone le competenze e riducendone il numero, legislativamente fissato in 12, cercando così di superare il limite negativo della segmentazione e delle difficoltà di dimensionare gli uffici centrali ai compiti effettivi da svolgere. Il ministro continua ad avere la direzione e la responsabilità politica del Dicastero e svolge anche funzioni politico-amministrative avvalendosi di uffici di diretta collaborazione, composti da personale reclutato con ampia discrezionalità anche al di fuori dell’amministrazione ( art. 7 D.Lgs. 300/99). Tutti i provvedimenti legislativi che abbiamo cercato di focalizzare, figli di questo ultimo decennio del novecento sono quindi frutto di una profonda stagione riformista che aveva come obiettivo quello di cambiare il sistema amministrativo italiano; scopo principale era quello di dislocare dal centro alla periferia gran parte delle funzioni amministrative, con la conseguenza di dover procedere alla ristrutturazione degli apparati centrali. In questa ottica si ritrova il padre di tutte queste riforme, Franco Bassanini, il quale sottolinea come “la riforma della dirigenza pubblica non costituisce una vicenda parallela o secondaria, ma si inserisce a pieno titolo in tale disegno, in quanto strettamente interconnessa con molti dei suoi aspetti più significativi e qualificanti” 26. 26 Cfr. sul punto, F. BASSANINI, Prefazione, in G. D’ALESSIO, op. cit., pag. 15 s.. 19
1.4.5 Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 In questo contesto generale si registra la necessità nel 2001 di predisporre un testo unico per raccogliere le norme che regolano i rapporti di lavoro relativamente al personale contrattualizzato dipendente dalle amministrazioni pubbliche. Il decreto legislativo in esame, reca come titolo “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” e viene emanato ai sensi dell’art. 1, comma 8 della Legge 24 novembre 2000, n. 340. Ciò premesso, è doveroso precisare che il decreto legislativo non assumerà la denominazione di testo unico, accogliendo un esplicito invito a modificare il titolo da parte delle commissioni della Camera per non ingenerare equivoci perché non era omnicomprensivo di tutti i rapporti di lavoro esistenti nella galassia della pubblica amministrazione. 1.4.6 La legge 15 luglio 2002, n. 145, ovvero la “controriforma” Una particolare attenzione merita la L. 15 luglio 2002, n. 145, considerata a ragione in dottrina come un’autentica “controriforma” della dirigenza pubblica che ha pressocchè riscritto la disciplina del c.d. governo dell’alta burocrazia, rafforzando ulteriormente e pericolosamente il rapporto tra il ministro e la dirigenza pubblica. In apparenza tale dettato normativo pare che persegua “l’obiettivo di apportare soltanto alcuni limitati, seppur significativi, aggiustamenti” alla normativa relativa alla dirigenza confluita nel sopra richiamato D.Lgs. 165/2001, intervenendo esclusivamente “attraverso correzioni ed integrazioni parziali delle disposizioni ivi contenute”, piuttosto che con l’introduzione “di una disciplina della dirigenza del tutto nuova ed esaustiva e quindi distinta ed autonoma rispetto a quella dettata in tale decreto”. A ben guardare, però, così non è. Si tratta di una riforma ben più ambiziosa di quanto in prima battuta si potesse ritenere e ancora di più se si esaminano i contenuti e l’effettiva portata modificativa, dal momento che interviene “in misura determinante su alcuni nodi essenziali (…), finendo per incidere, in modo più o meno esplicito, sulla stessa ratio 20
delle innovazioni intervenute negli anni precedenti, (…) messe in discussione in molti dei loro aspetti più qualificanti” 27. Obiettivi di questa “controriforma”: la determinazione di un nuovo e sempre più difficile equilibrio tra politica e amministrazione e l’introduzione nell’ordinamento della dirigenza di maggiori elementi di flessibilità e di nuove forme di mobilità. Il legislatore vuole pervenire alla rideterminazione di un nuovo punto di equilibrio tra politica e amministrazione. La ricerca del punto di equilibrio resta comunque difficile perché forte è il legame della dirigenza pubblica con gli organi di indirizzo politico-amministrativo. Pertanto il risultato complessivo è quello “di un consistente rafforzamento della posizione dell’organo di governo, che … rischia di rimettere in causa le stesse basi dell’autonomia dirigenziale”, per effetto di un fin troppo chiaro “spostamento dell’equilibrio fra politica e amministrazione tutto a favore della prima, con conseguenziale “precarizzazione” della posizione dei dirigenti” 28. 