I tumori primitivi del fegato: percorso diagnostico e strategie terapeutiche - Sabato 10 maggio 2014 ore 8.15-13.40 A. O. San Paolo Via A. Di ...
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I tumori primitivi del fegato: percorso diagnostico e strategie terapeutiche Sabato 10 maggio 2014 ore 8.15-13.40 A. O. San Paolo Via A. Di Rudiní, 8 – Milano n. evento 1834-95174 crediti n. 5
I tumori primitivi del fegato: percorso diagnostico e strategie terapeutiche Sabato 10 maggio 2014 ore 8.15-13.40 A. O. San Paolo Via A. Di Rudiní, 8 – Milano Coordinatore Prof. Paolo Foa U.O. di Oncologia Medica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano Programma 8.15-8.45 Registrazione Partecipanti 8.45-9.00 Saluto del Presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Milano o di altro Consigliere da lui delegato Inquadramento Clinico-Diagnostico Moderatori Prof. Paolo Foa Prof. Massimo Zuin Medicina VI – Epatologia e Gastroenterologia Medica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano 9.00-9.15 Prof. Paolo Foa Introduzione 9.15-9.35 Dott.ssa Claudia Cigala U.O. Anatomia Patologica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano Aspetti istopatologici 9.35-9.55 Prof. Massimo Zuin Epidemiologia e sorveglianza 9.55-10.15 Dott. Andrea Crosignani Medicina VI – Epatologia e Gastroenterologia Medica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano Aspetti clinici
10.15-10.35 Dott.ssa Emanuela Bertolini Medicina VI – Epatologia e Gastroenterologia Medica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano La diagnosi ecografica 10.35-10.55 Dott. Nicola Flor U.O. di Radiologia Diagnostica e Interventistica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano Il ruolo di TC e RMN 10.55-11.15 Intervallo terapia Moderatori Prof. Gian Paolo Cornalba U.O. di Radiologia Diagnostica e Interventistica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano Prof. Enrico Opocher Chirurgia II Epato-bilio-pancreatica e Digestiva A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano 11.15-11.50 Dott. Fabio Melchiorre U.O. di Radiologia Diagnostica e Interventistica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano La chemioembolizzazione transarteriosa (TACE) 11.50-12.10 Dott. Roberto Santambrogio Chirurgia II Epato-bilio-pancreatica e Digestiva A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano Dott. Giuseppe Franceschelli U.O. Radiologia Diagnostica e Interventistica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano Il ruolo della radiofrequenza 12.10-12.30 Prof. Enrico Opocher La chirurgia 12.30-12.50 Dott. Daris Ferrari Dipartimento di Oncologia – U.S.D. Cure Palliative A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano La terapia medica 12.50-13.10 Prof. Paolo Foa L’approccio interdisciplinare: un esempio di percorso 13.10-13.40 Compilazione schede di valutazione e di verifica
Prof. Paolo Foa U.O. di Oncologia Medica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano Introduzione I tumori primitivi del fegato sono rappresentati nella quasi totalità dei casi (90%) dall’epatocarcinoma e, per la quota residua, dal colangiocarcinoma. Sono tumori più frequenti di quanto abitualmente ritenuto, costituendo per incidenza il settimo tumore più frequente nei maschi e il tredicesimo nelle femmine e per mortalità la quinta causa di decesso per i maschi e la settima per le femmine. Questi dati evidenziano in entrambi i sessi un elevato rapporto tra mortalità ed incidenza ad indicare una prognosi spesso infausta di questi tumori che rappresentano quindi un problema di salute pubblica, con ripercussioni sanitarie rilevanti. Mentre per il colangiocarcinoma i fattori di rischio non sono chiaramente definiti, è ormai acquisito che cirrosi epatica, epatite B e C, consumo di alcol, sindromi metaboliche quali obesità e diabete siano frequentemente associate all’ epatocarcinoma; ciò richiede l’impostazione di specifiche strategie di sorveglianza per i soggetti predisposti a questa tipologia di tumore. Oltre che per i motivi sopra sintetizzati, i tumori primitivi del fegato rappresentano una area di particolare interesse in relazione alla evoluzione sia delle procedure diagnostiche che delle strategie terapeutiche, queste ultime progredite grazie alla disponibilità di farmaci antitumorali innovativi e di sofisticate tecniche di radiologia interventistica e di chirurgia. L’incontro “I tumori primitivi del fegato: percorso diagnostico e strategie terapeutiche” si articola in due sessioni. Nella prima sessione si affronteranno gli aspetti collegati al percorso diagnostico e all’ inquadramento sia cito-istologico che nosologico; verrà anche approfondito il tema di particolare rilievo della sorveglianza dei soggetti a rischio per epatocarcinoma.
Nella seconda sessione verranno illustrate le strategie terapeutiche innovative oggi disponibili, dalle procedure di radiologia interventistica, alla chirurgia epatica laparoscopica, agli agenti biologici antitumorali, con particolare rilievo alle modalità di impiego integrato di queste risorse. L’obiettivo dell’incontro è quello di fornire una informazione agganciata alla pratica clinica ed esauriente dei percorsi diagnostici e terapeutici di questi tumori.
