Il cimiero: espressione dell'identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) - OpenEdition Journals
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Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge 131-1 | 2019 Regards sur les crises – Varia – Atelier doctoral : Usages et enjeux de la prosopographie au regard de l’histoire sociale et politique (VIe-XVe siècles) – Regards croisés Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) Matteo Ferrari Edizione digitale URL: http://journals.openedition.org/mefrm/4833 DOI: 10.4000/mefrm.4833 ISSN: 1724-2150 Editore École française de Rome Edizione cartacea Data di pubblicazione: 1 gennaio 2019 ISSN: 1123-9883 Notizia bibliografica digitale Matteo Ferrari, « Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) », Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge [Online], 131-1 | 2019, Messo online il 26 septembre 2019, consultato il 10 décembre 2019. URL : http://journals.openedition.org/ mefrm/4833 ; DOI : 10.4000/mefrm.4833 © École française de Rome
MEFRM – 131/1 – 2019, p. 119-147. Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) Matteo F errari M. Ferrari, Poitiers, CESCM – Université de Namur, PraMe, ferraritheo80@gmail.com Dalla fine del XII secolo gli elmi dei cavalieri furono ornati di cimieri, appendici colorate e dalle forme fantasiose che permettevano l’identificazione del loro portatore. Introdotti sui campi di battaglia e nei tornei, i cimieri furono presto adottati anche nelle rappresentazioni araldiche. Associati allo stemma familiare, permettevano di distinguere l’individuo all’interno del lignaggio e consentivano l’espressione di messaggi di natura simbolica. In Italia il cimiero fu introdotto solo tardivamente nel linguaggio araldico, ma ebbe una diffusione ampia e assai rapida come testimoniano numerosi documenti visivi e testuali. Negli anni Trenta del Trecento, le famiglie signorili dell’Italia settentrionale mostrarono un forte interesse nei confronti di quest’elemento para-araldico ai fini della comunicazione politica. L’analisi dei cimieri dei Carraresi, degli Scaligeri e dei Visconti permetterà allora di comprendere le ragioni che portarono all’introduzione del cimiero nell’icono- grafia araldica italiana, di studiarne i tempi e i modi di diffusione, d’indagarne le funzioni semiotiche. Araldica medievale, cimiero, iconografia politica, storia urbana dell’Italia medievale Since the end of the 12th century the knight’s helmets were often adorned with a crest, a coloured and fanciful appendage that enables to identify the person who wears it. Appeared on battlefields and in tournaments, the crests were soon adopted in heraldic representations. Associated with the family coat of arms, they allowed to distinguish a person within his lineage and to express symbolical messages. In Italy, the crest was introduced only lately in the heraldic language. Therefore, the visual and written documents prove its fast and wide spread. In the 1330s, the lords who ruled the north Italian cities were particularly interested in the use of this heraldic element for political communication. So, the study of the crests adopted by Carraresi, Scaligeri and Visconti will be taken as an example to understand the chronology and the reasons of the use of this element in the Italian heraldic iconography, the ways it spread in the Po valley area and the functions attached to it. Medieval heraldry, crest, political iconography, medieval Italian urban history Les rois d’Alca issus de Draco, fils de Kraken, portaient sur la tête une crête effroyable de dragon, insigne sacré dont la seule vue inspirait aux peuples la vénération, la terreur et l’amour. Anatole France, L’Île des Pingouins - livre III, 1 Narrando gli esordi del regno dei Pinguini, nel Ricordando nella forma gli ornamenti che già libro consacrato al Medioevo e al Rinascimento, nell’antichità ornavano gli elmi dei combattenti, Anatole France attribuisce alla stirpe regnante per la sua valenza di segno d’identificazione la d’Alca un emblema in grado allo stesso tempo di cresta dei re d’Alca trova una certa affinità con le esprimere l’identità del lignaggio e di suscitare il fantasiose appendici che apparvero, sul finire del rispetto e il timore nei suoi osservatori: una cresta XII secolo, sui caschi dei cavalieri impegnati sui di drago, spaventosa d’aspetto, portata sulla testa. campi di battaglia e nelle lizze dei tornei di tutta
Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) 120 Matteo F errari Fig. 1 – Grixopolo (?), Cavalieri e fanti all’assalto di una rocca. Mantova, Palazzo della Ragione, salone (foto: M. Ferrari). Europa. Com’è noto, l’evoluzione dell’armamento d’identità2. La sua presenza trasformava l’elmo in e, in particolare, l’adozione dell’elmo chiuso e a una maschera che consentiva al cavaliere tanto di cielo piatto imposero l’introduzione di comple- offrire un’immagine diversa di sé, appropriandosi menti iconici, per garantire l’identificazione del delle virtù totemiche della figura che lo rappre- cavaliere (fig. 1). Inizialmente dipinti con i colori sentava, quanto di porsi all’interno di una paren- o con le insegne che comparivano sullo scudo, tela più larga (biologica, acquisita o immaginaria), gli elmi divennero progressivamente il supporto adottando l’insegna usata da altri individui, reali o di ornamenti tridimensionali. Dalle tinte vivaci immaginari (i cavalieri dei romanzi arturiani, per e dall’aspetto spesso fantasioso, queste appendici esempio)3. assumevano forme talvolta ispirate allo stemma del L’abbandono, nel corso del XIII secolo, della loro portatore o allusive al suo cognome1. Come terminazione piatta per gli elmi in favore di forme Michel Pastoureau e, più recentemente, Laurent più svasate, più adatte a proteggere la testa del Hablot hanno potuto ricostruire, il cimiero acquisì cavaliere dai colpi di fendente, comportò la dismis- presto una sua autonomia semiologica, svolgendo sione dei cimieri, ingombranti e voluminosi, dai altre funzioni oltre a quella originaria di segno campi di battaglia, in favore di più pratiche creste o piume4. Tale cambiamento non condusse però all’estinzione del cimiero, ma ne segnò l’evolu- zione. Questo continuò, infatti, a essere adope- 1. Su questo punto, Pastoureau 1993, p. 205-209, Id. 1990 e Jequier 1992. Questo saggio trae origine da una comu- nicazione orale presentata in occasione della seconda giornata di studi araldici tenutasi a Poitiers nel 2012. A 2. Pastoureau 1986 e Hablot 2016. Sul cimiero si vedano Laurent Hablot, organizzatore di quell’incontro, va il mio anche le indagini, inedite, recentemente condotte da più sentito ringraziamento per aver discusso con me, nel Dominique Delgrange (Histoire des cimiers et des timbres tempo, molti dei punti qui presi in esame. Ringrazio anche héraldiques. Enquête documentaire 1-4), che lo studioso ha Andrea Saccocci, Alessandro Savorelli, Paolo Valandro per reso disponibili all’indirizzo https://independent.academia. l’aiuto e i preziosi suggerimenti. Quest’articolo deve infine edu/DominiqueDelgrange. molto ai referees anonimi della rivista: le loro osserva- 3. Hablot 2016, ma anche Cirlot 1989, passim. zioni hanno contribuito a migliorarlo nei contenuti e nella 4. Sull’evoluzione dell’armamento e, in particolare, degli elmi forma. in area italiana vedasi Merlo 2012, p. 527-537.
