Il cimiero: espressione dell'identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) - OpenEdition Journals

Pagina creata da Federico Bertini
 
CONTINUA A LEGGERE
Il cimiero: espressione dell'identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) - OpenEdition Journals
Mélanges de l’École française de Rome -
                          Moyen Âge
                          131-1 | 2019
                          Regards sur les crises – Varia – Atelier doctoral :
                          Usages et enjeux de la prosopographie au regard de
                          l’histoire sociale et politique (VIe-XVe siècles) –
                          Regards croisés

Il cimiero: espressione dell’identità, insegna
dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto,
XIV secolo)
Matteo Ferrari

Edizione digitale
URL: http://journals.openedition.org/mefrm/4833
DOI: 10.4000/mefrm.4833
ISSN: 1724-2150

Editore
École française de Rome

Edizione cartacea
Data di pubblicazione: 1 gennaio 2019
ISSN: 1123-9883

Notizia bibliografica digitale
Matteo Ferrari, « Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia
e Veneto, XIV secolo) », Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge [Online], 131-1 | 2019, Messo
online il 26 septembre 2019, consultato il 10 décembre 2019. URL : http://journals.openedition.org/
mefrm/4833 ; DOI : 10.4000/mefrm.4833

© École française de Rome
Il cimiero: espressione dell'identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) - OpenEdition Journals
MEFRM – 131/1 – 2019, p. 119-147.

Il cimiero: espressione dell’identità,
insegna dinastica, simbolo di rango
(Lombardia e Veneto, XIV secolo)
Matteo F errari

         M. Ferrari, Poitiers, CESCM – Université de Namur, PraMe, ferraritheo80@gmail.com

              Dalla fine del XII secolo gli elmi dei cavalieri furono ornati di cimieri, appendici colorate e dalle forme fantasiose che
         permettevano l’identificazione del loro portatore. Introdotti sui campi di battaglia e nei tornei, i cimieri furono presto
         adottati anche nelle rappresentazioni araldiche. Associati allo stemma familiare, permettevano di distinguere l’individuo
         all’interno del lignaggio e consentivano l’espressione di messaggi di natura simbolica. In Italia il cimiero fu introdotto solo
         tardivamente nel linguaggio araldico, ma ebbe una diffusione ampia e assai rapida come testimoniano numerosi documenti
         visivi e testuali. Negli anni Trenta del Trecento, le famiglie signorili dell’Italia settentrionale mostrarono un forte interesse
         nei confronti di quest’elemento para-araldico ai fini della comunicazione politica. L’analisi dei cimieri dei Carraresi, degli
         Scaligeri e dei Visconti permetterà allora di comprendere le ragioni che portarono all’introduzione del cimiero nell’icono-
         grafia araldica italiana, di studiarne i tempi e i modi di diffusione, d’indagarne le funzioni semiotiche.

         Araldica medievale, cimiero, iconografia politica, storia urbana dell’Italia medievale

              Since the end of the 12th century the knight’s helmets were often adorned with a crest, a coloured and fanciful appendage
         that enables to identify the person who wears it. Appeared on battlefields and in tournaments, the crests were soon adopted
         in heraldic representations. Associated with the family coat of arms, they allowed to distinguish a person within his lineage
         and to express symbolical messages. In Italy, the crest was introduced only lately in the heraldic language. Therefore, the
         visual and written documents prove its fast and wide spread. In the 1330s, the lords who ruled the north Italian cities were
         particularly interested in the use of this heraldic element for political communication. So, the study of the crests adopted
         by Carraresi, Scaligeri and Visconti will be taken as an example to understand the chronology and the reasons of the use of
         this element in the Italian heraldic iconography, the ways it spread in the Po valley area and the functions attached to it.

         Medieval heraldry, crest, political iconography, medieval Italian urban history

                                                                                          Les rois d’Alca issus de Draco, fils de
                                                                           Kraken, portaient sur la tête une crête effroyable de
                                                                           dragon, insigne sacré dont la seule vue inspirait aux
                                                                                   peuples la vénération, la terreur et l’amour.

                                                                                   Anatole France, L’Île des Pingouins - livre III, 1

     Narrando gli esordi del regno dei Pinguini, nel                       Ricordando nella forma gli ornamenti che già
libro consacrato al Medioevo e al Rinascimento,                       nell’antichità ornavano gli elmi dei combattenti,
Anatole France attribuisce alla stirpe regnante                       per la sua valenza di segno d’identificazione la
d’Alca un emblema in grado allo stesso tempo di                       cresta dei re d’Alca trova una certa affinità con le
esprimere l’identità del lignaggio e di suscitare il                  fantasiose appendici che apparvero, sul finire del
rispetto e il timore nei suoi osservatori: una cresta                 XII secolo, sui caschi dei cavalieri impegnati sui
di drago, spaventosa d’aspetto, portata sulla testa.                  campi di battaglia e nelle lizze dei tornei di tutta
Il cimiero: espressione dell'identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) - OpenEdition Journals
Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo)
120 Matteo F errari

               Fig. 1 – Grixopolo (?), Cavalieri e fanti all’assalto di una rocca. Mantova, Palazzo della Ragione, salone (foto: M. Ferrari).

     Europa. Com’è noto, l’evoluzione dell’armamento                            d’identità2. La sua presenza trasformava l’elmo in
     e, in particolare, l’adozione dell’elmo chiuso e a                         una maschera che consentiva al cavaliere tanto di
     cielo piatto imposero l’introduzione di comple-                            offrire un’immagine diversa di sé, appropriandosi
     menti iconici, per garantire l’identificazione del                         delle virtù totemiche della figura che lo rappre-
     cavaliere (fig. 1). Inizialmente dipinti con i colori                      sentava, quanto di porsi all’interno di una paren-
     o con le insegne che comparivano sullo scudo,                              tela più larga (biologica, acquisita o immaginaria),
     gli elmi divennero progressivamente il supporto                            adottando l’insegna usata da altri individui, reali o
     di ornamenti tridimensionali. Dalle tinte vivaci                           immaginari (i cavalieri dei romanzi arturiani, per
     e dall’aspetto spesso fantasioso, queste appendici                         esempio)3.
     assumevano forme talvolta ispirate allo stemma del                              L’abbandono, nel corso del XIII secolo, della
     loro portatore o allusive al suo cognome1. Come                            terminazione piatta per gli elmi in favore di forme
     Michel Pastoureau e, più recentemente, Laurent                             più svasate, più adatte a proteggere la testa del
     Hablot hanno potuto ricostruire, il cimiero acquisì                        cavaliere dai colpi di fendente, comportò la dismis-
     presto una sua autonomia semiologica, svolgendo                            sione dei cimieri, ingombranti e voluminosi, dai
     altre funzioni oltre a quella originaria di segno                          campi di battaglia, in favore di più pratiche creste
                                                                                o piume4. Tale cambiamento non condusse però
                                                                                all’estinzione del cimiero, ma ne segnò l’evolu-
                                                                                zione. Questo continuò, infatti, a essere adope-
       1. Su questo punto, Pastoureau 1993, p. 205-209, Id. 1990
          e Jequier 1992. Questo saggio trae origine da una comu-
          nicazione orale presentata in occasione della seconda
          giornata di studi araldici tenutasi a Poitiers nel 2012. A              2. Pastoureau 1986 e Hablot 2016. Sul cimiero si vedano
          Laurent Hablot, organizzatore di quell’incontro, va il mio                 anche le indagini, inedite, recentemente condotte da
          più sentito ringraziamento per aver discusso con me, nel                   Dominique Delgrange (Histoire des cimiers et des timbres
          tempo, molti dei punti qui presi in esame. Ringrazio anche                 héraldiques. Enquête documentaire 1-4), che lo studioso ha
          Andrea Saccocci, Alessandro Savorelli, Paolo Valandro per                  reso disponibili all’indirizzo https://independent.academia.
          l’aiuto e i preziosi suggerimenti. Quest’articolo deve infine              edu/DominiqueDelgrange.
          molto ai referees anonimi della rivista: le loro osserva-               3. Hablot 2016, ma anche Cirlot 1989, passim.
          zioni hanno contribuito a migliorarlo nei contenuti e nella             4. Sull’evoluzione dell’armamento e, in particolare, degli elmi
          forma.                                                                     in area italiana vedasi Merlo 2012, p. 527-537.
Il cimiero: espressione dell'identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) - OpenEdition Journals
121