Dott.ssa Claudia Cigala U.O. di Anatomia Patologica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano Aspetti istopatologici Classificazione who dei tumori del fegato e delle vie biliari Tumori epiteliali BENIGNI (EPATOCELLULARI) Adenoma epatocellulare Iperplasia nodulare focale MALIGNI (EPATOCELLULARI) Carcinoma epatocellulare Carcinoma epatocellulare variante fibrolamellare Epatoblastoma Carcinoma indifferenziato BENIGNI (BILIARI) Adenoma dei dotti biliari Adenoma microcistico Adenofibroma biliare MALIGNI (BILIARI) Colangiocarcinoma Carcinoma misto epato e colangiocellulare Neoplasia papillare intraduttale associata a carcinoma invasivo Neoplasia cistica mucinosa associata a carcinoma invasivo
TUMORI NON EPITELIALI BENIGNI Angiomiolipoma Emangioma cavernoso Emangioma infantile Pseudotumore infiammatorio Linfangioma Linfangiomatosi Amartoma Tumore fibroso solitario MALIGNI Angiosarcoma Sarcoma embrionale Emangioendotelioma epitelioide Sarcoma di Kaposi Leiomiosarcoma Rabdomiosarcoma Sarcoma sinoviale TUMORI GERMINALI LINFOMI METASTASI IPERPLASIA NODULARE FOCALE L'iperplasia nodulare focale (INF) non è una vera e propria neoplasia, ma una risposta iperplastica rigenerativa, secondaria ad un'anormalità vascolare. E' la seconda patologia nodulare in termini di frequenza, dopo l'emangioma. Nel 80- 90% dei casi si sviluppa in donne nella III e IV decade e nei ¾ dei casi in donne che hanno assunto contraccettivi orali, suggerendo il ruolo degli estrogeni nello sviluppo di questa patologia. Nei 2/3 dei casi la lesione è solitaria e asintomatica, scoperta incidentalmente durante il riscontro diagnostico o durante esami diagnostici svolti per altri motivi.
Lesioni di grosse dimensioni possono dare dolore addominale e compressione degli organi adiacenti. In genere l'INF insorge su fegato sano e si associa all'angioma epatico nel 20% dei casi, mentre la coesistenza con un adenoma è rara. In sezione, l'aspetto macroscopico è generalmente pallido, di dimensioni variabili da pochi mm a più di 10 cm di diametro, con margini ben delimitati, senza evidenza di una capsula. La lesione ha generalmente una cicatrice centrale stellata, biancastra. Dal punto di vista istologico, gli epatociti sono di aspetto benigno, privi di atipie citologiche; la cicatrice centrale contiene uno o più vasi distrofici e numerose piccole arteriole. ADENOMA EPATOCELLULARE L'adenoma epatocellulare colpisce più frequentemente donne in età fertile, l'80% delle quali ha assunto contraccettivi orali. In genere insorge su fegato sano. La presentazione clinica può includere dolore addominale, presenza di una massa, emorragia intraperitoneale, anormalità dei test epatici, oppure può essere scoperto casualmente durante esami diagnostici svolti per altri motivi. In sezione, l'aspetto macroscopico è quello di un nodulo soffice e di aspetto omogeneo. Possono essere presenti necrosi, congestione vascolare, emorragia e fibrosi. I margini sono ben definiti, senza evidenza di una capsula. Il fegato circostante è generalmente privo di alterazioni. Dal punto di vista istopatologico, l'adenoma è costituito da epatociti privi di atipie citologiche, senza evidenza di mitosi, organizzati in cordoni regolari. Il citoplasma è normale, può contenere glicogeno o essere steatosico; mancano gli spazi portali. EPATOCARCINOMA L'epatocarcinoma (HCC) è il più frequente tumore maligno del fegato. TIPI MACROSCOPICI Capsulato/non capsulato Massivo Peduncolato Diffuso La maggior parte degli epatocarcinomi sono lesioni nodulari. In presenza di cirrosi, l'HCC ha spesso una pseudocapsula fibrosa, mentre se il tumore insorge su fegato sano,
tende ad essere non capsulato. Generalmente ha una consistenza più soffice rispetto al parenchima circostante e può essere unifocale o plurifocale. Il termine massivo si utilizza quando l'HCC insorge come una massa molto voluminosa, con o senza noduli satelliti. Un altro sottotipo, il peduncolato, è definito come una massa tumorale che protrude dalla superficie epatica, con o senza peduncolo. Il tipo diffuso è raro e si utilizza quando numerosi piccoli noduli si distribuiscono in un pattern diffuso che mima un fegato cirrotico. TIPI MICROSCOPICI Trabecolare Pseudoghiandolare Solido A cellule fusate (sarcomatoide) A cellule chiare Fibrolamellare L'HCC di tipo classico è costituito da cellule tumorali che assomigliano agli epatociti “normali”. Lo stroma interposto è costituito da spazi vascolari similsinusoidali rivestiti da un singolo strato di cellule endoteliali. Gli spazi portali sono assenti all'interno della neoplasia, ma perifericamente possono essere presenti in quanto intrappolati dalla neoformazione. L'HCC può avere caratteristiche cito-architetturali diverse che possono coesistere all'interno dello stesso tumore. TRABECOLARE: è la forma più comune nei tumori ben differenziati o a medio grado di differenziazione. Le cellule tumorali crescono in cordoni di spessore variabile, separati da spazi similsinusoidali. PSEUDOGHIANDOLARE: spesso in forma mista al trabecolare, le cellule tumorali si aggregano formando delle “pseudoghiandole” o “pseudoacini”. SOLIDO: spazi similsinusoidali assenti, è la forma più frequente nelle forme scarsamente differenziate. CELLULE CHIARE: cellule ricche in glicogeno, dd con carcinoma a cellule chiare del rene.