121 rato tanto sotto forma d’oggetto reale, nei tornei e giudizio, derivato dall’apparente minor numero nelle cerimonie pubbliche (parate militari e fune- di attestazioni e dalla loro datazione tardiva, ha rali) dov’era portato in mostra per rappresentare sancito il confinamento dei cimieri italiani tra le e illustrare il suo possessore, quanto sotto quella curiosità araldiche9. Tuttavia, anche senza pren- d’immagine, nell’iconografia araldica. Potenziando dere in esame le regioni meridionali occupate una funzione che gli era stata propria fin dall’o- dagli Angioini e dunque precocemente esposte rigine, il cimiero consentiva d’individualizzare lo alle mode araldiche francesi, un esame più attento stemma (segno per sua natura familiare e collet- delle fonti iconografiche e testuali rivela una realtà tivo); d’esprimere l’identità cavalleresca e, quindi, ben diversa. Certo, il cimiero issato sull’elmo di il rango del suo portatore5; di trasmettere messaggi un cavaliere dipinto in San Bevignate a Perugia legati alle sue aspirazioni alla sua cultura e alla sua (seconda metà del Duecento) deriva forse più da rete sociale6. un modello iconografico che da un uso già anco- Benché gli studi sull’araldica e sull’emblema- rato nella realtà quotidiana10, ma le targhe lasciate, tica europea abbiano conosciuto negli ultimi anni dalla metà del Trecento, dai magistrati comunali un forte sviluppo e un deciso rinnovamento7, sulle pareti dei palazzi pubblici sono eloquenti il cimiero ha raramente incontrato l’interesse testimoni dell’ampia diffusione di questi comple- degli specialisti8. Questa mancanza è ancor più menti araldici nell’Italia tardo-medievale (fig. 2). evidente per l’Italia, regione nella quale l’uso di Negli stessi anni le fonti letterarie documentano, questi ornamenti è stato considerato saltuario e del resto, l’impiego di cimieri reali, confezionati limitato rispetto all’Europa settentrionale. Tale nelle botteghe dei pittori, da parte sia di cavalieri Fig. 2 – Stemmi di magistrati fiorentini. Firenze, Palazzo del Bargello, cortile (foto: M. Ferrari). 5. Hablot 2016, p. 244-245 e Id. 2015, p. 255-256. 9. Fox-Davies 1909, p. 343: «in Italy the use of a crest is the 6. Su questo punto si veda in particolare Hablot 2016. exception». Mi pare che in tal senso sia significativa l’as- 7. Lo dimostrano le giornate di studio tematiche organiz- senza di riferimenti al territorio italiano in Le cimier 1990. zate da Laurent Hablot e Torsten Hiltmann a Poitiers e a Tale errore di valutazione è stato già rilevato da Fumi Münster (i cui atti sono in corso di lavorazione), di cui Cambi Gado 1993, p. XLI-XLII. si trova notizia sito http://heraldica.hypotheses.org/. Per 10. Sui questi dipinti vedasi, in sintesi, Curzi 2002, p. 39-51 l’Italia si vedano anche i contributi riuniti in Ferrari 2015a. e Agrigoroaei 2016, p. 69-72. È forse questo anche il caso 8. In controtendenza si pone la già citata giornata di studio Le della miniatura, datata al XIII secolo, raffigurante il podestà cimier et l’identité tenutasi a Poitiers nel 2012. Nazzaro Gherardini negli Annali di Caffaro in Parigi, BNF, ms. 10136, f. 141r.
Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) 122 Matteo F errari impegnati nei tornei, sia di magistrati itineranti11. per primo uso in modo regolare? Per quali ragioni Il lucchese Pietro Faitinelli faceva forse riferimento furono introdotti nella panoplia araldica italiana proprio a tali oggetti stimmatizzando, nel 1314, e quali funzioni erano accordate tanto all’oggetto l’incapacità militare dei fiorentini, a suo modo di materiale quanto alle sue trasposizioni grafiche? Il vedere buoni soltanto a «far la mostra / con elmi e cimiero fu veramente introdotto al solo scopo di con cimiere inargentate»12. distinguere l’individuo all’interno della sua fami- Nell’Italia centrale e in quella settentrionale glia? Per quale motivo un segno in origine indi- rare sono comunque le attestazioni iconogra- viduale fu trasformato in un emblema ereditario? fiche di cimieri anteriori alla metà del Trecento. Quale poté essere il ruolo dell’emulazione tra corti Tra queste citeremo il sigillo di Acceritello degli confinanti e prossime per legami di parentela – si Ubertini († post 1339), membro di un nobile pensi agli Scaligeri e ai Visconti – nella diffusione lignaggio originario dei dintorni di Firenze, nel di quest’oggetto emblematico e quale l’influenza quale lo scudo con l’insegna familiare (un leone) degli usi di corte sulle pratiche rappresentative è timbrato da un elmo di profilo su cui s’imposta delle famiglie dell’entourage signorile? un busto e una testa di leone13. A partire dagli anni 1330-40, però, le testimonianze si fanno rapi- damente più numerose, in particolare nell’Italia ALL’INIZIO FU IL MASTINO? I DELLA SCALA E GLI ESORDI DEL CIMIERO settentrionale che Michel Pastoureau già ricono- sceva, con l’area germanica, come la più interes- sata dalla fioritura della moda del cimiero14. Al di La propensione per l’araldica delle famiglie là di alcune attestazioni antiche ma isolate di cui si signorili dell’Italia settentrionale, così come di dovrà comunque tenere conto, le fonti iconogra- quelle che ne frequentavano la corte, è cosa nota. fiche e quelle letterarie lasciano in effetti vedere Strumento di rappresentazione personale e del come l’uso del cimiero si sia innanzitutto affermato lignaggio, anche con finalità che potremmo defi- nell’ambito delle grandi famiglie signorili dell’area nire politiche, lo stemma del signore permeava il padana, dove fu impiegato in modo ampio e territorio da questi governato. Raffigurato sugli coerente, tanto nella sua natura di segno che in edifici privati come su quelli pubblici, sui sigilli quella di simbolo. come sulle monete, lo stemma era spesso asso- Le attestazioni araldiche, nutrite e assai varie, ciato ad altri elementi para-araldici ed emblema- trasmesseci dai Visconti, dai della Scala e dai Da tici, che ne affinavano il significato. Tra questi, i Carrara si rivelano pertanto di grande interesse monogrammi composti dalle iniziali del portatore per abbordare lo studio del cimiero in ambito dell’insegna e, per l’appunto, i cimieri personaliz- italiano, permettendoci di provare a dare risposta zavano l’arme familiare, per sua natura collettiva, ad alcuni quesiti ancora insoluti. Quando appar- e permettevano di distinguere l’individuo all’in- vero i primi cimieri a sud delle Alpi? Chi ne fece terno del suo clan15. Lungi dal costituire un mero espediente d’identificazione, il cimiero era però un segno dalla natura polisemica, che ben si prestava 11. F. Sacchetti, Trecentonovelle, CL e Cennino Cennini 2009, a supportare la politica d’immagine signorile. p. 188, cap. CLXIX, consacrato al confezionamento di Negli anni Venti-Trenta del Trecento, i signori cimieri in «forma o d’uomo o d’animale […] o d’ucciello», di Verona furono così tra i primi ad accogliere il per ornare elmi «da ttorniero, o da rettori che abbino andare in signoria». Sui cimieri del Bargello si rimanda a cimiero all’interno della panoplia araldica familiare Fumi Cambi Gado 1993, p. XLII-XLVII. e a metterlo a contribuzione nell’ambito di quella 12. Marni 1956, p. 433. politica d’immagine da loro avviata a breve inter- 13. Muzzi – Tomasello – Tori 1989, I, p. 338, num. 1192, con vallo dalla presa di potere, avvenuta negli anni una datazione alla fine del XIII-inizi del XIV secolo che andrà a mio avviso leggermente posticipata. La collezione Sessanta del Duecento con Mastino della Scala del museo fiorentino presenta altri esemplari generica- († 1277)16. Se il controllo della suprema magistra- mente datati al XIV secolo che collocherei, per ragioni stili- stiche, ai decenni centrali del secolo (ivi, p. 83, num. 283 o p. 309, num. 950). Alla prima metà del Trecento risale invece il sigillo di Andreuccio Salamoncelli (ivi, p. 352, num. 1074) e alla metà del secolo quello di Giovanni di 15. Sulle lettere ‘onomastiche’ mi permetto di rimandare a Venturino de’ Sommi (ivi, p. 366, num. 1118). Ferrari in corso di stampa. 14. Pastoureau 1986, p. 141. 16. Sull’ascesa di Mastino, Varanini 1991, p. 335-339.