rato tanto sotto forma d’oggetto reale, nei tornei e                       giudizio, derivato dall’apparente minor numero
nelle cerimonie pubbliche (parate militari e fune-                         di attestazioni e dalla loro datazione tardiva, ha
rali) dov’era portato in mostra per rappresentare                          sancito il confinamento dei cimieri italiani tra le
e illustrare il suo possessore, quanto sotto quella                        curiosità araldiche9. Tuttavia, anche senza pren-
d’immagine, nell’iconografia araldica. Potenziando                         dere in esame le regioni meridionali occupate
una funzione che gli era stata propria fin dall’o-                         dagli Angioini e dunque precocemente esposte
rigine, il cimiero consentiva d’individualizzare lo                        alle mode araldiche francesi, un esame più attento
stemma (segno per sua natura familiare e collet-                           delle fonti iconografiche e testuali rivela una realtà
tivo); d’esprimere l’identità cavalleresca e, quindi,                      ben diversa. Certo, il cimiero issato sull’elmo di
il rango del suo portatore5; di trasmettere messaggi                       un cavaliere dipinto in San Bevignate a Perugia
legati alle sue aspirazioni alla sua cultura e alla sua                    (seconda metà del Duecento) deriva forse più da
rete sociale6.                                                             un modello iconografico che da un uso già anco-
     Benché gli studi sull’araldica e sull’emblema-                        rato nella realtà quotidiana10, ma le targhe lasciate,
tica europea abbiano conosciuto negli ultimi anni                          dalla metà del Trecento, dai magistrati comunali
un forte sviluppo e un deciso rinnovamento7,                               sulle pareti dei palazzi pubblici sono eloquenti
il cimiero ha raramente incontrato l’interesse                             testimoni dell’ampia diffusione di questi comple-
degli specialisti8. Questa mancanza è ancor più                            menti araldici nell’Italia tardo-medievale (fig. 2).
evidente per l’Italia, regione nella quale l’uso di                        Negli stessi anni le fonti letterarie documentano,
questi ornamenti è stato considerato saltuario e                           del resto, l’impiego di cimieri reali, confezionati
limitato rispetto all’Europa settentrionale. Tale                          nelle botteghe dei pittori, da parte sia di cavalieri

                  Fig. 2 – Stemmi di magistrati fiorentini. Firenze, Palazzo del Bargello, cortile (foto: M. Ferrari).

  5. Hablot 2016, p. 244-245 e Id. 2015, p. 255-256.                         9. Fox-Davies 1909, p. 343: «in Italy the use of a crest is the
  6. Su questo punto si veda in particolare Hablot 2016.                        exception». Mi pare che in tal senso sia significativa l’as-
  7. Lo dimostrano le giornate di studio tematiche organiz-                     senza di riferimenti al territorio italiano in Le cimier 1990.
     zate da Laurent Hablot e Torsten Hiltmann a Poitiers e a                   Tale errore di valutazione è stato già rilevato da Fumi
     Münster (i cui atti sono in corso di lavorazione), di cui                  Cambi Gado 1993, p. XLI-XLII.
     si trova notizia sito http://heraldica.hypotheses.org/. Per            10. Sui questi dipinti vedasi, in sintesi, Curzi 2002, p. 39-51
     l’Italia si vedano anche i contributi riuniti in Ferrari 2015a.            e Agrigoroaei 2016, p. 69-72. È forse questo anche il caso
  8. In controtendenza si pone la già citata giornata di studio Le              della miniatura, datata al XIII secolo, raffigurante il podestà
     cimier et l’identité tenutasi a Poitiers nel 2012.                         Nazzaro Gherardini negli Annali di Caffaro in Parigi, BNF,
                                                                                ms. 10136, f. 141r.
Il cimiero: espressione dell'identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) - OpenEdition Journals
Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo)
122 Matteo F errari

     impegnati nei tornei, sia di magistrati itineranti11.                 per primo uso in modo regolare? Per quali ragioni
     Il lucchese Pietro Faitinelli faceva forse riferimento                furono introdotti nella panoplia araldica italiana
     proprio a tali oggetti stimmatizzando, nel 1314,                      e quali funzioni erano accordate tanto all’oggetto
     l’incapacità militare dei fiorentini, a suo modo di                   materiale quanto alle sue trasposizioni grafiche? Il
     vedere buoni soltanto a «far la mostra / con elmi e                   cimiero fu veramente introdotto al solo scopo di
     con cimiere inargentate»12.                                           distinguere l’individuo all’interno della sua fami-
          Nell’Italia centrale e in quella settentrionale                  glia? Per quale motivo un segno in origine indi-
     rare sono comunque le attestazioni iconogra-                          viduale fu trasformato in un emblema ereditario?
     fiche di cimieri anteriori alla metà del Trecento.                    Quale poté essere il ruolo dell’emulazione tra corti
     Tra queste citeremo il sigillo di Acceritello degli                   confinanti e prossime per legami di parentela – si
     Ubertini († post 1339), membro di un nobile                           pensi agli Scaligeri e ai Visconti – nella diffusione
     lignaggio originario dei dintorni di Firenze, nel                     di quest’oggetto emblematico e quale l’influenza
     quale lo scudo con l’insegna familiare (un leone)                     degli usi di corte sulle pratiche rappresentative
     è timbrato da un elmo di profilo su cui s’imposta                     delle famiglie dell’entourage signorile?
     un busto e una testa di leone13. A partire dagli
     anni 1330-40, però, le testimonianze si fanno rapi-
     damente più numerose, in particolare nell’Italia                      ALL’INIZIO FU IL MASTINO? I DELLA SCALA
                                                                           E GLI ESORDI DEL CIMIERO
     settentrionale che Michel Pastoureau già ricono-
     sceva, con l’area germanica, come la più interes-
     sata dalla fioritura della moda del cimiero14. Al di                       La propensione per l’araldica delle famiglie
     là di alcune attestazioni antiche ma isolate di cui si                signorili dell’Italia settentrionale, così come di
     dovrà comunque tenere conto, le fonti iconogra-                       quelle che ne frequentavano la corte, è cosa nota.
     fiche e quelle letterarie lasciano in effetti vedere                  Strumento di rappresentazione personale e del
     come l’uso del cimiero si sia innanzitutto affermato                  lignaggio, anche con finalità che potremmo defi-
     nell’ambito delle grandi famiglie signorili dell’area                 nire politiche, lo stemma del signore permeava il
     padana, dove fu impiegato in modo ampio e                             territorio da questi governato. Raffigurato sugli
     coerente, tanto nella sua natura di segno che in                      edifici privati come su quelli pubblici, sui sigilli
     quella di simbolo.                                                    come sulle monete, lo stemma era spesso asso-
          Le attestazioni araldiche, nutrite e assai varie,                ciato ad altri elementi para-araldici ed emblema-
     trasmesseci dai Visconti, dai della Scala e dai Da                    tici, che ne affinavano il significato. Tra questi, i
     Carrara si rivelano pertanto di grande interesse                      monogrammi composti dalle iniziali del portatore
     per abbordare lo studio del cimiero in ambito                         dell’insegna e, per l’appunto, i cimieri personaliz-
     italiano, permettendoci di provare a dare risposta                    zavano l’arme familiare, per sua natura collettiva,
     ad alcuni quesiti ancora insoluti. Quando appar-                      e permettevano di distinguere l’individuo all’in-
     vero i primi cimieri a sud delle Alpi? Chi ne fece                    terno del suo clan15. Lungi dal costituire un mero
                                                                           espediente d’identificazione, il cimiero era però un
                                                                           segno dalla natura polisemica, che ben si prestava
      11. F. Sacchetti, Trecentonovelle, CL e Cennino Cennini 2009,        a supportare la politica d’immagine signorile.
          p. 188, cap. CLXIX, consacrato al confezionamento di                  Negli anni Venti-Trenta del Trecento, i signori
          cimieri in «forma o d’uomo o d’animale […] o d’ucciello»,        di Verona furono così tra i primi ad accogliere il
          per ornare elmi «da ttorniero, o da rettori che abbino
          andare in signoria». Sui cimieri del Bargello si rimanda a
                                                                           cimiero all’interno della panoplia araldica familiare
          Fumi Cambi Gado 1993, p. XLII-XLVII.                             e a metterlo a contribuzione nell’ambito di quella
      12. Marni 1956, p. 433.                                              politica d’immagine da loro avviata a breve inter-
      13. Muzzi – Tomasello – Tori 1989, I, p. 338, num. 1192, con
                                                                           vallo dalla presa di potere, avvenuta negli anni
          una datazione alla fine del XIII-inizi del XIV secolo che
          andrà a mio avviso leggermente posticipata. La collezione        Sessanta del Duecento con Mastino della Scala
          del museo fiorentino presenta altri esemplari generica-          († 1277)16. Se il controllo della suprema magistra-
          mente datati al XIV secolo che collocherei, per ragioni stili-
          stiche, ai decenni centrali del secolo (ivi, p. 83, num. 283
          o p. 309, num. 950). Alla prima metà del Trecento risale
          invece il sigillo di Andreuccio Salamoncelli (ivi, p. 352,
          num. 1074) e alla metà del secolo quello di Giovanni di          15. Sulle lettere ‘onomastiche’ mi permetto di rimandare a
          Venturino de’ Sommi (ivi, p. 366, num. 1118).                        Ferrari in corso di stampa.
      14. Pastoureau 1986, p. 141.                                         16. Sull’ascesa di Mastino, Varanini 1991, p. 335-339.
Il cimiero: espressione dell'identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) - OpenEdition Journals
123