TIPI SPECIALI: CARCINOMA FIBROLAMELLARE: rappresenta circa lo 0,5-0,9% degli HCC, insorge nei bambini e nei giovani adulti. Insorge su fegato sano, nei 2/3 dei casi nel lobo sinistro. L'eziologia e i fattori di rischio sono sconosciuti. Dal punto di vista macrosopico tende ad essere giallastro o pallido, di consistenza dura, nel 75% dei casi vi è la presenza di una cicatrice centrale. Dal punto di vista istologico le cellule mostrano un citoplasma eosinofilo ricco in mitocondri, con nuclei vescicolosi contenenti nucleolo evidente. Le cellule sono circondate da uno stroma fibroso. CARCINOMA SARCOMATOIDE: costituito da cellule fusate, difficilmente distinguibile da altre forme di sarcoma. La maggior parte degli HCC sarcomatoidi coesiste con un HCC di tipo classico. CARCINOMA INDIFFERENZIATO: raro, < 2% dei casi GRADO ISTOLOGICO Il grado istologico è basato sulla differenziazione tumorale (grado di anaplasia delle cellule tumorali, presenza di mitosi). Nel caso degli HCC è suddiviso in una scala da I a IV sec. Edmonson. GRADO I: cellule con citoplasma abbondante e minime irregolarità nucleari. GRADO II: presenza di nucleoli, irregolarità delle membranenucleari e ipercromasia. GRADO III: aumento del pleomorfismo nucleare e nuclei angolati. GRADO IV: marcato pleomorfismo, ipercromasia e presenza di cellule giganti. IMMUNOISTOCHIMICA Dal punto di vista immunoistochimico, le cellule del HCC sono positive all'anticorpo HepPar1(>90% dei casi), la positività è meno frequente nei tumori scarsamente differenziati. Inoltre l' HCC è spesso positivo per AFP (alfa-fetoproteina), fibrinogeno, citocheratina 8,18, mentre è generalmente negativo per citocheratina 19, 20 e EMA. LESIONI PRECANCEROSE DISPLASIA A PICCOLE CELLULE: le cellule mostrano un aumento del rapporto nucleo/citoplasma (diminuisce il citoplasma e aumenta il nucleo), pleomorfismo nucleare lieve o moderato, iperomasia, basofilia del citoplasma. E' caratterizzata da un aumento dell'attività proliferativa rispetto al parenchima circostante. DISPLASIA A GRANDI CELLULE: aumentano le dimensioni nucleari e citoplasmatiche con mantenimento del rapporto nucleo/citoplasma, presenza di pleomorfismo nucleare, ipercromasia nucleare e multinucleazioni.
I noduli displastici si osservano spesso nei pazienti cirrotici, possono essere singoli o multipli e le loro dimensioni possono variare da pochi mm a pochi cm, anche se generalmente sono
EPATOBLASTOMA Insorge in età pediatrica, entro i 2 anni di età, raramente dopo i 5 anni, con una prevalenza nel sesso maschile. In genere si presenta come una massa singola, che determina aumento di volume dell'addome, con una dimensione che varia dai 5 ai 20 cm. Dal punto di vista istologico è costituito da epatociti embrionali e fetali, associati a componente mesenchimale. La prognosi è infausta e la terapia chirurgica e radio- chemioterapica. METASTASI EPATICHE I tumori che più frequentemente metastatizzano al fegato sono i carcinomi (colon- retto, mammella e stomaco) e i melanomi. Dal punto di vista macroscopico possono essere noduli unici o multipli. Spesso è presente necrosi, soprattutto nelle metastasi da carcinoma colico. Dal punto di vista istologico la metastasi mantiene le caratteristiche del tumore di origine per la diagnosi è di ausilio l'utilizzo di colorazioni immunoistochimiche.
Prof. Massimo Zuin Medicina VI – Epatologia e Gastroenterologia Medica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano Epidemiologia e sorveglianza I tumori primitivi del fegato sono rappresentati nella quasi totalità’ dall’epatocarcinoma (HCC) (90%) e dal colangiocarcinoma (7-8%). Nella maggioranza dei casi, l’HCC compare in un fegato affetto da cirrosi epatica e, pertanto, i fattori eziologici delle due patologie coincidono largamente. In Italia la causa più frequente di HCC nel periodo 2002-2008 è stata, secondo il database ITA.LI.CA (che raccoglie i casi osservati consecutivamente e seguiti da 11 centri italiani), l’infezione da HCV(49%), seguita dall’abuso alcolico (21%), dalla combinazione di virus dell’epatite con alcol (12%) e dall’infezione isolata da HBV (11%). Il colangiocarcinoma e’ un tumore raro che rappresenta circa il 3% dei tumori gastrointestinali: la sua incidenza e’ in aumento nell’ultimo ventennio mentre la sopravvivenza non si e’ modificata (10% a 5 anni): i fattori di rischio variano a seconda delle aree geografiche: in particolare nel Sud Est asiatico sono state chiamate in gioco le infezioni parassitarie e da trematodi; nel mondo occidentale il fattore più importante e’ rappresentato dalla colangite sclerosante primitiva e limitatamente al colangiocarcinoma intraepatico un ruolo sembra essere svolto dai virus epatitici. Lo scenario epidemiologico dei tumori maligni primitivi del fegato sta cambiando: nell’ultimo decennio l’incidenza dell’HCC e’ diminuita parallelamente alla riduzione della prevalenza delle infezioni virali B e C e tale riduzione non e’ compensata dall’aumento proporzionale dei tumori che insorgono in corso di epatopatie metaboliche quali la steatoepatite non alcolica associata o meno a cirrosi. In ogni caso in Italia per incidenza il tumore primitivo del fegato e’ il 7° tumore più frequente nei maschi (4% di tutti i tumori) e il 13° tumore più frequente nelle femmine (2.3% di tutti i tumori) e costituiscono la 5a causa mortis per i maschi, la 7a causa mortis per le femmine (4.5% delle cause neoplastiche). In entrambi i sessi il rapporto incidenza mortalità è vicino a 1 ad indicare l’elevata mortalità in tempi brevi di questo tumore.