123 tura di Popolo garantiva alla famiglia la trasmissione Durante la signoria di Mastino II, il progres- del governo, questa rimaneva però formalmente sivo indebolimento della potenza militare e territo- subordinata alla volontà dell’assemblea cittadina riale della signoria – dal 1341 ridotta alle sole città cui spettava l’effettivo conferimento dei poteri17. di Verona e Vicenza e minacciata dall’ascesa della Al pari di altri regimi signorili contemporanei, gli vicina Padova carrarese – accrebbe l’esigenza di Scaligeri accompagnarono allora la ricerca di fonti una politica d’immagine forte, centrata su simboli diverse di legittimazione, esterne al contesto locale, di sicura presa. Attorno alla metà degli anni Trenta, alla messa in opera di una campagna d’immagine e forse dopo la perdita di Padova nel 1337, Mastino diretta a esibire tanto il prestigio della famiglia, diede così nuovo impulso alla politica d’imma- quanto a documentare la continuità della trasmis- gine familiare. L’assetto del sepolcreto scaligero sione del potere all’interno del lignaggio. fu dunque mutato per dare una più maestosa La costruzione del sepolcreto familiare attorno sepoltura al suo predecessore Cangrande, la cui alla chiesa di Santa Maria Antiqua, situata nei pressi gloriosa memoria poteva servire da puntello per delle residenze scaligere, rispondeva, con le sue l’indebolita dinastia. Abbandonando la sobrietà componenti emblematiche, a quest’esigenza18. Se delle prime arche, il nuovo mausoleo, posto sopra la celebrazione del defunto era stata inizialmente l’ingresso della chiesa e coronato dal monumento affidata alla collocazione e alla tipologia prestigiosa equestre del defunto, assumeva una veste piena- dell’arca, ispirata al modello dei sarcofagi porfiretici mente monumentale. Le scene scolpite sulla cassa antichi, col passare delle generazioni le componenti commemoravano le conquiste territoriali dello figurative, e tra di esse quelle araldiche, assunsero Scaligero, rammentando il ruolo di potenza regio- un’importanza crescente. Utile per visualizzare i nale che i Della Scala avevano assicurato a Verona legami dinastico-familiari e gli orientamenti poli- e, implicitamente, rivendicavano il possesso dei tici del lignaggio, l’araldica fece la sua comparsa territori recentemente perduti. nella tomba attribuita ad Alberto I († 1301) e in Il mutare della sepoltura fu accompagnato quella di Bartolomeo († 1304): la scala dell’insegna dall’ampliamento della panoplia araldica. Lo con- familiare forniva qui l’appoggio a un’aquila coro- statiamo innanzitutto nella comparsa del celebre nata, segno d’appartenenza ghibellina19. Nell’arca cane, che fu tanto impiegato in funzione di tenente di Alboino († 1311) e nella prima di Cangrande I dello stemma familiare (coronato in riferimento († 1329), lo stemma della Scala fu invece accostato alla dignità signorile), quanto integrato all’interno a quello imperiale, in riferimento al vicariato che dello scudo, a sostegno della scala. Veniva così entrambi avevano ottenuto e che aveva loro assi- trasposto in ambito monumentale un elemento curato quella fonte di legittimazione esterna che emblematico che Cangrande aveva già impiegato dava prestigio e autonomia al loro potere20. nel tipario sigillare, anche qui con funzione di reggente dello scudetto scaligero21. Figura parlante, allusiva al nome del signore, il cane si era del resto rapidamente affermato nell’immaginario della 17. Varanini 2015, p. 175-179. 18. Per un’analisi più accurata del sepolcreto e delle singole signoria, al punto che già durante il principato sepolture, qui trattati in estrema sintesi, rimandiamo all’e- di Cangrande i cronisti apostrofavano i sovrani saustivo lavoro di Napione 2009a. veronesi con l’appellativo di canes veronenses22. 19. Si tratta dell’insegna poi menzionata da Dante, Parad., XVII, 70-72 («Lo primo tuo rifugio e ‘l primo ostello / sarà Assolutamente inedito era invece il cimiero col la cortesia del gran lombardo, che’ n su la scala porta il mastino alato posto ad ornamento dell’elmo del santo uccello») sul quale si vedano le considerazioni di signore nella scultura equestre e nel rilievo dedi- Seiler 1996, p. 546-548. Negli acroteri del sarcofago di Bartolomeo compare lo stemma pieno della famiglia. 20. Napione 2009a, p. 81-85. Già a queste date i vicari impe- riali erano soliti associare l’aquila dell’Impero all’arme familiare; Matteo Visconti «se vicarium sacri Imperii intitulavit 21. Gerola 1930, p. 134; Bascapé 1969, p. 268-269, 276; et aquilas imperiales in suo vexillo portavit»: Muratori 1730, Napione 2009a, p. 485 che riconosce la paternità dell’em- col. 684, cap. LXVII. Vicario di Verona e Vicenza per conces- blema a Cangrande. sione di Enrico VII, nel 1328 Cangrande si arrogò anche il 22. Lo ricorda Riedmann 1988, p. 29. «Canina gens» sono defi- titolo di vicario di Padova, che Ludovico il Bavaro però mai nite le truppe di Cangrande nel racconto di Albertini Muxati gli riconobbe: Riedmann 1988, p. 26. Sulla valenza politica 1903, p. 28. In questa accezione il cane ritornò in più tardi degli stemmi della prima arca di Cangrande si veda anche sigilli e rilievi sparsi per il territorio veronese, Gerola 1930, Weber 2003, p. 71. p. 130.
Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) 124 Matteo F errari Fig. 3 – Maestro di Sant’Anastasia, Ritratto equestre di Cangrande Fig. 4 – Maestro di Sant’Anastasia, Battaglia per la difesa di Vicenza, della Scala, dettaglio. Verona, Museo di Castelvecchio (dalla chiesa dettaglio del sarcofago di Cangrande della Scala. Verona, Santa di Santa Maria Antiqua) (foto: M. Ferrari). Maria Antiqua (foto: M. Ferrari). cato alla battaglia del 1314 per la difesa di Vicenza Secondo Ettore Napione l’invenzione di (fig. 3-4): collarinato, coronato e dotato di grandi questo cimiero sarebbe connessa all’operazione di ali come d’uso nei cimieri dell’Europa settentrio- costruzione di un’ascendenza mitica e illustre che nale23. In effetti, né Cangrande, né tantomeno i gli Scaligeri misero in atto fin dagli esordi della suoi predecessori sembrano aver mai impiegato tale signoria, appoggiandosi sul passato longobardo elemento araldico. Se ignoriamo quali sembianze e regale di Verona. La strategia si basava sulle avesse «‘l cimier sovrano» citato tra le insegne che scelte onomastiche, come rivelano la resurrezione accompagnarono il feretro di Cangrande durante dell’inusuale nome di Alboino, primo re longo- il suo funerale24 (1329), pare comunque significa- bardo morto e sepolto nella città veneta, e, forse, tivo che il mastino alato non sia mai documentato la sistematica adozione di nomi dall’etimo canino prima del 1335, quando apparve sul sigillo che (Cangrande, Canfrancesco detto Cansignorio, Mastino II appose in calce a un atto25. Mastino). Collante dinastico tributario del sopran- nome di Mastino affibbiato al ‘fondatore’ della dinastia, Leonardino della Scala, l’impiego di 23. Si vedano a tal proposito i numerosi cimieri alati raffigurati, questi nomi avrebbe permesso alla famiglia vero- per esempio, in Bruxelles, Bibliothèque royale de Belgique nese, secondo Napione, di evocare il ricordo dei – ms. 15652-15656, Armorial de Gelre (edito da Popoff 2012). È dunque da rivedere l’ipotesi di Napione 2009a, ferocissimi guerrieri cinocefali, leggendarie figure p. 224 secondo il quale le ali costituirebbero un’allusione delle saghe germaniche, attribuendosene le virtù all’aquila imperiale, adottata nell’araldica scaligera come di combattenti irriducibili26. L’ipotesi è certo affa- richiamo al titolo vicariale (come già Gerola 1930, p. 132). Si noti che un elmo con cimiero alato è portato, tra gli altri, scinante, ma ci chiediamo se il mastino alato non da Rizzardo VI da Camino († 1335), ritratto in preghiera in avesse piuttosto svolto, ai suoi esordi, la funzione un rilievo del suo sepolcro (Vittorio Veneto, Santa Giustina di una semplice insegna parlante. Questa permet- a Serravalle, ante 1340), dai Gonzaga e dai Savoia. teva al suo portatore tanto di segnalarsi all’interno 24. «Poi la mattina i nobil cavalieri / presono il corpo con molti doppieri, / e innanzi givan dodici destrieri, ciascun ben del clan familiare, quanto di attribuirsi quelle doti arredato; / dell’arme del signor, nobile, altero, / l’un di loro di ferocia guerriera che, già insite nel suo nome era armato. / Su’n destriero avie ‘l cimier sovrano, / la spada di battesimo, erano ora esibite in modo ben più ignuda, e tenea ‘l ferro in mano […] ed erano i destrieri ch’io v’ho contati / dell’arme della Scala covertati […] li icastico dalla temibile figura canina che lo rappre- scudi e le bandiere addolorati / portavan volti in giuso»: sentava nei tornei, in battaglia e nelle rappresenta- Medin 1886, p. 409-410, v. 415-426, 433-434, 437-438. Sull’affidabilità del cantare, risalente agli anni Trenta- Quaranta del Trecento, Napione 2004, p. 33-38. 25. Gerola 1930, p. 135-136 e Plessi 1988, p. 71-76: Mastino utilizza questo nuovo sigillo tanto negli atti siglati assieme 26. Napione 2009a, p. 223-227. I guerrieri cinocefali sono al fratello Alberto, sulla carta co-titolare della signoria, menzionati nel racconto di Pauli Diaconi, Historia langobar- quanto in quelli emanati a suo solo nome. dorum, I, 11.
125 zioni della sua signoria. Non si dimentichi del resto legame genealogico tra il signore e i suoi predeces- che gli Scaligeri non furono i soli signori dell’Italia sori e di affermare, di conseguenza, la legittimità settentrionale a riesumare il passato longobardo a del trapasso dei poteri all’interno del lignaggio. fini politici: lo fecero anche i Visconti, a partire dal Ornati delle insegne familiari e, soprattutto, dei secondo Trecento, ma tale operazione non ebbe loro cimieri, i monumenti equestri che si fron- alcuna incidenza sul piano onomastico o araldico27. teggiavano nel sepolcreto di Santa Maria Antiqua Per quale ragione però Mastino II, sulla metà diffondevano l’immagine di una signoria coesa. degli anni Trenta, decise prima d’impiegare il Oltre che nella tomba di Cangrande, il cimiero col mastino alato come cimiero personale, poi d’in- mastino compare infatti in quella di Mastino II, tegrarlo nella panoplia araldica famigliare come completata all’indomani della sua morte nel 1351 un’insegna della signoria, attribuendolo a posteriori per mano della stessa maestranza che aveva realiz- al suo predecessore Cangrande? Crediamo che la zato il sepolcro del suo predecessore32 (fig. 5): lo risposta vada cercata nel quadro politico dell’e- vediamo sull’elmo che copre la testa della statua poca, segnato dal conflitto che opponeva i signori equestre, sulla testiera del cavallo e sui timpani veronesi, ghibellini, al fronte guelfo: un conflitto delle edicole sottostanti. Ed era senz’altro dotata nel quale persino gli stemmi erano oggetto di di cimiero anche la figura equestre di Cansignorio, attacchi verbali fornendo materia per la denigra- zione dell’avversario. Raccogliendo una tradizione diffusa, Giovanni Villani prese spunto dallo stemma parlante degli Scaligeri per insinuarne l’umile origine da un produttore di scale, che avrebbe dato alla sua stirpe il nome e l’insegna. Parvenus con arie di principi, alla ricerca di fonti di legittima- zione per la loro signoria, gli Scaligeri non furono insensibili alla polemica, come evidenzia l’impo- nente macchina di propaganda da loro creata e continuamente alimentata28. Il cimiero col mastino alato consentiva allora tanto d’integrare l’araldica famigliare con una figura fiera e temibile, quanto di nobilitarla, grazie all’attributo della corona che, come Ettore Napione ha giustamente rilevato, andrà probabilmente letto in relazione alle ambi- zioni regali di Mastino29. La stretta connessione con la tradizione onomastica familiare, poi, offriva la garanzia della riconoscibilità del segno, facilmente riconducibile alla famiglia veronese. Attribuendo la propria insegna all’illustre predecessore, come in una sorta di concessione araldica a parti rovesciate, Mastino si presentava come suo diretto e legittimo erede, unico in grado di rinverdirne i fasti30. La funzione ‘politica’ del cimiero sembra del resto dimostrata dalla sua immediata trasforma- Fig. 5 – Maestro di Sant’Anastasia, Ritratto equestre di Mastino II zione in «emblema stabile della signoria»31. Questo della Scala, dettaglio. Verona, Museo di Castelvecchio (dalla chiesa consentiva di mettere visivamente in risalto il di Santa Maria Antiqua) (foto: M. Ferrari). 27. Ibsen 2007, p. 279-289. 32. Ivi, p. 237-313. 28. Villani 1991, III, l. XII, cap. XCV, p. 1354, sul quale si veda il commento di Napione 2009a, p. 227-228. 29. Ivi, p. 235-236. 30. Così anche per Napione 2004, p. 40. 31. Napione 2009a, p. 224.
Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) 126 Matteo F errari (fig. 6). Privo di corona ed anche delle ali, ma con lunghe orecchie d’oro e ricoperto di piccole scale, è quello che accompagna il presunto ritratto di Cangrande II (1351-59) nella Madonna del rosario di Lorenzo Veneziano in Sant’Anastasia35. Ma è sui sigilli e sulle monete, notoriamente veicolo primario per la diffusione dell’immagine del potere, che i successori di Mastino II fecero ampio uso del mastino alato. Lo mostrano il sigillo, per l’appunto, di Cangrande II, da questi impie- gato anche negli atti siglati congiuntamente con i fratelli Cansignorio e Paolo Alboino36, e quelli di Bartolomeo e di Antonio. Durante la loro fragile signoria, questi ultimi – prima congiuntamente (1375-81), poi dopo la morte di Bartolomeo il solo Antonio (1381-87) – coniarono anche monete col cimiero del mastino alato37. Antonio, amante delle preziosità e del lusso, lo fece raffigurare pure in prodotti destinati a una circolazione più limi- tata o a un’esibizione esclusiva nell’ambito della corte. La carta d’apertura del Commento alle Lettere degli apostoli e all’Apocalisse (Città del Vaticano, BAV, Cod. Pal. Lat. 112) fu così ornata con lo stemma del signore (uno scudo con la scala compreso fra Fig. 6 – Stemma scaligero con cimiero col mastino alato. Verona, le lettere A e N, iniziali di Antonio), timbrato da Torre del Capitano (foto: M. Ferrari). un elmo sormontato dal cimiero con il mastino alato, collarinato e coronato: la rappresentazione posta a coronamento della monumentale sepoltura della panoplia scaligera al gran completo garantiva realizzata e sottoscritta da Bonino da Campione l’identificazione del proprietario del codice, in base nel 1375, come lo sono le edicole che formano il a una pratica che nella seconda metà del Trecento secondo ordine del sepolcro33. era ormai diventata del tutto comune38. Nel Lungo il filo delle generazioni, il cimiero scali- caso dei figli di Cansignorio, poi, l’assenza di un gero fu dunque riprodotto, da solo o associato allo qualunque rapporto con l’onomastica del porta- stemma familiare, nei luoghi di rappresentanza tore dell’insegna conferma l’avvenuta trasforma- della signoria. Alla ricerca di un difficile equili- zione del mastino alato in insegna della signoria e brio tra l’esigenza di manifestare l’appartenenza il suo impiego, negli anni del rapido declino dell’e- al clan familiare e la volontà d’affermazione indi- viduale, il cimiero col mastino presenta talvolta piccole varianti atte a singolarizzarlo. Forse privo logia dei dipinti (settimo-ottavo decennio del Trecento) è di corona è quello dipinto sulla volta di un’aula determinata dall’uso della scala a cinque pioli, stabilizzatosi della cosiddetta Torre del Capitano, residenza scali- negli anni di Cansignorio. gera compresa nel complesso su Piazza dei Signori 35. L’identificazione, proposta da Simeoni 1920, si basa sulla presenza delle lettere GG (Can Grande) all’interno dello e rinnovata durante gli anni di Cansignorio34 scudo con l’insegna scaligera. Sulla tela, datata 1358-1359, si veda in breve Pietropoli 2011. 36. Plessi 1988, p. 74, n. 17. 37. Si rimanda, anche per l’illustrazione dei diversi coni, a 33. Sulla testa del cavaliere è stata infatti osservata la presenza Saccocci 1988 e Id. 2015, p. 212-217, num. 182-187. di un foro di fissaggio di un elemento metallico; ivi, p. 354, 38. La pagina miniata (fol. 1r) è visibile all’indirizzo . Non abbiamo invece 34. Sulle pitture parietali, realizzate a imitazione di preziosi trovato prove materiali di un secondo presunto cimiero, tessuti e caratterizzate da medaglioni polilobi con l’insegna raffigurante una fenice, che Carleton 2009, p. 106 attribu- scaligera (la scala a cinque pioli accostata da cani rampanti), isce ad Antonio della Scala sulla base di due madrigali, di Piccoli 2010, p. 106-111 e Napione 2009b, p. 47. La crono- difficile interpretazione, composti alla corte veronese.
127 Fig. 7 – Fiorino (con cimiero) di Luchino e Giovanni Visconti (da Crippa 1986, tav. tra p. 34-35). gemonia scaligera come strenua affermazione nelle quali sfilano gli scudi con le insegne dei d’autorità. E d’altra parte è senz’altro in quest’ac- signori milanesi, tutti timbrati da monumentali cezione che tale cimiero fu recuperato da Brunoro cimieri dalle forme varie42. durante l’effimera rinascita della signoria degli Le fonti scritte e iconiche concordano nel rico- Scaligeri nel 140439. noscere a Luchino il ruolo di pioniere nell’impiego di tale ornamento. Secondo l’Anonimo romano, questi avrebbe un giorno mostrato al figlio Bruzio, SCAGLIE DI DRAGO, PIUME DI PAVONE: signore di Lodi, un elmo «moito forbito e relu- TRA I CIMIERI DEI SIGNORI DI MILANO cente» sul quale era «uno bello cimiero, de velluto vermiglio copierto» recante la scritta «Iustizia» La stessa capacità d’imposizione del cimiero in lettere d’oro43. La stringatezza del racconto come emblema familiare e della signoria si – la cui veridicità resta comunque da valutare – riscontra tra i Visconti. Concentrati sulla ques- impedisce di farsi un’idea delle fattezze dell’og- tione delle origini e dei significati dell’insegna getto. Altre fonti, questa volta visive, permettono della vipera40, gli studi araldici hanno finora dato tuttavia di appurare che Luchino Visconti abbia poco rilievo alle altre componenti della panoplia realmente impiegato un cimiero. Sulle monete emblematica della famiglia milanese. Se tale disin- coniate durante la signoria congiunta con il teresse può essere imputato alla rarefazione delle fratello Giovanni (1339-49), vescovo di Milano, la attestazioni araldiche in contesti monumentali, faccia su cui è riportata l’iscrizione con il nome di provocata da processi di selezione e di rimozione Luchino è infatti ornata dallo scudo con l’insegna anche violenti della memoria della famiglia mila- familiare timbrata da un cimiero con un drago nese41, altri documenti, iconici e scritti, forniscono alato (fig. 7). Secondo un procedimento del tutto preziose indicazioni sull’emblematica del potente comune, il signore milanese aveva dunque preso lignaggio lombardo e sui suoi impieghi. Anche come cimiero la figura, terribile e già avvolta da in questo caso, il cimiero fu una presenza essen- leggende riguardanti la sua origine44, che formava ziale. Lo dimostrano, ormai in pieno Quattrocento, l’insegna familiare, rendendola se possibile ancora le pagine d’apertura dello Stemmario trivulziano più spaventosa. Sull’altra faccia della moneta, (Milano, Biblioteca Trivulziana, ms. 1390, p. 3-5) l’iscrizione col nome di Giovanni è invece accom- 39. I tipari sono riprodotti da Gerola 1930, p. 139-141. 40. Zaninetta 2013, p. 167-179. 42. Maspoli 2000, p. 3-5. 41. Lo rivelano, tra gli altri, i resti di stemmi rinvenuti nei 43. Anonimo Romano 1981, p. 42. palazzi comunali di Brescia e Cremona e il perduto ciclo 44. Le varie leggende nate a partire dal tardo Duecento sull’o- araldico della Manica lunga di Palazzo reale a Milano, sui rigine della vipera sono ora riunite e commentate in quali si veda rispettivamente Ferrari 2015b e Id. 2014. Zaninetta 2013, p. 142-166.
Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) 128 Matteo F errari pagnata soltanto dalla figura di Ambrogio, patrono fico del cavaliere, l’elmo timbrato non poteva e vescovo della città45. certo addirsi alla carica episcopale di Giovanni, che Com’era accaduto verso la fine del Duecento per all’evenienza accompagnava lo stemma familiare lo stemma con la vipera, anche il cimiero visconteo con le insegne legate alla sua funzione, la mitria fu subito integrato alla leggenda familiare. Le sue e il pastorale, come vediamo nella cattedrale di prime attestazioni iconografiche cadono in perfetta Cremona e nel castello di Brescia. sincronia con la leggenda sull’origine dell’arme Il cimiero col drago – impiegato, seppur privo familiare fissata da Galvano Fiamma, tra i più forti delle ali, da Bruzio Visconti, figlio naturale di contributori della politica d’immagine dei signori Luchino (Parigi, BnF, Lat. 2066, f. 1r; Città del milanesi. Riprendendo il racconto di Bonvesin de la Vaticano, BAV, Vat. lat. 2194, f. 1r)50 – si riaffacciò Riva forse sulla scorta di materiali precedentemente rapidamente nelle manifestazioni pubbliche della divulgati dalla propaganda signorile, il frate dome- signoria viscontea. Galeazzo II e Bernabò, come il nicano affermava la natura dell’insegna viscontea loro fratello Matteo, facevano uso di un cimiero come «reliquia di un epico combattimento» soste- ancor prima di assumere il governo dello stato nuto da un Ottone Visconti, omonimo dell’arci- milanese. Nel 1353 i lavori eseguiti al castello alla vescovo fondatore della signoria con la vittoria di Rocca San Felice a Bologna, città acquistata da Desio del 1277, in Terrasanta all’epoca della prima Giovanni Visconti tre anni prima, contemplarono crociata46. Nel Manipulus florum, scritto attorno al già la raffigurazione dei cimerios domini nostri domini 1335, Ottone prende semplicemente come insegna Mediolanensis etc. et dominorum Maphei, Bernabo la vipera che un gigante saraceno, da lui sconfitto, Galiacii de Vicecomitibus51. Le sembianze di questi portava in armis suis, et scuto, et galea47. Qualche cimieri ci sono però ignote. Così è solo nella mone- anno più tardi, però, nel Chronicon Maius, Ottone tazione emessa da Bernabò e da Galeazzo una volta non solo s’impadronisce dell’insegna del nemico, rimasti soli al potere che possiamo nuovamente trasmettendola poi ai suoi discendenti, ma ne apprezzare l’impiego meditato e sistematico del calza l’elmo ornato della vipera: rex Saracenorum cimiero con la testa di drago, da questo momento prosternitur cuius galleam habentem superius in modum stabilmente presente nei coni di maggiore valore: il chymere viperam predictam tullit et capiti suo imposuit fiorino d’oro e il soldo d’argento (fig. 8). que semper sua posteritate pro vexillo usus fuit48. Bernabò e Galeazzo II si trovarono però di Simbolo di prouesse militare, come attesta fronte a un problema inedito, quello di distin- il racconto di Galvano Fiamma, Luchino aveva guersi l’uno dall’altro pur ricorrendo alla mede- probabilmente adottato il cimiero col drago col sima insegna. L’aggiunta di un semplice dettaglio duplice scopo di rivendicare il suo rango cavalle- permise ai due fratelli al contempo di personaliz- resco e di rendersi meglio riconoscibile nelle mani- zare il proprio cimiero e di differenziarlo rispetto festazioni iconiche della signoria (il lambrecchino a quello del loro predecessore: tolte le ali, il drago che avvolge l’elmo è disseminato di L, iniziale del di Galeazzo fu dotato di un’alta cresta compatta, suo nome). L’ipotesi che si trattasse di un’insegna mentre quello di Bernabò ne ricevette una che defi- personale trova del resto conferma nel fatto che nirò, impropriamente, piumata. Quasi si trattasse Giovanni non vi fece mai ricorso, neppure una volta rimasto solo al governo49. Attributo speci- e Boucheron 2003) pare escluderne l’utilizzo durante la sua signoria, almeno come elemento grafico. Nel castello di Brescia, la coppia di scudi viscontei abrasi sormontati 45. Bazzini – Toffanin 2014, p. 67, num. 431 e s., ma anche da due lastre, anch’esse abrase, probabilmente recanti Crippa 1986, p. 35-40. dei cimieri non sembra contestuale all’epigrafe adiacente 46. Zaninetta 2013, p. 155 e s. che ricorda la costruzione della fortezza per iniziativa di 47. Galvano Fiamma 1727, col. 617-618. Giovanni e Luchino Visconti nel 1344: la forma dello scudo 48. Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. A 275 inf, f. 196v è più tarda e la muratura in questione è stata oggetto di citato da Zaninetta 2013, p. 159 cui rimando anche per una ampi rifacimenti. L’insieme potrebbe essere dunque frutto più puntuale analisi del passo. La redazione del Chronicon di un riallestimento di materiali prelevati altrove. maius iniziò prima della morte di Azzone, per concludersi 50. Candiani 2017, p. 70-72. Si noti l’uso, da parte di Bruzio, nei primi anni della signoria di Luchino e Giovanni. di una brisura dell’arme viscontea, con l’aggiunta di una 49. L’assenza del cimiero dalle monete coniate da Azzone e banda di fusi accollati d’oro (vedasi anche Parigi, Bnf, Lat. dalla sua tomba – ma si ricordi che questa fu realizzata per 6467, f. 1r). intervento di Giovanni e Luchino (cfr. almeno Seiler 1990 51. Filippini – Zucchini 1947, p. 2.