tura di Popolo garantiva alla famiglia la trasmissione                        Durante la signoria di Mastino II, il progres-
del governo, questa rimaneva però formalmente                            sivo indebolimento della potenza militare e territo-
subordinata alla volontà dell’assemblea cittadina                        riale della signoria – dal 1341 ridotta alle sole città
cui spettava l’effettivo conferimento dei poteri17.                      di Verona e Vicenza e minacciata dall’ascesa della
Al pari di altri regimi signorili contemporanei, gli                     vicina Padova carrarese – accrebbe l’esigenza di
Scaligeri accompagnarono allora la ricerca di fonti                      una politica d’immagine forte, centrata su simboli
diverse di legittimazione, esterne al contesto locale,                   di sicura presa. Attorno alla metà degli anni Trenta,
alla messa in opera di una campagna d’immagine                           e forse dopo la perdita di Padova nel 1337, Mastino
diretta a esibire tanto il prestigio della famiglia,                     diede così nuovo impulso alla politica d’imma-
quanto a documentare la continuità della trasmis-                        gine familiare. L’assetto del sepolcreto scaligero
sione del potere all’interno del lignaggio.                              fu dunque mutato per dare una più maestosa
     La costruzione del sepolcreto familiare attorno                     sepoltura al suo predecessore Cangrande, la cui
alla chiesa di Santa Maria Antiqua, situata nei pressi                   gloriosa memoria poteva servire da puntello per
delle residenze scaligere, rispondeva, con le sue                        l’indebolita dinastia. Abbandonando la sobrietà
componenti emblematiche, a quest’esigenza18. Se                          delle prime arche, il nuovo mausoleo, posto sopra
la celebrazione del defunto era stata inizialmente                       l’ingresso della chiesa e coronato dal monumento
affidata alla collocazione e alla tipologia prestigiosa                  equestre del defunto, assumeva una veste piena-
dell’arca, ispirata al modello dei sarcofagi porfiretici                 mente monumentale. Le scene scolpite sulla cassa
antichi, col passare delle generazioni le componenti                     commemoravano le conquiste territoriali dello
figurative, e tra di esse quelle araldiche, assunsero                    Scaligero, rammentando il ruolo di potenza regio-
un’importanza crescente. Utile per visualizzare i                        nale che i Della Scala avevano assicurato a Verona
legami dinastico-familiari e gli orientamenti poli-                      e, implicitamente, rivendicavano il possesso dei
tici del lignaggio, l’araldica fece la sua comparsa                      territori recentemente perduti.
nella tomba attribuita ad Alberto I († 1301) e in                             Il mutare della sepoltura fu accompagnato
quella di Bartolomeo († 1304): la scala dell’insegna                     dall’ampliamento della panoplia araldica. Lo con-
familiare forniva qui l’appoggio a un’aquila coro-                       statiamo innanzitutto nella comparsa del celebre
nata, segno d’appartenenza ghibellina19. Nell’arca                       cane, che fu tanto impiegato in funzione di tenente
di Alboino († 1311) e nella prima di Cangrande I                         dello stemma familiare (coronato in riferimento
(† 1329), lo stemma della Scala fu invece accostato                      alla dignità signorile), quanto integrato all’interno
a quello imperiale, in riferimento al vicariato che                      dello scudo, a sostegno della scala. Veniva così
entrambi avevano ottenuto e che aveva loro assi-                         trasposto in ambito monumentale un elemento
curato quella fonte di legittimazione esterna che                        emblematico che Cangrande aveva già impiegato
dava prestigio e autonomia al loro potere20.                             nel tipario sigillare, anche qui con funzione di
                                                                         reggente dello scudetto scaligero21. Figura parlante,
                                                                         allusiva al nome del signore, il cane si era del resto
                                                                         rapidamente affermato nell’immaginario della
 17. Varanini 2015, p. 175-179.
 18. Per un’analisi più accurata del sepolcreto e delle singole          signoria, al punto che già durante il principato
     sepolture, qui trattati in estrema sintesi, rimandiamo all’e-       di Cangrande i cronisti apostrofavano i sovrani
     saustivo lavoro di Napione 2009a.                                   veronesi con l’appellativo di canes veronenses22.
 19. Si tratta dell’insegna poi menzionata da Dante, Parad.,
     XVII, 70-72 («Lo primo tuo rifugio e ‘l primo ostello / sarà        Assolutamente inedito era invece il cimiero col
     la cortesia del gran lombardo, che’ n su la scala porta il          mastino alato posto ad ornamento dell’elmo del
     santo uccello») sul quale si vedano le considerazioni di            signore nella scultura equestre e nel rilievo dedi-
     Seiler 1996, p. 546-548. Negli acroteri del sarcofago di
     Bartolomeo compare lo stemma pieno della famiglia.
 20. Napione 2009a, p. 81-85. Già a queste date i vicari impe-
     riali erano soliti associare l’aquila dell’Impero all’arme
     familiare; Matteo Visconti «se vicarium sacri Imperii intitulavit    21. Gerola 1930, p. 134; Bascapé 1969, p. 268-269, 276;
     et aquilas imperiales in suo vexillo portavit»: Muratori 1730,           Napione 2009a, p. 485 che riconosce la paternità dell’em-
     col. 684, cap. LXVII. Vicario di Verona e Vicenza per conces-            blema a Cangrande.
     sione di Enrico VII, nel 1328 Cangrande si arrogò anche il           22. Lo ricorda Riedmann 1988, p. 29. «Canina gens» sono defi-
     titolo di vicario di Padova, che Ludovico il Bavaro però mai             nite le truppe di Cangrande nel racconto di Albertini Muxati
     gli riconobbe: Riedmann 1988, p. 26. Sulla valenza politica              1903, p. 28. In questa accezione il cane ritornò in più tardi
     degli stemmi della prima arca di Cangrande si veda anche                 sigilli e rilievi sparsi per il territorio veronese, Gerola 1930,
     Weber 2003, p. 71.                                                       p. 130.
Il cimiero: espressione dell'identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) - OpenEdition Journals
Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo)
124 Matteo F errari

     Fig. 3 – Maestro di Sant’Anastasia, Ritratto equestre di Cangrande      Fig. 4 – Maestro di Sant’Anastasia, Battaglia per la difesa di Vicenza,
     della Scala, dettaglio. Verona, Museo di Castelvecchio (dalla chiesa    dettaglio del sarcofago di Cangrande della Scala. Verona, Santa
     di Santa Maria Antiqua) (foto: M. Ferrari).                             Maria Antiqua (foto: M. Ferrari).