Questi dati rendono ragione come il tumore epatico rappresenti sempre un problema di salute pubblica con ripercussioni di carattere economico sanitario rilevanti. Sulla base di queste considerazioni e con l’obiettivo di aumentare la sopravvivenza attraverso una diagnosi precoce e conseguentemente un trattamento potenzialmente più efficace sono raccomandati in tutte le linee guida programmi di sorveglianza che nel caso specifico del tumore epatico sono facilitati dalla conoscenza della popolazione a rischio (soggetti cirrotici) e dalla disponibilità di un esame diagnostico affidabile, non invasivo e poco costoso quale l’ecografia. Sono state infatti individuate categorie di pazienti a più alta incidenza di tumore meritevoli (>1.5% anno), quindi, per il rapporto costo/efficacia favorevole di una sorveglianza periodica ogni 6 mesi con l’ecografia da parte di personale esperto. Una diagnosi precoce del tumore quando e’ ancora di piccole dimensioni consente l’impiego di opzioni terapeutiche efficaci (chirurgia, trattamenti locali ) che possono aumentare la sopravvivenza e/o ritardare la necessità del trapianto.
Dott.ssa Emanuela Bertolini Medicina VI – Epatologia e Gastroenterologia Medica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano La diagnosi ecografica L’ecografia rappresenta l’esame diagnostico di base nel programma di sorveglianza dei pazienti a rischio di sviluppare epatocarcinoma (HCC). La sorveglianza va effettuata da personale esperto. Il concetto dello “stetoscopio ecografico” o dell’ecografia decentrata, a latere e estensione dell’attività clinica di base sta rapidamente evolvendo dalla teoria alla realtà; tuttavia, nel caso della sorveglianza ecografica dei pazienti a rischio di HCC, è assolutamente necessario ricorrere all’ecografia centralizzata. La sensibilità della metodica, infatti, varia significativamente in rapporto all'esperienza dell'operatore. (1) Nel caso in cui si presentassero difficoltà tecniche tali da non consentire un’adeguata esplorazione del fegato, il referto ecografico dovrà segnalare l’inadeguatezza dell’indagine. Essa dovrà essere integrata/sostituita con TC o RM, in quanto l’ecografia perde il ruolo di test di sorveglianza “adeguato”. (1 - 4) L'intervallo di sorveglianza deve essere di 6 mesi. Un monitoraggio più stretto, di 3 mesi è raccomandato solo in due casi: a) dopo il riscontro di un nodulo piccolo, minore di 1 cm, b) dopo resezione o terapia loco-regionale per altro HCC. Ogni nodulo non presente alla precedente ecografia va considerato come un reperto anormale che impone l'attivazione della "politica del richiamo". La "politica del richiamo" diversifica le modalità di diagnosi del nodulo in relazione alle sue dimensioni. In caso di riscontro di un nodulo di dimensioni maggiori di 1 cm sarà necessario effettuare un'indagine con mezzo di contrasto (CEUS/TC/RM). Se la lesione presenta un aspetto caratteristico e un profilo contrastografico tipico (wash-in seguito da wash- out) la lesione deve essere trattata come HCC. Se l'aspetto non è caratteristico o il profilo vascolare non è tipico, effettuare un secondo studio contrastografico con la metodica radiologica alternativa, oppure eseguire una biopsia della lesione.
Si precisa che la politica del richiamo e i criteri diagnostici in essa contenuti sono considerati validi solo per i pazienti con cirrosi epatica o con epatite cronica HBsAg pos nei quali il nodulo venga rilevato in corso di sorveglianza. Nel paziente non cirrotico, la probabilità a priori che una lesione nodulare del fegato sia un HCC non è nota con precisione, ma risulta minore rispetto al paziente cirrotico. Pertanto, in assenza di cirrosi, la diagnosi di HCC si fonda sempre sull'accertamento bioptico. La CEUS può consentire la diagnosi di HCC, tuttavia l'aspetto di wash-in seguito da wash-out può corrispondere, in una ristretta minoranza di casi (
Dott. Nicola Flor U.O. di Radiologia Diagnostica e Interventistica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano Il ruolo di TC e RMN La diagnostica per immagini tomografica gioca da tempo un ruolo chiave nella gestione clinica del paziente epatopatico. In particolare, TC e RM grazie rispettivamente all'elevata risoluzione spaziale e di contrasto consentono di ottenere rappresentazioni di elevato dettaglio anatomico e di fornire esaustive informazioni sulle lesioni focali epatiche. Nella valutazione del più comune tumore primitivo epatico, l'epatocarcinoma, l'imaging si contraddistingue per aspetti che possono essere differenti, e tuttavia inquadrabili in reperti che tendono a variare dalla fase contrastografica precoce a quella tardiva. Generalmente il paziente con epatopatia cronica che si sottopone all'imaging per screening dell'HCC o nel follow-up di complicanze della epatopatia, presenta lesioni tipicamente di piccole dimensioni (meno di 3 cm), di aspetto omogeneo. In relazione al predominante apporto vascolare arterioso, la maggior parte degli HCC di piccole dimensioni presenta un marcato contrast enhancement arterioso; il nodulo appare viceversa iso o ipodenso (o ipointenso in RM) rispetto al parenchima adiacente nella fase venosa portale. Tipicamente l'HCC è riconoscibile nella fase tardiva per una focale ipodensità (o ipointensità). Il washout di contrasto dell'epatocarcinoma è l'elemento chiave nella caratterizzazione di queste lesioni, distinguendole dalle altre lesioni benigne che condividono l'enhancement arterioso. Caratteristico dei piccoli epatocarcinomi è la possibilità di presentare un aspetto di “nodulo in nodulo”, in particolare se il focolaio di HCC si sviluppa nel contesto di un nodulo rigenerativo. Dal punto di vista tecnico, è importante seguire protocolli di esame che favoriscano la individuazione e caratterizzazione delle lesioni. In particolare, per ciò che concerne la fase contrastografica arteriosa, è utile optare per una fase arteriosa “tardiva”; questa fase infatti garantisce di visualizzare meglio l'eventuale focolaio di malattia rispetto alla fase contrastografica arteriosa “precoce”.