129 Fig. 8 – Fiorino d’oro con i cimieri di Bernabò e Galeazzo II Visconti (da Crippa 1986, tav. tra p. 44-45). di una brisura, questo stratagemma consentiva al rica in cui le insegne del dominus sono ripetute in cimiero di conservare un legame d’esclusività col maniera parossistica55. suo portatore, permettendone l’identificazione52. Lo stesso cimiero ritorna poi in altre opere Così, il fiorino d’oro coniato congiuntamente dai commissionate da Bernabò, mobili come immo- due signori porta sul diritto l’elmo col drago dalla bili, nelle quali grande spazio è sempre riservato cresta piumata, associato al nome di Bernabò, e sul agli emblemi, familiari come personali56. È questo rovescio quello col drago con la cresta semplice, il caso del monumento equestre un tempo collo- accompagnato dal nome di Galeazzo II53. cato in San Giovanni in Conca, chiesa che il La decorazione pittorica delle residenze dei signore milanese aveva destinato a cappella pala- due signori conferma l’uso esclusivo dei due tina della sua residenza adiacente e a mausoleo cimieri. Nel castello di Pavia il cimiero di Galeazzo familiare57. Elaborazione postuma della scultura è inserito in una composizione che restituisce nella che lo stesso Bernabò aveva commissionato a sua interezza l’identità araldica del signore: ricono- Bonino da Campione negli anni 1355-63, l’opera è scibile proprio per la caratteristica cresta, il drago il risultato di un progetto celebrativo che il Visconti timbra lo stemma visconteo ed è accostato all’im- poté maturare dalla visione di altri ritratti equestri presa del tizzone ardente e al monogramma GZ, signorili e regali: quello del suocero, Mastino II, e più tardi ripreso dal figlio Gian Galeazzo54. A fugare forse anche quello di Filippo VI di Valois in Notre- ogni dubbio sulla sua identificazione, il cimiero Dame a Parigi – città nella quale Bernabò aveva crestato è poi riprodotto in un libro d’ore confe- soggiornato durante il suo giovanile esilio itine- zionato per Bianca di Savoia, moglie di Galeazzo rante (1347-49) – che ritraeva il sovrano in armi (Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, ms. Clm e con cimiero58. Nel monumento ora al Castello 23215). Nel castello di Pandino (fig. 9), residenza di caccia e rifugio di Bernabò, è invece il cimiero col drago dall’alta cresta piumata ad accogliere il visitatore: in testa al leopardo tra le fiamme, è più 55. L’insegna è affiancata dalle lettere D e B utilizzate abitual- mente da Bernabò, come suggerisce anche la scheda dedi- volte riprodotto nella sontuosa decorazione pitto- cata al castello di Pandino, in Cassanelli 2002, p. 307-309. Sul castello e sulle sue pitture, datate attorno al 1361, si veda più diffusamente, Romano 2013. 56. Sulla committenza di Bernabò, Vergani 2001 e, soprattutto, 52. A tale scopo il cimiero, come lo stemma, era spesso accom- Romano 2011. pagnato anche dalle iniziali del nome del suo portatore: 57. In breve Romano 2011, p. 652-653. Sulla tomba, giunta Ferrari, in corso di stampa. nel 1898 ai Musei del Castello Sforzesco e oggetto di un 53. Bazzini – Toffanin 2014, p. 126-129, num. 490-493 e recente restauro, si veda sopratutto Vergani 2001, in parti- Crippa 1986, p. 48. colare p. 119-167. 54. Sulle pitture del castello pavese, realizzate nel corso di 58. Baron 1968 e, per l’influenza del modello francese sulla più cantieri ancora non del tutto delucidati, Albertini statuaria (funebre e non solo) viscontea, Tasso 2002, p. 147 Ottolenghi 1996. e s.
Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) 130 Matteo F errari Fig. 9 – Leopardo galeato con cimiero, monogramma e motto di Bernabò Visconti. Pandino (Cremona), castello Visconteo, portico orientale (foto: M. Ferrari). Sforzesco, le insegne di Bernabò si riconoscono Se la necessità di accompagnare il cimiero con più nello specifico nel basamento e nel ritratto le iniziali del suo portatore solleva qualche perples- equestre, le sole parti sicuramente realizzate prima sità sulla sua reale capacità di comunicare l’iden- della trasformazione del gruppo scultoreo in arca tità di chi ne faceva uso, è certo che l’adozione del funebre. Il cimiero col drago piumato è raffigurato drago dalla cresta piumata da parte dei successori sui lati lunghi del plinto, affiancato dagli stemmi di Bernabò, a partire da Gian Galeazzo, segnò un Visconti, e nella parte posteriore della sella. Anche mutamento significativo nella funzione dell’in- qui indossata dalla fiera acquattata tra le fiamme, segna. Riprodotto in modo stabile sulle monete l’insegna è inquadrata dalle iniziali D e B coronate coniate dal futuro duca, e poi conservato anche (Dominus Bernabos), mentre il lungo cartiglio, retto nella successiva monetazione di età viscontea e dall’omuncolo inghiottito dal drago feroce, recava sforzesca, questo cimiero partecipa alla rappre- il motto del signore. In analogia con il modello sentazione del passaggio di potere all’interno della scaligero, un cimiero doveva ornare anche l’elmo famiglia, forse anche allo scopo di affermarne la un tempo indossato dal Bernabò a cavallo, la cui legittimità (non si dimentichi che Gian Galeazzo si presenza è provata dal lacciuolo visibile nella parte liberò dello zio, di cui aveva sposato la figlia, con alta del dorso del cavaliere che, nell’armamento un atto di forza)60. L’aggiunta della corona, sola dell’epoca, serviva per tenere il casco in posizione variante sensibile rispetto alla versione impiegata consentendone il sollevamento senza rischio di dal suo predecessore, consentì al signore milanese caduta59. di fare del cimiero un valido sostituto della sua persona, ormai in grado di rappresentarne l’appar- tenenza familiare, le virtù militari e cavalleresche, 59. Vergani 2001, p. 139-140. Sulla possibile sostituzione del l’autorità di governo61. volto del Bernabò a cavallo al momento della trasforma- zione della scultura, si vedano ivi, p. 136 e Napione 2009a, p. 354. Non ci sembra però da escludere la possibilità che il ritratto del signore milanese fosse fin dall’origine comple- tato da un casco metallico amovibile, posizionato sulle 60. Per le monete emesse da Gian Galeazzo e dai suoi succes- spalle del cavaliere come si trova in altre sculture eque- sori si veda ancora Crippa 1986, passim. stri dell’epoca. La testimonianza offerta dal Lamento funebre 61. È probabile che l’introduzione della corona non sia dovuta di Matteo da Milano non aiuta purtroppo a risolvere la all’ottenimento del titolo ducale nel 1395. I predecessori di questione, giacché questi ricorda solo come si trovasse Gian Galeazzo avevano del resto già introdotto quest’ele- «sopra ‘l capo [i.e. al di sopra, nella parte alta della tomba?] mento nell’emblematica personale, per coronare ora l’in- la sua armatura, / siccome portava quel barone adorno»: segna familiare, ora il proprio monogramma (è il caso di Ceruti 1879, p. 208 (citato da Vergani 2001, p. 120). Bernabò, Ferrari, in corso di stampa).