     cato alla battaglia del 1314 per la difesa di Vicenza                        Secondo Ettore Napione l’invenzione di
     (fig. 3-4): collarinato, coronato e dotato di grandi                    questo cimiero sarebbe connessa all’operazione di
     ali come d’uso nei cimieri dell’Europa settentrio-                      costruzione di un’ascendenza mitica e illustre che
     nale23. In effetti, né Cangrande, né tantomeno i                        gli Scaligeri misero in atto fin dagli esordi della
     suoi predecessori sembrano aver mai impiegato tale                      signoria, appoggiandosi sul passato longobardo
     elemento araldico. Se ignoriamo quali sembianze                         e regale di Verona. La strategia si basava sulle
     avesse «‘l cimier sovrano» citato tra le insegne che                    scelte onomastiche, come rivelano la resurrezione
     accompagnarono il feretro di Cangrande durante                          dell’inusuale nome di Alboino, primo re longo-
     il suo funerale24 (1329), pare comunque significa-                      bardo morto e sepolto nella città veneta, e, forse,
     tivo che il mastino alato non sia mai documentato                       la sistematica adozione di nomi dall’etimo canino
     prima del 1335, quando apparve sul sigillo che                          (Cangrande, Canfrancesco detto Cansignorio,
     Mastino II appose in calce a un atto25.                                 Mastino). Collante dinastico tributario del sopran-
                                                                             nome di Mastino affibbiato al ‘fondatore’ della
                                                                             dinastia, Leonardino della Scala, l’impiego di
      23. Si vedano a tal proposito i numerosi cimieri alati raffigurati,    questi nomi avrebbe permesso alla famiglia vero-
          per esempio, in Bruxelles, Bibliothèque royale de Belgique         nese, secondo Napione, di evocare il ricordo dei
          – ms. 15652-15656, Armorial de Gelre (edito da Popoff
          2012). È dunque da rivedere l’ipotesi di Napione 2009a,            ferocissimi guerrieri cinocefali, leggendarie figure
          p. 224 secondo il quale le ali costituirebbero un’allusione        delle saghe germaniche, attribuendosene le virtù
          all’aquila imperiale, adottata nell’araldica scaligera come        di combattenti irriducibili26. L’ipotesi è certo affa-
          richiamo al titolo vicariale (come già Gerola 1930, p. 132).
          Si noti che un elmo con cimiero alato è portato, tra gli altri,
                                                                             scinante, ma ci chiediamo se il mastino alato non
          da Rizzardo VI da Camino († 1335), ritratto in preghiera in        avesse piuttosto svolto, ai suoi esordi, la funzione
          un rilievo del suo sepolcro (Vittorio Veneto, Santa Giustina       di una semplice insegna parlante. Questa permet-
          a Serravalle, ante 1340), dai Gonzaga e dai Savoia.
                                                                             teva al suo portatore tanto di segnalarsi all’interno
      24. «Poi la mattina i nobil cavalieri / presono il corpo con molti
          doppieri, / e innanzi givan dodici destrieri, ciascun ben          del clan familiare, quanto di attribuirsi quelle doti
          arredato; / dell’arme del signor, nobile, altero, / l’un di loro   di ferocia guerriera che, già insite nel suo nome
          era armato. / Su’n destriero avie ‘l cimier sovrano, / la spada    di battesimo, erano ora esibite in modo ben più
          ignuda, e tenea ‘l ferro in mano […] ed erano i destrieri
          ch’io v’ho contati / dell’arme della Scala covertati […] li        icastico dalla temibile figura canina che lo rappre-
          scudi e le bandiere addolorati / portavan volti in giuso»:         sentava nei tornei, in battaglia e nelle rappresenta-
          Medin 1886, p. 409-410, v. 415-426, 433-434, 437-438.
          Sull’affidabilità del cantare, risalente agli anni Trenta-
          Quaranta del Trecento, Napione 2004, p. 33-38.
      25. Gerola 1930, p. 135-136 e Plessi 1988, p. 71-76: Mastino
          utilizza questo nuovo sigillo tanto negli atti siglati assieme      26. Napione 2009a, p. 223-227. I guerrieri cinocefali sono
          al fratello Alberto, sulla carta co-titolare della signoria,            menzionati nel racconto di Pauli Diaconi, Historia langobar-
          quanto in quelli emanati a suo solo nome.                               dorum, I, 11.
Il cimiero: espressione dell'identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) - OpenEdition Journals
125

zioni della sua signoria. Non si dimentichi del resto                  legame genealogico tra il signore e i suoi predeces-
che gli Scaligeri non furono i soli signori dell’Italia                sori e di affermare, di conseguenza, la legittimità
settentrionale a riesumare il passato longobardo a                     del trapasso dei poteri all’interno del lignaggio.
fini politici: lo fecero anche i Visconti, a partire dal               Ornati delle insegne familiari e, soprattutto, dei
secondo Trecento, ma tale operazione non ebbe                          loro cimieri, i monumenti equestri che si fron-
alcuna incidenza sul piano onomastico o araldico27.                    teggiavano nel sepolcreto di Santa Maria Antiqua
     Per quale ragione però Mastino II, sulla metà                     diffondevano l’immagine di una signoria coesa.
degli anni Trenta, decise prima d’impiegare il                         Oltre che nella tomba di Cangrande, il cimiero col
mastino alato come cimiero personale, poi d’in-                        mastino compare infatti in quella di Mastino II,
tegrarlo nella panoplia araldica famigliare come                       completata all’indomani della sua morte nel 1351
un’insegna della signoria, attribuendolo a posteriori                  per mano della stessa maestranza che aveva realiz-
al suo predecessore Cangrande? Crediamo che la                         zato il sepolcro del suo predecessore32 (fig. 5): lo
risposta vada cercata nel quadro politico dell’e-                      vediamo sull’elmo che copre la testa della statua
poca, segnato dal conflitto che opponeva i signori                     equestre, sulla testiera del cavallo e sui timpani
veronesi, ghibellini, al fronte guelfo: un conflitto                   delle edicole sottostanti. Ed era senz’altro dotata
nel quale persino gli stemmi erano oggetto di                          di cimiero anche la figura equestre di Cansignorio,
attacchi verbali fornendo materia per la denigra-
zione dell’avversario. Raccogliendo una tradizione
diffusa, Giovanni Villani prese spunto dallo stemma
parlante degli Scaligeri per insinuarne l’umile
origine da un produttore di scale, che avrebbe dato
alla sua stirpe il nome e l’insegna. Parvenus con
arie di principi, alla ricerca di fonti di legittima-
zione per la loro signoria, gli Scaligeri non furono
insensibili alla polemica, come evidenzia l’impo-
nente macchina di propaganda da loro creata e
continuamente alimentata28. Il cimiero col mastino
alato consentiva allora tanto d’integrare l’araldica
famigliare con una figura fiera e temibile, quanto
di nobilitarla, grazie all’attributo della corona che,
come Ettore Napione ha giustamente rilevato,
andrà probabilmente letto in relazione alle ambi-
zioni regali di Mastino29. La stretta connessione con
la tradizione onomastica familiare, poi, offriva la
garanzia della riconoscibilità del segno, facilmente
riconducibile alla famiglia veronese. Attribuendo
la propria insegna all’illustre predecessore, come in
una sorta di concessione araldica a parti rovesciate,
Mastino si presentava come suo diretto e legittimo
erede, unico in grado di rinverdirne i fasti30.
     La funzione ‘politica’ del cimiero sembra del
resto dimostrata dalla sua immediata trasforma-
                                                                       Fig. 5 – Maestro di Sant’Anastasia, Ritratto equestre di Mastino II
zione in «emblema stabile della signoria»31. Questo                    della Scala, dettaglio. Verona, Museo di Castelvecchio (dalla chiesa
consentiva di mettere visivamente in risalto il                        di Santa Maria Antiqua) (foto: M. Ferrari).