Nel protocollo ideale, dopo la fase venosa portale non può mancare quella tardiva, fondamentale per diagnosticare lesioni ancora prive di enhancement arterioso e per differenziare l'HCC da lesioni benigne. Nella scelta della metodica d'imaging, per ovvie ragioni di radioprotezione, la RM dovrebbe essere la metodica di prima scelta, in particolare nel paziente candidato ad un numero considerevole di esami di sorveglianza. Rispetto alla TC, la RM offre il vantaggio della possibilità di utilizzare mezzi di contrasto cosiddetti epatospecifici; utilizzando il mdc epato-biliare, la maggior parte degli HCC si contraddistingue per washout tardivo. Un secondo vantaggio della RM è legato alle potenzialità delle sequenza pesate in diffusione. Alcuni HCC largamente infiltranti possono essere difficili da diagnosticare; lesioni di ampie dimensioni sono inoltre spesse disomogenee per la coesistenza di aree emorragiche e/o fibrotiche. Spesso le lesioni voluminose hanno una capsula, dei setti e possono dare trombosi neoplastiche. Va ricordata la possibilità che epatocarcinomi di piccole dimensioni possano, in una percentuale compresa tra il 5 e il 10%, essere privi del caratteristico enhancement arterioso. Pur se TC e RM rappresentano metodiche accurate nella diagnosi di HCC, la diagnosi differenziale con lesioni focali benigne può risultare delicata nel 15-20% dei casi; anche per questo motivo, sono state proposte in Europa e in USA (EASL/AASLD) delle linee guida per la diagnosi non invasiva dell'HCC nel paziente con epatopatia cronica. Per il Radiologo è essenziale descrivere dettagliatamente la sede ed il numero delle lesioni che presentano caratteristiche sospette, per facilitare la corretta opzione terapeutica; tale valutazione deve includere la diagnosi di eventuali invasioni vascolari o di metastasi.
Dott. Roberto Santambrogio Dott. Matteo barabino Prof. Enrico Opocher Unità complessa di Chirurgia Epato-bilio-pancreatica e Digestiva A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano La radiofrequenza laparoscopica nel trattamento dell’epatocarcinoma Il carcinoma epatocellulare (HCC), è il più frequente fra i tumori primitivi del fegato e rappresenta la quarta neoplasia in ordine di frequenza a livello mondiale, con un’incidenza di circa 250.000 nuovi casi l’anno. La maggioranza degli HCC si sviluppa su una cirrosi virale o potus correlata, mentre sono sporadici i casi di tumori insorti su fegato sano. Sembra che l’aumento d’incidenza registrato in questi ultimi anni nel nostro paese, sia dovuto non tanto all’incremento della popolazione a rischio, quanto alla migliore sorveglianza della stessa attraverso controlli clinici, biochimici ed ecografici seriati. L’epatocarcinoma presenta un comportamento molto aggressivo con un’aspettativa di vita media, nei pazienti non trattati, di circa 6 mesi dalla diagnosi ed una sopravvivenza a 5 anni minore del 3%. In caso invece la diagnosi sia stata precoce ed il paziente sia stato sottoposto al trattamento ottimale che e’ quello chirurgico resettivo, la sopravvivenza a 5 anni arriva al 75%. Tuttavia solo una piccola percentuale di pazienti può beneficiare della resezione chirurgica, in quanto al momento della diagnosi, il 70% degli HCC non è resecabile per numero, dimensione o sede delle lesioni, oppure perché il paziente non è in buon compenso di funzionalità epatica. Quando la chirurgia resettiva non e’ fattibile vi sono principalmente due alternative proponibili: la chemioembolizzazione arteriosa e la termoablazione mediante radiofrequenza. La prima procedura viene gestita dai radiologi e prevede l’incannulamento dell’arteria epatica attraverso l’accesso femorale e la successiva iniezione di un chemioterapico nel territorio tributario del tumore.