1.4.7 La legge delega 15/2009 e il decreto legislativo 150/2009 ovvero la riforma Brunetta La riforma Brunetta, che consiste nel D.Lgs. 150/2009, attuativo della legge delega 15/2009, è finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e al miglioramento della efficienza e della trasparenza delle pubbliche amministrazioni. La filosofia di questa riforma risiede nella constatazione che senza una dirigenza competente e moderna saldamente allineata agli standard di efficienza dei paesi economicamente più avanzati non c’è privatizzazione o ripubblicizzazione che tenga, bensì può esistere solo l’attuale profondissima crisi della pubblica amministrazione, che altro non è se non una delle tante facce della crisi dello Stato con cui quotidianamente si misurano i cittadini 29. 27 Cfr. sul punto G. D’ALESSIO, op. cit. cit. pag. 214 e C. COLAPIETRO, La “controriforma” del rapporto di lavoro della dirigenza pubblica, estratto da Le Nuove Leggi Civili Commentate, Anno XXV N. 4-5 – Luglio – Ottobre 2002, CEDAM 2002, pag. 646 e ss. 28 G. D’ALESSIO, op. cit. pag. 219. 29 Cfr. S. CASSESE, La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002. 21
Ecco perché il D.Lgs. 150/2009 annovera tra i suoi principi generali (art. 1, comma 2) l’intendimento di realizzare il “rafforzamento dell’autonomia, dei poteri e della responsabilità della dirigenza”, ancorché il dirigente pubblico, quanto alle “determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro” agisce, ormai, da oltre quindici anni con la “capacità” e, soprattutto, i “poteri” del privato datore di lavoro. Con l’art. 40 si tenta di arginare l’occupazione da parte della politica delle posizioni dirigenziali, veicolando la discrezionalità dei vertici politici nel conferimento degli incarichi all’interno di confini più precisi e meritocratici. L’obiettivo finale di migliorare l’efficienza dell’azione amministrativa ha indotto il legislatore anche ad un evidente inasprimento del momento dell’esercizio disciplinare. In particolare il D.Lgs. 150/2009 si caratterizza per alcune previsioni che impongono al dirigente di esercitare il potere disciplinare nei confronti dei suoi sottoposti, onde incorrere, a sua volta, in una omissione sanzionabile. Il dirigente è poi chiamato alla responsabilità di valutare i suoi collaboratori e di differenziarne il giudizio, pena macchiare il proprio stato di servizio, con conseguenze sia sul piano retributivo che sulla progressione in carriera o l’attribuzione di incarichi e responsabilità. Ecco perché è stata istituita con l’art. 13 la CIVIT (Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche), soggetto esterno e sono stati potenziati gli organi indipendenti di valutazione (OIV). Sicuramente è questa una riforma composta da un impianto particolarmente complesso che sembra richiedere necessariamente tempi lunghi per la messa a regime; a favore di essa, però, sta la consapevolezza che nel mercato globalizzato in cui oggi viviamo, anche le amministrazioni degli Stati sono in concorrenza fra loro e che ogni amministrazione lassista e inefficiente, o peggio ancora corrotta, non è altro che un forte incentivo alla delocalizzazione. 30 30 Cfr. sulla riforma Brunetta, M. PERSIANI, Dottrina e attualità giuridiche, La nuova disciplina della dirigenza pubblica, in Giurisprudenza Italiana, Dicembre 2010. 22
2. CENTRALITA’ DELLA PERSONA: DAL PARADIGMA BIPOLARE AL PERSONALISMO 2.1 Cenni generali Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. è stato interessato, negli ultimi anni, da profondi mutamenti legislativi, in particolare a seguito della c.d. "privatizzazione" attuata con il D.Lgs 29/93, sostituito dal D.Lgs. 165/2001, così come modificato dal D.Lgs. 150/2009. Uno degli aspetti fondamentali del suddetto impianto normativo è costituito dal mutamento del rapporto fra gli organi di governo e la burocrazia degli enti pubblici nel senso di separare nettamente l'attività d’indirizzo politico, affidata ai primi, da quella gestionale, attribuita ai dirigenti. Il succitato D.Lgs. 150/2009 ha, in particolare, previsto, emendando l’art. 4, comma 2, del D.Lgs. 165/2001, che “i dirigenti sono responsabili, in via esclusiva, dell’attività amministrativa, della gestione e dei risultati”. In base all’ordito normativo summenzionato, pertanto, i dirigenti pubblici adottano atti amministrativi e, quindi, di natura pubblicistica ed atti gestionali, tipici del datore di lavoro privato e, quindi, di natura privatistica. Dal summenzionato nuovo assetto del rapporto politica-dirigenza deriva una più accentuata autonomia degli apparati burocratici pubblici nell’attuazione concreta dell’azione amministrativa, ispirata dai principi costituzionali di imparzialità e buona amministrazione, di cui all’art. 97 Cost. Al riguardo, la dottrina ha evidenziato come tradizionalmente si riteneva che il principio di buona amministrazione “riguardasse solo il momento organizzativo della P.A. ( per cui lo si poteva ritenere soddisfatto già con la sola predisposizione di una struttura organizzata in modo da essere astrattamente imparziale ), ma dovesse riferirsi all’attività della P.A. nella sua interezza” 31. 31 F. CARINGELLA, Manuale di Diritto Amministrativo, Ed.2010, pag. 932. 23
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