 27. Ibsen 2007, p. 279-289.                                            32. Ivi, p. 237-313.
 28. Villani 1991, III, l. XII, cap. XCV, p. 1354, sul quale si veda
     il commento di Napione 2009a, p. 227-228.
 29. Ivi, p. 235-236.
 30. Così anche per Napione 2004, p. 40.
 31. Napione 2009a, p. 224.
Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo)
126 Matteo F errari

                                                                            (fig. 6). Privo di corona ed anche delle ali, ma con
                                                                            lunghe orecchie d’oro e ricoperto di piccole scale,
                                                                            è quello che accompagna il presunto ritratto di
                                                                            Cangrande II (1351-59) nella Madonna del rosario
                                                                            di Lorenzo Veneziano in Sant’Anastasia35.
                                                                                 Ma è sui sigilli e sulle monete, notoriamente
                                                                            veicolo primario per la diffusione dell’immagine
                                                                            del potere, che i successori di Mastino II fecero
                                                                            ampio uso del mastino alato. Lo mostrano il sigillo,
                                                                            per l’appunto, di Cangrande II, da questi impie-
                                                                            gato anche negli atti siglati congiuntamente con i
                                                                            fratelli Cansignorio e Paolo Alboino36, e quelli di
                                                                            Bartolomeo e di Antonio. Durante la loro fragile
                                                                            signoria, questi ultimi – prima congiuntamente
                                                                            (1375-81), poi dopo la morte di Bartolomeo il solo
                                                                            Antonio (1381-87) – coniarono anche monete
                                                                            col cimiero del mastino alato37. Antonio, amante
                                                                            delle preziosità e del lusso, lo fece raffigurare pure
                                                                            in prodotti destinati a una circolazione più limi-
                                                                            tata o a un’esibizione esclusiva nell’ambito della
                                                                            corte. La carta d’apertura del Commento alle Lettere
                                                                            degli apostoli e all’Apocalisse (Città del Vaticano, BAV,
                                                                            Cod. Pal. Lat. 112) fu così ornata con lo stemma
                                                                            del signore (uno scudo con la scala compreso fra
     Fig. 6 – Stemma scaligero con cimiero col mastino alato. Verona,
                                                                            le lettere A e N, iniziali di Antonio), timbrato da
     Torre del Capitano (foto: M. Ferrari).
                                                                            un elmo sormontato dal cimiero con il mastino
                                                                            alato, collarinato e coronato: la rappresentazione
     posta a coronamento della monumentale sepoltura                        della panoplia scaligera al gran completo garantiva
     realizzata e sottoscritta da Bonino da Campione                        l’identificazione del proprietario del codice, in base
     nel 1375, come lo sono le edicole che formano il                       a una pratica che nella seconda metà del Trecento
     secondo ordine del sepolcro33.                                         era ormai diventata del tutto comune38. Nel
          Lungo il filo delle generazioni, il cimiero scali-                caso dei figli di Cansignorio, poi, l’assenza di un
     gero fu dunque riprodotto, da solo o associato allo                    qualunque rapporto con l’onomastica del porta-
     stemma familiare, nei luoghi di rappresentanza                         tore dell’insegna conferma l’avvenuta trasforma-
     della signoria. Alla ricerca di un difficile equili-                   zione del mastino alato in insegna della signoria e
     brio tra l’esigenza di manifestare l’appartenenza                      il suo impiego, negli anni del rapido declino dell’e-
     al clan familiare e la volontà d’affermazione indi-
     viduale, il cimiero col mastino presenta talvolta
     piccole varianti atte a singolarizzarlo. Forse privo
                                                                                   logia dei dipinti (settimo-ottavo decennio del Trecento) è
     di corona è quello dipinto sulla volta di un’aula                             determinata dall’uso della scala a cinque pioli, stabilizzatosi
     della cosiddetta Torre del Capitano, residenza scali-                         negli anni di Cansignorio.
     gera compresa nel complesso su Piazza dei Signori                       35.   L’identificazione, proposta da Simeoni 1920, si basa sulla
                                                                                   presenza delle lettere GG (Can Grande) all’interno dello
     e rinnovata durante gli anni di Cansignorio34                                 scudo con l’insegna scaligera. Sulla tela, datata 1358-1359,
                                                                                   si veda in breve Pietropoli 2011.
                                                                             36.   Plessi 1988, p. 74, n. 17.
                                                                             37.   Si rimanda, anche per l’illustrazione dei diversi coni, a
      33. Sulla testa del cavaliere è stata infatti osservata la presenza          Saccocci 1988 e Id. 2015, p. 212-217, num. 182-187.
          di un foro di fissaggio di un elemento metallico; ivi, p. 354,     38.   La pagina miniata (fol. 1r) è visibile all’indirizzo . Non abbiamo invece
      34. Sulle pitture parietali, realizzate a imitazione di preziosi             trovato prove materiali di un secondo presunto cimiero,
          tessuti e caratterizzate da medaglioni polilobi con l’insegna            raffigurante una fenice, che Carleton 2009, p. 106 attribu-
          scaligera (la scala a cinque pioli accostata da cani rampanti),          isce ad Antonio della Scala sulla base di due madrigali, di
          Piccoli 2010, p. 106-111 e Napione 2009b, p. 47. La crono-               difficile interpretazione, composti alla corte veronese.
127

             Fig. 7 – Fiorino (con cimiero) di Luchino e Giovanni Visconti (da Crippa 1986, tav. tra p. 34-35).

gemonia scaligera come strenua affermazione                             nelle quali sfilano gli scudi con le insegne dei
d’autorità. E d’altra parte è senz’altro in quest’ac-                   signori milanesi, tutti timbrati da monumentali
cezione che tale cimiero fu recuperato da Brunoro                       cimieri dalle forme varie42.
durante l’effimera rinascita della signoria degli                            Le fonti scritte e iconiche concordano nel rico-
Scaligeri nel 140439.                                                   noscere a Luchino il ruolo di pioniere nell’impiego
                                                                        di tale ornamento. Secondo l’Anonimo romano,
                                                                        questi avrebbe un giorno mostrato al figlio Bruzio,
SCAGLIE DI DRAGO, PIUME DI PAVONE:                                      signore di Lodi, un elmo «moito forbito e relu-
TRA I CIMIERI DEI SIGNORI DI MILANO                                     cente» sul quale era «uno bello cimiero, de velluto
                                                                        vermiglio copierto» recante la scritta «Iustizia»
     La stessa capacità d’imposizione del cimiero                       in lettere d’oro43. La stringatezza del racconto
come emblema familiare e della signoria si                              – la cui veridicità resta comunque da valutare –
riscontra tra i Visconti. Concentrati sulla ques-                       impedisce di farsi un’idea delle fattezze dell’og-
tione delle origini e dei significati dell’insegna                      getto. Altre fonti, questa volta visive, permettono
della vipera40, gli studi araldici hanno finora dato                    tuttavia di appurare che Luchino Visconti abbia
poco rilievo alle altre componenti della panoplia                       realmente impiegato un cimiero. Sulle monete
emblematica della famiglia milanese. Se tale disin-                     coniate durante la signoria congiunta con il
teresse può essere imputato alla rarefazione delle                      fratello Giovanni (1339-49), vescovo di Milano, la
attestazioni araldiche in contesti monumentali,                         faccia su cui è riportata l’iscrizione con il nome di
provocata da processi di selezione e di rimozione                       Luchino è infatti ornata dallo scudo con l’insegna
anche violenti della memoria della famiglia mila-                       familiare timbrata da un cimiero con un drago
nese41, altri documenti, iconici e scritti, forniscono                  alato (fig. 7). Secondo un procedimento del tutto
preziose indicazioni sull’emblematica del potente                       comune, il signore milanese aveva dunque preso
lignaggio lombardo e sui suoi impieghi. Anche                           come cimiero la figura, terribile e già avvolta da
in questo caso, il cimiero fu una presenza essen-                       leggende riguardanti la sua origine44, che formava
ziale. Lo dimostrano, ormai in pieno Quattrocento,                      l’insegna familiare, rendendola se possibile ancora
le pagine d’apertura dello Stemmario trivulziano                        più spaventosa. Sull’altra faccia della moneta,
(Milano, Biblioteca Trivulziana, ms. 1390, p. 3-5)                      l’iscrizione col nome di Giovanni è invece accom-