131 Ad ogni buon conto, mentre si consumava l’arme antica del comune (d’argento alla torta di il passaggio del cimiero con il drago piumato da rosso) e, sui due lati, gli stemmi viscontei timbrati segno individuale a insegna familiare, altri cimieri dal cimiero col ciuffo di piume e da quello col facevano la loro apparizione nell’emblematica drago piumato, entrambi coronati e accompagnati viscontea. Le già citate tavole d’apertura dello dal monogramma GZ64. stemmario Trivulziano ne offrono una rassegna completa. Vi troviamo draghi crestati e piumati, ciuffi di piume raccolti in forma d’alberello, esseri ibridi con il corpo e le zampe di drago e la testa di vecchio barbuto. Tale moltiplicazione d’insegne ebbe inizio proprio durante la signoria di Gian Galeazzo. Nel tripudio d’emblemi che incorniciano la scena dell’investitura del signore milanese nel Messale dell’Incoronazione (Milano, Bibl. Capitolare di Sant’Ambrogio, Lat. 6, fol. 8r), nel margine inferiore lo stemma imperiale e quello ducale sono infatti già accompagnati, da un lato, dal cimiero col Fig. 10 – Rilievo con lo stemma del Comune di Monza affiancato drago piumato, dall’altro da quello con il pennac- dagli stemmi, con cimiero, di Gian Galeazzo Visconti. Milano, Musei chio di piume di struzzo rosse, raccolte a foggia d’al- del Castello Sforzesco (foto: Raccolte d’Arte Antica, Museo d’Arte Antica, Castello Sforzesco, Milano Copyright Comune di Milano, tutti berello e cosparse di gocce d’oro62. I due elmi ornati i diritti riservati - foto Manusardi). sono poi riprodotti, nel 1403, nell’Incoronazione di Giangaleazzo in paradiso di Michelino da Besozzo (Parigi, BnF, ms. Lat. 5888, fol. 1r), sorretti dai due angeli in volo che, con l’altra mano, reggono lo IL CARRO, IL SARACENO, L’ALA: stemma con la biscia63. Lo stesso binomio si ritrova I CIMIERI DEI SIGNORI DI PADOVA quindi in altri manoscritti appartenenti alla biblio- teca del duca, come nel libro d’ore miniato dai De Forse per emulazione delle strategie rappre- Grassi verso il 1388-1391, oggi a Firenze (Biblioteca sentative elaborate in altre corti, anche i Da Carrara nazionale, Banco rari 397, fol. 22v, 128r). conferirono agli elementi araldici un ruolo di Insegna personale, forse connessa al possedi- spicco nella comunicazione iconica della signoria. mento della contea di Pavia o di quella di Virtù, il Un apprezzamento inedito e crescente fu da loro cimiero con il pennacchio di piume non trovava attribuito, in particolare, proprio ai cimieri come comunque rappresentazione solo nell’ambito attestano i sigilli e le monete, l’ornamentazione ristretto dello spazio manoscritto. Come le altre delle residenze familiari e dei luoghi di sepoltura, insegne del duca milanese, fu raffigurato anche i manoscritti miniati e le composizioni letterarie. in contesti monumentali e pubblici (fig. 10). Una Simbolo del culto tributato ai cimieri all’interno lastra scolpita oggi conservata a Milano, presso della famiglia carrarese, il Liber cimeriorum (Padova, il Museo d’Arte antica del Castello Sforzesco, ne Biblioteca Civica, cod. BP 124/22) rappresenta una offre l’esempio. Proveniente dalla Porta Nuova di fonte di primaria importanza per la conoscenza Monza (nota anche come Porta di Milano) e datato dell’araldica dei signori padovani (fig. 11). Citato agli anni 1395-1402, il rilievo presenta, al centro, nell’inventario della biblioteca di Francesco Novello 62. Sulla miniatura, datata al 1395, si veda almeno Kirsch 64. L’antico stemma di Monza è blasonato da Maspoli 2000, 1991, p. 92-94. La blasonatura di questo cimiero è piut- p. 446 come «d’argento, al vaglio rotondo visto dall’alto tosto oscillante e capita di trovarlo anche descritto come di rosso, con il fondo del medesimo carico di una rete di «un albero seminato di lacrime» (Cambin 1987, p. 418). fili di ferro di nero», sulla base della testimonianza dello Si è preferito adottare la lettura fornita da Maspoli 2000, Stemmario trivulziano, che molto probabilmente, però, già p. 317-319. fraintende le forme originarie dell’insegna (l’elemento 63. Solo due stemmi «cum cimerio viparae» sono espressa- circolare al centro del campo sarà interpretato anche come mente menzionati tra i «cimeria» di Gian Galeazzo, esposti una luna piena). Sul pezzo, ora al Castello Sforzesco, durante le sue esequie, da Petri de Castelletto 1730, col. Vergani 2013. 1026, 1035.
Il cimiero: espressione dell’identità, insegna dinastica, simbolo di rango (Lombardia e Veneto, XIV secolo) 132 Matteo F errari del Trecento, in netto anticipo dunque rispetto alle altre grandi famiglie della regione. Tale testi- monianza, come quella offerta dalle descrizioni delle insegne carraresi che chiosano la narrazione delle gesta dei signori padovani nella cronaca dei Gatari, andrà però valutata con cautela, in ragione della composizione tarda del manoscritto e della mancanza di più antiche attestazioni sull’araldica carrarese delle origini. Gli stemmi e i cimieri dei primi Carraresi sono infatti descritti o rappresen- tati soltanto in opere confezionate all’interno della stessa campagna di ricostruzione della memoria familiare che diede vita al Liber cimeriorum, alle Gesta magnifica domus Carrariensis e al De curru carra- riensi di Francesco Caronelli (1376)67. Di composi- zione tarda è anche il Liber de principibus carrarien- sibus del Vergerio (Padova, Biblioteca Civica, B.P. 158), opera incompiuta nominata nell’inventario del 1404; questa presenta i ritratti a piena pagina dei principi carraresi, dipinti a grisaille e accompa- Fig. 11 – Stemma e cimiero di Francesco il Vecchio da Carrara, in Liber cimeriorum (Padova, Biblioteca Civica, cod. BP 124/22) (da gnati dai loro cimieri, riprodotti in piccola scala68. Padova 1989, p. 137). Anche se queste immagini derivassero veramente dal perduto ciclo che nel palazzo ritraeva «li Signori de Padoa ritratti al naturale de verde», la redatto nel 1404, all’indomani della conquista loro attendibilità, per quanto riguarda i cimieri dei veneziana di Padova, il manoscritto fu confezionato primi carraresi, resterebbe dubbia69. per l’ultimo dei Carraresi nell’ambito di una più Sono pertanto le fonti monumentali e quelle ampia operazione di ricomposizione della memoria numismatiche a documentare come, in perfetta familiare e di ricostruzione della biblioteca di corte, sincronia con quanto registrato a Milano e a depredata da Gian Galeazzo Visconti. Lo compon- Verona, anche i signori carraresi introdussero l’uso gono brevi componimenti encomiastici, dedicati ai del cimiero nel corso degli anni Trenta del Trecento. vari membri della famiglia, nella maggioranza dei Il riformatore della panoplia araldica familiare fu casi accompagnati dalla rappresentazione del loro Marsilio († 1338) che, nel 1337, divenne a tutti gli stemma e del loro cimiero, inseriti in cornici misti- effetti il primo signore di Padova. A lui può essere linee. La serie araldica è aperta da Iacopo I – scelto ricondotta una tessera mercantile carrarese, nota come signore nel 1318 dalla città che voleva opporsi in più esemplari, che presenta sul diritto un elmo a Cangrande – ed è conclusa da Francesco Novello65. I cimieri più antichi presentano una natura indivi- duale e sono in stretta connessione con l’insegna 67. Parigi, BnF, ms. Lat. 6468, Francesco Caronelli, Currus familiare: a Iacopo I è attribuito un cimiero con due carrariensis moraliter descriptus: l’opera rivisita lo stemma carri rossi, mentre a Nicolò un carro tra due corna carrarese in chiave allegorico-teologica impiegando la di bufalo incatenate66. struttura del carro come metafora delle virtù e della storia Se prestassimo fede al Liber cimeriorum, familiari. 68. Nel codice furono inseriti in un secondo tempo i ritratti dei dovremmo concludere che i signori padovani due Francesco. L’intervento, che contemplò anche la sosti- fecero uso di un cimiero, in modo sistematico e tuzione del bifoglio con le figure di Marsilietto e Iacopo II, continuativo, almeno dalla fine degli anni Dieci risale alla fine del Quattrocento quando il codice, trafugato da Venezia, confluì nella biblioteca dei Papafava, ramo secon- dario della famiglia carrarese; Petrarca 2006, p. 387-389 e la scheda di Elena Cozzi in Padua 1989, p. 191-194. 69. Il ciclo della reggia è descritto da Marcantonio Michiel: 65. La pagina destinata a Carlo Ubertino, figlio di Iacopo II non Morelli 1800, p. 30. Sul legame tra questo e i ritratti conte- è stata completata col cimiero. nuti nel manoscritto padovano cfr., in breve, Tomasin 66. Sul codice si veda almeno Trentin 1989, p. 29-36. 2006, p. 28.
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