La seconda metodica invece consiste nell’introduzione di un ago sotto guida ecografica nella lesione epatica che viene poi “bruciata” mediante un meccanismo analogo a quello presente nel forno a microonde, ovvero attraverso la generazione di una ipertermia costante data dal passaggio di onde elettromagnetiche attraverso l’ago vettore. Questa metodica viene eseguita normalmente per via percutanea, generalmente dai radiologi (foto1 A). Foto 1. Metodica della radiofrequenza: B. approccio laparoscopico A. Approccio percutaneo. In ambito chirurgico, l’accesso per via laparoscopica rappresenta una valida alternativa (Fig. 1B). La scelta della radiofrequenza laparoscopica rispetto a quella percutanea si basa sul fatto che esistono delle situazioni specifiche in cui quest’ultima non e’ eseguibile in sicurezza, ed in particolare quando vi sono delle alterazioni della coagulazione, tumori di grandi dimensioni, situati in profondità o adiacenti a visceri cavi. L’approccio laparoscopico viene eseguito in anestesia generale e permette contemporaneamente di valutare la cavità addominale attraverso l’introduzione di una microtelecamera, di eseguire un’accurata stadiazione ecografica del fegato (e cioè scoprire la presenza di nuove lesioni invisibili agli esami preoperatori) ed infine di bruciare la lesione. Nella nostra esperienza personale su 426 pazienti sottoposti ad ecografia laparoscopica, la procedura e’ stata in grado di evidenziare nuovi noduli in 95 pazienti (22%), modificando la strategia terapeutica successiva nel 88% dei casi con nuove lesioni. La radiofrequenza laparoscopica si e’ dimostrata una metodica sicura ed efficace, con una percentuale di necrosi completa sino del 94% ed un tasso di complicanze ridotto (Tabella 1).
Tabella 1. Radiofrequenza laparoscopica: confronto dei risultati fra le serie maggiormente rappresentative Autori N° Necrosi Complicanze Recidive Controlli a pazienti (%) (%) (%) distanza Ido 15 15 (100%) 0 2 (13%) 16.8 m. Goletti 7 6 (86%) 0 1 (14%) 17 m. Seki 24 22 (92%) 3 (12%) 13 (54%) 18 m. Podnos 12 12 (100%) 1 (8%) 1 (8%) 7 m. Cuschieri 2 2 (100%) 0 0 11.1 m. Chung 4 --- 0 2 (50%) 8.2 m. Siperstein 4 --- --- 0 13.9 m. Machi 3 3 (10%) 1 (33%) --- 6.8 m. Okano 6 6 (100%) 0 3 (50%) 20.2 m. Topal 8 --- 1 (12%) 3 (37%) --- Sakaguchi 32 (8.2%) 391 … … … (multicentrico) locali 266 (63%) Personale 426 387 (91%) 78 (18%) 130 (31%) 32.1 m. locali Nella nostra casistica personale su 426 pazienti, uno dei fattori maggiormente determinanti nell’ottenimento di un risultato efficace è risultato la dimensione della lesione con una percentuale di necrosi completa che scende dal 95% al 85% per tumori di diametro maggiore di 3 cm. Per aumentare l’efficacia della procedura, abbiamo di recente sperimentato con ottimi risultati, la radiofrequenza nella stessa seduta operatoria del vaso venoso afferente al tumore determinando così un’esclusione vascolare dell’area da trattare e l’impiego delle microonde che permettono di ottenere maggiori volumi di necrosi. In conclusione presso l’Ospedale San Paolo e’ attualmente presente un pool di specialisti che si occupa dello studio degli epatocarcinomi. I pazienti epatopatici a rischio sono pertanto sorvegliati attentamente, e quelli affetti da epatocarcinoma sono generalmente diagnosticati precocemente, beneficiando di conseguenza in base allo stadio della malattia, sia del trattamento ottimale resettivo, sia di trattamenti alternativi fra cui, in casi selezionati, la radiofrequenza laparoscopica, metodica efficace e sicura che rappresenta un punto di forza della nostra Unita’ di Chirurgia Epatobiliare.
Dott. Giuseppe Franceschelli U.O. Radiologia Diagnostica e Interventistica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano Il ruolo della radiofrequenza Secondo i criteri del BCLC ogni singolo nodulo di HCC con diametro inferiore ai 3 cm può essere trattato con resezione o ablazione: per quanto riguarda noduli con diametro al di sotto dei 2 cm si procede al trattamento solo se l’imaging con mdc evidenzia un comportamento “tipico”. Non va dimenticato che l’unica vera terapia in questi Pazienti risulta essere il trapianto di fegato; tutto il resto è palliativo. In letteratura attualmente è dimostra l’efficacia terapeutica della ablazione percutanea che equivale a quella della resezione, anche in termini di sopravvivenza. Le metodiche di trattamento ablativo più comuni sono la radiofrequenza e le microonde che determinano distruzione cellulare per effetto diretto del calore. La scelta di utilizzo dell’una piuttosto che dell’altra tecnica dipende principalmente dalle dimensioni, dalla morfologia e della sede delle lesioni. Quando sede e caratteristiche somatiche del Paziente non permettono l’approccio percutaneo, una valida alternativa risulta essere l’approccio laparoscopico.