 39. I tipari sono riprodotti da Gerola 1930, p. 139-141.
 40. Zaninetta 2013, p. 167-179.                                          42. Maspoli 2000, p. 3-5.
 41. Lo rivelano, tra gli altri, i resti di stemmi rinvenuti nei          43. Anonimo Romano 1981, p. 42.
     palazzi comunali di Brescia e Cremona e il perduto ciclo             44. Le varie leggende nate a partire dal tardo Duecento sull’o-
     araldico della Manica lunga di Palazzo reale a Milano, sui               rigine della vipera sono ora riunite e commentate in
     quali si veda rispettivamente Ferrari 2015b e Id. 2014.                  Zaninetta 2013, p. 142-166.
Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo)
128 Matteo F errari

     pagnata soltanto dalla figura di Ambrogio, patrono                  fico del cavaliere, l’elmo timbrato non poteva
     e vescovo della città45.                                            certo addirsi alla carica episcopale di Giovanni, che
          Com’era accaduto verso la fine del Duecento per                all’evenienza accompagnava lo stemma familiare
     lo stemma con la vipera, anche il cimiero visconteo                 con le insegne legate alla sua funzione, la mitria
     fu subito integrato alla leggenda familiare. Le sue                 e il pastorale, come vediamo nella cattedrale di
     prime attestazioni iconografiche cadono in perfetta                 Cremona e nel castello di Brescia.
     sincronia con la leggenda sull’origine dell’arme                         Il cimiero col drago – impiegato, seppur privo
     familiare fissata da Galvano Fiamma, tra i più forti                delle ali, da Bruzio Visconti, figlio naturale di
     contributori della politica d’immagine dei signori                  Luchino (Parigi, BnF, Lat. 2066, f. 1r; Città del
     milanesi. Riprendendo il racconto di Bonvesin de la                 Vaticano, BAV, Vat. lat. 2194, f. 1r)50 – si riaffacciò
     Riva forse sulla scorta di materiali precedentemente                rapidamente nelle manifestazioni pubbliche della
     divulgati dalla propaganda signorile, il frate dome-                signoria viscontea. Galeazzo II e Bernabò, come il
     nicano affermava la natura dell’insegna viscontea                   loro fratello Matteo, facevano uso di un cimiero
     come «reliquia di un epico combattimento» soste-                    ancor prima di assumere il governo dello stato
     nuto da un Ottone Visconti, omonimo dell’arci-                      milanese. Nel 1353 i lavori eseguiti al castello alla
     vescovo fondatore della signoria con la vittoria di                 Rocca San Felice a Bologna, città acquistata da
     Desio del 1277, in Terrasanta all’epoca della prima                 Giovanni Visconti tre anni prima, contemplarono
     crociata46. Nel Manipulus florum, scritto attorno al                già la raffigurazione dei cimerios domini nostri domini
     1335, Ottone prende semplicemente come insegna                      Mediolanensis etc. et dominorum Maphei, Bernabo
     la vipera che un gigante saraceno, da lui sconfitto,                Galiacii de Vicecomitibus51. Le sembianze di questi
     portava in armis suis, et scuto, et galea47. Qualche                cimieri ci sono però ignote. Così è solo nella mone-
     anno più tardi, però, nel Chronicon Maius, Ottone                   tazione emessa da Bernabò e da Galeazzo una volta
     non solo s’impadronisce dell’insegna del nemico,                    rimasti soli al potere che possiamo nuovamente
     trasmettendola poi ai suoi discendenti, ma ne                       apprezzare l’impiego meditato e sistematico del
     calza l’elmo ornato della vipera: rex Saracenorum                   cimiero con la testa di drago, da questo momento
     prosternitur cuius galleam habentem superius in modum               stabilmente presente nei coni di maggiore valore: il
     chymere viperam predictam tullit et capiti suo imposuit             fiorino d’oro e il soldo d’argento (fig. 8).
     que semper sua posteritate pro vexillo usus fuit48.                      Bernabò e Galeazzo II si trovarono però di
          Simbolo di prouesse militare, come attesta                     fronte a un problema inedito, quello di distin-
     il racconto di Galvano Fiamma, Luchino aveva                        guersi l’uno dall’altro pur ricorrendo alla mede-
     probabilmente adottato il cimiero col drago col                     sima insegna. L’aggiunta di un semplice dettaglio
     duplice scopo di rivendicare il suo rango cavalle-                  permise ai due fratelli al contempo di personaliz-
     resco e di rendersi meglio riconoscibile nelle mani-                zare il proprio cimiero e di differenziarlo rispetto
     festazioni iconiche della signoria (il lambrecchino                 a quello del loro predecessore: tolte le ali, il drago
     che avvolge l’elmo è disseminato di L, iniziale del                 di Galeazzo fu dotato di un’alta cresta compatta,
     suo nome). L’ipotesi che si trattasse di un’insegna                 mentre quello di Bernabò ne ricevette una che defi-
     personale trova del resto conferma nel fatto che                    nirò, impropriamente, piumata. Quasi si trattasse
     Giovanni non vi fece mai ricorso, neppure una
     volta rimasto solo al governo49. Attributo speci-
                                                                              e Boucheron 2003) pare escluderne l’utilizzo durante la
                                                                              sua signoria, almeno come elemento grafico. Nel castello
                                                                              di Brescia, la coppia di scudi viscontei abrasi sormontati
      45. Bazzini – Toffanin 2014, p. 67, num. 431 e s., ma anche             da due lastre, anch’esse abrase, probabilmente recanti
          Crippa 1986, p. 35-40.                                              dei cimieri non sembra contestuale all’epigrafe adiacente
      46. Zaninetta 2013, p. 155 e s.                                         che ricorda la costruzione della fortezza per iniziativa di
      47. Galvano Fiamma 1727, col. 617-618.                                  Giovanni e Luchino Visconti nel 1344: la forma dello scudo
      48. Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. A 275 inf, f. 196v               è più tarda e la muratura in questione è stata oggetto di
          citato da Zaninetta 2013, p. 159 cui rimando anche per una          ampi rifacimenti. L’insieme potrebbe essere dunque frutto
          più puntuale analisi del passo. La redazione del Chronicon          di un riallestimento di materiali prelevati altrove.
          maius iniziò prima della morte di Azzone, per concludersi       50. Candiani 2017, p. 70-72. Si noti l’uso, da parte di Bruzio,
          nei primi anni della signoria di Luchino e Giovanni.                di una brisura dell’arme viscontea, con l’aggiunta di una
      49. L’assenza del cimiero dalle monete coniate da Azzone e              banda di fusi accollati d’oro (vedasi anche Parigi, Bnf, Lat.
          dalla sua tomba – ma si ricordi che questa fu realizzata per        6467, f. 1r).
          intervento di Giovanni e Luchino (cfr. almeno Seiler 1990       51. Filippini – Zucchini 1947, p. 2.
129

            Fig. 8 – Fiorino d’oro con i cimieri di Bernabò e Galeazzo II Visconti (da Crippa 1986, tav. tra p. 44-45).

di una brisura, questo stratagemma consentiva al                         rica in cui le insegne del dominus sono ripetute in
cimiero di conservare un legame d’esclusività col                        maniera parossistica55.
suo portatore, permettendone l’identificazione52.                              Lo stesso cimiero ritorna poi in altre opere
Così, il fiorino d’oro coniato congiuntamente dai                        commissionate da Bernabò, mobili come immo-
due signori porta sul diritto l’elmo col drago dalla                     bili, nelle quali grande spazio è sempre riservato
cresta piumata, associato al nome di Bernabò, e sul                      agli emblemi, familiari come personali56. È questo
rovescio quello col drago con la cresta semplice,                        il caso del monumento equestre un tempo collo-
accompagnato dal nome di Galeazzo II53.                                  cato in San Giovanni in Conca, chiesa che il
     La decorazione pittorica delle residenze dei                        signore milanese aveva destinato a cappella pala-
due signori conferma l’uso esclusivo dei due                             tina della sua residenza adiacente e a mausoleo
cimieri. Nel castello di Pavia il cimiero di Galeazzo                    familiare57. Elaborazione postuma della scultura
è inserito in una composizione che restituisce nella                     che lo stesso Bernabò aveva commissionato a
sua interezza l’identità araldica del signore: ricono-                   Bonino da Campione negli anni 1355-63, l’opera è
scibile proprio per la caratteristica cresta, il drago                   il risultato di un progetto celebrativo che il Visconti
timbra lo stemma visconteo ed è accostato all’im-                        poté maturare dalla visione di altri ritratti equestri
presa del tizzone ardente e al monogramma GZ,                            signorili e regali: quello del suocero, Mastino II, e
più tardi ripreso dal figlio Gian Galeazzo54. A fugare                   forse anche quello di Filippo VI di Valois in Notre-
ogni dubbio sulla sua identificazione, il cimiero                        Dame a Parigi – città nella quale Bernabò aveva
crestato è poi riprodotto in un libro d’ore confe-                       soggiornato durante il suo giovanile esilio itine-
zionato per Bianca di Savoia, moglie di Galeazzo                         rante (1347-49) – che ritraeva il sovrano in armi
(Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, ms. Clm                            e con cimiero58. Nel monumento ora al Castello
23215). Nel castello di Pandino (fig. 9), residenza
di caccia e rifugio di Bernabò, è invece il cimiero
col drago dall’alta cresta piumata ad accogliere il
visitatore: in testa al leopardo tra le fiamme, è più                     55. L’insegna è affiancata dalle lettere D e B utilizzate abitual-
                                                                              mente da Bernabò, come suggerisce anche la scheda dedi-
volte riprodotto nella sontuosa decorazione pitto-
                                                                              cata al castello di Pandino, in Cassanelli 2002, p. 307-309.
                                                                              Sul castello e sulle sue pitture, datate attorno al 1361, si
                                                                              veda più diffusamente, Romano 2013.
                                                                          56. Sulla committenza di Bernabò, Vergani 2001 e, soprattutto,
 52. A tale scopo il cimiero, come lo stemma, era spesso accom-               Romano 2011.
     pagnato anche dalle iniziali del nome del suo portatore:             57. In breve Romano 2011, p. 652-653. Sulla tomba, giunta
     Ferrari, in corso di stampa.                                             nel 1898 ai Musei del Castello Sforzesco e oggetto di un
 53. Bazzini – Toffanin 2014, p. 126-129, num. 490-493 e                      recente restauro, si veda sopratutto Vergani 2001, in parti-
     Crippa 1986, p. 48.                                                      colare p. 119-167.
 54. Sulle pitture del castello pavese, realizzate nel corso di           58. Baron 1968 e, per l’influenza del modello francese sulla
     più cantieri ancora non del tutto delucidati, Albertini                  statuaria (funebre e non solo) viscontea, Tasso 2002, p. 147
     Ottolenghi 1996.                                                         e s.
Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo)
130 Matteo F errari

                              Fig. 9 – Leopardo galeato con cimiero, monogramma e motto di Bernabò Visconti.
                              Pandino (Cremona), castello Visconteo, portico orientale (foto: M. Ferrari).

     Sforzesco, le insegne di Bernabò si riconoscono                              Se la necessità di accompagnare il cimiero con
     più nello specifico nel basamento e nel ritratto                        le iniziali del suo portatore solleva qualche perples-
     equestre, le sole parti sicuramente realizzate prima                    sità sulla sua reale capacità di comunicare l’iden-
     della trasformazione del gruppo scultoreo in arca                       tità di chi ne faceva uso, è certo che l’adozione del
     funebre. Il cimiero col drago piumato è raffigurato                     drago dalla cresta piumata da parte dei successori
     sui lati lunghi del plinto, affiancato dagli stemmi                     di Bernabò, a partire da Gian Galeazzo, segnò un
     Visconti, e nella parte posteriore della sella. Anche                   mutamento significativo nella funzione dell’in-
     qui indossata dalla fiera acquattata tra le fiamme,                     segna. Riprodotto in modo stabile sulle monete
     l’insegna è inquadrata dalle iniziali D e B coronate                    coniate dal futuro duca, e poi conservato anche
     (Dominus Bernabos), mentre il lungo cartiglio, retto                    nella successiva monetazione di età viscontea e
     dall’omuncolo inghiottito dal drago feroce, recava                      sforzesca, questo cimiero partecipa alla rappre-
     il motto del signore. In analogia con il modello                        sentazione del passaggio di potere all’interno della
     scaligero, un cimiero doveva ornare anche l’elmo                        famiglia, forse anche allo scopo di affermarne la
     un tempo indossato dal Bernabò a cavallo, la cui                        legittimità (non si dimentichi che Gian Galeazzo si
     presenza è provata dal lacciuolo visibile nella parte                   liberò dello zio, di cui aveva sposato la figlia, con
     alta del dorso del cavaliere che, nell’armamento                        un atto di forza)60. L’aggiunta della corona, sola
     dell’epoca, serviva per tenere il casco in posizione                    variante sensibile rispetto alla versione impiegata
     consentendone il sollevamento senza rischio di                          dal suo predecessore, consentì al signore milanese
     caduta59.                                                               di fare del cimiero un valido sostituto della sua
                                                                             persona, ormai in grado di rappresentarne l’appar-
                                                                             tenenza familiare, le virtù militari e cavalleresche,
      59. Vergani 2001, p. 139-140. Sulla possibile sostituzione del         l’autorità di governo61.
          volto del Bernabò a cavallo al momento della trasforma-
          zione della scultura, si vedano ivi, p. 136 e Napione 2009a,
          p. 354. Non ci sembra però da escludere la possibilità che il
          ritratto del signore milanese fosse fin dall’origine comple-
          tato da un casco metallico amovibile, posizionato sulle             60. Per le monete emesse da Gian Galeazzo e dai suoi succes-
          spalle del cavaliere come si trova in altre sculture eque-              sori si veda ancora Crippa 1986, passim.
          stri dell’epoca. La testimonianza offerta dal Lamento funebre       61. È probabile che l’introduzione della corona non sia dovuta
          di Matteo da Milano non aiuta purtroppo a risolvere la                  all’ottenimento del titolo ducale nel 1395. I predecessori di
          questione, giacché questi ricorda solo come si trovasse                 Gian Galeazzo avevano del resto già introdotto quest’ele-
          «sopra ‘l capo [i.e. al di sopra, nella parte alta della tomba?]        mento nell’emblematica personale, per coronare ora l’in-
          la sua armatura, / siccome portava quel barone adorno»:                 segna familiare, ora il proprio monogramma (è il caso di
          Ceruti 1879, p. 208 (citato da Vergani 2001, p. 120).                   Bernabò, Ferrari, in corso di stampa).
131