Prof. Enrico Opocher Chirurgia II Epato-bilio-pancreatica e Digestiva A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano La chirurgia Attualmente una diagnosi precoce di malattia ed una strategia chirurgica resettiva appropriata, garantiscono sopravvivenze a 5 anni ragguardevoli (70%) nei pazienti affetti da epatocarcinoma su cirrosi. Il trapianto rappresenta in linea teorica una valida alternativa alla resezione, curando non solo l’HCC ed eventuale ulteriori focolai occulti, ma anche la malattia di base e riducendo pertanto il rischio di recidive. Tuttavia esistono fattori che ostacolano la scelta di questa strategia, fra cui la scarsità di donatori condizionante lunghe liste di attesa, l’elevato costo del trattamento, il rischio di recidiva di malattia virale e non per ultima la recidiva neoplastica comunque possibile dato lo stato di immunosoppressione di base [1]. Sopravvivenze poco inferiori alla chirurgia (5-Y Surv 55%), vengono garantite dalla termoablazione, la cui efficacia è inversamente proporzionale alle dimensioni della lesione, con necrosi completa raggiunta nel 80-100% dei casi per noduli 5cm [1]. Inoltre trattandosi la termoablazione di un trattamento locale, non è in grado di controllare l’eventuale presenza di satelliti peri lesionali, rendendo conto pertanto dell’alto tasso di recidive locali ancora riportate in letteratura (70-80%) [2]. Il principio della chirurgia resettiva nel paziente cirrotico è quello di essere radicale ma al tempo stesso conservativa, al fine di garantire un risultato oncologicamente corretto nel rispetto del parenchima epatico residuo “sano”. Eseguire un intervento radicale in questo ambito non significa come per altri distretti, asportare il tumore lasciando un margine di resezione sicuro esente da malattia sulla trancia, ma impone, partendo dal presupposto di una diffusione portale tumorale, di asportare tutto il distretto parenchimale tributario del ramo portale interessato dal tumore al fine di includere nel pezzo operatorio anche gli eventuali foci micro-embolici satelliti. Questa filosofia, da una parte spiega come questa chirurgia sia fattibile solo se eco-guidata da parte di un’equipe di chirurghi specializzati epato-biliari, e dall’altra rende ragione del minor tasso di recidive locali che si registra nei pazienti sottoposti a resezione anatomica rispetto a quelli sottoposti a termoablazione.
La chirurgia resettiva dell’HCC oggi è da considerarsi sicura con tassi di morbilità e mortalità contenuti (morbidità 20-30% e mortalità 2-3%), grazie a conoscenze anatomiche sempre più accurate, all’ausilio dell’ecografia in sala operatoria quale costante guida alla resezione, ed alla possibilità di avvalersi di strumenti sofisticati di transezione parenchimale (bisturi ad ultrasuoni, dissezione a frammentazione ultrasonica, etc), volti all’ottimizzazione dei tempi chirurgici ed al contenimento delle perdite ematiche [3-4]. Sempre nell’ottica di una chirurgia sicura, conservativa, ma efficace, negli ultimi anni la laparoscopia ha riconosciuto un notevole sviluppo nell’ambito del trattamento dell’HCC. Questo approccio minivasivo ha valore solo se in grado di garantire una resezione nel rispetto degli stessi principi validi per la chirurgia open (rispetto dell’anatomia e prevenzione del sanguinamento). Vi sono indicazioni ottimali alla laparoscopia, quali piccoli tumori in segmenti favorevoli (anteriori) in pazienti ad elevato rischio per una chirurgia aperta tradizionale. Questo tipo di approccio richiede comunque un’equipe dedicata ed ulteriore expertise legata alla difficile curva di apprendimento dell’ecografia laparoscopica, più complessa da interpretare rispetto alla tecnica open. Qualunque sia l’approccio perseguito, il candidato ideale alla resezione epatica, è quello che presenta un nodulo singolo di piccole dimensioni (
Bibliografia 1. Graf D, Vallbohmer D, Knoefel T. Multimodal treatment of hepatocellular carcinoma. Eur J Internal Med 2014, in press 2. Farinati F, Giacomin A, Vanin V, Cillo U.Liver transplantation for hepatocellular carcinoma in clinical practice: the lesson from a 20-year multicentre experience in Italy. Eur J Gastr Hep 2012, 24: 195-202 3. Li G, Speicher P, Lidsky M. hepatic resection for hepatocellular carcinoma: do contemporary morbidity and mortality rates demands a transition to ablation as first-line treatment? 2014 J Am Coll Surg 218: 827-34 4. Forner A, Llovet J, Bruix J. Hepatocellular carcinoma. 2012 The Lancet, 379:1245-55 5. Bruix J, Sherman M, Llovet JM, et al, for the EASL panel of experts on HCC. Clinical management of hepatocellular carcinoma: conclusions of the Barcelona-2000 EASL conference. J Hepatol 2001; 35: 421–30. 6. Santambrogio R, Kluger MD, Costa M, Belli A, Barabino M, Laurent A, Opocher E, Azoulay D Cherqui D. Hepaic resection for hepatocellular carcinoma in patients with Child-Pugh’s A cirrhosis: is clinical evidence of portla hypertension a contraindication? HPB 2013: 78-84
Dott. Daris Ferrari Dipartimento di Oncologia – U.S.D. Cure Palliative A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano La terapia medica I principali fattori di rischio per l’insorgenza dell’epatocarcinoma (HCC) sono le infezioni croniche da virus dell’epatite B e C, l’eccessivo consumo di alcool, l’esposizione ad aflatossina e alcuni rari errori del metabolismo quali l’emocromatosi ereditaria, la cirrosi biliare primitiva, il deficit di alfa-1 antitripsina, la malattia di Wilson e la porfiria cutanea tarda. Nel caso di malattia localizzata il trattamento chirurgico, la termoablazione, la chemioembolizzazione intra-arteriosa (TACE) o il trapianto di fegato hanno dimostrato di essere altamente efficaci. Nel caso di pazienti già trattati con procedure loco-regionali e con malattia in progressione o con malattia metastatica è necessario un trattamento sistemico. Nel corso degli anni è stata valutata l’efficacia di numerosi chemioterapici che hanno dimostrato modesta efficacia nell’ottenere risposte cliniche significative e dubbio impatto sulla sopravvivenza globale. i farmaci più efficaci sono l’adriamicina e il cisplatino, anche in combinazione. Benchè siano documentati casi di risposta patologica completa verificati con chirurgia successiva alla chemioterapia, il trattamento sistemico in pazienti spesso clinicamente compromessi è difficilmente proponibile nella maggior parte dei casi. Nello studio randomizzato di fase III SHARP è stata valutata l’efficacia di sorafenib, un inibitorie multichinasico in grado di inibire la proliferazione cellulare e l’angiogenesi, rispetto alla sola terapia di supporto in pazienti con malattia avanzata. I pazienti in buone condizioni generali e buona funzionalità epatica (Child A) la sopravvivenza mediana è stata di 10.7 mesi rispetto a 7.9 mesi nel gruppo placebo con una riduzione significativa del rischio di morte del 31%. Un analogo risultato è stato ottenuto in una popolazione asiatica, in cui il rischio di morte è stato ridotto del 32% con l’impiego del farmaco. Attualmente il sorafenib costituisce il trattamento iniziale standard per la malattia avanzata non suscettibile di trattamenti loco-regionali.