     Ad ogni buon conto, mentre si consumava                       l’arme antica del comune (d’argento alla torta di
il passaggio del cimiero con il drago piumato da                   rosso) e, sui due lati, gli stemmi viscontei timbrati
segno individuale a insegna familiare, altri cimieri               dal cimiero col ciuffo di piume e da quello col
facevano la loro apparizione nell’emblematica                      drago piumato, entrambi coronati e accompagnati
viscontea. Le già citate tavole d’apertura dello                   dal monogramma GZ64.
stemmario Trivulziano ne offrono una rassegna
completa. Vi troviamo draghi crestati e piumati,
ciuffi di piume raccolti in forma d’alberello, esseri
ibridi con il corpo e le zampe di drago e la testa
di vecchio barbuto. Tale moltiplicazione d’insegne
ebbe inizio proprio durante la signoria di Gian
Galeazzo. Nel tripudio d’emblemi che incorniciano
la scena dell’investitura del signore milanese nel
Messale dell’Incoronazione (Milano, Bibl. Capitolare
di Sant’Ambrogio, Lat. 6, fol. 8r), nel margine
inferiore lo stemma imperiale e quello ducale sono
infatti già accompagnati, da un lato, dal cimiero col              Fig. 10 – Rilievo con lo stemma del Comune di Monza affiancato
drago piumato, dall’altro da quello con il pennac-                 dagli stemmi, con cimiero, di Gian Galeazzo Visconti. Milano, Musei
chio di piume di struzzo rosse, raccolte a foggia d’al-            del Castello Sforzesco (foto: Raccolte d’Arte Antica, Museo d’Arte
                                                                   Antica, Castello Sforzesco, Milano Copyright Comune di Milano, tutti
berello e cosparse di gocce d’oro62. I due elmi ornati
                                                                   i diritti riservati - foto Manusardi).
sono poi riprodotti, nel 1403, nell’Incoronazione di
Giangaleazzo in paradiso di Michelino da Besozzo
(Parigi, BnF, ms. Lat. 5888, fol. 1r), sorretti dai due
angeli in volo che, con l’altra mano, reggono lo                   IL CARRO, IL SARACENO, L’ALA:
stemma con la biscia63. Lo stesso binomio si ritrova               I CIMIERI DEI SIGNORI DI PADOVA
quindi in altri manoscritti appartenenti alla biblio-
teca del duca, come nel libro d’ore miniato dai De                      Forse per emulazione delle strategie rappre-
Grassi verso il 1388-1391, oggi a Firenze (Biblioteca              sentative elaborate in altre corti, anche i Da Carrara
nazionale, Banco rari 397, fol. 22v, 128r).                        conferirono agli elementi araldici un ruolo di
     Insegna personale, forse connessa al possedi-                 spicco nella comunicazione iconica della signoria.
mento della contea di Pavia o di quella di Virtù, il               Un apprezzamento inedito e crescente fu da loro
cimiero con il pennacchio di piume non trovava                     attribuito, in particolare, proprio ai cimieri come
comunque rappresentazione solo nell’ambito                         attestano i sigilli e le monete, l’ornamentazione
ristretto dello spazio manoscritto. Come le altre                  delle residenze familiari e dei luoghi di sepoltura,
insegne del duca milanese, fu raffigurato anche                    i manoscritti miniati e le composizioni letterarie.
in contesti monumentali e pubblici (fig. 10). Una                       Simbolo del culto tributato ai cimieri all’interno
lastra scolpita oggi conservata a Milano, presso                   della famiglia carrarese, il Liber cimeriorum (Padova,
il Museo d’Arte antica del Castello Sforzesco, ne                  Biblioteca Civica, cod. BP 124/22) rappresenta una
offre l’esempio. Proveniente dalla Porta Nuova di                  fonte di primaria importanza per la conoscenza
Monza (nota anche come Porta di Milano) e datato                   dell’araldica dei signori padovani (fig. 11). Citato
agli anni 1395-1402, il rilievo presenta, al centro,               nell’inventario della biblioteca di Francesco Novello

 62. Sulla miniatura, datata al 1395, si veda almeno Kirsch         64. L’antico stemma di Monza è blasonato da Maspoli 2000,
     1991, p. 92-94. La blasonatura di questo cimiero è piut-           p. 446 come «d’argento, al vaglio rotondo visto dall’alto
     tosto oscillante e capita di trovarlo anche descritto come         di rosso, con il fondo del medesimo carico di una rete di
     «un albero seminato di lacrime» (Cambin 1987, p. 418).             fili di ferro di nero», sulla base della testimonianza dello
     Si è preferito adottare la lettura fornita da Maspoli 2000,        Stemmario trivulziano, che molto probabilmente, però, già
     p. 317-319.                                                        fraintende le forme originarie dell’insegna (l’elemento
 63. Solo due stemmi «cum cimerio viparae» sono espressa-               circolare al centro del campo sarà interpretato anche come
     mente menzionati tra i «cimeria» di Gian Galeazzo, esposti         una luna piena). Sul pezzo, ora al Castello Sforzesco,
     durante le sue esequie, da Petri de Castelletto 1730, col.         Vergani 2013.
     1026, 1035.
Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo)
132 Matteo F errari

                                                                          del Trecento, in netto anticipo dunque rispetto
                                                                          alle altre grandi famiglie della regione. Tale testi-
                                                                          monianza, come quella offerta dalle descrizioni
                                                                          delle insegne carraresi che chiosano la narrazione
                                                                          delle gesta dei signori padovani nella cronaca dei
                                                                          Gatari, andrà però valutata con cautela, in ragione
                                                                          della composizione tarda del manoscritto e della
                                                                          mancanza di più antiche attestazioni sull’araldica
                                                                          carrarese delle origini. Gli stemmi e i cimieri dei
                                                                          primi Carraresi sono infatti descritti o rappresen-
                                                                          tati soltanto in opere confezionate all’interno della
                                                                          stessa campagna di ricostruzione della memoria
                                                                          familiare che diede vita al Liber cimeriorum, alle
                                                                          Gesta magnifica domus Carrariensis e al De curru carra-
                                                                          riensi di Francesco Caronelli (1376)67. Di composi-
                                                                          zione tarda è anche il Liber de principibus carrarien-
                                                                          sibus del Vergerio (Padova, Biblioteca Civica, B.P.
                                                                          158), opera incompiuta nominata nell’inventario
                                                                          del 1404; questa presenta i ritratti a piena pagina
                                                                          dei principi carraresi, dipinti a grisaille e accompa-
     Fig. 11 – Stemma e cimiero di Francesco il Vecchio da Carrara, in
     Liber cimeriorum (Padova, Biblioteca Civica, cod. BP 124/22) (da     gnati dai loro cimieri, riprodotti in piccola scala68.
     Padova 1989, p. 137).                                                Anche se queste immagini derivassero veramente
                                                                          dal perduto ciclo che nel palazzo ritraeva «li
                                                                          Signori de Padoa ritratti al naturale de verde», la
     redatto nel 1404, all’indomani della conquista                       loro attendibilità, per quanto riguarda i cimieri dei
     veneziana di Padova, il manoscritto fu confezionato                  primi carraresi, resterebbe dubbia69.
     per l’ultimo dei Carraresi nell’ambito di una più                         Sono pertanto le fonti monumentali e quelle
     ampia operazione di ricomposizione della memoria                     numismatiche a documentare come, in perfetta
     familiare e di ricostruzione della biblioteca di corte,              sincronia con quanto registrato a Milano e a
     depredata da Gian Galeazzo Visconti. Lo compon-                      Verona, anche i signori carraresi introdussero l’uso
     gono brevi componimenti encomiastici, dedicati ai                    del cimiero nel corso degli anni Trenta del Trecento.
     vari membri della famiglia, nella maggioranza dei                    Il riformatore della panoplia araldica familiare fu
     casi accompagnati dalla rappresentazione del loro                    Marsilio († 1338) che, nel 1337, divenne a tutti gli
     stemma e del loro cimiero, inseriti in cornici misti-                effetti il primo signore di Padova. A lui può essere
     linee. La serie araldica è aperta da Iacopo I – scelto               ricondotta una tessera mercantile carrarese, nota
     come signore nel 1318 dalla città che voleva opporsi                 in più esemplari, che presenta sul diritto un elmo
     a Cangrande – ed è conclusa da Francesco Novello65.
     I cimieri più antichi presentano una natura indivi-
     duale e sono in stretta connessione con l’insegna
                                                                           67. Parigi, BnF, ms. Lat. 6468, Francesco Caronelli, Currus
     familiare: a Iacopo I è attribuito un cimiero con due
                                                                               carrariensis moraliter descriptus: l’opera rivisita lo stemma
     carri rossi, mentre a Nicolò un carro tra due corna                       carrarese in chiave allegorico-teologica impiegando la
     di bufalo incatenate66.                                                   struttura del carro come metafora delle virtù e della storia
          Se prestassimo fede al Liber cimeriorum,                             familiari.
                                                                           68. Nel codice furono inseriti in un secondo tempo i ritratti dei
     dovremmo concludere che i signori padovani                                due Francesco. L’intervento, che contemplò anche la sosti-
     fecero uso di un cimiero, in modo sistematico e                           tuzione del bifoglio con le figure di Marsilietto e Iacopo II,
     continuativo, almeno dalla fine degli anni Dieci                          risale alla fine del Quattrocento quando il codice, trafugato
                                                                               da Venezia, confluì nella biblioteca dei Papafava, ramo secon-
                                                                               dario della famiglia carrarese; Petrarca 2006, p. 387-389 e la
                                                                               scheda di Elena Cozzi in Padua 1989, p. 191-194.
                                                                           69. Il ciclo della reggia è descritto da Marcantonio Michiel:
      65. La pagina destinata a Carlo Ubertino, figlio di Iacopo II non        Morelli 1800, p. 30. Sul legame tra questo e i ritratti conte-
          è stata completata col cimiero.                                      nuti nel manoscritto padovano cfr., in breve, Tomasin
      66. Sul codice si veda almeno Trentin 1989, p. 29-36.                    2006, p. 28.
Puoi anche leggere