I tumori delle vie biliari sono colangiocarcinomi che possono originare dalle vie biliari intraepatiche o extraepatiche. I fattori di rischio non sono completamente definiti ma fra questi sembrano importanti i fenomeni di flogosi cronica come tipicamente avviene nella colangite sclerosante primitiva, l’epatite da virus C, i calcoli e le cisti del coledoco o le infezioni parassitarie epatiche. Il trattamento delle forme iniziali è chirurgico, purché vi siano concrete possibilità di resecare radicalmente la neoplasia. Il trattamento chemioterapico adiuvante con gemcitabina è consigliato nelle forme più avanzate (stadio T2 e oltre) in analogia con quanto suggerito da studi effettuati nei tumori pancreatici, ma al momento non sono disponibili studi randomizzati condotti esclusivamente sui colangiocarcinomi. Per la malattia avanzata i farmaci dimostratisi utili nel rallentare la progressione di questa neoplasia scarsamente chemiosensibile sono il 5-fluorouracile, la gemcitabina, il cisplatino e l’oxaliplatino. Attualmente lo standard terapeutico, nei pazienti in buone condizioni generali, prevede la combinazione di cisplatino e gemcitabina. Infatti in uno studio randomizzato di fase III la combinazione si è dimostrata superiore alla sola gemcitabina in termini di sopravvivenza libera da progressione (8 vs 5 mesi, HR 0.63) e di sopravvivenza globale (11.7 vs 8.1 mesi, HR 0.64). I pazienti che progrediscono dopo la prima linea di trattamento raramente rispondono ai trattamenti di seconda linea, spesso difficilmente proponibili per il rapido declino clinico legato all’aggressività della neoplasia. Numerosi sforzi sono in corso nell’ambito della ricerca farmacologica per individuare agenti biologici in grado di modificare il decorso dei colangiocarcinomi. A tutt’oggi sembra promettente l’associazione di un anti-EGFR come il panitumumab alla chemioterapia (12.9 mesi di sopravvivenza mediana in uno studio di fase II) ma né gli agenti antiangiogenetici, né gli inibitori di tirosin-kinasi hanno dimostrato efficacia in studi clinici randomizzati.
Prof. Paolo Foa U.O. di Oncologia Medica A.O. San Paolo – Polo Università degli Studi di Milano L’approccio interdisciplinare: Un esempio di percorso Nell’ambito dei tumori primitivi del fegato la necessità di un confronto interdisciplinare che porti a percorsi diagnostico-terapeutici condivisi riguarda sia la fase diagnostica che quella della decisione terapeutica. Anatomo-patologo, radiologo, epatologo, oncologo medico, radiologo interventista, chirurgo epato-biliare sono tutte figure essenziali per definire un percorso di diagnosi e stadiazione razionale, basato sulla conoscenza della storia naturale della malattia e sulle caratteristiche del singolo caso. Ancora, epatologo, oncologo medico, radiologo interventista, chirurgo epato-biliare sono gli specialisti indispensabili per un confronto che porti alla definizione della strategia di cura ottimale. Presso la A.O. San Paolo è da tempo attivo un gruppo interdisciplinare dedicato ai tumori primitivi del fegato. Nell’ambito di riunioni settimanali si procede alla discussione dei nuovi casi e per ciascuno di essi si elabora uno specifico percorso diagnostico-terapeutico. L’approccio metodologico della valutazione interdisciplinare offre ai pazienti la garanzia che tutte le diverse opzioni di diagnosi, stadiazione e cura vengano adeguatamente considerate e che i percorsi assistenziali proposti siano omogenei, indipendentemente dallo specialista iniziale a cui il paziente è stato riferito.
Tab 1. GRUPPO ONCOLOGICO INTERDISCIPLINARE TUMORI TESTA-COLLO: STADIAZIONE Tab 2. GRUPPO ONCOLOGICO INTERDISCIPLINARE TUMORI TESTA-COLLO: TERAPIA TUMORI OROFARINGE STANDARD INDIVIDUALIZZATO Stadio I Chirurgia + T1N0 ERT: IMRT da preferire cCT/RT se HR Stadio II T2N0 ERT: IMRT da preferire Chirurgia + cCT/RT se HR Stadio III, IVA IVB cCT/IMRT Chirurgia + RT Chirurgia + RISCHIO BASSO cCT/RT se HR IMRT + Cet Stadio III, IVA IVB cCT/IMRT TPF cCT/IMRT IMRT + Cet RISCHIO INTERMEDIO Chirurgia + RT Chirurgia + cCT/RT se HR
Tab 3. Scheda Paziente Paziente Età Recapiti telefonici Diagnosi Stadio Esame istologico Anamnesi oncologica Comorbidità Esito discussione interdisciplinare Data
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